Viviamo in una dittatura degli oggetti, e nemmeno ce ne accorgiamo. Quei professori polverosi e iracondi che brontolavano contro il consumismo andrebbero rivalutati.
Tra l'uscita della metro rossa duomo e il mio ufficio ci sono cinquecento metri. Lungo la strada, pubblicità di ogni genere, e per ogni oggetto pubblicizzato, un corpo umano che lo reclamizza. Un culo, una coscia, un sorriso venduto. Ora non so voi, ma io non capisco perchè una persona sana di mente debba prestare il suo corpo per pubblicizzare un telefonino. Mi sembra surreale, essere stipendiato da uno telefonino. Essere vincolato alla carriera del telefonino.
Pare che nelle grandi multinazionali alimentari e cosmetiche esistano delle figure chiamate Product Manager. A quanto sembra da qualche parte, a questo mondo, esiste il Manager dei Tarallucci. O il manager del Pino silvestre. Controllano la concorrenza, guardano le statistiche di vendita, aggiornano il packaging. Insomma, si prendono amorevolmente cura del prodotto. Come dei veri servi. Pagati dal padrone. E il padrone è un biscotto, o un bagnoschiuma al latte di cocco.
- Che lavoro fai?
- Sono il manager della pizza Buitoni.
Siamo dipendenti dagli oggetti per le abitudini cui non sappiamo rinunciare, e siamo dipendenti anche dal punto di vista contrattuale. Sogno un mondo dove gli oggetti facciano la pubblicità agli uomini, e non il contrario. Dove gli oggetti parlino di noi, e non il contrario. Un mondo tappezzato di cartelloni come questo:
Riprendiamoci il nostro ruolo. Siamo noi quelli che hanno creato tutto questo, dopo tutto. I Fagolosi da soli non sono nessuno. Ma noi, dei Fagolosi, possiamo fare anche a meno.
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