Acqua Padre, che il convento brucia.

Ore sette di sera circa, esco di casa, faccio due o tre curvette, attraverso la strada, infilo un euro nel carrello, getto la sigaretta e attraverso le porte scorrevoli del Billa.
Come un automa mi dirigo verso il reparto bevande, afferro una confezione a caso da sei bottiglie e mi volto decisa in direzione della cassa.
Strank.
Uh. La confezione è rotta. No, rettifico, non è rotta, è aperta. Cazzo, anche le bottiglie sono aperte.
Senza pensarci troppo su faccio la vaga, spingo con una pedata il mio ammasso di bottiglie taroccate sotto uno scaffale e catturo un'altra confezione.
Ri-strank.
Siccome a casa mia due indizi fanno una prova abbandono a malincuore la tentazione di costruire un piccolo Empire State Building fatto di bottiglie difettose e mi metto ad osservare che succede attorno a me.
Ad una prima analisi  sembra che la sorella buona di Katrina abbia vissuto una storia d’amore molto intensa con il “ramo bottiglie” del supermercato, confezioni dilaniate sono pseudoimpilate in posizioni più che discutibili e la maggioranza delle bottiglie è aperta.
E c’è quella signora là che le toccaccia tutte.
Uh, mamma che fa, le apre, aiuto, sicurezza, “dagli all’assassina” e si salvi chi può.


Aspettate, fermi tutti.
Annusa.
E posso dire che no, evidentemente quel che sente non le piace visto che richiude tutto, afferra un’altra bottiglia e ripete l’esperimento, la seconda evidentemente va meglio visto che vince una più degna sistemazione in un mucchietto a parte. Quando ne ha metodicamente collezionate tre-quattro le mette nel carrello e se ne va come se nulla fosse.
Probabilmente è una nuova moda visto che ci stanno altre due "giovini donzelle" da trent’anni per gamba che stanno giocando allo stesso gioco appassionante.
Mi volgo con un sorriso assassino al ragazzo del supermercato che ancora non le ha ammanettate alla cassa, e lui mi guarda desolato e bofonchia qualcosa che assomiglia a un “l’è che non se pol saver se glien’è qualcosa dentro. Nialtri controemo ma semo zona a rìscio”.
Se l’inferno esiste è un luogo dove tutti parlano in dialetto veneto.

Vecchie psicotiche che mi costringono a bere birra da tre giorni a parte (bere l’acqua del sindaco a Padova  significa ingerire cloro, che quasi quasi acqua e varechina si prospetta come un’alternativa piacevole) mi chiedo se un buon numero di italiani non abbia trovato un modo pratico ed indolore per liberarsi della suocera.
Si caccia dentro un alimento a caso un po’ di varechina (per chi ha accesso ad un laboratorio suggerisco qualche acido, sono più efficaci allo scopo) si da la colpa ad  “acquabomber” (o formagginobomber, panedatostpomber, piadinabomber etc. etc.) e il gioco è fatto.
Trallallà trallallà.

5 Responses to “Acqua Padre, che il convento brucia.”


cribbio
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L'abbiam capito subito che di sport non capiscono una borsa, anzi un borsone. Meno male che non gli abbiamo aperto la porta!
(La Gazzetta dello Sport)

Vogliono fare giornalismo ma non sono minimamente all'altezza. Piuttosto che vadano a lavorare, ragazzetti pidocchiosi!
(Il Giornale)

Ci hanno riempito di tagliandi per vincere il concorso come Gruppo dell'anno. Ma chi si credono di essere?
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Giovani, belli e poveri. Cosa volere di più? Nell'Italia di Berlusconi un sito dinamico e irriverente si fa strada come può.
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Cagnazz è il Mickey Mouse dell'era moderna e le tavole dei Neuroni, arte pura.
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Indovinello
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