Tempi duri per chi scarica da internet: dopo Razorback l'anno scorso, un altro serverone di scambio files va a ramengo. Vedete che potete fare.
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E' tutto un equilibrio sopra la follia
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Tempi duri per chi scarica da internet: dopo Razorback l'anno scorso, un altro serverone di scambio files va a ramengo. Vedete che potete fare.
(la prima puntata è qui)
Vi avevo lasciati con la questione aperta: come far reggere una tenda con soli due pali? La soluzione, forse ovvia, è stata usare quello che doveva essere adibito a filo per stendere i panni come tirante del palo orizzontale, il tutto con l'ausilio di un alberello li a fianco. Una cosa del genere:
Il picchetto a terra, che deve sorreggere il peso del palo e della copertura in tela, avrebbe dovuto essere piantato con somma perizia. Invece il sottoscritto lo lascia a metà infilato in morbida terra scura perchè quando si è imbranati lo si è fino in fondo.
La tenda sembra stare effettivamente su, sebbene sbilenca, in un assetto testimoniato in questa unica foto ricordo. Ci concediamo un giretto serale per esplorare la zona.
A sera rientriamo discretamente tardi. C'è vento, che fischia tra gli alberi e rende tutto più cupo. Pure la tenda, che sbilenca attende nell'oscurità il test vero e proprio della prima notte.
Verso le 4 del mattino Puntini si sveglia, o meglio MI sveglia.
- Sento dei rumori. C'è qualcuno attorno alla tenda
- Ma figurati, chi vuoi che giri a quest'ora! E' il vento.
- TI dico di no... è un po' che sono sveglia
- Sono gli aghi di pino che cadono sulla tenda vedi? Fanno quel rumore che sembrano passi. Effettivamente sembrano passi ma vedi? Sono quegli aghini che si vedono in controluce.
Puntini mi crede a fatica dopo mezzora o forse si addormenta o forse, più probabilmente, mi riaddormento io e mi lascia dormire. La prima notte è andata quando il sole posa i suoi primi raggi sul mio volto sonnacchioso trasmettendo una luce arancio simpaticissima.
Alle nove circa del mattino Puntini si prepara per la spiaggia e approfitta del mio pigrare nel sacco a pelo per il rito della ceretta. Alle nove e cinque la tenda collassa su stessa. Il picchetto si sfila da terra e il filo duramente provato dal vento cede definitivamente. In una scena comica la ritiriamo su davanti agli sguardi attoniti dei vicini di tenda. Che gli venga un colpo, toscani di merda, nessuno ci dà una mano o si propone per aiutarci. Loro, le loro capanne ultraspaziali e la tv via satellite affanculo.
La notte seguente la tenda è ancora (in)stabile al suo posto e possiamo andare a dormire tranquilli.
Alle quattro del mattino, di nuovo, Puntini mi sveglia.
- Sta arrivando il temporale. La tenda non reggerà.
- Ma che cazz...
- Senti i tuoni?
- Ehssi. Copriamo la tenda.
Così nella notte copriamo alla bene meglio la tenda con il rivestimento impermeabile. Sotto, dopo, fa un caldo infernale e sembra mancare il respiro. La pioggia, ovviamente, non arriverà mai.
Il mattino dopo ci svegliamo dalla sauna con un bel sole splendente in cielo così iniziamo a prepararci per andare in spiaggia.
- Allora sei pronta?
- Arrivo, un secondo, arrivo!
Un'ora e mezza dopo, arriviamo in spiaggia che è quasi ora di aperitivo. La gente sta venendo inspiegabilmente via.
Alziamo gli occhi e notiamo un cielo nero in arrivo che promette acqua e fulmini copiosi. Dalla pineta non l'avevamo minimamente notato. Restiamo circa quei dieci minuti in spiaggia prima che la tempesta porti via l'ombrellone di Puntini facendolo rotolare su una ragazza a fianco, per fortuna dalla parte dell'ombrello e non della punta altrimenti forse ora si era tutti a testimoniare ad un processo per omicidio colposo a Livorno. Arriva la tempesta e tutti corrono nelle loro fottute capanne a 5 stelle mentre il nostro pensiero corre ai pali mancanti e all'instabilità della nostra dimora.
Mentre tento di sprofondare il più possibile nel sacco a pelo per non sentire i tuoni e non pensare a dove diavolo ci troviamo vedo Puntini che mette via oggetti, li ricopre con sacchetti di plastica e così via.
- Ma che stai facendo?
- Ricopro gli oggetti di metallo così non attirano i fulmini.
- Ma siamo dentro la tenda... mica sono esposti.
- Fa lo stesso. E il palo come facciamo?
- In alto la punta è coperta... non ti preoccupare
- Io metto un sacchettino di plastica anche alla base del palo qui dentro non si sa mai che si propaghi...
- Uhm... vabbè.
Così, con i cellulari spenti e gli oggetti ricoperti anche dentro la tenda, attendiamo il diluvio. Persino le chiavi, i lucchetti, i gettoni della doccia (!) vengono messi al sicuro dove un fulmine cattivo non può colpirli.
Puntini prima della pioggia va in bagno e tornando scopre che i vicini ci deridono silenziosamente. Uno sta facendo all'altro un segno inequivocabile: indicando la nostra tenda fa il gesto di uno che nuota a rana. Come dire: questi quando inizia a piovere nuotano! Valgono i commenti espressi in precedenza su tali individui.
Arriva la pioggia, tanta, ma dura poco. Ci caghiamo un po' sotto ma la tenda, incredibilmente, resiste a tutto oscillando paurosamente in un paio di occasioni.
Trionfante al termine della pioggia esco constatando l'ottima tenuta del picchetto, poi rassicuro Puntini e mando un paio di gesti dell'ombrello agli amici vicini.
Poi qualche minuto dopo, mentre siamo di nuovo dentro la tenda, l'umiliazione finale: i vicini ci buttano addosso una secchiata d'acqua da un tinello usato in cucina. Simpatia portali via, il più presto possibile.
Riguardo il Problema dei Pali non ho altro da dire. Di sicuro la vacanza non sarebbe stata però così movimentata senza il Problema della Conservazione dei Pecorini. Ma questa è un'altra storia.
L'auricolare destro del mio iPod Nano 2g gracchia.
Sgomento, panico. Giro su internet a caccia di auricolari a basso costo.
Scopro che dal sito Apple si può chiedere in garanzia la sostituzione anche degli auricolari.
Alle 15.30 di ieri pomeriggio ho richiesto assistenza online e la sostituzione via corriere espresso.
Alle 13 di questa mattina avevo i miei auricolari nuovi sulla scrivania.
Poi vi chiedete il perchè del successo di Apple, e perchè iPod è tanto superiore a qualsiasi altro lettore mp3 sul mercato, che fareste bene a non considerare nemmeno.
Sono uscito di casa che faceva caldissimo. Stavo per raggiungere la mia macchina parcheggiata - la mia macchina è rossa e da lontano si vede subito - quando qualcosa di molto più interessante m'ha distratto. Sul vetro di una Golf verde petrolio, appoggiato al tergicristallo, dove di solito gli ausiliari del traffico ci piazzano le multe, più precisamente subito accanto a quel cosetto di plastica che spruzza l'acqua sul parabrezza, proprio lì stava un gambero.
Un gambero arancione, uno di quelli che nei ristoranti fa bella mostra di sé in cima alle fritture miste o sul cucuzzolo della montagna di spaghetti allo scoglio. Aveva tutto di un gambero, aveva quelle antennine, la crosta arancione disarticolata che gli permette il movimento in acqua, le due perline nere sporgenti come occhi, le zampe disposte a raggiera sotto la pancia: era un gambero a tutti gli effetti e se ne stava lì, impossibile, sul parabrezza di una Golf verde petrolio. Morto, certo: non l'ho toccato, non ho idea se fosse cotto o cosa, ma di sicuro era morto. Volete che non sappia riconoscere un gambero morto da un gambero vivo?
Ho alzato gli occhi al cielo, tipo uno che ha appena pestato una cacca, come se in cielo, proprio sopra la Golf verde petrolio, potesse esserci, che ne so, una navicella spaziale a forma di gambero, oppure una nube gravida di uno di quei fenomeni meteorologici che ogni tanto si sentono al telegiornale in quei posti strani: tormenta di rospi ad El Paso. Epperò nel cielo sopra Roma, a parte un azzurro accecante e la pallina gialla del sole, non c'era niente.
E' stato allora che ho di nuovo guardato il gambero sul parabrezza dell'auto: era ancora immobile, sempre morto, forse crudo, forse cotto, di sicuro cotto dal sole. Ho dato un'occhiata anche nei balconi intorno, hai visto mai che qualche burlone non avesse deciso di impegnare così la sua mattinata, lanciando in strada i gamberi avanzati dalla cena della sera prima. Magari un bambino, un pazzo: se ne sentono di storie così, vai a capire.
Giuro che era un gambero: ho pensato al padrone di quell'auto, della Golf verde petrolio. Immaginatevi voi un tizio che alla mattina esce di casa e sulla macchina, al posto dei volantini pubblicitari della Tecnocasa, si trova un perfetto gambero.
Insomma c'era questo gambero.
E' incredibile a dirsi ma ho cominciato ad avere pensieri pieni di pietà nei confronti di quel gambero. Io non sono animalista, né niente, non sono nemmeno vegetariano, però giuro che ho cominciato a pensare a quel gambero. Voglio dire: se uno gli avesse detto, per ipotesi, due anni fa - adesso non ho idea della vita media di un gambero, ma supponiamo che un gambero possa vivere tanto - se qualcuno gli avesse detto, al gambero, che so, un totano di passaggio gli avesse detto: "Aho, gambero, quanto ci scommetti che da qui a due anni morirai bruciato dal sole sul parabrezza di una Golf verde parcheggiata a Roma Nord?", ecco sono convinto che quel gambero ci avrebbe scommesso qualsiasi cosa, un'intera piantagione di plancton! Quello è un gambero, un esserino abituato a ben altre morti - reti di pescatori, fauci di squali - altro che Golf verde petrolio. Vi immaginate un gambero e un totano fare una discussione del genere nel bel mezzo, bò, del Mar dei Sargassi?
Non ho idea se esista o no un linguaggio dei pesci, d'altra parte si dice che siano tutti muti, comunque può darsi che in qualche modo comunichino, perciò, se comunicano, è sicuro che adesso, laggiù nei fondali, stanno tutti raccontandosi delle vicende di Signor Gambero, finito a morire sul cofano di una macchina di produzione tedesca. Cose da pazzi: un gambero sul parabrezza di una macchina. Forse esiste, e io non lo so, da qualche parte, una strada come quella che scoprii una volta a Cuba, una strada con un cartello che avvisava del passaggio granchi e, infatti, mi ritrovai la macchina tutta tappezzata da pezzi di granchi, chele, cose così, perciò magari, ho pensato, esiste una strada simile anche a Roma, una strada dei gamberi, con un cartello stradale che avverte dell'attraversamento gamberi e quella macchina, quella Golf verde petrolio, c'era passata e poi s'era parcheggiata lì, non lontano dalla mia auto.
Tutto è possibile, questo è un mondo in cui continuamente accadono cose che non comprendiamo, quindi perché insistere a negare l'esistenza di un gambero sul parabrezza di una Golf verde petrolio? Può darsi che quel gambero sia stato messo lì da un'entità superiore (un SUPER gambero, o Dio) per ricordare agli uomini proprio questo fatto, vale a dire l'imponderabilità delle decisioni divine, l'ineluttabilità del mistero, il caos o vattelapesca.
Quando sono rientrato nella mia macchina ho pensato ad alcune cose, solo leggermente deluso dal fatto di non aver trovato a mia volta un bel Signor Gambero sul parabrezza: ho pensato che trovare un gambero sul parabrezza della macchina significasse essere un eletto, ho pensato che dio stesso fosse un gambero e che inviasse, in questo modo, segnali ai prescelti. Invece niente: la mia macchina era come al solito rossa e con le cacche di piccione sui cristalli posteriori. Quindi o dio non è un gambero o io non sono un prescelto. Oppure dio è un piccione. In quel caso sarei il prescelto tra i prescelti perché la mia macchina rossa è sempre piena di cacche di piccione.
Adesso lo so cosa state pensando: il racconto di questo episodio non può dirsi concluso fin quando non vi ho detto se, al mio ritorno a casa, Signor Gambero stava ancora lì o cosa. Ebbene, al mio ritorno non c'era più la macchina. Se n'era andata. E Signor Gambero stava per terra, lo avevano abbandonato, conteso dai gatti, più morto di prima, svuotato di tutto quel fascino mistico.
Ho pensato alla scena che m'ero perduto: un tizio che prende tra pollice e indice un gambero dal parabrezza della propria auto e lo lancia in terra. Ho invidiato la storia che che quel tizio avrebbe potuto raccontare, quella sera a cena, alla moglie, ai figli o chicchessia, durante il tiggì, eccetera, la storia di Signor Gambero sul parabrezza dell'auto, questa storia, che io adesso ho raccontato a voi. E ho pensato anche che è così che va, per ciascuno di noi, tutti i giorni della nostra vita: usciamo di casa e ci capitano cose su cose che poi raccontiamo agli altri, a voce, su un blog. E ci facciamo compagnia: le cose che ci capitano ci fanno compagnia. Sarà per questo che, nonostante tutto, continuiamo a fare quello che facciamo, volta dopo volta, nonostante le delusioni, i problemi, la depressione, lo stress. Sarà che, parafrasando Woody Allen, la maggior parte di noi ha bisogno di gamberi.
Ci hanno lasciato, questa settimana:
- un ibrido portatile-palmare Palm soffocato prima ancora di essere messo in commercio
- un presentatore rovinato dal mondo del gossip
- il miglior tenore italiano che non sa leggere le partiture
- uno stereo boombox troppo costoso prodotto dalla Mela
Mi sono reso conto di non tollerare la visione di uomini, maschi, che mangiano il gelato.
L'ho capito in via definitiva una sera d'estate, (via definitiva non è un luogo) ciondolando pigramente davanti alla gelateria "Il pellicano" su Via Cassia, quando le mie pupille si sono soffermate su un uomo, seduto da solo al tavolino, che leccava un gelato al cioccolato. Lo avrei sciolto seduta stante in un container di acido solforico, ammesso che l'acido solforico possa sciogliere le carni di un uomo, non lo so, non sono mai stato bravo in chimica, non sono mai stato bravo in niente a scuola, comunque sia gli avrei fatto qualcosa di molto doloroso al fine semplicissimo di farlo smettere di fare quello che stava facendo, ovvero leccare un gelato al cioccolato.
Vedere un uomo, un maschio, leccare il gelato mi fa venire il vomito e so già cosa state pensando, perciò, va bene, lo ammetto subito, sono vagamente omofobico, con buona pace dei massimi difensori pop dei Diritti Universali, quelli che s'in-di-gna-no per qualsiasi cosa abbia a che fare con gli omosessuali; quelli che si incatenano di qui e di là se un omosessuale, per caso, non viene eletto Presidente del Mondo a favore di un eterosessuale, ecco, non me ne vogliano costoro, ma un uomo che fa così, che lecca il gelato nel modo che m'è capitato di testimoniare, ebbè, a me fa venire l'esaurimento.
Nello specifico, l'uomo in questione stava dando all'atto di per sé innocente di leccare un gelato una connotazione sessuale di deplorevole lascività. È sicuro che quel tizio non era al gelato al cioccolato che stava pensando, mentre lo leccava, ma a qualcosa d'altro, per esempio alla schiena di una donna, se non di un altro uomo, appunto, e stava facendo di tutto per darlo a vedere, stava seriamente impegnandosi perché chiunque, lì intorno, guardandolo, potesse pensare, che so, magari che fosse sexy, o spregiudicato, o molto avvezzo a leccare cose fresche e appiccicose. Se non che l'unico che s'è accorto di lui sono stato io e io sono omofobico e gli uomini che leccano il gelato con tanto di lingua, in quella maniera, mi fanno rivoltare lo stomaco e il gelato glielo sarei andato volentieri a spiaccicare sulla camicia.
Si guardava intorno pure lui, aveva un casco da motocicletta sistemato sotto la sedia, e un paio di volte ha pure incrociato il mio sguardo, distogliendolo quasi subito, dove con quel "quasi" intendo dire che, incrociato il mio sguardo, s'è comunque sentito in dovere di sostenerlo per una frazione di secondo, giusto il tempo di suggerirmi una cosa tipo: "Ehi senti, non sei tu che mi interessi, però già che ci siamo guarda come lecco bene questo gelato. Hai guardato? Ok, adesso pensa a cosa sarei in grado di fare leccando dell'altro...". E allora ho cominciato davvero a sentirmi poco bene: per esempio non sono più riuscito ad attaccarmi alla bottiglia di Beck's che tenevo in mano, esclusivamente preoccupato dal fatto che qualcun altro, guardando me bere in quel modo, avrebbe potuto associarmi all'uomo del gelato e pensare, semmai, che fossimo in combutta o che facessimo parte di una qualche setta di depravati sessuali.
La cosa pazzesca è che il gelato al cioccolato del tizio non accennava a diminuire. C'era sempre questa palla sanguinolenta marrone in cima al cono e sempre quella lingua enorme che la leccava lentissimamente, circumnavigandola per intero, come intorno a un continente farebbe una nave. Non dava semplici colpetti di lingua, ma gigantesche spatolate, eppure il gelato non diminuiva mai: per dirla tutta sembrava che stesse leccando un orrendo bolo di merda semicongelata e questo pensiero nuovo, insieme a quell'altro insistente che il tizio in questione non avesse solo voglia del gelato, ma anche di tutt'altro, semmai proprio da me, mi ha per sempre convinto della bruttezza estetica di un maschio che mangia un gelato.
Quel tizio del malaugurio... Con il suo gelato impossibile che non diminuiva mai. A un certo punto deve avermi contagiato un qualche morbo, perché tutto ha cominciato a muoversi al rallenty, come in quei film in cui la soggettiva malata del protagonista prende il sopravvento su tutto il resto e la pellicola scorre lentissimamente, con le voci di sottofondo amplificate e rallentate anch'esse, come in un girone infernale. Ecco, tutto ha preso a muoversi così, intorno alla gelateria "Il Pellicano" su Via Cassia: e più mi guardavo intorno, più mi sembrava che tutti avessero un comportamento strano. Il gesto di un uomo che accarezzava la schiena nuda della fidanzata è diventato brutale, violento, esagerato, altri due che si baciavano poco distanti sembravano emettere i suoni liquidi di una fogna piena di topi e i tanti ragazzini che parlavano tra di loro con le bottiglie di birra tenute per il collo, sono diventati tanti piccoli goblin farneticanti e le loro bottiglie di birra tanti piccoli tacchini spennati e strozzati.
Mi sono alzato dalla sedia di colpo, attirandomi due o tre sguardi addosso: l'uomo col gelato stava ancora leccandolo, imperterrito, come se la sua lingua, oltre che essere gigantesca, avesse anche la capacità di non assorbire quello che leccava, tutti facevano quello che si dovrebbe fare davanti a una gelateria, anche F. e le sue due amiche stavano facendo quello che si dovrebbe fare nei pressi di una gelateria d'estate, e infatti non si erano accorte di nulla, non l'avevano nemmeno visto l'uomo che leccava il gelato, solo io l'avevo visto, solo io avevo visto quell'enorme lingua violentare il gelato al cioccolato a quel modo, solo io davo l'idea di non trovarmi affatto davanti a una gelateria.
In macchina ho pensato di chiedere a F. qualcosa a proposito del gelato, della lingua e degli uomini, ma poi ho deciso di restare col dubbio.
Un po' come quella volta che salutai la vecchia gloriosa prima Uno, stamattina mi sono fermato per un attimo a rimirare il cassone del forno, buttato li in garage in attesa di essere ritirato dagli omini di Hera, per farne rottami per l'eternità.
Da quando a fine giugno abbiamo cambiato cucina, sapevo che la sua fine era segnata. Invece di partire per l'Abruzzo con il resto della vecchia cucina, sistemata in una casa nuova, il blocco fornello era ormai malandato: il forno bruciava le torte senza cuocerle.
Passata l'estate, ogni giorno uscendo dal garage pensavo che dovevo proprio muovermi a fargli una foto ricordo, alla serie di manopole e ai particolari incrostati da migliaia di cotture. Da quando ero bambino ad oggi è stato l'unico, il solo Fornello. Ho imparato a usarne il timer, la lucina del forno ormai rotta, quella del girarrosto praticamente inusata. La sua grafica anni '80 è stata forse il primo tipo di "icona" che io abbia mai adorato da piccino, quando ancora Windows e le sue finestre erano lontane.
Non che io sia mai stato grande cuoco, sia chiaro, o abbia trascorso le ore davanti a lui per preparare succulente pietanze, ma in qualche modo faceva parte della mia infanzia come ogni oggetto secolare che ancora gira per casa. Per una forma di anomala passione per gli oggetti non riesco a distaccarmi dalle cose che ho usato e posseduto per lungo tempo. Non riesco a buttarle, a separarmene, a trattarle senza cura. Ogni feticcio dopo qualche anno diventa "storia" di me stesso e potendolo fare, lo porterei con me per tutta la vita.
Così, dicevo, stamattina ho visto il forno stranamente sgombro dei giornali e delle scatole di scarpe che vi erano sopra. Ho capito in un lampo che era il momento, che non l'avrei trovato al mio ritorno a casa. In ritardo, con l'ipod nelle orecchie e le scarpe ben allacciate non ho voluto salire le scale per fargli un ultimo scatto, ma solo una veloce istantanea con il cellulare ad imperitura memoria. Una fotaccia, dove non si vede niente complice la poca luce del mattino e la pochezza di una fotocamera integrata in un telefono. Poi al ritorno, appunto, il suo posto vuoto, come avevo supposto.
Buon viaggio caro forno Ariston. Ho mangiato molto bene con te.
Ogni tanto scopro ancora qualche cliente che, pur seguendo abbastanza il mondo dei computer ed usandolo quotidianamente, non conosce certi meravigliosi giocattoli.
K., 50 e rotti anni, uso intensivo di Photoshop, Skype con credito telefonico, Viamichelin.com, giochi online eccetera, ieri sente nominare per la prima volta dal sottoscritto Google Earth.
Tutto eccitato lo installo come se dovessi mostrare qualcosa di strepitoso e che non può lasciare indifferenti.
Proviamo a scrivere "Parigi"... lo zoom aumenta, aumenta.
- Bello - mi fa - è tipo una foto del satellite?
- No - faccio io - sono foto aeree ma non sono in tempo reale con la gente che si muove. Vengono aggiornate una volta ogni tanto.
- Ah ho capito - dice richiudendo il programma senza il minimo interesse.
Non sono manco stato a spiegare della funzione per sorvolare, e quella della volta celeste eccetera. Che si giri pure il mondo con il suo camper.
Bentornati al nostro appuntamento con le paparazzate dal lido di Venezia, appuntamento che finisce oggi visto che domani si torna a lavorare e la si smette di spacciarsi per accreditato Warner che si spaparanza nella hall del prestigioso Hotel Excelsior... 😉
Questa mattina file di ragazzine e sbarbati con ombrellini per il sole e ipod in attesa davanti il tappeto rosso. Brad e Angelina sfileranno questa sera alle 22 per la prima del film "The assassination of Jesse James" e viene da chiedersi se due minuti di visione di un vip valgano 12 ore di attesa. Ai Musei vaticani si aspetta meno, ma volete mettere una foto di Brad, oh mio Dio è luiii? Tra l'altro una sbirciatina gliel'abbiamo data poco fa, al suo blindatissimo arrivo all'Excelsior: è davvero figo, a livelli che noi maschietti non raggiungeremo mai e non c'è palestra o gel che tenga. Ho scattato tre foto: in una ha la mano davanti la faccia e saluta, in una è di spalle e nella terza controsole ho scattato a caso e gli ho preso le mani. Sono uno sfigato.
Il luogo più esclusivo della Mostra del Cinema, dicono i giornali, è la piscina dell'Excelsior: the Pool. Ci sono stand, barettini con divani, cagate e cotillons sponsorizzati. Non solo è la zona più inutile del Festival ma anche quella dove gira più gente che non c'entra niente. In realtà la zona più esclusiva del Festival è appunto il Festival. Ai varchi si passa solo con accredito o biglietto anche solo per prendere un panino o fare pipì. Metal detector, polizia e gorilla ovunque in quantità eccessiva.
Carlo Rossella gironzola tutto il giorno con aria da tombeur de femme nella hall e nei corridoi qua dentro. O non lavora o è disperatamente in caccia di una donna fascinosa. Tipo la moglie del Mago Forrest, molto carina e all'acqua di rose.
Certa gente non te la levi mai di torno. Non parlo di Mollica, sarebbe troppo facile. Tre nomi: Marzullo, Ippoliti, Zazà di Striscia. Mobbastaveramente però.
Ieri arrivano Cristina Parodi e Giorgio Gori e monopolizzano l'attenzione nella hall. Tra le donne invidiose che le ammirano il decolletè e chi riverisce e saluta con inchini e sudditanza il boss di Magnolia spiccano le uscite del popolino:
- Hai visto? C'è la Parodi e Cecchi Gori!