Alessandro Carrisi, ventitré anni, orgoglioso della sua divisa, in Iraq era arrivato il 12 ottobre scorso. Tra quattro mesi sarebbe rientrato in Italia. Si era arruolato perchè cercava un lavoro stabile come molti alla sua età, era partito per compiere la sua missione di pace. Quando si sentivano per telefono, raccontava al fratello che cercava di arraffare quante più confezioni di nutella e caramelle potesse, al comando, così quando scendeva in strada poteva regalre ai bambini un sorriso... Ieri mattina Alessandro è morto nell'attentato kamikaze a Nassiriya. Era il più giovane. Mentre la notizia invade i teleschermi, mentre numerose sono le edizioni straordinarie dei Tg, mentre la Cnn dedica ore di trasmissione ai collegamenti con l'Iraq e con l'Italia, una famiglia come tante si trova di fronte a una tragedia inaspettata e troppe volte scongiurata: la perdita di un figlio, di un fratello, di un fidanzato, di un amico... Un ragazzo che aveva ancora tutta la vita davanti, sogni da realizzare e obbiettivi da raggiungere. Cosa sono una stupida targhetta e una medaglia al valore in cambio di una giovane vita!?! NIENTE, assolutamente niente! Erano partiti tutti con compiti umanitari, e ancora per "stabilizzare" e "proteggere". E ora si ritrovano, inesorabilmente, in mezzo alla guerra che è cominciata dopo la fine del conflitto. Che fosse pericoloso, era chiaro a tutti. Ma che in Iraq le cose potessero peggiorare fino al punto in cui sono oggi, nello scorso mese di aprile lo temevano solo alcuni. Che purtroppo avevano ragione. Ora se ne rendono conto in tanti: la vita di Alessandro poteva essere risparmiata come quella di molti altri. (www.repubblica.it)
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