Fine 2003. Rossi ha appena dominato la stagione in sella alla moto migliore. Ha vinto e stravinto. Non può chiedere di più. Allora decide di cambiare, perchè altrimenti non c'è più gusto. Sceglie gli avversari sfigati della Honda, quelli che non vincono un mondiale dal 1992. Si prepara al peggio, ovvero a una stagione di stenti, di lavoro e di crescita per una moto inferiore a quella vincente con cui aveva dominato finora. Si rimette in gioco, lancia la sfida, a se stesso, all'intero mondo sportivo e forse anche oltre. Prima gara del 2004: vittoria. Si capisce che sì, può rivincere ancora, e si, può rivincere e dominare ancora. Oggi. Valentino Rossi con la scascia Yamaha ha vinto, finora, sette gare. Stamattina in Australia è diventato campione del mondo per la sesta volta. Ha vinto la sua sfida personale, ha dimostrato a tutti che il pilota "vale" più della moto, del mezzo meccanico. Fiumi di retorica sportiva sono pronti a celebrare un Personaggio. Come se Schumacher salisse sulla Renault o sulla Bar, e andasse a vincere il Mondiale contro la corazzata Ferrari. Non ci proverà mai, perchè sono due Campioni diversi e anche perchè sono due sport completamente diversi. Qui sta la grandezza di Valentino: il sapersi mettere in gioco, immolarsi sull'altare delle imprese, e riuscire a risultare vincente, ancora una volta, contando sui suoi mezzi e rifiutando comodi allori. E soprattutto, fare tutto questo a modo suo: ironico, graffiante, spettacolare.
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