Come raccontare/scrivere di qualcosa di estremamente generazionale, ché ogni generazione ha il proprio film di riferimento quel misto perfetto di libri-musica-film-fumetti-pruderie divorati e disciolti nei neuroni, senza essere pericolosamente nostalgici o patetici o peggio ancora accademici? Non si sa. Quel che si sa è che Clerks è stato l’American Graffiti dei nati negli anni settanta, adolescenti negli anni ottanta, ragazzotti negli anni novanta e attualmente quasi tutti precari se non lavorativamente, di sicuro sentimentalmente (e non fate gli scongiuri).
Dopo dodici anni dal folgorante primo capitolo Kevin Smith riprende i suoi commessi – bianco e nero, produzione indipendentissima, dialoghi irriverenti e disquisizioni scurrili sui massimi/minimi sistemi che gli adepti sanno citare a memoria – succede che ritroviamo Dante all’atto di aprire il drugstore Quick Stop come ogni mattina ma questa volta lo attendono le fiamme...
Così capita anche che dal bianco e nero amarcord si viri al colore e con l’amabilissimo terribile Randal (sempre devoti saremo a questo ragazzo per il suo santo cinismo terapeutico), finiscono a lavorare in un fast food gestito dalla bella Rosario Dawson.
Niente di meglio per Randal che mettersi a tormentare l’amico perché si vuole sistemare con la cheer leader di turno ma soprattutto crocifiggere impunito Elias, lo svagato-spanato-impedito aiutante. Una specie di cellino made in america che crede nell’esistenza di – prego segnate, segnate bene nelle memoria questi tre concetti/nomi – Pio Bernardo, Dio e il Signore degli Anelli. Ma altrettanto prontissimo a disconoscere i propri dogmi con una memorabile battuta (clicchi solamente chi non teme gli spoiler) se messi nella giusta relatività.
Ritroviamo anche Jay e Bob il Silente: usciti di prigione dopo essere stati pizzicati a spacciare, vivono nuovamente appiccicati al muro col loro inseparabile e truzzissimo (eh quanto tempo dall’uso corrente di tale aggettivo, finito un po’ la come lira, diremmo) stereo e che per passare il tempo s’ingegnano sino a partorire un altro rimando assai applaudito: l’imitazione del killer de “Il silenzio degli innocenti”. Da antologia la parodia geniale ad opera di Randal della Trilogia cinematografica di Peter Jackson: mentre litiga con un patito estremista opponendo che l’unica trilogia universalmente riconosciuta dai veri cinefili, è Star Wars, con l’ausilio della mimica del corpo, sintetizza i tre titoli tolkeniani consegnandoci per sempre una tesi recensiva pressochè indiscutibile. Si dirà che il resto della storia è fragilina e anche inauditamente romantica, che in alcuni punti s’innalza eccessiva sopra le righe ma capita di ridere di gusto e liberati e quasi felici sapendo che da qualche parte, stai sor-ridendo anche di te. Per fortuna.
PS capita tra le altre cose che ti siedi
in platea e che arrivi Gherardo Colombo.
Giusto lo spettatore che ti aspetteresti a un
film del genere. Eppure…
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