Ci sono giorni nella vita di un uomo che rimangono impressi nella memoria per tutta la vita. Giorni nei quali la Storia si presenta alla porta e incide una tacca, pianta un paletto, pone una boa. La Storia che sarà scritta tra poche ore, in questo pomeriggio piovoso come solo un beffardo Destino poteva concepire, porrà la parola Fine a sette lunghi anni di fatica, a qualche gioia e molti dolori, ad un'epoca intera. Retorica a parte, che in casi come questi è ampiamente giustificata da tanti di quei discorsi e ragionamenti che nessuno capirà mai fino in fondo non avendoli vissuti in prima persona, la boa di oggi rappresenta la fine di un percorso tutto in salita, tra i meandri di una facoltà buia e postindustriale della Bassa padana.
Oggi, per farla breve, verrà consegnato al mondo del precariato e dei dottori in qualchecosa il nostro caro Fabietto, qui noto con il buffo nome di Attimo, troppo introverso e minimale nell'animo per postare qualche impressione di un momento, troppo preso per celebrarsi in modo adeguato anche online con qualche riflessione su un giorno così agognato da esser diventato, negli anni, quasi un incubo. Ed è arrivato quel giorno, chi l'avrebbe mai detto? Non solo è arrivato, ma ha fatto ovviamente piovere. Se mai un giorno toccherà al sottoscritto credo a questo punto che un'abbondante nevicata su Ferrara non ce la levi nessuno, per la gioia dei bimbi che faranno infine l'agognato pupazzo con il naso a carota.
Il coccodrillo alla facoltà di ingegneria narrerebbe dei primi anni incerti, muovendo timidi passi in un terreno che tanto quanto al sottoscritto non gli calzava a pennello, fino alla presa di coscienza di uno scoglio faticoso, una palude senza fine da cui dover uscire ad ogni costo e comunque da affrontare senza esitazioni di sorta. "Studiare qui sarà come mangiare il pesce di venerdì. Non sempre ne avremo voglia, ma comunque il venerdì il pesce ci sarà sempre" dispensava con saggezza vedendo i voti scadenti all'ennesimo test di elettronica digitale. Per non parlare del primo virgolettato che ricordi, a questo punto quasi un presagio: "Se non prendo 30 stavolta non lo prendo più", annunciava uscendo tronfio dal primo scritto del primo esame. Non lo prese in effetti quella volta, e nemmeno in futuro, a parte un celebre 29 mutato in 30, rubato per una svista alla bionda professoressa che proprio oggi lo cingerà d'alloro.
Voi dunque non potete capire quello che rappresenta il coronamento di un percorso simile. Non una laurea qualunque ma un faticoso percorso di vita lungo sette fottutissimi anni. Pomeriggi al caldo di una stanza a riempire di conti quaderni senza giungere ad un risultato (tra le lamentele parentali per i continui ritardi), compromessi raggiunti con le vacanze, i mondiali di calcio, i concerti persi per esami imminenti. Ritiri, fogli bianchi, bigliettini, jolly pescati all'ultimo, insinuazioni agli orali ("Ma lei è andato in vacanza o ha studiato?" - lol, ndR), pile di dispense fotocopiate e rilegate con pazienza per la pura soddisfazione che un cumulo di carta e la sicurezza di un libro possono dare. Un'esperienza da cui si esce duramente provati, che segna in maniera più o meno indelebile la coscienza privandola spesso della spensieratezza che si addice ad un giovane della nostra età.
Non vi chiedo comprensione per queste dure parole alle quali chi non ci conosce risponderebbe "Ecchessaramai, è una laurea come tutte!", ma lasciatemi celebrare un compagno che oggi vince, di misura, la partita, ed esce alfin a rivedere le stelle. Con il cuore gonfio di sconfitte ed umiliazioni e la certezza che la molta stoffa da vendere si vedrà solo adesso, libero di correre sulla prateria come sempre ha voluto fare. E soprattutto la sicurezza che tutto questo non accadrà più. Mai più.
P.S. Dottore, dottore del buco del cul. Vaffancul, vaffancul. (rit, ad libitum)
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