Pur tenendo costantemente in sospeso il mio giudizio sulla Tav e sulla protesta in Val di Susa, ed essendo pronto a cambiare idea nel caso si possa vedere più chiaro sulla questione, dichiaro - anche a costo di essere linciato sulla pubblica blogpiazza - di essere a favore dell’alta velocità. Non sto qui a spiegarvi i perché di questa mia posizione né a stigmatizzare tutte le arroganze del governo che hanno portato alla cosiddetta militarizzazione della valle; non è esattamente di questo che voglio parlare. Vi basti sapere che l’ottimo SuzukiMaruti in suo post di qualche tempo fa ha espresso con dovizia di dati e particolari un parere che sento di condividere in pieno.
Torniamo ai manifestanti. Sono certo che grandissima parte di loro siano tutto meno che infiltrati anarcoinsurrezionalisti, e che i loro fini siano tutt’altro che eversivi. Hanno un problema - un problema serio - a due passi da casa, un problema che potrebbe condizionare le vite loro e dei loro figli, dei loro nipoti. E’ più che normale che, davanti ad un governo che una volta più che mai mostra di sconoscere parole quali dialogo e concertazione, la protesta abbia assunto queste dimensioni.
Al di là dei validi e legittimi motivi della protesta, c’è - secondo me - un altro fattore che tiene viva la mobilitazione. Esiste in Italia una parte di persone - che solitamente si colloca politicamente in tutto ciò che sta a sinistra dei Ds - che vive qualsiasi forma di protesta prevalentemente come una appagante dimostrazione di intransigenza morale e coerenza politica, come il momento in cui ottenere (a gli occhi di chi non si sa) un riconoscimento univoco e universale di impegno e libertà. Tutto legittimo e giustissimo, se non fosse che spesso questo finisce per spostare l’obiettivo da ciò per cui si sta protestando alla protesta in sé. Vi prego di allargare il campo visivo e cercare di guardare oltre la mobilitazione No Tav in Val di Susa.
C’è una larga fascia dell’elettorato di sinistra che vive come appuntamento irrinunciabile ogni forma di protesta contro qualsiasi cosa, che cerca appagamento e autostima nello slogan urlato sotto il palazzo del sindaco o nelle notti passati all’addiaccio, nella carica dei poliziotti o nelle canzoni cantate avvolti nella bandiera. Una parte di persone che campa di indignazione fulltime, che ha la necessità di nutrire costantemente la propria coscienza di cortei e occupazioni, nella consapevolezza più o meno inconscia che vivere il suo essere minoranza con questa voglia di stare insieme e farsi sentire possa essere sensazionale fonte di riconoscimento reciproco di onestà e libertà, motivo di orgoglio e fonte infinita di autostima.
Ora, che ci sia un che di romantico in ogni mobilitazione, e che è anche da questo coinvolgimento emotivo che vanno prese le forze e le energie per affrontare proteste di grande portata, è fuori discussione. Ma che questo possa diventare il primo motivo di mobilitazione, prima di ciò per cui si protesta, è grave e pericoloso.
E’ pericoloso, perché spesso porta ad allontanare le parti di una protesta e non ad avvicinarle (che poi sarebbe bene ricordarcelo di tanto in tanto: il fine di una protesta dev’essere risolvere un problema, e non crearne un altro). E’ pericoloso perché questo essere continuamente controqualcosa può portare ad alcune rischiosissime derive del pensiero: quella del pensare di avere sempre ragione (o peggio ancora: quella di pensare di essere sempre gli unici ad avere ragione) o quella - ancora più pericolosa - che finisce col convincere tutti che cambiare idea, cambiare opinione su qualcosa sia quanto di più ignobile un uomo possa fare.
Al di là di quel che un lucidissimo Oscar Wilde sintetizzò magnificamente - “Solo gli idioti non cambiano idea” - è proprio qui e su questo punto che la faccenda diventa gravissima. L'atto di cambiare idea è visto sempre e comunque come un rifiutare i giusti ideali (quelli inequivocabilmente giusti sempre e comunque, vedi sopra), come un vendersi al potente e passare dalla parte del nemico.
Attenzione, non parliamo di chi passa con scioltezza da sinistra a destra o viceversa (in quel caso un piccolo insulto ci può anche stare, a mio modesto parere): parliamo di - tanto per fare qualche esempio - chi si dimostra fiero e orgoglioso di non andare a votare perché “piuttosto che votare Prodi, mi tengo Berlusconi”, di chi nel 1998 sostenne Rifondazione Comunista nel portare il governo di centrosinistra alla crisi, di chi nonostante questo votò Rifondazione Comunista anche nel 2001, consegnando l’Italia in mano alla lobby berlusconiana. Parliamo di chi non è andato alla manifestazione in difesa di Israele perché non si tirava in mezzo pure la Palestina, di chi non ha il coraggio di ammettere che i passi avanti più grandi verso la pace in Medioriente li abbia fatti proprio Ariel Sharon col ritiro dei coloni, chè in fondo Sharon resta sempre uno sporco sionista, e guai a cambiare idea. Parliamo di chi, oggi, critica Bertinotti per la sua scelta di stare dentro l’Unione e mettersi in gioco nel fissare i punti del programma, bollando il leader di Rifondazione come governista e, quindi, subalterno al potere. Parliamo, per tornare alla Tav, dell’atteggiamento di chi ha boicottato e infine fatto sospendere la Commissione Rivalta, la commissione formata da esponenti del governo e amministratori locali che non è stata capace di trovare un accordo sulla data di inizio dei sondaggi che avrebbero dovuto verificare la pericolosità degli scavi.
Parliamo del famigerato cretinismo di sinistra, dell’opposizione aprioristica contro tutto e tutti, del rifiuto costante del compromesso che poi, in concreto, si traduce in indifferenza: secondo il cretino di sinistra - per continuare con gli esempi - dovremmo passare dagli attuali rapporto Chiesa-Stato ai matrimoni gay, e quindi le unioni civili rappresentano il male. Per il cretino di sinistra dovremmo ritirarci dall’Iraq domani, e quindi qualsiasi forma di ritiro programmato rappresenta il male. Per il cretino di sinistra si dovrebbero vincere le elezioni senza coalizioni, perché alleanza vuol dire compromesso e il compromesso è il male. Per il cretino di sinistra bisognerebbe formare domani gli stati indipendenti israeliani e palestinesi: la road map o il ritiro dei coloni rappresentano qualcosa e non tutto, quindi rappresentano il male. Per il cretino di sinistra domani in Val di Susa dovrebbero sbaraccare tutti i cantieri e il governo dovrebbe comunicare ai francesi che
La cosa veramente triste di questo cancro della sinistra italiana è che poi, sostanzialmente, tutto questo impegno integerrimo controqualcosa finisce spesso col tradursi in un menefreghismo totale nei confronti di un mondo che va a rotoli; un mondo che avrebbe sicuramente bisogno di meno intransigenti manifestanti e di più persone disposte a sporcarsi le mani, nella consapevolezza che cambiare qualcosa non sarà cambiare tutto, ma è sempre meglio di non cambiare niente.
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