La verità sulla maturità è che si tratta davvero di un esame impegnativo e al contempo non il più difficile che si dovrà superare nella vita. Lo sanno tutti quelli che ci sono già passati e lo ripetono agli studenti impauriti i giorni prima del loro appuntamento con la storia. Son quelle cose che non puoi pretendere di spiegare e che vengano comprese appieno da chi non le ha vissute, come ogni ansia, trauma, esperienza forte ed indimenticabile. Dodici anni fa sostenevo l'esame scritto, la prima prova di un cammino tutto in salita che culminava con l'orale. Per una ragione puramente televisiva la "notte prima degli esami", quella della canzone di Venditti e delle ansie degli studenti, è prima della prima, quando si deve riempire un foglio bianco con un tema o un saggio breve. Epperò la parte difficile è in realtà forse più la seconda prova, molto più tecnica, o l'ostica terza con il quizzone di tutto un po'. Finita la quale per i media italici la matura è finita e non è più argomento di discussione, mentre scatta invece il periodo durissimo dell'inutile ripassone di mille argomenti, sperando di non essere stati sorteggiati per primi e dover affrontare la commissione già pochi giorni dopo gli scritti.
La mattina dello scritto di italiano avevo lo zainetto nuovo e una camicetta che ancora conservo nell'armadio sebbene non la indossi più. Volevo lo zainetto Napapjiri come tutti i miei compagni di classe, che l'avevano ormai da 4 anni: mi venne regalato per il mio compleanno a fine maggio e fece il suo esordio a scuole finite proprio per il giorno della matura, nuovo di zecca. Sfigato.
Ho corso all'apertura delle porte quasi dovessi guadagnare un posto in ultima fila per copiare come un pazzo non si sa cosa. Dall'ultimo banco guardavo le teste chine dei compagni pensare a cosa mettere su quel foglio, sfogliare i dizionari disperati alla ricerca del lemma dove era incollato un pezzettino di bignami, sperando fosse quello giusto. Uno spettacolo che solo da dietro si poteva ammirare senza voltarsi venendo richiamato.
La distesa di cellulari consegnati sulla scrivania della commissione era qualcosa di buffo: all'epoca si potevano mandare al massimo degli sms a qualcuno collegato ad internet a casa. C'era già studenti.it e le sue soffiate, ma era davvero impresa eroica riuscire a farsi dettare un tema o interi brani di analisi del testo al cellulare in bagno. Qualche furbetto ne aveva portati due: uno da consegnare, uno da tenere nello zaino che non si sa mai. Si racconta di intere librerie di temi pronti disponibili nel bagno in alto sopra gli sciacquoni delle turche. Leggende o forse no, senz'altro mai determinanti per il risultato finale, ma necessari per il folklore, la chiacchiera e le risate prima e dopo la tensione. Si era sparsa la voce e la lista di prenotazioni per andare in bagno sfiorava il ridicolo. Mi pare fosse uscito Pavese e sul bignami dei temi fatti non c'era traccia di qualcosa sull'argomento: tutti tornavano scontenti ma almeno avevano pisciato e raccolto le idee in tranquillità. Per partecipare all'euforia generale ero andato anche io in bagno, solo per vedere se davvero c'era qualcosa da consultare in bagno, ovviamente non trovando un tubo. Forse avevo sbagliato turca, forse dovevo controllare nei portasalviette, o nei cestini. Vabbè.
Tra i temi di quell'anno uno in particolare era talmente un gol a porta vuota che non si poteva non approfittarsene. Un saggio breve sulla Musica, non ricordo con quali contorni e indicazioni, un argomento a portata di qualunque giovane studente, senza problemi di non sapere cosa scrivere. Il mio tema iniziava con un espediente grafico (un semino di follia di quello che sarebbe venuto dopo?): essendo pubblicato su un magazine musicale esordiva con la parola musica ripetuta tre volte ma scritta in modo differente. Tutto minuscolo, con la maiuscola e infine tutto in maiuscolo. E se mi avessero tolto dei punti per questa sciocchezza? Meglio chiedere. Un rapido consulto della commissione e venne concessa l'inutile licenza poetica.
Claudio, il primo della classe in ordine alfabetico, era stato scelto per sorteggiare l'ordine degli orali: in un siparietto gustoso pescò il suo nome dall'urna annunciandolo con enfasi e poi imprecando in maniera garbata davanti al Presidente di commissione esterno. Era un prete, non avrebbe gradito.