Il pacifismo distorto dei senatori ribelli

La faccenda dei senatori ribelli che da settimane minacciano di non votare il decreto sul rifinanziamento della missione umanitaria in Afghanistan diventa ogni giorno più paradossale. I punti ambigui, in questo caso, sono più di uno, e muovono dal più spietato cinismo politico mascherato da intransigente pacifismo, fino ad una buona dose di incoerenza e non-senso.
Iniziamo col chiarire di cosa si sta parlando: la missione umanitaria in Afghanistan - seguita alla guerra tra truppe angloamericane e talebani dopo l'11 Settembre 2001 - è una missione multilaterale sostenuta da 35 paesi (fra i quali la Spagna di Zapatero, giusto per dirne una) sotto l'egida dell'Onu e della Nato, missione nella quale è sostanzialmente confluita la precedente missione Enduring Freedom portata avanti unilateralmente dalle truppe angloamericane contro il regime talebano.
I cosiddetti senatori ribelli, manifestando la propria contrarietà al voto sul rifinanziamento di questa missione, esprimono un'opinione che - seppur legittima e inserita nella normale dialettica di una coalizione di governo - presenta diverse zone d'ombra. Vediamo quali sono:



- innanzitutto, si dice di non voler votare il rifinanziamento perchè altrimenti si mancherebbe di discontinuità nei confronti della politica estera del governo Berlusconi. Bisognerebbe muovere due critiche: la prima - di merito - consiste nel chiedersi se non può definirsi abbastanza discontinuo un decreto che stabilisce il ritiro del contingente italiano dall'Iraq (oltre al cambio di prospettiva sulla missione afghana). Inoltre, bisognerebbe chiedersi fino a che punto le priorità del governo debbano essere le necessità dei fatti contingenti o il distinguersi dai suoi predecessori. Se il principio della discontinuità dovesse diventare predominante nelle scelte più delicate dell'esecutivo, non si vede perchè allora non si debba tenerlo in considerazione sempre. E quindi (giusto per fare l'esempio di alcune dirette conseguenze) eliminare il divieto di fumo dai luoghi pubblici o ristabilire la leva obbligatoria. La seconda critica è nel merito: il mantra della discontinuità ha fornito un assist magistrale ad un centrodestra che si stava già lacerando sul voto per il rifinanziamento. La Casa delle Libertà si è invece ricompattata arrivando addirittura a votare il decreto del governo (decreto che prevede anche il ritiro dall'Iraq), pur di mettere in difficoltà il centrosinistra e i senatori ribelli usando parole chiave ('continuità') che non tentano di nascondere questa intenzione.

- si profila anche un problema di coerenza. Il programma dell'Unione col quale tutti i deputati e i senatori (compresi i ribelli) si sono presentati davanti agli elettori non accennava minimamente alla possibilità di un ritiro del contingente italiano dalla missione afghana, anzi, enfatizzava l'importanza dell'impegno italiano in quelle missioni umanitarie condotte da coalizioni multilaterali sotto l'egida delle Nazioni Unite. Non si vede come l'obiezione di coscienza che impedisce oggi ai senatori ribelli di votare il rifinanziamento, abbia permesso comunque loro di candidarsi appoggiando un programma che era abbastanza esplicito. Oggi, la cosa più coerente da fare per questi senatori sarebbe probabilmente dimettersi.

- tra l'altro, è il meccanismo stesso dell'elezione di questi senatori a suggerire una scelta di questo tipo. Il 9 e 10 Aprile gli italiani non hanno votato la persona, il singolo deputato o senatore, bensì un partito. Considerato che tutti i partiti - compresa Rifondazione Comunista - hanno annunciato il loro voto favorevole al rifinanziamento, gli otto senatori si pongono in una posizione di palese violazione del contratto stretto col partito e con gli elettori al momento della consultazione elettorale.

- le impostazioni teoriche con cui si porta avanti la scelta del no al decreto sul rifinanziamento, poi, fanno pensare. Luca Sofri fa notare sul suo blog:
"Se si è contrari all'uso dei militari per operazioni volte a garantire - come in Afghanistan - la sicurezza delle persone in zone in cui l'illegalità e la violenza prevalgono - operazioni che prevedono l'uso della forza - che giudizio si dà per esempio dell'operazione “Vespri siciliani” con cui nel 1992 fu impiegato l'esercito in Sicilia dopo l'assassinio di Falcone e Borsellino? In quali posti in cui la gente si ammazza e ammazza civili innocenti, è opportuno usare la forza militare?".

- e come giudicare, allora, le dichiarazioni dei senatori ribelli che affermano che in caso di voto di fiducia voteranno il decreto sul rifinanziamento per evitare che torni al governo Berlusconi? Basta un voto di fiducia - o un cambio di governo che, per quanto sgradito, rientra nelle regole normali della democrazia di un paese - per mandare a quel paese tutti i discorsi sul "no alla guerra senza se e senza ma", sul pacifismo come ragione da anteporre a qualsiasi decisione di politica estera, sul puro idealismo di chi annuncia il proprio voto contrario? Sembra quasi che questa logica voglia che tra la guerra in Afghanistan e il governo Berlusconi, il male minore sia rappresentato proprio dalla guerra.

- a proposito di questo cinismo, che dire delle dichiarazioni di chi chiede che vengano inviate delle truppe anche italiane in Libano per fermare gli attacchi israeliani? Sembra che la decisione di opporsi al decreto sul rifinanziamento non risponda tanto ad una questione di coscienza quando ad un (pre)giudizio politico piuttosto evidente.

- alla luce di tutto questo, sembra lampante la motivazione vera di questa battaglia dialettica e politica: la lotta per il predominio sull'elettorato di estrema sinistra, la sfida per ottenere la maggiore visibilità possibile, il clamore provocato per il solo gusto di smuovere le acque e solleticare gli istinti rivoluzionari di una certa minima (e anacronistica, come dice Napolitano) parte dell'elettorato di sinistra. Scrive oggi Rampoldi su Repubblica:
"Però abbiamo il sospetto che non pochi esponenti di questa sinistra radicale non siano affatto accecati dall'ideologia. Che insomma sappiamo bene quanto fasullo sia il loro Afghanistan: o comunque considerino secondaria la verità. Obbediscono ad un calcolo quasi privato, pre-politico. Cosa conviene dire, dove conviene posizionarsi, cosa vuol sentire il mio pubblico, il mio elettorato, i miei sovvenzionatori? Quale tesi mette in difficoltà i miei competitori? Quale opinione mi giova di più, mi distingue, mi rende più visibile? A verità complesse spesso l'utenza preferisce bugie verosimili, cioè coerenti con le proprie aspettative. E quelli gliele confezionano. In questo gioco di simulacri e imposture l'intransigenza è brandita come la prova della propria superiorità morale: da qui l'abitudine a screditare come agit-prop della Nato, piazzista di bombardieri e "servo degli americani" chi articola un ragionamento sgradito."

Insomma, il governo rischia di essere ingoiato (e persino di cadere) su una cinica lotta di posizione interna alla sinistra radicale mascherata da crisi di coscienza e battaglia idealistica. Una lotta che, se condotta con chiarezza dialettica nei confronti degli elettori e della coalizione, potrebbe persino risultare legittima, ma che con questi metodi - ingenuità politica mista a spregiudicata aggressività, incoerenza e ingenuità - rischia di far dei danni molto seri ad un esecutivo in equilibrio precario che dovrà rispondere alle sfide più impegnative degli ultimi anni. In Italia e, soprattutto, fuori.

7 Responses to “Il pacifismo distorto dei senatori ribelli”


cribbio
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Troppo lento all'accensione. Però poi merita. Maial se merita!
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