La frase di circostanza "come stai?" quando ci si incontra e ci si saluta è talmente inutile che la gente è solita formularla attendendosi indietro la risposta più comune: "bene".
Ma che succede quando uno non sta bene? Si crea una sorta di cortocircuito nella conversazione che scade nell'imbarazzo per chi ha fatto la domanda scomoda e nella malinconia di chi deve giustificare tale risposta raccontando il proprio malessere, sia esso fisico o mentale.
Qualche tempo fa ho reincontrato un'ex alunna di mio padre che tutta sorridente mi ha chiesto per l'appunto come stesse mio padre che non vedeva dai tempi del liceo. "Non bene" le ho detto, alludendo all'ultimo anno molto faticoso per le conseguenze di un ictus che l'hanno portato alla pensione prima del previsto. La risposta disattesa ha ottenuto un "ah" di risposta sorridente, quasi non avesse nemmeno sentito la risposta, e siam passati immediatamente a parlare d'altro. Non mi ha dato fastidio, l'ho trovato anzi quasi buffo a conferma dell'inutilità di queste domande.
Ci sono un'intera categoria di conoscenti poi, con i quali il massimo della conversazione che puoi avere è proprio "come stai"?
Ci si incontra per strada e non ci si ferma a parlare ma si tira dritto con un ciao tirato via. In alcuni casi straordinariamente idioti dopo che entrambe le persone hanno tirato dritto uno dei due aggiunge girandosi: "tutto bene"? A quel punto dovete deglutire, tirare un lungo sospiro e girandovi a vostra volta gridare: "si grazie e tu"? E chissà se la distanza sarà ancora sufficiente a proseguire la conversazione. Ma soprattutto: metti caso che il vostro amico vi dica: "no", che fate? Tornate indietro per approfondire? E lui si fermerebbe di botto se gli urlaste: "sto morendo!"?
In conclusione, quando camminate per strada, o siete in coda alle poste, o siete in giro in piazza, cercate di stare sempre bene, per amor del cielo.
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