Non voglio - almeno per adesso - entrare nel dettaglio delle vignette danesi e della maglietta di Calderoli: ci tornerò (se ne avrò voglia) più avanti, magari quando ci saremo tolti di mezzo questa pesantissima campagna elettorale che costringe tutti a prendere posizione su tutto, generando così un profluvio di stupidaggini che in questi mesi anche l'ultimo dei sottosegretari si sentirà in dovere di regalare al paese.
Quello che mi interessa sottolineare è una contraddizione che la dice lunga sull'onestà intellettuale della destra italiana e sul suo modo discutibile di strumentalizzare le correnti vicende internazionali.
Sappiamo come sono andate le cose: un giornale danese pubblica alcune vignette satiriche che raffigurano Maometto, queste vignette provocano accese polemiche e talvolta degenerano in scontri e attacchi alle ambasciate (sorvoliamo sul timing delle proteste, questione forse meno importante di quanto sembra).
Il governo danese si appella alla libertà d'espressione, afferma di non potere interferire sulle scelte editoriali della stampa e - pertanto - si rifiuta di chiedere scusa. Questi i fatti.
Le reazioni in occidente sono variegate: chi ritiene eccessive le proteste islamiche e crede che le vignette siano solo un pretesto, chi pensa che le stesse vignette siano irrispettose nei confronti del popolo musulmano, chi ritiene vadano fatte delle scuse all'Islam, chi si erge a estremo difensore della libertà d'espressione diffondendo le vignette incriminate.
La destra italiana - seppure con qualche distinguo - ha preso una chiara posizione: vignette o non vignette, fare un passo indietro è mettere in gioco i principi stessi della nostra civiltà occidentale. E allora, giù a difendere il nostro amato ideale della libertà d'espressione: politici (Taormina, Calderoli, Speroni e tanti altri), giornalisti (Paragone, Facci) e gli immancabili blogger-banderuole del panorama neocon italiano scendono in campo e si ergono a difensori della libertà di espressione senza se e senza ma. Si fa a gara d'indignazione, a chi si straccia le vesti prima e meglio. Si cita addirittura Voltaire.
E allora, la domanda nasce spontanea. Ma questi paladini della civiltà occidentale, questi difensori della libertà di stampa, questi politici illuminati, questi pensatori voltairiani, dov'erano fino a pochi mesi fa? Erano in Italia?
Dov'erano mentre Reporters sans frontiers definiva l'Italia un paese "parzialmente libero" dal punto di vista della libertà di informazione (42simo posto, dietro il Costa Rica, ultimo posto tra i paesi occidentali)?
Dov'erano mentre la Commissione per i Diritti Umani delle Nazioni Unite pubblicava un rapporto sulla anomalia del sistema italiano e sui rischi per la libertà di stampa?
Dov'erano mentre l'International Press Institute e l'European Federation of Journalist definivano "preoccupante" e "in seria e profonda crisi" la libertà di espressione e informazione in Italia (qui e qui)?
Potremmo continuare ancora per molto: dov'erano mentre Freedom House, l'Osce, il Parlamento Europeo, l'IHF, il Consiglio d'Europa, l'Open Society Institute e la Commissione Europea denunciavano i limiti alla libertà di espressione posti in essere in Italia da una preoccupante e anomala gestione dei mezzi di informazione?
Tutto questo senza tirare in ballo i casi dei vari Santoro, Luttazzi e Biagi, che hanno visto gli attuali difensori dei principi dell'occidente vestire direttamente il ruolo di censori: dov'era finita la difesa irrinunciabile della libertà di espressione? Dov'era Voltaire? Dov'èra la magliettina di Calderoli?
Possiamo fermarci qui. Continuare su questa strada porterebbe su conclusioni completamente folli ma perfettamente logiche: la libertà di espressione in Italia è stata in questi cinque tragici anni un principio part-time, erogato non più come diritto bensì come privilegio da uno Stato e da una classe politica che volta per volta decide chi può goderne e chi non deve.
La credibilità di questi moderni paladini della giustizia è zero: zero come la loro onestà intellettuale, zero come la loro sincerità. Le loro vesti strappate e la loro indignazione odierna sono frutto - nel migliore dei casi - di una opportunistica strumentalizzazione elettorale; nel peggiore, di un malcelato razzismo.
2 Responses to “Il liberalismo part-time della destra italiana”