Ma quest'anno dietro i lustrini si respira non più il sapore decadente di una città immobile nel tempo, ma il triste gusto di una lenta morte programmata.
Di giorno è impossibile passeggiare per Rialto, per le zone vicino a S.Marco, per l'Accademia e lungo la Strada Nuova, dappertutto vagano orde di turisti spesso organizzati in gruppi capitanati da guide più o meno improbabili.
Una volta gli abitanti si rifugiavano per le "sconte", le stradine, le scorciatoie, le calli strettissime e labirintiche dove i turisti avevano paura ad inoltrarsi.
Adesso li trovi ovunque, quasi irritati verso noi cittadini che li facciamo spostare per entrare nelle nostre case mentre loro bivaccano allegramente seduti sulla nostra porta d'ingresso.
Di fondo, per loro, siamo un semplice impiccio allo sviluppo di una città totalmente a misura di turista.
E' cambiato moltissimo da quando ero bambina.
E ogni tanto ho voglia di piangere seduta all'Abbazia pensando che probabilmente i miei figli non muoveranno i loro primi passi su questi "masegni", in mezzo alla Storia.
Ci sono talmente tante cose da sapere sui piccoli luoghi di Venezia che non basta una vita per narrare le storie dei popoli che qui han trovato riparo.
Eppure non le racconta più nessuno.
Popolo di commercianti per definizione hanno deciso di ucciderci con le nostre stesse mani; tutti i soldi che girano a Venezia grazie al turismo serviranno ad ammazzarci.
L'ha scritto Bianchin, pochi giorni fa, il nostro problema non è l'acqua alta, a quella ci siamo avvezzi da centinaia d'anni.
Il problema di noi, pochi superstiti, è che contiamo meno del due di bastoni quando la briscola va a spade.
Se così non fosse non avrebbero rifinanziato la Grande Opera che qui nessuno vuole.
Grande Opera peraltro inutile e rischiosa per la città che verrà costruita e mai utilizzata per paura di qualche disastro causato da eventuali danni, vedete se non sono profetica.
Se così non fosse non ci terrebbero vincolati a Mestre.
Se così non fosse bonificherebbero Marghera e ne farebbero un nuovo polo commerciale invece di continuare ad avallare lo sciacallaggio turistico.
Basterebbe poco per invertire la tendenza, basterebbe pensare ai cittadini e non pensare a Calatrava.
Basterebbe incentivare chi investe su Venezia come luogo di vita, di produzione e di cultura invece che agevolare chi vende maschere fabbricate a Taiwan e vetri fabbricati in Cina.
Basterebbe investirci, soldi "puliti".
Eppure nessuno ha il coraggio di farlo.
E la sensazione è che il giorno in cui la mia generazione sarà abbastanza "adulta" per poter fare "davvero" qualcosa sarà troppo tardi.
Così m'appresto ad assistere per l'ennesima volta al Carnevale mediatico generato dal Festival, quel Festival che una volta aveva un nome e ora sta diventando un teatrino grottesco, dove i film migliori passano in sordina a vantaggio dei lustrini.
Finito tutto di noi si tornerà a parlare solo per mostrare i turisti giapponesi camminare scalzi nell'acqua alta.
E la morte continuerà a farsi strada lentamente.
10 Responses to “Com’è triste guardarti morire”