Nulla da fare. L'irrequietezza la faceva da padrona.
Afferrò la sciarpa per ripararsi dall'umidità della sera e uscì fuori a camminare per la strada, non aveva voglia di parlare con nessuno, solo di stare un po' sola con se stessa e di pensare.
Si sedette sul suo moletto preferito, tirò fuori un vecchio walkman ed un cd, incrociò le gambe, schiacciò play e si mise a fissare i riflessi delle luci sull'acqua.
Il silenzio ad "addormentare la città", i "sogni e i rumori delle notti passate", le chiacchierate sempiterne, le risate, le ore passate a litigare da sola, le sensazioni sulla pelle.
Ecco, per lei tutto quello aveva un senso, ne aveva avuti tanti, ma in quel momento era solo qualcosa di incredibilmente bello. E semplice. Una delle poche cose che era in grado di farla stare bene, senza bisogno di troppe parole.
Istintivamente allungò la mano sul legno umidiccio, su quel posto irrimediabilmente vuoto da quasi un mese. Era da quasi un mese che non si sentiva dire che era "voluta bene, tanto". Ritornò indietro col pensiero a quando aveva sedici anni, e ne aveva molto più bisogno d'adesso, di quei piccoli gesti tanto preziosi. Crescendo s'era abituata alla loro assenza, perchè si va avanti con ciò che si ha, così le avevano insegnato almeno.
Eppure in quel momento li vedeva chiaramente, davanti a sè, piccole cose che poteva sfiorare dolcemente con le dita, perle infilate quasi senza rendersene conto su una collana che arrivava fino a terra. Silenzi che riuscivano a prendere il senso di quelle parole, e rispondevano a quel "dimmi che mi vuoi bene, ti prego, dimmelo ora".
Raccolse i capelli e sorrise. Non c'era nulla che più della sua realtà la potesse rendere felice.
E si sentì al "riparo"
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