C'era una volta (e forse c'è ancora) il Bar Sport. Al Bar Sport, fra un caffè al banco e l'imprescindibile Gazzetta, si riunivano i potenziali ct di questo tanto Bel quanto Calciologo Paese per discutere di giocatori brocchi, di arbitri cornutissimi, di schemi e di sistemoni. Poi si pagava il caffè, e tutti a casa.
C'erano una volta (e purtroppo ci sono ancora) le esecuzioni capitali, via ghigliottina iniezione sedielettrica cappio pietrate crocefissione fucilazione rogo, eccetera. E il pubblico accorreva a tifare pro o contro il boia (talvolta anch'egli cornuto), in attesa della lama, del proiettile o del pollice di un lunatico imperatore. Non sono sicura che mancassero i popcorn, la questione è da accertare.
Poi il presunto reo moriva, o assai più raramente sopravviveva, e tutti gli altri a casa.
Ieri la Franzoni s'è beccata 16 anni* su 30. E il pubblico pagante non mancava.
Ora invito la Corte ad osservare con attenzione i due reperti qui accanto.
* Cinque anni ce li eravamo presi già noi a sentirne parlare, anche se scommetto un caffé al Bar Sport che Vespa non ci concederà l'indulto mediatico, al grido di "Cogne ultimo atto? Col cavolo".
Nel primo reperto sono visibili, in mattiniera e trepidante attesa, le tifoserie dei due opposti schieramenti: innocentisti vs colpevolisti. Non è chiaro chi siano gli uni e chi gli altri, dal momento che nessuno di loro mostra segni distintivi quali sciarpe, bandieroni o trombette ad aria compressa, fatto che avrebbe senz'altro favorito la nostra analisi.
C'è un sacco di gente che probabilmente oggi aveva di meglio da fare, ma non l'ha fatto. Ci sono gli aficionados, quelli che non si perderebbero una puntata nemmeno per la prima comunione di un nipotino. Ci sono gli studenti di giurisprudenza e di scienze della brugola, col bloc-notes per gli appunti. Ci sono quelli che sono venuti per l'ultimo atto, e gli aficionados (che ormai tra loro si conoscono tutti) li squadrano con malcelata superiorità.
Nel secondo reperto, due spettatori mostrano con orgoglio i loro biglietti numerati, rispettivamente un 4 e un 6, per il quale hanno dovuto puntare la sveglia all'alba. Più fortunato il numero 3, che davanti alle telecamere di un noto tg dichiara di essere seduto sul cemento dalle 5 e mezza. Probabile che il numero 1 abbia piantato una canadese nel parcheggio del palagiustizia, e senz'altro incornicerà il pass. Autografato da Paola Savio, magari.
Ognuno di loro è qui per un preciso motivo: godersi lo spettacolo. Guardare negli occhi Annamaria Franzoni mentre viene pronunciato il verdetto, contare le lacrime, prendere nota dei vestiti e dell'acconciatura. Più terrificanti dell'imputata stessa, i tifosi del campionato di Cogne si improvvisano Gil Grissom, stilano profili psicologici, confrontano le armi del delitto, dicono che "la difesa non regge". E se invece fosse stata Miss Scarlett, in biblioteca?
Ma dopo 10 lunghe, estenuanti, patetiche ore di processo, quando tutto sembra pronto per il tripudio finale, ecco il coup de scène: la Franzoni decide di non presenziare. Tragedia. Gli ultimi arrivati sono i primi ad andarsene, quei pivelli. Restano gli aficionados, che però hanno accusato il colpo. Una simpatica vecchina ultrasettantenne lancia anatemi: "Così Annamaria ci ha traditi". Ma come, lei che s'erano dati la pena di difendere a spada tratta, lei per cui s'era litigato dal panettiere col vicino del quarto piano (colpevolista), proprio lei che in fin dei conti pareva così una brava persona. E sempre ben vestita.
La Franzoni colpevole, 16 anni su 30, e allora? Ormai non conta più, e i tifosi imbrogliati dimenticano in fretta la storia del bambino con la testa "esplosa". Feriti nell'orgoglio dei loro biglietti col numero a pennarello, si sentono le vere vittime di un delitto mediatico per cui nessuno pagherà, né Annamaria né Vespa né "Silvia Vada in collegamento per noi dalla villetta di Cogne".
E ora, tutti a casa.
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