Monthly Archive for Giugno, 2011

La parte peggiore dell’Italia

La parte peggiore del Paese si chiama Alice. La parte peggiore del Paese ha i capelli intrecciati sopra la nuca, colore del grano o dei muri delle case al mattino presto, e offre bicchieri d'acqua pubblica ai passanti. La parte peggiore del Paese la incrocio ogni giorno nel percorso che dalla stazione di Venezia Santa Lucia mi porta nel mio ufficio appena dietro Rialto: lungo il tragitto vedo gelatai napoletani, pizzaioli pugliesi e ristoranti tipici gestiti da cinesi, e poi lei, china sulla sua macchina da cucire dentro al suo negozio. O bottega. O studio. O laboratorio. Aspetta, ma che cos'è?

Oggi la saracinesca è mezza alzata, o abbassata, dipende dai punti di vista, e sui gradini per entrare ci sono appoggiate delle teste per parrucche, a vigilare Alice intenta a cucire un vestito. Fa scorrere il velo bianco sotto l'ago, preme il pedale con il piede, tiene in bocca gli aghi. L'altro giorno, invece, c'era una bollitore, esplicitamente vintage, d'accordo, ma pieno d'acqua, e un cartello scritto di suo pugno invitava a farsi un bicchiere, tanto era gratis. Si festeggiano i referendum anche così. La saracinesca è mezza alzata ma riesco lo stesso a intravederla, Alice, la parte peggiore dell'Italia, che sembra una specie di mamma intenta ad accudire la sua prole: i suoi cuccioli hanno la forma di stoffe, stoffe di tutti i colori, abiti, accessori, sparpagliati su scaffali ripieni appoggiati a pareti appena finite di essere imbiancate. C'è una tangibile atmosfera di precarietà (se questa parola non suonasse ormai come un luogo comune), di qualcosa che è stato e che non è più (chissà cos'era prima, questa che ora sembra essere diventata una bottega artigianale) e che ancora non si capisce bene cosa sia. Cosa voglia diventare. Tutto, le stoffe, i colori, le teste e le teiere e le macchine da cucire, sembra essere tenuto insieme soltanto da ago e filo, e le forbici sono lì, appoggiate sul tavolo, pronte per essere usate, per scegliere quali rami potare, e il metro per prendere le misure è arrotolato sul pavimento. Ora non serve.

La parte peggiore di questo Paese non lo sa nemmeno lei, cosa sia questo posto. Dice Alice che "aprirà nei prossimi mesi, sto ancora finendo di sistemare", ma se le chiedi cosa ci vuol fare, con questa bottega (la vogliamo chiamare così?), lei ti risponde "ancora non lo so". Ha in mente un sacco di idee, per schiarirsele: "Ci faremo dei laboratori, venderò i miei vestiti e non solo, cose di ogni genere". Un po' come mettersi a innaffiare il terreno nei giorni di sole, sapendo o sperando, la differenza non è così lacerante, che prima o poi inizierà a piovere.

La parte peggiore del paese si chiama Alice, è toscana, ha 34 anni e da sei fa la customista al Teatro La Fenice, a Venezia, un mestiere che se ci provi a visualizzartelo ti vengono in mente i teatri, appunto, il dietro le quinte, i vestiti sfarzosi e fuori dal tempo. Sa cucire "ma non è una sarta", ci tiene a precisare. Sembra fuori dal tempo anche lei, Alice, e se le fai notare che è precaria, che rappresenta la parte peggiore del paese, secondo chi ne tiene in pugno le sorti, di questo paese, non si arrabbia nemmeno. Sorride, chiude il ricamo con i denti, e prende in mano le forbici.

Alla parte peggiore dell'Italia piacciono le persone. "Non riuscirei a immaginarmi a vivere in un'altra città che non sia Venezia", spiega, "perché, tra gli altri motivi, qui le persone si parlano ancora". E mentre ascolto la sua storia, dimenticandomi del treno da prendere, del fatto che in fondo sono precario anch'io, e pure di Brunetta, si fermano di continuo persone diverse. I vicini anziani, che le chiedono se ha ritrovato le piante rubate il giorno prima, turisti stranieri affascinati da chi sa ancora lavorare con le mani, amici a progettare vacanze future, signore che a rivedere Alice che cuce riacquistano la voglia di farsi da sole una gonna, "modello unico", assicurano. Alice non riuscirebbe a stare in un'altra città che non sia Venezia, dove le persone comunicano ancora con foglietti affissi al portone di casa, come ha imparato a fare anche lei per ritrovare la sua pianta di basilico sottratta nottetempo (c'era anche un vaso di menta, ma quello se lo son tenuti), dove bisogna adeguarsi all'acqua alta, e si è pure contenti, perché Alice "è anche pigra", dove ci si ferma "ad ascoltarsi". Convidere, riscrivere l'economia sulla base del buon senso e non sul mercato, il discorso sfora dall'asola ma prontamente infila il bottone, "in questo paese si sta dilapidando il sapere degli artigiani, che sono stati scacciati fuori dai centri e invece è qui che dovrebbero stare, in mezzo alle persone". Dovrebbero essere cucite addosso alle città, le persone e i loro mestieri.

Ecco, la parte peggiore dell'Italia se ne frega anche, di quel che dice Brunetta, e anche di quello che dice l'ipotetica parte migliore. Prima che un laboratorio, o una bottega, questo posto dove Alice cuce abiti è la riappropriazione di sè stessi, ma senza gridarlo: "Non so cosa diventerà, ma è così che lo volevo". Alice non sa cosa farà da grande, esattamente come quella bambina che ad un certo punto si ferma di fronte alle quattro teste mute di legno disposte a proteggere la saracinesca. Inizia a picchiettare i quattro capi, di differente materiale, imparando a riconoscere le teste di polistorolo da quelle pesanti, di legno. "Quello è un testone", fa notare Alice. La bambina prova a sollevarlo, allora, si sforza ma è troppo pesante, la mamma le dice che è ora di andare, ma lei indugia, insiste, fino a quando, ostinata, non riesce finalmente ad alzare la pesante testa di legno massiccio. E poi se ne va.

Le due volte in cui ho sfidato la sorte

Ero stato in facoltà a verbalizzare un esame. Una procedura noiosa per la quale ero dovuto uscire di casa con il mio libretto e guidare fino all'ufficio del professore, dall'altra parte della città. Non ero di fretta, non ero agitato: semplice burocrazia. All'epoca dei fatti, ormai oltre cinque anni fa, non portavo quasi mai le cinture di sicurezza per guidare in città, ritenendole più fastidiose che utili per un tipo di traffico congestionato tra un semaforo e l'altro. D'estate poi fanno sudare e rimane la maglietta con la striscia diagonale pezzata, cosa per la quale il professore (stronzo) dove andavo avrebbe potuto togliermi qualche punto così, en passant.

Sulla strada di ritorno sono il primo al semaforo verde di un incrocio, e svolto a sinistra su una via abbastanza trafficata della mia città. C'è la Famigerata Municipale. Faccio un gesto goffo tentando di mettere la cintura al volo perchè nei momenti di panico si fanno sempre gesti goffi e spesso inutili. Non ci riesco: la macchina è vecchia e la slitta si incastra - giustamente - mentre tiro con forza disperato. Il vigile ridacchia perchè vede tutta la scena e con tutta la calma del caso si avvicina al ciglio della strada e mette fuori la paletta. Mentre si avvicina al veicolo fermo poco più avanti di lui mi metto la cintura, come a far vedere che il gesto lo volevo comunque portare a termine. Sciocco.

- Patente e Libretto.
Inizio a tremolare: perchè non mi ha detto subito delle cinture? Cos'è questa finta? Queste procedure standard: perchè? Dimmi quant'è la multa e facciamola finita. Tiro fuori la patente e poi non trovando il libretto gli consegno tutto un plico di fogli dell'assicurazione, sperando ci fosse in mezzo e di accontentarlo in qualche modo.
- Questa è l'assicurazione - dice - il libretto è di colore verde chiaro.
Nel pallone totale scartabello ancora un po' nel vano porta oggetti e infine lo trovo.
- Lei era senza cintura poco fa.
- Lo so, mi spiace.
- Vedo un libretto universitario appoggiato li, andava ad un esame?
- Si, si.
- Allora immagino che sia agitato per quella ragione, ma la prossima volta si ricordi di metterla.
- Senz'altro, grazie agente.
- Buongiorno, e in bocca al lupo.
- Crepi, crepi.
Poi sono rientrato a casa sorridente. Non ho mai più viaggiato senza cintura da allora. Mai sfidare la sorte più di una volta.

Da qualche mese a questa parte ho preso il vizio forse inspiegabile di mettermi la cintura in auto poco dopo essere partito, conscio del fatto che dovrei agganciarla prima di mettere in moto in cortile, e che tecnicamente una pattuglia potrebbe passare anche nei pochi metri della mia via, prima di uscire sulla più trafficata circonvallazione dove la metto sempre nel giro di pochi metri. E se la Polizia passasse proprio mentre mi affaccio all'incrocio per entrare nel flusso di traffico dei lavoratori del mattino? Sarebbe multa, giustamente.Così pensavo anche questa mattina mettendo il muso della mia vecchia Uno un po' in fuori per decidere quando fosse il momento di andare. Senza cintura ovviamente. In quel momento passa una volante della Stradale. Faccio per mettermi goffamente la cintura al volo sperando che:
a) alla stradale freghi poco di una cintura in una macchina proveniente da una via secondaria, avendo ben più seri interventi da fare, quindi non intervengano
b) non mi vedano

Mentre la Stradale non mi vede e io goffamente mi metto la cintura al volo con più successo di cinque anni fa, transita appena due macchine dopo la Famigerata Municipale. Non possono non avermi visto, loro che vivono di queste multine al cittadino per fare cassa in tempi di crisi. Però non possono accostare essendo in mezzo al traffico, quindi proseguono dritto. Io esco, li seguo perchè vanno nella stessa unica direzione che ero costretto a seguire per andare in stazione. Sapevo che si sarebbero accostati a breve e come prima cosa avrebbero punito l'automobilista distratto senza cinture, appena qualche macchina più indietro. Un lavoretto veloce, una multa sicura, soldi facili per il Comune. Decido di proseguire per la mia strada sperando in qualche miracolo, ma al bivio prendono la mia strada anche loro. Avessero proseguito ancora un km mi sarei consegnato spontaneamente dichiarando resa. Li avrei sorpassati con un gesto eclatante per farmi notare e poi avrei accostato attendendoli con in mano patente e libretto, quello verde chiaro. Ma alla rotonda incredibilmente girano a destra e vanno per la loro strada. Sarà il caldo, sarà che non mi avevano visto, sarà che era mattino presto ma anche a questo giro la multa non hanno avuto proprio voglia di farmela.

E io da domani metterò la cintura di sicurezza direttamente in cortile, in quei 10 secondi inutili di attesa davanti al cancello automatico che si apre. Mai sfidare la sorte più di due volte.

La cosa più bella che potesse capitarci

Sono gli Arcade Fire. Ogni tanto è giusto ribadirlo, specie quando ti reinterpretano una delle loro migliori canzoni in questo modo che ti fa restare lì, sulla sedia, con l'espressione quasi da imbecille.

Arcade Fire performs "We Used To Wait" on Sound Opinions from WBEZ on Vimeo.

Se volete farvi del male, eccola anche in un comodo formato mp3, si scarica qui: Arcade Fire - We used to wait (Sound Opinions).

Le velleità da psicanalisti

Oggi a Milano sulla collinetta del Miami ci sarà l'esposizione della Sindone. I Cani suonerà avvolto da un sudario per celare la sua identità (tralasciando per esempio che i Tre Allegri Ragazzi Morti lo fanno dal 1994 ma già, i Tre Allegri Ragazzi Morti, con quel nome poi, suonano "canzoni punkettose per ragazzine").

Di veramente sorprendente, in tutta la faccenda su I Cani, prima ancora che ascoltare l'elenco delle nostre pose che osserviamo quotidianamente senza batter ciglio, ma se le canta un anonimo romano con basi acchiappanti, allora si aprono le acque del Mar Rosso (di imbarazzo, probabilmente), c'è stata la reazione degli ascoltatori, al Sorprendente album d'esordio de I Cani, a sottolineare ancora di più che I Cani sì, hanno ragione. Ma.

Non mi è piaciuta, per esempio, la critica che I Cani ha mosso verso Vasco Brondi (poteva essere Brondi come chiunque altro, non è l'identità del soggetto il punto). Leggiamo il passaggio incriminato tratto da questa intervista:

Per esempio mi sento molto lontano da uno come Vasco Brondi; lì il problema non è l’autenticità, è che il messaggio diventa intimamente contraddittorio nel momento in cui Vasco Brondi diventa Vasco Brondi e fa un secondo album in cui non entra minimamente il fatto di essere diventato Vasco Brondi. È il contrario di quello che succede con i rapper. Mentre il cantautore cerca di fare il povero buono, il rapper fa il povero cattivo, il povero che vuole fare i soldi. E quel messaggio per me è convincente. Se sento Noyz Narcos dire “sogno tutti i soldi delle star, le loro fighe”, beh questo è convincente. Questa è una cosa che vedo in giro. Non è possibile che tutte le canzoni pop parlino di gente che non è interessata ai soldi, gente per cui contano solo i sentimenti.

Ora, ci sta prenderlo in giro nelle canzoni, ma fargli notare che ha realizzato un secondo album uguale al primo, nonostante la sua vita fosse completamente cambiata, mostrando quindi una presunta e assoluta impermeabilità agli eventi della sua esistenza e andando così a inficiare la natura stessa (genuina) del suo progetto (quanta fatica, starvi dietro, ndA), l'ho trovato sì, altrettanto sorprendente.

Cosa sono, insomma, gli artisti? Sono persone da psicanalizzare o personaggi che propongono musica, cinema, arte, e, in sostanza da giudicare? Eterno dilemma, che viene tirato fuori anche per i pesci più piccoli, e dunque più vicini a noi, e dunque probabilmente più facile da prendere di mira, visto quanto siamo provinciali. Perché Vasco Brondi se canta di temi intimi, deve mostrare una coerenza con la persona, perché dobbiamo considerarlo "persona" invece che "personaggio"? I Cani hanno talmente ragione da riuscire ad arrivare anche ad avere torto: fanno il giro completo, e questo è un complimento, sia chiaro. Però. Però non mi interessa cosa faccia nella vita Niccolò Contessa, mi interessano le sue canzoni, mi interessa sapere se mi attorciglia lo stomaco o se mi faccia sbadigliare. E così per tutti, quando ci esponiamo 'pubblicamente': anch'io, per dire, qui scrivo in modo slanciato ma poi nella vita di tutti i giorni non riesco a chiedere nemmeno il nome alla commessa carina del Mel. Sono forse "incoerente" con me stesso? Ascoltiamoci e basta, senza avere le velleità da psicanalisti.

L'omelia di questa domenica si chiude con una lettera anonima (ebbene sì, arrivano anche a noi di Ciccsoft) che un nostro lettore/lettrice ci invia e che noi pubblichiamo così come ci è arrivata. Amen.

Il nuovo album de I Cani ha in copertina una ragazza attaccata ad un albero, probabilmente derisa e maltrattata dai gonzi che la circondano: vogliono farci capire che l'unico modo per sopravvivere è tacere? Il pezzo di scotch che serra le labbra di questa ragazza sembra suggerirci di sì. Oppure vogliono dirci che il modo migliore per ascoltare un disco è farsi legare ad un albero? O forse è un ritratto sociale contemporaneo che racconta gli ultimi efferati episodi di cronaca. Magari sono i pariolini di diciott'anni che si divertono a torturare le famose quartine (rigorosamente dopo aver fatto loro dei video). Che cosa succederà domenica al MIAMI? I Cani si presenteranno con un sacchetto di carta in testa? Avranno le mascherine dei Tre Allegri Ragazzi Morti ai tempi d'oro? Lui si chiama veramente Niccolò Contessa? Sarà vero (o necessario, o condivisibile, o giusto, o innovativo) che ci si nasconde per non dare un volto al messaggio? Sarà vero che conta solo il messaggio? Qual'è, 'sto messaggio? Al MIAMI ci andiamo in treno o con la macchina? Perché ascoltiamo le canzoni? Per divertirci? Per ritrovare noi stessi? Per sentirci meno soli? Per dire "ve l'avevo detto"? Per improvvisarci critici? I Cani avranno dei cani da compagnia? I cani da compagnia si sentiranno mai soli come cani? Quante persone avranno effettivamente acquistato il disco de I Cani? Perché I Cani hanno scritto queste cose geniali e io non ci ho pensato prima di loro? Perché non l'ho detto prima io, che volevo vivere in un film di Wes Anderson?

Tutte queste domande servono effettivamente ad uccidere o adorare un disco?
Io credo di no.

Lettera firmata

Chiamare le cose col proprio nome e non vergognarsene

Lo sappiamo, che Santoro è un vittimista ammalato di protagonismo, che cavalca l'onda, che fa del populismo, che le sue trasmissioni le butta sempre in caciara. Sappiamo tutto. Ma sapere non basta. Santoro riesce a fare due cose: infastidire chi non la pensa come lui, e far commuovere chi la pensa come lui. Perché ieri sera, a vederlo paonazzo sputazzare il suo cazziatone memorabile contro Castelli, ma poteva esserci qualsiasi altro politico lì seduto, mi sono 'commosso': quella di Santoro di ieri sera si può chiamare soltanto con un semplice, chiaro e inequivocabile nome: frustrazione.
E non mi vergogno ad avere provato empatia verso di lui.

Ripartire da zero, anzi da uno

Girolami ci lascia come sempre perle di buon senso. Tema: la creatività, presunta o mascherata, che infanga anche le migliore intenzioni e indora purtroppo le peggiore intenzioni. Reggiamo tutti in mano "telefoni senza fili".

L'antidoto si chiama appunto creatività, parola che ha molti sinonimi tra cui: arte, autoproduzione, personalità, identità. Tante parole per significare una cosa sola: mettere la faccia nelle cose che si fa, strappare la maschera dell'anonimato a sto mondo infame ripartendo da zero, anzi da uno, da sé stessi per tarare daccapo tutto quanto.

Come quando eravamo piccoli

Buffet

Le migliori foto di LondraNote sparse su alcune cose curiose
trovate a Londra

Le migliori foto di Berlino Do not walk outside this area:
le foto di Berlino

Ciccsoft Resiste!Anche voi lo leggete:
guardate le vostre foto

Lost finale serie stagione 6Il vuoto dentro lontani dall'Isola:
Previously, on Lost

I migliori album degli anni ZeroL'inutile sondaggio:
i migliori album degli anni Zero

Camera Ciccsoft

Si comincia!

Spot

Vieni a ballare in Abruzzo

Fornace musicante

Cocapera: e sei protagonista

Dicono di noi

Più simpatico di uno scivolone della Regina Madre, più divertente di una rissa al pub. Thank you, Ciccsoft!
(The Times)

Una lieta sorpresa dal paese delle zanzare e della nebbia fitta. Con Ciccsoft L'Italia riacquista un posto di primo piano nell'Europa dei Grandi.
(Frankfurter Zeitung)

Il nuovo che avanza nel mondo dei blog, nonostante noi non ci abbiamo mai capito nulla.
(La Repubblica)

Quando li abbiamo visti davanti al nostro portone in Via Solferino, capimmo subito che sarebbero andati lontano. Poi infatti sono entrati.
(Il Corriere della Sera)

L'abbiam capito subito che di sport non capiscono una borsa, anzi un borsone. Meno male che non gli abbiamo aperto la porta!
(La Gazzetta dello Sport)

Vogliono fare giornalismo ma non sono minimamente all'altezza. Piuttosto che vadano a lavorare, ragazzetti pidocchiosi!
(Il Giornale)

Ci hanno riempito di tagliandi per vincere il concorso come Gruppo dell'anno. Ma chi si credono di essere?
(La Nuova Ferrara)

Giovani, belli e poveri. Cosa volere di più? Nell'Italia di Berlusconi un sito dinamico e irriverente si fa strada come può.
(Il Resto del Carlino)

Cagnazz è il Mickey Mouse dell'era moderna e le tavole dei Neuroni, arte pura.
Topolino)

Un sito dai mille risvolti, una miniera di informazioni, talvolta false, ma sicuramente ben raccontate.
(PC professionale)

Un altro blog è possibile.
(Diario)

Lunghissimo e talvolta confuso nella trama, offre numerosi spunti di interpretazione. Ottime scenografie grazie anche ai quadri del Dovigo.
(Ciak)

Scandalo! Nemmeno Selvaggia Lucarelli ha osato tanto!
(Novella duemila)

Indovinello
Sarebbe pur'esso un bel sito
da tanti ragazzi scavato
parecchio ci avevan trovato
dei resti di un tempo passato.
(La Settimana Enigmistica)

Troppo lento all'accensione. Però poi merita. Maial se merita!
(Elaborare)

I fighetti del pc della nostra generazione. Ma si bruceranno presto come tutti gli altri. Oh yes!
(Rolling Stone)

Archivio