Ieri è uscito in tutto il mondo il film tratto dal "Codice Da Vinci" di Dan Brown mentre si moltiplicano le proteste condite con appelli al boicottaggio della pellicola lanciati da esponenti della chiesa cattolica (ma non solo cattolica), teologi e semplici fedeli. Roba che nemmeno con il burro al posto della vasellina.
Oggi a Ceccano due consiglieri comunali daranno alle fiamme una copia del libro di Brown.
Per la chiesa e molti credenti il libro, e di conseguenza il film, è "blasfemo", "menzognero", "offensivo" e "specula sulla credulità della gente".
Tutta la vicenda, dal mio punto di vista, è molto affascinante.
In sostanza un'istituzione che fonda la sua dottrina e la sua liturgia su alcuni testi mitologici (e successive modifiche in sede di Concilio) e che da un paio di migliaia di anni convince miliardi di persone che, tanto per fare un esempio, c'è un dio unico, creatore e generatore di ogni cosa, che ci osserva e che quando arriverà la fine del mondo ci giudicherà tutti per i nostri comportamenti in vita sistemandoci per l'eternità alternativamente all'inferno o in paradiso perde la testa se alcuni milioni di persone leggono un romanzo, tra le altre cose anche bruttino, e si convincono in massa che il figlio di dio, alla faccia della santità, non solo c'aveva la fidanzata, ma si è dato pure da fare tanto che la sua discendenza è ancora oggi tra noi costretta alla clandestinità.
Molto dantesco tutto ciò.
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