Era una giornata meravigliosa, squillante, e le strade traboccavano a ogni curva di mandorli e pesche in fiore. C’era una folla domenicale, nessuno era andato a lavorare . Ma come il motore si spense, mi resi conto che c’era qualcosa di diverso dal solito nella mia stanza. Non c’era più animazione. Sembrava la sorda riproduzione di una realtà nota, catturata dall’ obbiettivo di una machina fotografica. Un silenzio sordo e profondo Tutti avevano lo sguardo rivolto a terra in un atteggiamento impacciato, di timida e goffa riprovazione. Rimasi ferma al letto come per aggrapparmi a qualcosa e deglutii. Rispose al mio saluto muovendo le labbra, senza emettere suoni
Mi sentii come se dovessi scusarmi , per essermi intromessa in tale scena di universale cordoglio. Le camere fresche a pianterreno risuonavano nel silenzio e da fuori arrivava la luce del sole, filtrata dai rami di limoni amari già spremuti.
C’era il mio vecchio cestino che mi aveva accompagnata in tutte le mie gite, pieno di piccolissime cose, seppellite sotto una manciata di sabbia, che sgusciò via lenta tra le maglie del vimini. Mi torno in mente dove era stato preso ciascuno: un frammento di vetro di Murano blu e trasparente come il mare estivo nei punti profondi, la mano del mio marito, manici di anfora di Atene con il sigillo impresso col pollice sull ‘argilla morbida, le rughe del mio padre, un penny vittoriano, tessere di mosaico di qualche chiesa bizantina, gli occhi di mia madre. Tutti insieme documentavano in modo singolare il mio soggiorno su questa terra.
Nel 1990 avevo ventisei anni. Ero svenuta e il flusso di ossigeno nel mio cervello si è interrotto per cinque minuti. Danni irreversibili anche al pancreas. Muta sotto l ‘albero del ozio in una immobilità raggelante. Quegli sguardi che evitarono di incontrare il mio tramite i schermi televisivi, posandosi timidamente altrove, “come farfalle primaverili“. Semplicemente vedermi procurava dolore, in quella aria tersa di primavera, dorata come miele.
Scivolai via per la strada deserta sotto gli alberi in fiore e raggiunsi il crinale della collina. Giunsi ansimando l‘ultima terrazza e saltai sulla strada con un balzo tremendo, raggiante di gioia e senza fiato…
Mi chiamo Terry Schiavo e sono finalmente felice.
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