Quand'ero piccolo restavo per ore immobile a guardare i fiocchi di neve appoggiarsi sul mio naso.
Poi, verso la fine di febbraio, mia madre mi liberava.
Era uno strano modo per fare i pupazzi di neve, lo ammetto, ma non ho mai pensato si potesse agire diversamente. I miei genitori mi avevano sempre raccontato che dentro ogni pupazzo si nascondeva un bambino, usato per ottenere quell'approssimazione di forma umanoide.
Dicevano che era una tradizione antica quanto l'universo e me lo ripetono anche oggi, ogni volta che vado a trovarli. Al manicomio criminale.
Forse è per questo che odio tanto la neve.
Per una sorta di indigestione (capirete, erano periodi bui, lì dentro: non c'era altro e non si vedeva un cazzo).
Comunque sia, ogniqualvolta nevica mi viene la nausea, ho continui sforzi di vomito e il mio corpo si contorce nell'orrida smorfia del proprio dolore.
Il mio psichiatra mi urla che non guarirò mai, mentre corre e mi tira palle di neve ghiacciata.
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