Il giorno che hai scritto tutto

Non so.
Forse ci sono tanti modi di tenere un blog.
Puoi scrivere a giorni alterni, come per dare quel tanto di respiro, evitando di soffocare sotto una coltre di parole sempre più grigie.
Puoi scrivere quando ti pare, così la gente va e viene, e tu non hai quell’assillo che non devi tradire il tuo lettore, e simili stronzate.
Oppure, scrivi praticamente sempre, e quando scrivi praticamente sempre, arriva un giorno, magari dopo un paio d’anni, che hai finito gli argomenti.
Hai scritto della morte, dell’amore, della vita e della piscia. Hai scritto di tua madre, tuo padre, tua sorella e tua nonna. La tua prima ragazza, l’ultima, quelle di mezzo. Il tuo cane, il gatto e il pappagallo del vicino. Hai scritto di politica, di cinema, di libri, di mozzarelle.
Finché arriva un giorno.
Che hai scritto tutto.

Il post quotidiano è diventato un cartellino, e tu sei l’operaio frustrato da un monotono lavoro.
Se prima pensavi di essere uno scrittore del futuro, ora sei una catena di montaggio.

Io credo che ci sia un tempo.
Un tempo ben determinato, che poi magari varia per ciascuno. Forse per alcuni è un mese, per altri invece un anno. Forse dovresti sfruttare la novità e la voglia e l’entusiasmo, e poi rendertene conto.
Del fatto che hai finito, intendo.
Che hai fatto un giro completo. E da lì, c’è solo un ripetersi di te stesso, un riflusso mascherato da impulso. Risacca creativa di uno stagno putrefatto.
Non ti ci specchi più, in quello stagno.

Penso a tutte le parole che hai scritto, che ho scritto.
Dodici mesi di parole d’ogni tipo.
Niente più racconti, niente più romanzi, solo piccoli, brevi, essenziali compendi.
Certo, prima scrivevi solo per te stesso, ora per duecento lettori al giorno.
Ma non stai scrivendo letteratura. Scrivi baci perugina.
Ti sei sempre detto: il blog è una palestra.
Ora capisci che un posto dove i muscoli si atrofizzano, invece che diventare tonici, dove la tua ispirazione si sgonfia, invece di crescere a dismisura, non lo puoi chiamare palestra.
Esiste un altro luogo, che meglio s’identifica con questa cosa: la discarica.
Il blog è un cumulo di rottami e ferrivecchi. Sono tutte le tue idee solo abbozzate. Tutte le possibilità, bruciate velocemente. Ogni giorno hai fatto la spola, scaricando le suppellettili della tua vita.
Ora ti rimane una stanza vuota.

E così, dovresti accendere il tuo portatile, caricare l’editor di Splinder, un’ultima volta, e scrivere l’unica parola che ancora ti rimane: fine.

Ma no, lascia stare.
Tanto, neanche due giorni, e apriresti un nuovo blog su Clarence.

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