Qualcuno, prima o poi, doveva farlo. E’ vero, potevamo aspettare e risparmiarci i giudizi, trattenere ancora tra le mani quei rimasugli di credibilità del primo tentativo, conservare, come si suol dire, l’immagine di un disco che aveva azzerato tutti gli altri mai usciti durante i fantomatici Anni Zero. Adesso cliccando play non abbiamo più l’atteggiamento neutro e rilassato di quando ancora non sapevamo, non conoscevamo; adesso per cliccare play ci vuole coraggio e abbiamo uno zaino colmo di convinzioni e pre-concetti, opinioni contrastanti, tempeste telematiche, invasioni barbariche dei social network, generazioni di giovani e meno giovani che hanno violentato tutto alle radici fino a raschiare via ogni significato. Adesso le cinque stelle di Repubblica ci sembrano solo il primo gradino isolato di una scala, più che una guida: per costruire le nuove certezze vogliamo essere da soli.
Il nuovo di Brondi è già in circolazione, puoi scaricarlo su megaupload e privarti del piacere dell’attesa: del resto è stato lui, il primo, a dire che ci fregano sempre (cit.). Ci sono già i nostalgici di Canali e le recensioni a fior di bocca che premono per uscire; le critiche di quelli che non lo amavano già prima e il consenso corrotto di coloro che lo amano e lo hanno amato a prescindere. Ragazzi, inutile dirlo: vi prendete troppo sul serio. Specialmente, avete preso troppo sul serio Vasco Brondi, che adesso non assomiglia più ad un ragazzo di ventiquattro anni emergente e insicuro (che se gli vai vicino ti fa un sorriso imbarazzato e non sa cosa risponderti se gli fai i complimenti): adesso avete di fronte un mostro costruito dalle vostre aspettative, dalle vostre e dalle mie, certo, come un robot ricoperto di miele e di pece, che si muove a stento, che è stato ricoperto di soldi e di donne e di manifestazioni culturali, e se riuscite a ritrovare Ferrara e la verità, sotto questo cumulo di bugie, siete fortunati.
Mi viene un po’ da ridere se penso a quanto abbiamo parlato di Vasco Brondi in questo anno e mezzo, quanto lo abbiamo amato, abusato, criticato, crocifisso, preso in giro e soppesato con il criterio limitato delle nostre scelte. Non riusciremo mai a capire, almeno credo, cosa si nasconde dietro certe cose. Credo che arrivati a questo punto, non riesca più a capirlo nemmeno Vasco Brondi. Potrei snocciolare le prime critiche (dirvi ad esempio quanto sia pessima l’immagine di copertina, appoggiarvi nelle vostre malinconiche frasi che rimpiangono Canali, dire che questo disco è uguale al precedente); ma, a pochi minuti dalla fine della prima canzone, mi preme fare una recensione pre-ascolto, pre-giudizio, pre-tutto. Questa volta ho deciso che è meglio così. Questa volta ho deciso, che non voglio lapidare né essere lapidata. Esiste solo una dimensione: la voglia e il bisogno di comunicare. Inoltre, a dirla tutta, come abbiamo più volte ripetuto in sedi private, non è così facile chiamarsi Vasco Brondi durante questo novembre. Provateci voi a confrontarvi con una serie di aspettative non solo così alte, ma anche e soprattutto, così sfaccettate. Provate ad immaginare di aver fatto un disco che, nel bene o nel male, ha diviso la musica (intendo proprio diviso, spaccato, azzerato, battuto: perché che lo vogliate ammettere o meno, non c’è mai stato niente come Canzoni da spiaggia deturpata). Provate ad avere il coraggio di rimettervi in gioco e soprattutto in studio a suonare qualcosa, cercando di essere all’altezza non più dei vostri modelli, ma addirittura di voi stessi. Ecco, provate a superarvi. Vi pare facile? A me per niente.
Adesso mentre guardo le dieci canzoni del disco nuovo mi viene da sorridere e mi sento come se stessi per mangiare una torta perfetta guarnita con tanta panna. Non so ancora se tutti gli ingredienti siano stati usati al meglio, e se quello che è l’aspetto confluirà esattamente nella sostanza. Però sono in qualche modo serena. E’ un’operazione delicata, questa, che speravo non dovesse mai capitare. Per mesi ho pensato che sarebbe stato meglio apprendere dai tg che Brondi fosse morto schiantato con la macchina su una qualsiasi tangenziale italiana. Morire, dopo certe cose, sarebbe preferibile al dover cercare di fare meglio.
Adesso invece so che di qualsiasi cosa sia fatto questo disco, non è più importante la qualità né l’innovazione. Quello che è stato scritto sulla sabbia di una spiaggia deturpata, non è più possibile grattarlo via. Godetevi il passato, se non vi soddisfa il presente. E datemi retta: prendetevi e prendete le persone meno sul serio.
Buon ascolto.