Tutto ha inizio con una canzoncina fischiettata, tra un pensiero sconcio, la sete di sangue e la voglia di portarsi nel retro di un bagno la prima ragazzina incontrata. Artista: Elvis Presley. Esecutore: Aldo Ferro. Proprietario di tre locali, marito integerrimo. Un soggetto con un certo successo. E come hobby, senza che nessuno lo sappia, lo squartare e mantenere vivi più possibile, ragazzi pescati nei modi più disparati. Nel momento in cui lo incontriamo, ha in un capannone adibito ai divertimenti assassini, un ragazzino a cui ha strappato la faccia, riattaccandogliela al contrario. Con i chiodi. Sta per tornare a casa.
Claudia ha appena finito di lavorare nel locale del Porco. Ha ancora addosso la mini divisa che odia, pensa alla sua ragazza, nel deserto, alle prese con un film. La vorrebbe riavere tutta per sé.
Tomas è di corsa. Entro poche ore scapperà ad Amsterdam con Francesca. La porterà via da tutto quello schifo, le farà dimenticare la violenza, il padre, la sua vecchia vita. E’ felice.
I tre personaggi si incontrano, nel giorno di Ferragosto, davanti alla porta dell’unico ascensore funzionante del loro palazzo. Salgono, tutti scocciati per la compagnia forzata per dodici, lunghi, piani. Durante l’ascesa, però, un Blackout fermerà l’ascensore. Lasciandoli in quello spazio esiguo per interminabili ore. Qui, in preda alla sete, al caldo, agli isterismi, usciranno le parti segrete di ognuno di loro. Trascinandoli nella paura, nella follia, nella depressione acuta.
Finale shock.
L’opera migliore di Gianluca Morozzi, sicuramente la più matura. Lontano anni luce dal romanzetto d’esordio “Despero”. Con uno stile tra Ellis e Welsh, abbandona i caratteri giovanili di cui è caratterizzato, per lasciarsi andare a un fumettone letterario riuscitissimo, infarcito di citazioni, opere rock (dal Boss, sempre presente nelle sue opere, all’onnipresente Elvis), strizzando l’occhio a Quentin Tarantino e alle sue scene pulp-western.
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