Il messaggio dell'ansa, il maxischermo dove si guardavano i Gp acceso prontamente, "Cazzo che sfiga", e tu "No, è un attentato, pensa a dov'è l'aereoporto di New York",
Tutte le telecamere puntate su un grattacielo fumante, la voce concitata dello speaker della Cnn, l'altro aereo e la certezza che avevi ragione. Il crollo, il tuo viso.
"Tutti morti, tutti morti, tutti morti..."
Hai provato a chiamare New York con duemila lire nel telefono. Siamo passati per i centralini impazziti dell'Excelsior, c'era una donna che strillava "my husband" tenendosi appresso i figli. Mi hai presa per mano e mi hai trascinata via senza riuscire a guardarmi negli occhi.
Siamo rimasti impietriti a fissare S. Marco, la gente pregava, tu fissavi il vuoto, io guardavo te.
Ed era solo silenzio.
Televisioni sputavano immagini da ogni vetrina, e noi andavamo verso casa, per mano, fissandoci le scarpe.
Abbiamo mangiato a letto e ci siamo addormentati abbracciati, ti ho baciato sulle labbra stordita, abbiamo fatto l'amore senza sapere perchè. Abbiamo chiuso gli occhi con la convinzione che non li avremmo più riaperti. Mai più.
Eppure la mattina dopo ci ha svegliati, impertinente."
V'è una forte differenza tra celebrare e ricordare. La celebrazione arriva quando il ricordo non fa più male. E capita che non faccia più male perchè purtroppo l'essere umano si abitua ad ogni cosa, dalle più dolci alle più atroci.
E non gode più di nulla.
Oramai è tutta una grottesca celebrazione di ogni singolo morto che diventa eroe. Perchè la verità è che non si tollera più il silenzio imposto dalla morte. Quella pietra che cala sopra la terra senza concedere una possibilità di replica. Un "E se...".
Esatto, "E se...?"
L'incapacità d'elaborare il lutto ci rende "sopravvissuti", che rimuovono o celebrano.
Senza ricordare più.
Diciamo "non è giusto", ritorniamo bambini per un attimo di fronte alla maestra che ci punisce quando era il vicino di banco a tirare le palline si carta con la penna a mo' di cerbottana.
Diciamo "mai più" e tra una corona d'alloro e una manifestazione di pubblico cordoglio dimentichiamo il significato profondo di quelle parole.
"Io chiedo come può l'uomo uccidere un suo fratello...quando sarà che l'uomo potrà imparare a vivere senza ammazzare..."
No, non è giusto, non lo è.
Non sono mai giusti i morti, siano essi americani, italiani, afghani, iracheni, curdi, israeliani, palestinesi, etipi sudafricani, coreani...non faccio differenze.
A pagare le "colpe" altrui è sempre sangue innocente, chi ha la sfortuna di essere nel posto sbagliato al momento sbagliato. O di "essere sbagliato"
E non vale la "questione di giustizia", sarebbe troppo facile.
Ci si eleva moralmente a combattere sotto quest'egida, ci si toglie un mezzo peso dalla coscienza grazie alla "giusta causa".
Eppure ai morti non glielo chiede mai nessuno se perdonano, se invocano giustizia, se stanno magari meglio là dove sono perchè le seimila vergini toccano a tutti.
Citando Enzo Bianco "non si dovrebbe mai porgere la guancia dell'altro".
La fede diventa bigottismo, ogni affermazione diventa legge e lo spazio lasciato ai dubbi dev'essere poco, per evitare l'implosione di una società nutrita d'illusioni.
Si sta perdendo la Storia, che scivola via...
"O che bel castello, il mio è biù bello, noi ruberemo, noi lo rifaremo, noi lo bruceremo, noi lo spegneremo, toglieremo una pietra, noi non ce ne importa, toglieremo due pietre, toglieremo tre pietre..."
E via così...
7 Responses to “E tu dov’eri…?”