Dice che le candidature del PD sono un primo esempio di traduzione concreta del “ma anche” veltroniano: l’imprenditore un po’ becero ma anche il sopravvissuto della Thyssen-Krupp, il teorico (uno dei teorici) dell’abrogazione dell’articolo 18 ma anche la precaria del call center. Mi pare invece che tradiscano, nella sostanza, un’inclinazione politica tutto sommato unidirezionale.
I Calearo, gli Ichino: si tratta di persone ferrate nei rispettivi ambiti di competenza, imprenditori o professionisti che conoscono il mondo in cui si muovono, che hanno visioni e chiavi di lettura codificate, obiettivi, e mezzi intellettuali o materiali per perseguirli. L’operaio Thyssen, mi si perdoni la vena di classismo, una volta eletto si troverà a vivere come un alieno catapultato sulla terra, una foglia al vento della disciplina di partito, incapace di muoversi nel contesto in cui gli verrà chiesto di prestare servizio. Ieri mattina ho visto Fabrizio Rondolino in televisione: pare che stia producendo un film-documentario sull’incidente di Torino. Diceva che i lavoratori della Thyssen “fanno” gli operai senza però “essere” operai. Senza scomodare concetti come la coscienza di classe, ché poi mi si accuserebbe di ragionare secondo categorie superate (e io credo che siano sempre meno superate, ma non è questo il punto che mi interessa in questo momento), Rondolino li descriveva come persone non in grado di riconoscersi come centri di interessi specifici e omogenei, giovani uomini che svolgono un’attività lavorativa al prevalente scopo di mantenere le proprie aspirazioni da tronista. Il che, naturalmente, non ne fa individui indegni in assoluto. Poco adatti alla rappresentanza politica dei lavoratori in quanto tali, questo credo di sì.
Volendo trovare un “ma anche” da contrapporre al braccio economico e a quello intellettuale di Confindustria si sarebbe potuto scegliere, faccio il primo esempio generico che mi viene alla mente, un sindacalista di esperienza. Così non è stato, almeno per quanto mi risulta. Per questi motivi le candidature di Calearo e Ichino mi paiono fatti sostanziali, che contribuiscono a definire gli orientamenti politici del PD; l’operaio della Thyssen e l’operatrice del call center sono candidature di facciata, santini acchiappavoti, giusto una mano di vernice alle pareti. Molto più simili, per ruolo e significato, alle soubrette candidate dal centrodestra. Se ci si chiede quale sia la strada che il Partito Democratico intende percorrere, e si ha la pretesa di trarre indicazioni di massima dalle candidature, si devono considerare gli Ichino e i Calearo, mentre si possono tranquillamente tralasciare gli operai, che finiscono per essere figure puramente simboliche, e nient’altro. Niente di male, basta rendersene conto e trarne tutte le conclusioni del caso (più facile a dirsi che a farsi però, visto che le candidature di facciata sono strutturalmente indirizzate, quasi per definizione, ad impedire questo genere di presa di coscienza). Resta però l’impressione che lo scollamento tra politica e questioni concrete, nel momento in cui la prima decide di porre l’accento sui simboli (cioè il massimo livello di astrazione) più che proporre contenuti, abbia raggiunto il suo grado massimo, ormai anche a sinistra.
0 Responses to “Ma anche no”