Il cubo di Rubik si scrive col kappa finale, non con la q. Io pensavo con la q. Tipo Iraq. Tipo. Tipo. Non mi viene in mente altro. Cubo di Rubik si scrive col kappa finale. O con LA kappa finale. La lettera kappa. Mi sa che è femminile. Rubik come Bostik. La colla Bostik. Femminile pure questa. Comunque il cubo di Rubik a me m'ha sempre sconfitto in partenza. Non ci ho mai saputo fare. Niente, è più forte di me.
Me li vedo quei video su Youtube, in cui ci sono certi ragazzini campioni del mondo che lo risolvono in quattro e quattr'otto, il cubo. E quando dico quattro e quattr'otto intendo proprio quattro e quattr'otto: roba di otto secondi, massimo dieci. Si mettono lì, davanti a un giudice e un pubblico, con un cubo di Rubik tutto scombinato e, tac, in un attimo lo rimettono sul tavolo bello che completato. Il cubo di Rubik. Tutte le facce di un colore. Una magia. Visto così sembra un gioco da ragazzi. Una sciocchezza. Poi ti ci metti e niente da fare. A meno che non sia un matematico, un fisico, una di quelle cose lì, o uno di quei cinesi schizzati del cazzo che fanno tutte le cose velocissime che non fai neanche in tempo a seguirle con gli occhi. Se c'è una cosa che mi ha sempre fatto capire quello che sarei stato e quello che non sarei stato, questa cosa è il cubo di Rubik. Il cubo di Rubik mi ha sempre suggerito l'idea di quello che non sarei mai stato in vita: io, cari miei, mamma, papà, amici, vattelapesca, non sarò MAI uno che risolverà il cubo di Rubik. Potrete darmi una settimana, o un anno, potrete alimentarmi con un tubicino, tagliarmi i capelli, le unghie con un laser, mettermi e togliermi una padella, lavarmi, tutto quello che volete, potrete lasciarmi dieci anni con un cubo di Rubik in mano, ebbene siate pur certi che non ne verrò a capo. Il genere umano è composto di due tipi di persone: quelle che sanno risolvere un cubo di Rubik e quelle che sanno a malapena scriverlo correttamente. Mi ricordo che una volta ci andai vicino. Molto vicino. Nel senso che riuscii a completare un solo lato. Un lato di quel cazzo di cubo che avevo per le mani divenne di un bel colore bianco. Tutto quanto. Tutti quegli stupidi cubettini. Tutti bianchi. Al che mi venne un colpo. Mi guardai quel meraviglioso lato nel palmo della mano e mi dissi: opporcatroia, ce l'ho fatta. Capite? Io pensai di averlo finito, il cubo di Rubik. Mica mi passò per la testa che ce n'erano altri, di lati. Scemo come sono credetti che se un lato era completato, anche tutti gli altri dovevano esserlo. Come una proprietà transitiva o che ne so io. Quando rovesciai il cubo, già pensando al discorso di ringraziamento da fare in salotto, e vidi un'orgia di cubetti impazziti, tutti di un colore diverso, quasi caddi morto. Era stato inutile. Tutto inutile. La perversione del cubo di Rubik questo pretendeva: che completato perfettamente un lato, quello stesso lato avrebbe dovuto essere scomposto per dar modo agli altri di uniformarsi. Una follia per uno come me. Che il cubo di Rubik credeva si scrivesse con la q finale. Non che non ci abbia provato. Ma dopo due tentativi riuscii solo nell'impresa di confondere anche l'unico lato uniformato, quello bianco, e di non riuscire più a tornare indietro.
Da allora non credo di aver mai ripreso in mano un cubo di Rubik, però mi torna in mente spesso, il cubo, ogni volta che mi metto e cerco di venire a capo di qualche questione della vita. Non è che uno vuole per forza fare dei paragoni. Però certo è che mi sembra che la vita sia proprio un gigantesco, colossale cubo di Rubik. Un oggetto che non solo non riesci mai a capire bene come si scriva, ma anche un ghirigoro pazzesco che ogni volta che ti sembra d'aver risolto, invece non lo è. Cioè sì. Lo è da un lato. Lo guardi e ti sembra d'aver vinto. Eureka e tutte quelle cose che si dicono. Invece è un casino. E' tutto un casino. Devi essere un matematico. O uno di quei cinesi stupidi. Il dramma è che nella vita, la maggior parte di noi non è quasi mai né un matematico né un cinese stupido. E allora va a finire che si perde la testa. Guardi le cose sfilarti davanti e non sai che pesci pigliare. Non è mica facile. Non sempre si è abbastanza ubriachi per lasciar correre. Alle volte uno è sobrio. E allora è proprio una brutta sensazione capovolgere il cubo e scoprire che quel lato perfettamente bianco era soltanto una faccia della medaglia. Non è facile da spiegare: a me hanno impiegato dieci minuti solo per far capire che un cubo non ha lati, ma facce, appunto. E che non ne ha quattro, né dodici, ma sei. Figuriamoci il resto. La vita è fatta così: ha lati. Che poi non sono lati ma facce. E se uno non se ne intende abbastanza, a malapena può dire quanti siano, questi lati. Cioè, facce. E' come guardare andare via la donna dei tuoi sogni, dopo che ci hai passato una serata intera insieme, senza aver trovato mai il coraggio di dirle la frase giusta. E' così ogni tanto, la vita. Quando scopri che ci sono ancora cinque facce su sei da mettere a posto. Lo stesso senso di spietata rassegnazione. Da una parte pensi che ce la farai, che avrai un'altra occasione, dall'altra ti metti a pensare a tutta la fatica sprecata. Il cubo di Rubik è come la vita. Più ci rifletto e più me ne convinco: è irrisolvibile per la maggior parte di noi, eppure tutti ce lo abbiamo avuto per le mani almeno una volta. E pure quelli che lo hanno finalmente risolto, i geni, gli scienziati, o i cinesi del cazzo, alla fine non hanno trovato niente di meglio da fare che metterlo sulla mensola del camino e dimenticarselo.
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