NUMERO TRE- 18 SETTEMBRE 2000
ALBATROS
PAGINA 2- INTRODUZIONE
PAGINA 3-
FUGA DA ALCATRAZ
PAGINA 5-
VICTOR JARA – UNA CANZONE INFINITA
PAGINA 16- TE RECUERDO
AMANDA
PAGINA 17- POESIE
PAGINA 20- NONGIO
PAGINA 22 -CONVENZIONE ONU
PAGINA 26- APPELLO
PAGINA 27- RUOLI E RESPONSABILI DEL PROGETTO TAV
PAGINA 31- CHI HA PAURA DEL
TERREMOTO?
PAGINA 32- RECENSIONI
PAGINA 40- I MITI DELLA
MUSICA- BECK HANSEN
Ora sono al mare. Albatros è ancora in costruzione, per la verità è totalmente in costruzione. Ma voglio cominciare comunque dall'introduzione, nonostante non sappia assolutamente di cosa si parlerà in questo numero e chi collaborerà. Ma mi sento di fare qualche ringraziamento a diverse persone che leggono e ci spingono a continuare sempre e comunque. Vorrei cominciare a fare qualche nome, anche se pochi tra voi si conoscono realmente e anche se sicuramente dimenticherò qualcuno. Credo di poter parlare anche per Claudio, che ora non è qui ma a casa, credo a cercare qualche materiale che gli ho richiesto sugli argomenti che troverete su queste pagine. Innanzitutto vorrei ringraziare Elisa, Elena e Maria Luisa. Queste tre persone, ogni volta che esce un numero nuovo di Albatros, non fanno che ripeterci di quanto sia un qualcosa di importante, da portare avanti assolutamente. Elisa è sempre entusiasta e il giorno dell'uscita già vorrebbe leggere il seguito... E questo entusiasmo è contagioso, perché a volte, ma solo a volte, la voglia di lavorarci non è così grande. Per pigrizia forse, a volte per mancanza di idee. Ma poi se penso alle sue parole, credo che deluderla sarebbe uno sbaglio incredibile. Ecco perché ogni tre mesi, puntualmente, ricevete nostre notizie. E poi tutti gli articoli, poesie ed altro che riceviamo finalmente hanno fatto sì che si sia potuto creare quello che volevamo: un giornale di tutti, senza fazione, senza razza... Solo per gente che "non si lascia stare", come dicono su Radio Freccia, quel grande film di Ligabue (senza cadere nel commerciale.. ma è davvero un gran bel film). Maria Luisa non la conosco di persona, solo per telefono. E la prima volta mi ha inondato di complimenti, consigli, critiche.. su questo lavoro che io ho sempre considerato minore, invece per lei potrebbe riuscire a diventare qualcosa di più. Poi c'è da ringraziare Giovanni, che ci ha proposto il capannone per il prossimo anno e anche Carlotta, una ragazza che ancora non legge il giornale ma che comunque ha accettato di suonare per il prossimo raduno, se riusciremo ad organizzarlo. Poi Giuliana e Cristina, che dal primo numero hanno dato il loro contributo, Cristiano che ogni volta mi manda le sue critiche e che spero riuscirò ad accontentare un giorno... E Alessandro e Dave, che curano il sito in cui leggete il giornale, Elena, a cui abbiamo risvegliato lo spirito ribelle... Egiziano, che mi aveva proposto di vendere addirittura il giornale.. A Marianna, che ci ha permesso di iniziare il discorso sul Cile e che, quando parla e scrive, dice sempre cose stupende e interessanti, che mi spingono a conoscere tutto. A tutti quelli che ci credono, che lo leggono, lo sfogliano, ma lo rendono sempre e comunque vivo. A Valeria, Daniela, Stella, Franca, Renzo, Anahita, Antonio, Fabio, Fulvio, Carlo... a Stefano, Alessio, Silvia, Barbara... e a tutti quelli che non nomino, per motivi di spazio e di memoria. Grazie, tutto qui. Mi spiace che il primo raduno non si sia potuto fare, ma io ho avuto problemi in famiglia e Claudio desiderava che io fossi presente ed ha voluto solo rimandare. Speriamo di fare davvero qualcosa per il prossimo anno. Vediamo, comunque.
Ora comincio davvero a lavorare. C'è molto di cui
parlare, di nuovo e di vecchio, notizie che mi colpiscono, come il condannato a
morte che ha chiesto l'esame del Dna ma a cui è stato negato. Come il Gay Pride,
o l'aereo partito dalla Germania e precipitato. Piccole cose che mi sono
rimaste dentro in questi tre mesi e che credo, abbiano colpito-indignato anche
qualcuno di voi. Ma, ripeto, non sappiamo nemmeno noi cosa ci sarà ancora. Poi
avevamo una proposta da farvi. Essendo che io conosco un certo Elvis Perez,
musicista del Duo Trinitario di Cuba e visto che Cuba, Che Guevara e
rivoluzione sono dei temi cari a molti di noi.. perché non prepariamo delle
domande da fare a quest’uomo (molto disponibile tra l’altro) che comincino dal
lato musicale di Cuba per poi sfocia, come sembra ovvio nel profilo politico…
Quindi, domandate, sbizzarritevi e poi mandate il tutto a:
Claudio
claudio.torreggiani@libero.it
Alice
Ghireikan@virgilio.it
Senza il vostro aiuto non si fa niente, questa
volta, mi raccomando.
Buona lettura comunque, e spero davvero che, tra 10
o 20 anni, tutto questo esista ancora. Perché chiuderlo, almeno per me,
vorrebbe dire perdere la voglia di lottare.
Hasta Siempre
Alice&Claudio
FUGA DA ALCATRAZ
Circa tre mesi fa mi trovavo
a Malnate, un paesino in provincia di Varese. Ero con una mia amica e stavamo
facendo una passeggiata, parlando di scemate e ridendo come sempre. A un certo
punto sono passata davanti a un giornalaio ed ho letto a caratteri giganti JACK FOLLA E’ MORTO. La mia amica non
sapeva nemmeno chi fosse questo Jack e non credo che abbia capito il perché
della mia agitazione. Non seguivo da parecchio le puntate televisive, un po’
per mancanza di voglia, un po’ perché a quell’ora avevo altro da fare, un po’
perché erano tutti monologhi che sapevo a memoria. Fatto sta che, comunque,
avevo un po’ paura che tutto fosse potuto morire così, senza che io ne sapessi
qualcosa. Poi mi è passato di mente, e arriviamo a circa un mese fa. Ero in vacanza sempre con questa
mia amica in Emilia, dove ho potuto rivedere Claudio e parlare un po’. Vi giuro
che non sapevo che Alcatraz fosse finito e soprattutto come fosse finito. Così,
quando Claudio mi ha detto che era precipitato l’aero su cui stava scappando ci
sono rimasta veramente male. Per i primi minuti, soprattutto. In fondo per me è
stato come sapere che un amico che abitava lontano era morto, era sentire per
la prima volta un vuoto che una persona cara lascia inevitabilmente dietro di
se, quando non c’è più. Forse esagerato per alcuni di voi, ma per me Jack
esisteva davvero, non era solo fiction. Nonostante tutta l’incazzatura, i dubbi
e le delusioni provate per certe puntate o per alcune uscite… comunque è stato
un amico che per due anni mi è stato vicino, che poi ho allontanato ma che
avrei potuto ritrovare quando volevo. Ora non esiste più. Ma poi, oltre a
queste cose emotive che mi caratterizzano fin troppo, c’è stato il pensare al
perché avesse deciso una cosa simile. Credo sia stata una grande decisione,
Alcatraz non doveva diventare un business, in teoria sarebbe dovuto esistere
solo la prima fase, quella radiofonica. Poi, per richieste, denaro e
quant’altro, ecco arrivare la seconda serie e poi quella televisiva. Ha fatto
bene? Male? Alla fine a me non importa tanto, mi importa sapere che altra
gente, in un modo o nell’altro ha potuto costatare di cosa si tratta Jack
Folla. Tutto qui. Farlo morire è stato un bene, perché stava perdendo il suo
valore. Se avesse continuato ancora avrebbe perso il controllo di un qualcosa
che forse non doveva entrare nella massa, che doveva essere per una “cerchia
ristretta”. Cerco di spiegarmi meglio. Prendete questo giornale. Ora stiamo
dicendo quello che vogliamo, con errori grammaticali e di forma, spariamo a zero
su tutto tutti e non ci interessa cosa ne penserà la massa. Ma se poi, un
giorno (cosa impossibile) cominceremmo ad abbassarci ai livelli degli sponsor,
dei soldi, di quello che la gente vuole.. Avremmo perso tutto il senso che
cerchiamo ogni giorno, diventeremmo un giornale come Panorama o Gente… Io
chiuderei, e penso molti di voi desidererebbero lo stesso. Jack Folla per me
stava diventando un qualcosa che si sarebbe commercializzato. E la morte è
stata la “scelta” più giusta, anche se deprimente. Non so se questa pagina
rimarrà ancora, dal prossimo numero in poi, semplicemente perché non so se avrò
ancora qualcosa da dire al riguardo. Comunque sia, qualunque sarà il destino di
questo giornale, sempre “l’immagine” di tutto questo rimarrà, e sarà ricordato
in ogni singola parola che leggerete. Semplicemente perché l’idea ci è venuta
grazie a Diego Cugia e a Jack Folla. Chiudo con uno dei più bei monologhi di
Jack. Un saluto a un grande Amico e “rivoluzionario”.
Non preoccupatevi, fratelli.
Il grande albatros vola. Mancano ancora sette lunghi mesi prima che la sedia
elettrica mi bruci le ali. Sette mesi in cui vorrei solo insegnarvi una parola:
“Indignazione”. Voi non sapete neppure cos’è. Indignazione vuol dire
ribellione, risoluta ribellione a quanto offende la dignità propria e altrui.
“Dignità”, anche di questa parola avete perso il significato. Significa
rispetto dell’uomo per se stesso, per i propri valori. “Valore”, anche di
questa parola vi hanno fatto perdere il significato: è l’unità di misura più
alta e contraria a quella del denaro. Il valore è invisibile, ed è l’unità di
misura della morale. “Morale”, anche di questa parola vi hanno scippato il
senso. Morale è il presupposto spirituale che precede le vostre scelte tra ciò
che ritenete “bene” e ciò che ritenete “male”.
Valore, Dignità, Morale. Fate attenzione: è un
mostro nel braccio che ve ne parla, dalla culla della democrazia: l’America. Un
Paese in cui si manda a morte un uomo in nome del popolo. Un paese in cui anche
un bambino può dire: “Io ho ucciso”. Valore, Dignità, Morale. Tre parole. E
dall’altra parte una soltanto: “Indignazione”. Ora sentite questa. Un sedicenne
nero di Brooklyn pedala in bicicletta, di notte. Una notte di trenta giorni fa,
una schifosa notte d’agosto. Michael pedala, nero come la notte. Due agenti lo
incrociano e lo crivellano di colpi a ripetizione.: diciassette, per la
precisione. Michael è morto. Perché l’hanno fatto? Perché aveva un mitra sul
manubrio.
Era un mitra giocattolo di
quelli che schizzano acqua.
Quello che state provando è
indignazione.
Sparatela.
VICTOR JARA
Per continuare il discorso
sul Cile cominciato nel numero scorso da Marianna, parliamo di un grandissimo
artista e uomo che è stato coinvolto, volente o nolente, da tutto ciò che
accadde nel periodo del Golpe in Cile. Quest'uomo è Victor Jara. Ho sentito
parlare di lui solo nei concerti dei Nomadi, ma non sapevo praticamente nulla.
Solo che era un chitarrista che suonava canzoni Contro tutto ciò che accadeva e
che, nel momento in cui Pinochet prese il potere, fu ucciso e gli spezzarono i
polsi per non permettergli di suonare. Torturato nello stadio in cui tante
volte aveva suonato. Ma volevo saperne di più, queste poche parole non mi
bastavano certo. Così mi sono fatta prestare un libro stupendo che ognuno di
noi dovrebbe leggere. Anche chi del Cile non interessa niente, ma solo perché è
una testimonianza di un'umanità grandissima. Si chiama "Victor Jara- Una
canzone infinita" ed è stato scritto da Joan Jara, la moglie. E' edito da
Sperling & Kupfer Editori, e costa 28.000. Solo un'altra volta vi ho
parlato lungamente di un libro, ed è stato Per "Pappagalli Verdi" di
Gino Strada. Come sempre, ciò che vi consiglio è un qualcosa di socialmente
attivo, qualcosa che fa pensare. Ancora un volta, quando l'ho finito, mi sono
resa conto di quali azioni immani possa compiere un uomo solo per la sete di
potere. Uccidere persone solo perché hanno idee differenti, idee politiche
oppure solo voglia di libertà. In quel periodo buio del Cile, che ancora oggi
porta le ferite di una dittatura feroce, tanti ragazzi, uomini, figli,
mariti... hanno perso la vita. Tanti musicisti sono scomparsi, e un grande uomo
come Salvador Allende non ha potuto portare avanti delle grandi idee. Avevo le
idee molto confuse su tutta la politica di allora, non capivo chi fossero
questi famosi Desaperecidos, pensavo addirittura che Allende fosse un
"compagno" di Pinochet. Pensavo che Allende avesse tolto il potere
non so bene a quale grande governatore e lo avesse regalato a questo Pinochet.
Idee molto distorte, portate da ignoranza ma anche tanta disinformazione. E'
difficile trovare qualcosa che riguardi il Cile che sia chiaro e onesto. Per
Internet non c'è nulla, i libri davvero veritieri non esistono o sono molto
pochi. Semplicemente perché è comodo non dire nulla, perché tutti alla fine
hanno un guadagno nel non far sapere ciò che accade. Ora ne so sempre molto
poco, ma per lo meno sono riuscita ad essere un po' più partecipe al dolore che
questo popolo deve ancora provare, guardando con gli occhi di una donna che
tanto ha sofferto, tutti gli avvenimenti di allora. Come ha detto Marianna una
volta, qualche mese fa, "ho letto tutto molto velocemente, perché, anche
se sapevo come sarebbe finito, avevo quasi la speranza che le cose avessero un
altro seguito. Nel momento del libro in cui si parla delle elezioni, quando
Joan aspetta i risultati, mi sembrava di essere lì con lei, in attesa di quella
telefonata". Altre persone hanno letto questo libro e tutte hanno alla
fine avuto dentro un qualcosa di più, hanno compreso un qualcosa di...
difficile spiegare. Quello che posso fare è consigliare di leggerlo e cercare,
a mio modo e sicuramente sbagliando, di spiegare chi fossero questo Victor
Jara, Allende e Pinochet e cosa accadde.
In modo molto superficiale ma non volutamente, semplicemente perché questo è
tutto ciò che ne so.
Victor Jara viveva poco fuori Lonquen, ovviamente in
Cile. Era figlio di Manuel e Amanda e aveva tre fratelli. La madre aveva avuto
per lui una grande importanza, a parte per l'umanità e quindi l'affetto che le
portava, ma soprattutto per l'impronta musicale. Ella infatti suonava la
chitarra, canzoni popolari ed era molto richiesta come intrattenitrice. E
Victor spesso la ascoltava e già allora forse aveva deciso qual era il suo
destino. Amanda era anche il punto di sostegno della famiglia, infatti il padre
era solo un ubriaco e violento, che maltrattava moglie e figli. E aveva l'odio
di Victor. Dopo un incidente avuto a una sua sorella, Amanda lasciò il lavoro
per accudire i figli. La chitarra era quindi stata abbandonata. Da questo
momento in poi Victor cominciò a strimpellare. Il suo primo insegnante fu un ragazzo, in certo Omar Pulgar, che
frequentava spesso il bar vicino a casa. Poi
Victor dovette subire un grande perdita, quella della madre che morì per
un ictus. Non sono molto brava a raccontare ciò che accadde durante la sua
vita. Comunque Victor era un grande artista, che imparò a recitare (facendo
parte di una compagnia) e divenne anzi un acclamato regista. Ma era la musica
quello che lo attirava di più. Scriveva di tutto quello che aveva intorno,
dall'odio profondo che provava per il padre alla situazione di alcuni
personaggi incontrati per la via. Tutto era fonte di ispirazione, soprattutto
comunque quello che lo colpiva nel profondo. Aveva poi fatto diversi viaggi per
ricercare la musica popolare, che rischiava di essere perduta. Aveva
collaborato con diversi artisti e gruppi, tra i quali gli Inti Illimani. Ma la
sua non era una musica che stava ferma. Non erano quelle mode che serpeggiano
ancora oggi ma che poi, dopo qualche breve periodo, svaniscono e non si
ricordano più. L'animo di Victor era propenso alla scoperta, alla ribellione
(anche se pacifica), al far capire alla gente quello che aveva dentro e quello
che accadeva. Ed è stato questo poi a fargli fare una brutta fine. Infatti,
verso la fine degli anni sessanta, le canzoni di Victor non erano più
autobiografiche, ma avevano maggiormente a che fare con i problemi, gli impegni
e gli obiettivi generali con cui si trovavano alle prese le popolazioni
dell'America Latina. Per esempio, una delle prime canzoni improntate su questo
genere, fu "El aparecido", che uscì nel 1967, con una dedica a
Ernesto Che Guevara. Era il periodo in cui il Che era partito da Cuba e Victor
voleva trasmettere questa "fuga" di questo rivoluzionario così grande
e coraggioso, che era quasi diventato un mito. In pratica Victor ammirava
quell'uomo e voleva semplicemente gridare la sua "approvazione", la
sua stima. Era affascinato dalla violenza della miseria e non escludeva il
fatto che un giorno dovesse egli stesso prendere le armi e combattere per fare
finire quel magro presente in cui si trovava a vivere. Ci furono altre canzoni
che raccontarono di questo, per esempio "El Soldado" dove diceva :
Soldato,
non spararmi,
non
spararmi, soldato!
Chi
ha appuntato quelle medaglie al tuo petto?
Quante
vite sono costate?
Io
so che la tua mano trema,
non
uccidermi,
io sono tuo fratello.
Era il periodo delle rivolte armate quindi, ma in
Cile questo ancora non era accaduto. Esistevano le canzoni di protesta, ma
molto diverse da quelle "commerciali" degli Stati Uniti, dalle voci
che si alzavano contro il Vietnam. IN quel periodo vi era al governo Frei e c'era
un grande malcontento sia da parte del popolo che da parte del partito
democristiano. C'erano varie richieste, per esempio la riforma universitaria e
cominciò quindi anche il grande movimento giovanile. Come ovunque nell'America
di allora. Si chiedeva che le università venissero rese accessibili ai figli di
operai e contadini. E in mezzo alle richieste e alle rivolte, c'erano i
cantautori. Gli artisti. Quelli che facevano sentire la loro voce e facevano
comprendere al popolo ciò che non andava. Come disse lo stesso Victor: "Un
artista deve essere un autentico creatore e quindi nel suo più profondo un
rivoluzionario... un uomo pericoloso quanto un guerrigliero a causa del suo
grande potere di comunicazione". Una delle canzoni più importanti di Victor
Jara (oltre alla bellissima "Te recuerdo Amanda") è “Preguntas por
Puerto Montt”, che documenta una tragedia ingiusta accaduta ai danni di povera
gente. Dei contadini, rimasti senza casa si erano insediati nel terreno di un
benestante ela polizia aveva il compito di cacciarli. Camminando sul terreno,
la polizia incappò nel primitivo sistema di allarme escogitato dai contadini.
Il frastuono dei barattoli fissati al filo spinato svegliò le famiglie
addormentate. Gridando, le donne trascinarono i bambini ancora semiaddormentati
fuori dai ricoveri di fortuna, raccogliendo in fretta e furia i neonati, mentre
gli uomini correvano qua e là, nel tentativo di spezzare il cordone dei
poliziotti. Alcuni afferrarono gli attrezzi di lavoro (vanghe, picconi,
qualsiasi cosa si trovassero sottomano) con l'idea di resistere; altri
cercarono di raggiungere il vicino insediamento di Manuel Rodriguez nella
speranza di trovarvi riparo. Ma la polizia aveva già circondato Pampa Irigoin.
Cominciarono a lanciare bombe lacrimogene, poi aprirono il fuoco con le
mitragliatrici. Molti uomini e donne caddero a terra feriti, mentre i
poliziotti appiccavano il fuoco alle primitive capanne che erano state le loro
abitazioni. Sette contadini furono uccisi e un bambino di sette mesi morì
soffocato dai gas lacrimogeni. Sessanta furono i feriti, la maggior parte al
torace e all'addome, perché la polizia sparava indiscriminatamente contro la
gente disarmata, e lo faceva con intenzione di uccidere. I contadini, tutti
senzatetto e per lo più privi di lavoro, avevano occupato cinque giorni prima
la terra appartenente alla famiglia Irigoin. Le piogge autunnali avevano già
cominciato a trasformare il terreno in un mare di fango e le capanne di fortuna
erano un ben misero riparo dall'acqua, ma erano le uniche case a disposizione
di quella gente, stanca di aspettare il diritto di vivere un po' meglio delle
bestie. Speravano, occupando la terra, di richiamare l'attenzione delle
autorità sulla loro difficile situazione, ma la risposta di Perez Zujovic era
stata l'ordine ai poliziotti di "fare il loro dovere" scacciando i
contadini dalla terra incolta, se necessario facendo ricorso alle armi da
fuoco. Perez Zujovic, un ricco uomo d'affari della destra del partito
democristiano, era responsabile del Grupo Movil e di tutti gli altri apparati
polizieschi repressevi usati in innumerevoli occasioni contro dimostranti e
scioperanti, comprese le loro famiglie, e studenti. Persino prima del massacro
di Puerto Montt era una delle figure più impopolari del movimento. L'indignazione
generale suscitata da quell'eccidio infiammò la già tesa situazione politica
del paese e nei giorni successivi a Santiago si ebbero violenti scontri di
piazza tra studenti e polizia. Oratori e artisti si avvicendarono sul palco per
condannare l'orrendo crimine ed esprimere partecipazione alle vedove e alle
madri delle vittime, giunte a Santiago dal Sud dopo il funerale collettivo dei
loro cari. Una folla sterminata, forse centomila persone, si accalcava per
molti isolati lungo l'ampia via. Fu lì che Victor canto per la prima volta in
pubblico la sua "Preguntas por Puerto Montt". Nelle settimane che
seguirono, ovunque andasse Victor si sentiva chiedere di cantare questa canzone
che prese a godere di una propria autonoma vita politica, e non passò molto tempo
che si ebbero le prime avvisaglie di conseguenze personali. Cominciarono una
serie di appostamenti per dargli diverse "lezioni". E le cose
sarebbero certo peggiorate se avesse continuato a cantare canzoni sovversive.
La campagna per le elezioni presidenziali cilene del
settembre 1970 cominciò a mettersi in moto con più di un anno di anticipo. Il
candidato del Partito Nazionale di destra era Jorge Alessandri, quello dei
democristiani era Radomiro Tomic. Le forze di Unità Popolare (che era una
coalizione cui partecipavano sia i socialisti che i comunisti, i radicali e i
cattolici di sinistra) raggiunsero un accordo a metà gennaio del 1970 e
scelsero Salvador Allende del Partito socialista. Salvador Allede Gossens
nacque a Valparaiso (Cile) il 26 luglio 1908.Fondò nel 1933 il partito
socialista cileno, divenne dal 1939 fino al 1941 ministro della sanità e dal
1045 venne eletto senatore per diventare poi presidente del senato nel 1968.
Egli era un grande nemico del potere economico, fu l'artefice di nazionalizzazioni
che sottrassero al capitale straniero, soprattutto americano, le ricche miniere
di rame del Cile, ottenendo così l'ostilità degli Stati Uniti d'America che
montarono una campagna contro la sua leadership. Il carattere di Unità Popolare, con la sua
ampia base di operai, contadini e della maggioranza dei giovani del paese, con
la sua mancanza di potere economico, fece sì che la sua campagna elettorale
dipendesse essenzialmente dalla mobilitazione di massa. Furono creati migliaia
di comitati elettorali locali, responsabili dalla straordinaria gamma di
attività politiche portate avanti in tutto il paese durante e dopo i lunghi
mesi della campagna. I media, invece come detto sopra, erano schierati contro la coalizione e quindi
era difficile riuscire ad avere una campagna elettorale ugualmente efficace.
Era sorta una nuova forma di arte popolare. Cominciò in maniera abbastanza
semplice, come rozzi scarabocchi di slogan e simboli su muri vuoti. Nella
frenesia della campagna elettorale la velocità era di primaria importanza
perché chiunque tracciasse graffiti poteva essere aggredito da bande di
estremisti di destra o arrestato dalla polizia. IN ogni angolo del paese
spuntavano squadre di graffitari. Molti erano i muri che potevano essere
dipinti in una notte, ma bisognava rifare il lavoro di continuo perché venivano
cancellati o rielaborati dagli avversari. Per avere il controllo dei luoghi
migliori e più visibili avvenivano veri e propri scontri. Alla fine fu Unità
Popolare a vincere la guerra dei muri di Santiago e di altre città, e a potersi
permettere di elaborare e dipingere sia immagini sia slogan, di riempiri di
vividi colori gli spazi delimitati da spessi contorni e di dar vita a
un'espressione visiva, assolutamente nuova, delle aspirazioni e dei desideri
della gente. La violenza che pervase quei mesi fu più di destra che di
sinistra. Unità Popolare sembrava andare fiera delle dimostrazioni
disciplinate, impetuose, a pacifiche. I Fascisti disponevano di gruppi
paramilitari tanto nelle città che nelle zone rurali, contrabbandando armi che
arrivavano dall'Argentina attraverso le montagne, ma il governo Frei esitava ad
assicurare alla giustizia gli influenti proprietari terrieri. Ci furono
dimostrazioni di massa contro l'incessante violenza, e in una di queste fu
ucciso Miguel-Angel Aguilera. Aveva solo diciotto anni. Apparteneva alla
Brigada Ramona Parra ed era andato alla manifestazione obbedendo alla chiamata
del suo sindacato. Se ne stava pacificamente all'angolo di Plaza Tropezon
insieme ai compagni di lavoro quando era stato raggiunto da un proiettile
sparato da un poliziotto in borghese che si era mischiato alla folla. Il
delitto infiammò la già rovente atmosfera politica. Il funerale fu un'imponente
marcia di centinaia di migliaia di persone che si accalcarono nell'ampia strada
che portava al cimitero, piene di rabbia e di una determinazione che, invece di
scemare, era stata accresciuta da quella morte assurda. Fu per Miguel-Angel
Aguilera che Victor compose la canzone "El alma llena de banderas" che coglie quello spirito ed esprime il senso
di una lotta epica in cui va affrontata anche la morte. Ecco il diario di Joan Jara, il giorno delle
elezioni:
4 settembre 1970.
Finalmente il giorno delle elezioni... La campagna
elettorale si è chiusa da ventiquattro ore e regna un innaurale silenzio, un
periodo di calma nella tempesta. Con il ricordo dell'ultima gigantesca
manifestazione di Unità Popolare ancora fresco in mente, impossibile non
sentirsi ottimisti. E' stata la più grande, la più entusiastica, la più
combattiva, lungo tutta l'Alameda, da Plaza Italia, oltre il Cerro Santa Lucia,
giù giù fino alla Stazione Centrale. In certi giorni c'erano fino a
ottocentomila persone, e ancora fatico a crederlo. Udire tutti loro cantare
"Venceremos" sembrava inverosimile. La gente va a votare di
buon'ora... i nostri vicini l'hanno fatto da un pezzo. Gran parte di loro vota
a Las Condes, ma Victor deve recarsi al Primo Distretto, in centro, dato che è
registrato al suo posto di lavoro. Anche Monica è già andata, e io sono qui da
sola con le bambine, Manuela, Amanda e Carola, la figlia di Monica. L'unica a
non votare sono io in quanto straniera residente. Ho diritto di voto alle
elezioni locali, non alle nazionali. Mi dico che, se Allende vince, varrà la
pena di sopportare tutta la trafila burocratica per ottenere la cittadinanza
cilena. Regna la calma, anche se è un
giorno tanto importante. Ma di solito in cile i giorni delle elezioni sono
così... dopo tutte le manifestazioni, la violenza, i disordini della campagna,
le votazioni vere e proprie si svolgono nella calma e nell'ordine. Tutto
dipende da quel che succede oggi. Se vince Alessandri sarà la fine di tutte le
nostre speranze. Se vince Tomic, non cambierà niente. E' difficile credere che
dopo tanti tentativi Allende possa davvero essere eletto Presidente. Se sarà
così, il popolo cileno avrà il proprio governo e andranno al potere i
lavoratori, i derelitti. Devo far da mangiare per le bambine. Di sicuro ci
saranno lunghe code alle cabine elettorali. Passeranno secoli prima che Victor
rincasi. Stasera non sopporto l'idea di dover sentire il trionfale
strombazzamento di clacson dei nostri vicini. E' orribile quando è la destra a
vincere alle elezioni. Scorrazzano per le strade sulle loro limousine e fanno a
gara a suonare freneticamente i clacson, lanciando insulti a chiunque non si
schieri con loro. Negli ultimi tempi qui attorno c'è stata un'atmosfera
decisamente ostile. Manuela l'ha notata persino tra i bambini: ha una grande
sensibilità per questo. Tra i vicini ci sono altri simpatizzanti per Unità
Popolare, ma se ne stanno tranquilli cercando di non dare nell'occhio. Noi non
abbiamo una simile possibilità. Non molti qui in giro osano esporre alla
finestra un manifesto di Allende, anche se ce ne sono a iosa per Alessandri e
per Tomic. In effetti, la simpatica famiglia del nostro medico è per Tomic, me
ne sono accorta. Lui però non ci è ostile.
E' tornato Victor. Sembra strano che non abbia niente da fare se non
tornare a casa e aspettare. Buffo che possiamo prendere assieme il tè. E' già
sera. Victor ha dimenticato di accendere la luce, non si è nemmeno accorto di
stare la buio. Si direbbe che abbia rinunciato all'idea di scrivere tutto
quanto succede. Siedo in terra accanto a lui e gli poso la testa sulle ginocchia.
Mi accarezza dolcemente i capelli e dice: "Mamita, che facciamo se vince
Alessandri?". Poi, dopo una pausa: "E che faranno loro se vince
Allende?". Alla radio, l'orrenda voce ufficiale continua monotona a dare i
risultati elettorali, adesso relativi all'intero paese. Impossibile dire chi
stia vincendo. E' ovvio che si tratta di una corsa serrata, e può darsi che il
governo controlli l'ordine in cui vengono annunciati i risultati. Eppure sembra
che Allende vada molto bene. Ogni vittoria di Alessandri ci fa rabbrividire, ma
forse teniamo la posizione. Fino ad ora si direbbe che i voti siano equamente
distribuiti, e gli esiti del Nord non sono ancora definitivi. Devono essere in
gran parte a favore di Allende. Il telefono suona. E' un amico di Victor: ci dice
che Allende ha praticamente vinto. Non pare corrispondere a quel che sentiamo
alla radio. Ci fissiamo e io strillo di eccitazione facendo salti in giro per
la stanza. Finora non avevamo osato sperare. E' di ritorno Monica, che
condivide il nostro entusiasmo. Un buon segno: nessun suono di festeggiamenti
nel vicinato. Cambiamo stazione radio per sentire se ci sono commenti che
confermino la vittoria di Allende. DI certo il funzionario del ministero non ha
fatto nessun annuncio del genere... Adesso le bambine sono a letto. Non ce la
facciamo più a restare in quest'incertezza e decidiamo di uscire. L'amico di
Victor ha detto che c'è un raduno di sostenitori di Unità Popolare davanti al
Cerro Santa Lucia. Monica rimarrà a casa. Usciamo nella notte solo per scoprire
che le altre case sono tutte al buio. Si direbbe che i giocatori di canasta
nostri vicini se ne siano andati a letto. Non c'è in giro nessuno, e la cosa mi
dà i brividi: di solito la notte delle elezioni nelle case vicine c'è un viavai
continuo. A marcia indietro Victor esce da sotto la tettoia, compiendo una
curva per uscire dal giardino, evita l'albero in cui io riesco sempre a
cozzare, ed eccoci fuori. Una cane lupo abbaia, e mentre ci allontaniamo Don
Juan, sentinella in piedi all'angolo, saluta a mano levata. E' un robusto ed
enigmatico ex poliziotto che fa la guardia notturna per il nostro gruppo di
case. Non sappiamo bene se è un amico o no, ma è certo che conosce ciò che
avviene in ognuna delle case. Le strade sono deserte. Lungo Avenida Colon i
palazzi sono bui, le persiane serrate. Persino i riflettori nei vasti giardini
sono stati spenti, benchè non sia poi tanto tardi. In Alameda il traffico è
scarso, ma sì, davanti all'edificio della FECH è radunata una grande folla.
Parcheggiamo l'auto sul retro e io seguo Victor che si fa strada tra la gente.
Viene riconosciuto, mentre passiamo gli danno pacche sulle spalle e scherzano
sul possibile risultato. Nessuno sembra sapere per certo cosa succede, ma c'è
un'aria pacata di festa.
Cinque minuti dopo
mezzanotte giunge il messaggio: Salvador Allende ha vinto le elezioni e il Jefe
de Plaza (cioè il comandante dell'esercito responsabile nella capitale delle
elezioni) ha autorizzato Unità Popolare a tenere una riunione pubblica. La
gente è già lì. I festeggiamenti sono in atto. L'Alameda è di nuovo affollata.
C'è chi si arrampica sui lampioni, sugli alberi, sui parapetti, e la folla
straripa su per a collina di fronte, nella speranza di intravedere Allende
mentre tiene il discorso. Dentro, gioia, abbracci, lacrime. MI ritrovo
sollevata da terra. Tutti si stringono e si abbracciano. La gente spinge per
arrivare vicino ad Allende e congratularsi con lui. Poi tocca a me. Gli do
quello che mi sembra essere un forte, disinibito abbraccio, la lui mi dice: "Abbracciami
più stretta, companera! Non è il momento di essere timidi!!". Pochi minuti
dopo esce sul minuscolo balcone della FECH per parlare come presidente eletto
del Cile. E' un balconcino angusto dall'aria poco sicura, c'è appena posto per
lui... Qualcuno è riuscito a portare un microfono, e non dei migliori. La folla
applaude e scandisce: "Allende! Alle-n-de! Alle-n-de!". Nella strada
si balla, ci si tiene per mano, si fanno catene, girotondi, si accendo falò...
Le ampie strade del centro sono all'improvviso piene di carri e cavalli venuti
dalle circostanti bidonville, stracarichi di gente, per fare festa tutti
assieme. Victor ed io non ce la facciamo più a stare chiusi dentro l'edificio e
corriamo fuori in strada per mischiarci alla folla. Cortei spontanei cominciano
a formarsi, inalberando torce improvvisate, e ci troviamo a marciare lungo
l'Alameda diretti alla Moneda, il palazzo presidenziale. All'improvviso, dalla
direzione opposta compare un contingente di soldati a bordo di autoblinde.
Sembra un presagio, una minaccia, ma ci passano accanto senza fare altro che un
gesto da parte di qualcuno dei soldati che ci osservano dall'alto dei loro
mezzi. Tra la folla scorgiamo parecchi
giovani democristiani con le loro bandiere. Sono venuti a congratularsi con
Unità Popolare... Non siamo sbronzi, ma c'è una sensazione di irrealtà, è come
un sogno. Quando mai si è vista la gente delle bidonville, con i bambini
cenciosi, scalzi, far festa a questo modo, in centro? Ogni tanto incontriamo
qualche conoscente... altri abbracci... Andrà avanti così tutta la notte... Ma
bisogna rincasare. Forse Monica ci aspetta in piedi, per sentire le ultime
notizie. Mentre una volta di più ci dirigiamo verso casa, a est di Plaza
Italia, sulle alture, non si ode alcun suono. Ci siamo lasciati alle spalle
un'atmosfera festosa e qui siamo soli. Mi chiedo che cosa succeda dietro le
persiano sbarrate dei palazzi. E mentre procediamo lungo la nostra strada
deserta, penso con che facce i vicini ci saluteranno domattina... o magari non
ci saluteranno affatto. Domani si vedrà. Siamo felici, ma anche preoccupati. I
Fascisti e la CIA lasceranno davvero che Allende assuma il potere? Dopo tutta
la violenza degli ultimi mesi sappiamo che non sarà facile. Quei soldati per le
strade, erano amici o nemici? Ci rannicchiamo per dormire con la sensazione che
il mondo stia andando a gambe all'aria. Il mattino successivo alle elezioni la
nostra felicità era già attenuata dalla consapevolezza che le forze della
destra non si sarebbero fermate davanti a niente pur di impedire ad Allende di
assumere il potere.
I calcoli definitivi avevano attribuito il 36,3 per
cento ad Allende, ad Alessandri il 34,9 e il 27,4 a Tomic. Secondo la
Costituzione cilena, nel caso, frequentissimo, in cui il vincitore non avesse
ottenuto la maggioranza assoluta dei suffragi, il Congresso doveva confermare i
risultati e in teoria poteva decidere di nominare presidente il concorrente
arrivato secondo. Ebbe allora inizio una serie di maneggi per convincere il
Congresso, in cui i democristiani costituivano l'ago della bilancia, a rompere
con la tradizione e proclamare presidente Jorge Alessandri, anziché Salvador
Allende. Il primo passo fu la pressione economica: autoindotto panico in Borsa,
il massiccio prelievo di fondi dalle banche e dalle società di costruzioni e
l'accaparramento di cibo e altri beni di prima necessità per creare carenze
artificiali. Alessandri corteggiava i democristiani con la promessa che, se
avessero votato a suo favore al Congresso, lui si sarebbe immediatamente dimesso
da presidente lasciando via libera a nuove elezioni. In questo caso Frei
sarebbe stato nuovamente eleggibile e, se a essere scelto dal partito fosse
stato lui anziché Tomic, avrebbe potuto contare sui voti di un'opposizione
compatta per battere Allende. Ma Allende cominciò il suo operato e tutti erano
convinti che si sarebbe trattato di un nuovo tipo di governo. IL nuovo spirito
fu messo alla prova il primo inverno dopo le elezioni. Il fiume Mapucho era
straripato ed intere famiglie rischiavano di essere spazzate via. Succedeva
tutti gli inverni: anche se capitava che qualche neonato morisse di freddo o di
polmonite, nessuno faceva nulla, a parte un po' di beneficenza, una
distribuzione di roba usata e vecchie coperte, e nessuna misura drastica veniva
presa per aiutare le vittime e impedire che simili calamità si ripetessero.
Adesso però, con un governo popolare, la risposta doveva essere diversa. E lo
fu. Le organizzazioni governative, i sindacati e persino le università vennero
mobilitati per portare immediato aiuto alle vittime del nubifragio che aveva
interessato una vasta area, devastando molte zone povere. Era la prima volta
che la tragedia della povertà toccava davvero tutto il mondo, anche quello più
privilegiato. Andando avanti col tempo ci furono diversi problemi, soprattutto economici,
causati da un embargo internazionale contro il rame del Cile, le cui navi
vennero bloccate nei porti europei, impossibilitate a proseguire o a scaricare.
In patria, la potente organizzazione dei camionisti entrò in sciopero,
apparentemente contro la minaccia di nazionalizzazione e la penuria di parti di
ricambio e gomme, ma in realtà in un coordinato tentativo di immobilizzare il
paese e rovesciare il governo di Allende. Bloccate le autobotti, la benzina
divenne immediatamente oro liquido: per comprarne pochi litri bisognava
attendere ore, spingendo a mano l'auto in coda per non sprecarne neppure una
goccia. Il cherosene scomparve. Beni di prima necessità, come farina per il
pane, latte per i bambini, riso, patate, zucchero, carne e uova, divennero
introvabili. Allo scopo di rendere la situazione ancora più critica, i
proprietari dei più grandi stabilimenti caseari ordinarono che migliaia di
litri di latte venissero buttati via. La risposta all'emergenza fu immediata.
Un numero considerevole di proprietari di camion, non aderirono allo sciopero
politico e costituirono una propria organizzazione indipendente, la MOPARE;
allo scopo di risolvere almeno in parte i problemi. Lavoratori, studenti,
insegnanti, artisti e molti liberi professionisti si unirono nel volontario
sforzo di contrastare gli effetti dello sciopero. Era giunto poi il momento di
nuove elezioni. Victor non solo sosteneva Unità Popolare con le proprie canzoni
e dibattiti che da queste nascevano, ma per la prima vlta in vita sua partecipò
alla campagna elettorale tenendo comizi. L'opposizione faceva tutto quanto era
in suo potere per ottenere una maggioranza di due terzi al Congresso in modo da
potere destituire Allende. I risultati furono attesi con ansia. Alla fine
risultò che Unità Popolare aveva ottenuto una percentuale di voti ancora più
alta di quando era stato eletto Allende. L'opposizione dovette prendere atto di
non avere speranza di eliminare Allende con mezzi democratici. In quel preciso
momento fu presa la decisione di rovesciare Allende con un golpe militare. Era
una minaccia sempre presente. La si vedeva tracciata sui muri: l'eufemistica
sigla SACO (Sistema di Azione Civile Organizzata), con la quale si annunciava
un'ondata di violenze, e "Arriva Giacarta", allusione al massacro di
centinaia di migliaia di comunisti avvenuto in Indonesia nel 1965. In maggio,
una delle prime vittime fu un giovane muratore, Roberto Ahumada. Mentre stava
partecipando a una pacifica manifestazione contro la violenza e il terrorismo
delle destra, era stato colpito a morte da un proiettile che risultò provenire
dal tetto della sede della Democrazia Cristiana. Victor fu personalmente
colpito da quella morte e scrisse "Cuando voy al trabajo", una
canzone d'amore con una premonizione di morte, che esprimeva anche i sentimenti
personali di Victor. Il 26 maggio, nella sua casa al mare di Isla Negra, dove
si era ritirato a causa della cattiva salute, Neruda venne intervistato dalla
televisione nazionale. Nel discorso tenuto allo stadio quando era tornato in
patria in dicembre, aveva ricordato a tutti gli orrori sofferti dal popolo
spagnolo durante la guerra civile, ammonendoci che c'erano certi cileni i quali
trascinare il paese in quello stesso tipo di confronto. "Io ho il dovere
poetico, politico e patriottico di mettere in guardia il Cile contro questo
incombente pericolo", erano state le sue parole. Adesso il suo messaggio
fu ancora più imperioso: Neruda invitò tutti gli artisti e gli intellettuali,
dentro e fuori del Cile, a unirsi a lui in un tentativo di allertare la gente
sul concretissimo pericolo di un colpo di stato fascista, affinché la
popolazione si rendesse conto del reale significato, in termini di sofferenze
umane, di una guerra civile, così apertamente definita "inevitabile"
da certi settori dell'opposizione. L'intero movimento culturale rispose
all'appello di Neruda. Il 29 giugno ci fu un tentativo di golpe militare. Carri
armati avanzarono verso il palazzo della Moneda. La sollevazione era limitata a
un unico reggimento corazzato, agli ordini di un certo colonnello Roberto
Souper. Un piano militare assai più complesso
e ambizioso era stato annullato all'ultimo momento, e solo il reggimento
di Souper non ne era stato informato, o forse non aveva obbedito. Le guardie
del palazzo si erano mantenute fedeli al presidente e, mentre il reggimento
corazzato ribelle si avvicinava ala residenza presidenziale, il generale Carlos
Prats, nella sua veste di comandante in capo delle forze armate, era uscito a
incontrarlo a piedi, armato solo di un fucile mitragliatore, ordinando la resa
agli ufficiali che lo comandavano. Vedendosi isolati, senza l'appoggio
previsto, questi avevano obbedito e i carri armati avevano fatto dietrofront
per rientrare in caserma, mentre Souper era stato posto agli arresti. La crisi
era stata superata e in apparenza le forze armate nel loro complesso si erano
mostrate fedeli al governo costituzionale. Tuttavia, ventidue persone erano
morte e, tra queste, un fotografo svedese la cui cinepresa continuò a
funzionare mentre lui veniva colpito da un ufficiale ribelle. Il film venne
recuperato e successivamente proiettato in tutto il mondo. Allende compì un
ultimo tentativo per giungere a un accordo con i democristiani, che però non
nutrivano più alcun vero interesse per il negoziato, così come non c'era più
consenso neppure all'interno di Unità Popolare. Adesso l'estrema destra
concentrava i propri sforzi sui militari. La prima vittima fu l'aiutante di
campo di Allende, Arturo Araya, assassinato dai sicari alla fine di luglio,
mentre si trovava sul balcone di casa sua. Tuttavia, l'ostacolo maggiore per
l'attuazione di un golpe era il comandante in capo dell'esercito, il generale
Prats. Contro di lui furono mobilitate le mogli di parecchi fra i più autorevoli
generali dell'esercito le quali indissero una dimostrazione davanti a casa sua,
sventolando piume bianche, coprendolo di insulti e accusandolo di codardia
perché non interveniva "a salvare il Cile dal Marxismo". I generali
con questa mossa diedero il via all'ammutinamento. La posizione di Prats si era
fatta insostenibile, per cui non gli rimase altra alternativa che presentare le
dimissioni.
Gli ultimi giorni prima del colpo militare la
situazione in Cile era insostenibile. I giornali di destra chiedevano la
rinuncia di Allende, l'esilio e insinuavano persino che si dovesse suicidare.
Al suo tavolo il presidente diceva: "Non rinuncerò. Non tradirò il popolo.
Da La Moneda uscirò alla fine del mio mandato o mi porteranno fuori
morto". Ecco il Diario di Joan al momento del Golpe:
11 settembre 1973
Accendo la radio e sento che Valparasio è stata
isolata e che ci sono insoliti movimenti di truppe. Trovai Victor nello studio
intendo ad ascoltare la radio, e assieme ci rendemmo conto che quasi tutte le
stazioni di Unità Popolare venivano zittite, per via delle antenne danneggiate,
o perché erano state occupate dai militari, e udimmo una musica marziale
sostituirsi alla voce del presidente... "Questa è l'ultima volta in cui
sarò in grado di parlarvi... Non mi arrenderò... Ripagherò con la mia vita la
lealtà del popolo... A voi dico: sono sicuro che i semi che abbiamo gettato
nella coscienza di migliaia e migliaia di cileni non possono venire
completamente sradicati... non si sono né crimine né forza abbastanza potenti
da arrestare il processo di mutamento sociale. La storia ci appartiene perché è
fatta dal popolo..." . Era il discorso di un uomo eroico che sapeva di
essere prossimo alla morte, ma in quel momento lo udimmo solo a sprazzi. A un
tratto, Victor fu chiamato al telefono... Ascoltare le parole di Allende mi era
quasi insopportabile. Victor aveva deciso che doveva recarsi al suo posto di
lavoro, l'Università Tecnica. Era impossibile dirsi addio come si deve. Se lo
avessimo fatto mi sarei aggrappata a lui senza lasciarlo andare, per cui ci
comportammo in maniera disinvolta. "Mamita, sarò di ritorno appena
possibile... tu lo capisci, devo andare... non temere".
"Ciao"..e, quando tornai a guardare, Victor era scomparso. Ascoltando
la radio, tra una marcia militare e l'altra udii gli annunci. Proclami militari
che annunciavano che ad Allende era stato rivolto un ultimatum affinché si
arrendesse ai comandanti delle forze armate guidate dal generale Augusto
Pinochet... che se non si fosse arreso entro mezzogiorno il palazzo della
Moneda sarebbe stato bombardato. All'improvviso udimmo un rombo, poi il sibilo
di un jet in picchiata, e infine una spaventosa esplosione. Era come trovasi in
guerra. Arrivarono poi gli elicotteri, bassi sopra gli alberi del giardino. Dal
balcone della nostra camera da letto lividi, fermi in aria, come sinistri
insetti, colpire d'infilata la casa di Allende a colpi di mitragliatrice. I
vicini sono fuori nel patio, chiacchierano tutti eccitati, alcuni sono
affacciati ai balconi per vedere meglio l'attacco alla casa di Allende... hanno
in mano bicchieri... una casa sfoggia persino una bandiera... Sentiamo che il
palazzo della Moneda è stato bombardato ed è in fiamme.. ci chiediamo se
Allende sia sopravvissuto... di questo non dicono niente. Viene imposto il
coprifuoco. Avevo ricevuto una telefonata di Victor. Egli era arrivato
all'Università. L'indomani il coprifuoco venne tolto solo nella tarda
mattinata. Mi consumavo nell'attesa di Victor, tutta tesa a cogliere il rombo
dell'auto mentre avanzava sotto il glicine. Calcolavo quanto gli volesse per
coprire il tragitto dall'università.. Aspettai, ma Victor non tornò. Attaccata
alla televisione, prossima al vomito per quel che mi toccava vedere, scorgendo
le facce dei generali che parlavano di "sradicare il cancro del
marxismo" dal paese, udendo l'annuncio ufficiale della morte di Allende,
vedendo il filmato delle rovine del palazzo della Moneda e della casa di
Allende ripetuto all'infinito, con riprese della camera da letto, della sua
stanza da bagno (o quel che ne rimaneva) con un "arsenale di armi"
che appariva pateticamente scarso considerando che i suoi agenti avrebbero
dovuto proteggerlo da attacchi terroristici. Solo a pomeriggio avanzato sentii
che l'Università Tecnica era stata conquistata, che i carri armati erano
penetrati di mattina entro la cinta universitaria e che numerosi
"estremisti" erano stati arrestati. La mia ancora di salvezza era il
telefono. Il mattino dopo avevo scoperto che i detenuti dell'Università erano
stati portati all'Estadio Chile, il grande stadio in cui Victor aveva tanto
spesso cantato e dove si erano tenuti i Festival della canzone. Non ero certa
che Victor vi si trovasse. Nel pomeriggio squillò il telefono. Una voce
sconosciuta, molto nervosa chiese della companera Joan. "Lei non mi
conosce, ma ho un messaggio per lei da suo marito. Io sono appena rilasciato
dall'Estadio Chile... Victor è là... mi ha incaricato di dirle che deve stare
calma e rimanere in casa con le bambine... che ha lasciato l'auto nel parcheggio
davanti all'Università Tecnica, e di mandare magari a prenderla per lei... lui
non crede che verrà rilasciato dallo stadio".
Martedì 18 settembre
Circa un'ora dopo che il coprifuoco è stato tolto,
sento scuotere il cancello come se qualcuno cercasse di entrare. E' ancora
chiuso a chiave... Guardo dalla finestra del bagno e vedo un giovanotto fermo
lì fuori. Sembra inoffensivo, così gli vado incontro. A voce bassissima mi
dice: "Cerco la companera di Victor Jara. E' questa la casa? Si fidi di
me...sono un amico". E mi mostra la sua carta d'identità. "Posso
entrare un momento? Devo parlarle". Sembra nervoso e preoccupato.
Sussurra: "Sono un membro dei Giovani Comunisti". Apro il cancello
per farlo entrare e ci accomodiamo in soggiorno, uno di fronte all'altra.
"Mi scusi, dovevo venire a cercarla... Mi addolora venirle dire che Victor
è morto... il suo corpo si trova all'obitorio. E' stato riconosciuto da uno dei
compagni che ci lavorano. La prego, si faccia forza, deve venire con me per
vedere se si tratta proprio di lui... Indossava mutande blu scuro? Deve venire
perché il suo corpo è lì già da quasi quarantotto ore e, a meno che non venga
richiesto, sarà portato via e seppellito in una fossa comune". Mezz'ora
dopo mi ritrovai a guidare con uno zombi lungo le strade di Saniago, con quel
giovane sconosciuto al mio fianco. Hector, così si chiamava. L'obitorio era
talmente pieno che i cadaveri straripavano in ogni parte dell'edificio,
compresi gli uffici dell'amministrazione. Un lungo corridoio molte parte, e sul
pavimento una lunga fila di corpi, questi vestiti, certi hanno più l'aspetto di
studenti, dieci, venti, trenta, quaranta, cinquanta... e lì, nel centro della
fila, trovo Victor. Era Victor, anche se appariva esile e macilento.. Che cosa
gli avevano fatto per ridurlo in un simile stato in una sola settimana? Gli
occhi erano aperti e parevano ancora guardare davanti a sé, intensi e pieni di
sfida, nonostante una ferita alla testa e terribili lividi sulla faccia. Aveva
gli abiti strappati, i pantaloni abbassati alle caviglie, il maglione tirato
fin sotto le ascelle, le mutande blu ridotte a brandelli con un coltello o una
baionetta... il torace tutto segnato di colpi e una ferita aperta all'addome.
Le mani sembravano pendere dalle braccia con una strana angolazione, come se i
polsi fossero spezzati... ma era Victor, mio marito, il mio amante. In quel
momento morì anche qualcosa in me. Sentii un'intera parte di me morire mentre
me ne stavo lì. Immobile e muta, incapace di muovermi, di parlare. Il giorno
dopo il quotidiano La Segunda pubblicò poche righe in cui si annunciava la
morte di Victor come se fosse trapassato in pace nel proprio letto: "I
funerali si sono tenuti in forma privata, alla presenza dei soli parenti".
Poi ai mezzi di comunicazione fu ordinato di non parlare mai più di Victor.
Tuttavia, alla televisione qualcuno rischiò la vita per inserire poche battute
di La Plegaria, nella colonna sonora di un film americano.
Mi ci vollero mesi,
addirittura anni, per mettere insieme qualche frammento di ciò che era successo
a Victor nella settimana in cui per me fu disperso. Molte persone non erano
neppure in grado di parlare delle proprie esperienze, avevano paura di darne
testimonianza, non sopportavano di ricordare. Sotto simili orrende pressioni e
sofferenze, la gente perdeva il senso del tempo e persino del giorno della
settimana in cui erano accaduti quei fatti. Tuttavia, poco alla volta,
raccogliendo le prove da profughi cileni in esilio che avevano condiviso con
Victor tali esperienze, che si erano trovati con lui ini quei drammatici
momenti, sono riuscita a ricostruire a grandi linee ciò che dovette subire
mentre io lo aspettavo a casa. Quando si trovava all'università l'intero campus
era circondato da carri armati e truppe. Per tutte le lunghe ore della sera,
ascoltando le esplosioni e il pesante fuoco delle mitragliatrici che
risuonavano ovunque nel quartiere, Victor cercò di tenere alto lo spirito dei
presenti. Cantò e li convinse a cantare con lui. Non avevano armi per
difendersi. Il crepitio delle mitragliatrici andò avanti tutta la notte. Chi
tentò di lasciare l'università con il
favore delle tenebre venne giustiziato sul posto, ma fu solo all'alba
del mattino dopo che l'attacco ebbe davvero inizio, con i carri armati che
cannoneggiavano pesantemente gli edifici, danneggiando le strutture, mandando
in pezzi le finestre e distruggendo laboratori, attrezzature, libri. Nessuno
rispose al fuoco perché là dentro non c'erano armi. Dopo che i carri armati
avevano fatti irruzione nell'area universitaria, i soldati procedettero e a
radunare tutti i presenti, compreso il rettore, in una vasta radura usata di
solito per attività sportive. Colpendoli con i calci dei fucili e con gli
stivali, costrinsero tutti a sdraiarsi a terra, le mani dietro la nuca. Victor
giacque lì con gli altri, e forse fu uscendo dall'edificio che si sbarazzò
della carta d'identità nella speranza di non venire riconosciuto. Dopo essere
rimasti lì per più di un'ora, vennero messi in fila e costretti ad andare di
buon passo fino all'Estadio Chile, distante sei isolati, fatti segno nel
frattempo a insulti, calci e colpi. FU mentre se ne stavano allineati fuori
dallo stadio che Victor venne riconosciuto da uno dei sotto ufficiali:
"Sei tu quel fottuto cantate, cero?" e lo colpì alla testa facendolo
cadere, sferrandogli pi calci allo stomaco e alle costole. Victor venne
separato dagli altri e messo in una galleria speciale, riservata a prigionieri
"importanti" o "pericolosi". I suoi amici che lo videro da
lontano ne ricordano il sorriso radioso che rivolse loro nonostante l'orrore di
cui erano testimoni e benché avesse il volto sanguinante e fosse ferito alla
testa. Più tardi lo videro raggomitolato sui sedili, le braccia stretta attorno
al capo per ripararsi dal freddo pungente. Ci furono vari episodi di violenza
assurda verso di lui, per esempio quello di un
uomo, biondo, che camminava tutto impettito, fiero del ruolo che
ricopriva Alcuni dei prigionieri l'avevano già soprannominato "Il
Principe". Non appena si trovò davanti Victor diede a vedere che l'aveva
riconosciuto e sorrise sarcastico. Mimando i gesti di chi suona una chitarra,
ridacchiò, quindi si passò rapido le dita da una parte all'altra della gola.
Victor rimase calmo e accennò a un gesto di risposta, ma a quel punto
l'ufficiale gridò: "Che ci fa qui questo bastardo?". SI rivolse alle
guardie che lo seguivano e disse: "Che resti qui. Me ne occupo io
personalmente!" Più tardi, Victor fu trasferito nel seminterrato, ci sono
vaghe testimonianze della sua presenza in un corridoio, là dove tanto spesso si
era preparato a cantare, ma adesso era accasciato a terra, coperto di sangue
sul pavimento inondato di urina ed escrementi che fuoriuscivano da un
gabinetto. A sera fu riportato nel corpo principale dello stadio, con gli altri
prigionieri. Riusciva a fatica a camminare, il viso e la testa insanguinati e
tumefatti, doveva avere una costola rotta e avvertiva dolori allo stomaco per i
calci che aveva preso. Gli amici gli ripulirono la faccia e cercarono di
alleviargli le sofferenze. Uno di loro aveva un barattolo di marmellata e
qualche biscotto. Si spartirono quel cibo in tre o quattro, immergendo uno dopo
l'altro le dita nella marmellata e leccandone fin l'ultima traccia. Il giorno
dopo, venerdì 14 settembre, i prigionieri vennero divisi in gruppi di circa
duecento, pronti a essere trasferiti allo Stadio nazionale. FU allora che
Victor, ripresosi leggermente, chiese agli amici se qualcuno di loro avesse
carta e matita e cominciò a scrivere una lunga poesia. Alcuni dei peggiori
orrori del golpe militare ebbero luogo all'Estadio Chile in quei primi giorni,
prima che intervenissero la Croce Rossa, Amnesty Internestional o qualche
funzionario delle ambasciate straniere. Migliaia di prigionieri vi furono
tenuti per giorni e giorni, in pratica senza cibo o acqua, sotto riflettori
accecanti sempre accesi così da far loro perdere completamente ogni senso del
tempo e persino la consapevolezza del giorno e della notte; tutto attorno allo
stadio erano sistemate mitragliatrici che a intermittenza sparavano in aria o
sopra la testa dei prigionieri; dagli altoparlanti uscivano sequele di ordini e
minacce; il comandante era un uomo corpulento e se ne poteva vedere soltanto la
sagoma mentre avvisava che le mitragliatrici erano dette "seghe di
Hitler" perché potevano tagliare in due un uomo... e l'avrebbero fatto se
necessario. I prigionieri venivano chiamai a uno a uno e trasferiti da una parte all'altra dello
stadio. Riposare era impossibile. La gente veniva spietatamente colpita con
fruste e calci di fucile. Un uomo, incapace di sopportare quella situazione, si
lanciò dalla balconata e precipitò, morendo tra i prigionieri lì sotto. Altri
ebbero crisi di follia e furono uccisi a fucilate davanti a tutti. Come
scribacchiò Victor, lui cercava di registrare, affinché il mondo ne fosse
informato, qualcosa dell'orrore che era stato scatenato in Cile. Lui era in
grado di testimoniare solo sul suo "piccolo angolo di città" in cui
erano detenute cinquemila persone; quel che accadeva nel resto del paese poteva
solo immaginarlo. Doveva essersi reso conto dalle mostruose dimensioni
dell'operazione militare, della precisione con la quale era stata preparata. Ma
anche in quelle condizioni Victor continuava a sperare nel futuro, fiducioso
che alla fine il popolo si sarebbe dimostrato più
forte di bombe e mitragliatrici... e quando arrivò agli ultimi versi, per i
quali aveva già in mente la musica ("Com'è difficile cantare quando devo
cantare l'orrore"..) venne interrotto. Un gruppo di guardie arrivò a
prenderlo, a separarlo da quelli che stavano per essere trasferiti allo Stadio
Nazionale. Fece rapidamente scivolare il pezzetto di carta a un companero
seduto accanto a lui, il quale a sua volta se lo nascose nelle calze mentre
veniva portato via. Ognuno dei suoi amici aveva cercato di imparare la poesia a
memoria, in modo da permetterne la diffusione fuori dello stadio. Non videro
mai più Victor. Nonostante che una grande quantità di persone venisse
trasferita in altri campi di prigionia, l'Estadio Chile rimase affollatissimo
perché un numero sempre più alto di arrestati, uomini e donne, continuava ad
arrivare. Ho altre due labili tracce della presenza di Victor nello stadio,
altre due testimonianze: un messaggio per me, recato da un uomo che gli era
stato accanto per qualche ora, nei camerini trasformati adesso in camere di
tortura, un messaggio d'amore per le sue figlie e per me; un'ennesima scarica
di insulti e colpi: l'ufficiale soprannominato il Principe che sbraita contro
di lui, ai limiti dell'isterismo: "Canta adesso, se ci riesci,
bastardo!" e la voce di Victor che si leva nello stadio, dopo quei quattro
giorni di sofferenza, intonando un verso di "Venceremos", l'inno di
Unità Popolare, dopodiché fu pestato a sangue e trascinato via per l'ultimo
atto della sua agonia. Lo stadio per il pugilato sorge a pochi metri di
distanza dalla principale linea ferroviaria per il Sud che, uscendo da
Santiago, attraversa il distretto operaio di San Miguel costeggiando il muro di
cinta del Cimitero metropolitano. Fu lì che domenica 16 settembre, di primo
mattino, gli abitanti rinvennero sei cadaveri disposti ordinatamente in fila.
Tutti presentavano orrende ferite e risultavano mitragliati a morte. Ogni viso
venne scrutato nel tentativo di identificare i corpi, e all'improvviso una
delle donne gridò: "Questo è Victor Jara!" che da loro era tanto
conosciuto e amato. Poi arrivò un furgoncino e ne uscirono degli uomini vestiti
da civili. Da lì il corpo deve essere
stato trasferito all'obitorio cittadino, un corpo anonimo destinato a
scomparire in una fossa comune. Ma una volta di più fu nuovamente riconosciuto.
Dopo tutto questo, il 23 settembre, morì anche Pablo Neruda. Il suo funerale fu
annunciato per il 25 settembre. Andare al funerale era impossibile, molto
pericoloso. Eppure, centinaia di persone si erano raccolte per rendere omaggio
a Neruda, nonostante i soldati allineati in strada, i mitra minacciosamente
impugnati, e la polizia segreta che scrutava la folla alla ricerca di facce di
ricercati. Si udivano le poesie di Neruda recitate nella folla da una persona
dopo l'altra, verso dopo verso, sfidando la minaccia delle uniformi che ci
circondavano; si vedevano i muratori di un edificio in costruzione sull'attenti
con gli elmetti gialli in mano, alti sopra di noi sui ponteggi; altri facevano
ala lungo la strada, benché la folla fosse circondata dai militari.
"Levati a nascere con me, fratello" e "Vieni a vedere il sangue
nelle strade..": i versi di Neruda assumevano un significato ancora
maggiore mentre venivano ripresi da una voce dopo l'altra, affrontano il
visibile volto del fascismo. La presenza di decine di giornalisti stranieri,
troupe cinematografiche, telecamere, ci proteggeva da aggressioni e
interferenze, ma non appena il corteo arrivò all'ultima tappa, la rotonda
davanti all'ingresso principale del cimitero, un convoglio di militari blindati
avanzò dalla direzione opposta, piegando verso di noi. La folla rispose con
grida di "Companero Pablo Neruda, presente ahora y siempre!"
"Companero Salvador Allende, presente, ahora y siempre!" "Companero
Victor Jara, presente, ahora y siempre!" prorompendo infine
nell'Internazionale, dapprima incerta, nervosa, poi sempre più squillante via
via che tutti prendevano a intonarla. Fu l'ultima dimostrazione pubblica di
Unità Popolare in Cile, la prima dimostrazione pubblica di resistenza a un
regime fascista. Mentre assistevamo alla sepoltura temporanea di Neruda (più
tardi la salma sarebbe stata spostata in fondo al cimitero, vicino alla tomba
di Victor), ascoltando i discorsi sotto un cielo grigio e nuvoloso, molte
persone vennero ad abbracciarmi, gente che non conoscevo, amici che non ho mai
più incontrato, anche se in seguito ho trovato il nome di almeno uno di loro
nelle liste dei desaparecidos.
Questi desaparecidos sono, ovviamente, tutti quelli
che erano contro il regime fascista, che furono identificati e uccisi, uno dopo
l'altro. I nomi sono stati resi noti, ma lo stato nega che tutto ciò sia mai
accaduto, nonostante le madri e i parenti delle vittime continuino a chiedere
che almeno sia data loro la verità.
Di seguito ecco l'ultimo scritto di Victor Jara,
quello scritto nello stadio, durante la sua prigionia.
Ci sono cinquemila di noi/in questo piccolo angolo
di città./Noi siamo cinquemila./Mi chiedo quanti siamo in tutto,/nelle città e
nel paese intero./ Solo qui/ ci sono diecimila mani che piantano semi/ e fanno
funzionare le fabbriche./ Quanta umanità/ esposta a fame, freddo, panico,
sofferenza, / pressione morale, terrore e follia?/Sei di noi erano perduti/
come nello spazio astrale./ Uno morto, un altro picchiato come mai aveva
creduto/ un essere umano potesse venir pestato./ Gli altri quattro vollero
metter fine al loro terrore: /uno saltando nel nulla,/ un altro dando di testa
contro un muro, /ma tutti avevano nello sguardo la fissità della morte./ Quale
orrore genera il volto del fascismo!/ Eseguono i loro piani con chirurgica
precisione. /Niente importa loro. / Per costoro, il sangue equivale alle
medaglie, /Il macello è un atto di eroismo./ O Dio, è questo il mondo che hai
creato, /a ciò sono serviti i tuoi sette giorni di lavoro e meraviglia?/ Dentro
queste quattro mura solo un numero esiste/ che non fa progressi,/ che
lentamente non altro desidererà se non la morte./Ma all'improvviso la mia
coscienza si ridesta,/e capisco che quest'ondata non ha il battito del cuore,/
solo la pulsazione delle macchine/e i militari che mostrano i loro visi da
levatrici/ piene di dolcezza./Messico, Cuba e il mondo intero,/ gridate alto
contro quest'atrocità!/Noi siamo diecimila mani/ che non possono produrre niente./
Quanti di noi nel paese intero?/Il sangue del nostro presidente, il nostro
companero,/ colpirà con più forza che non le bombe e i mitra!/ così il nostro
pugno colpirà di nuovo!/ Com'è difficile cantare/ quando devo cantare
l'orrore./L'orrore che sto vivendo,/l'orrore di cui sto morendo./Vedermi in
mezzo a così tanti/ e innumerevoli momenti di infinito/ nel quale silenzio e
grida/ sono la fine della mia canzone./Ciò che vedo, non l'ho mai visto prima./
Ciò che ho provato e ciò che provo/daranno vita al momento...
Estadio Chile, Settembre 1973
Alice (Victor Jara -
una canzone infinita)
TE RECUERDO
AMANDA
(Victor Java)
Te recuerdo Amanda,
la calle mojada,
corriendo a la fábrica
donde trabajaba Manuel.
La sonrisa ancha, la lluvia en el pelo,
no importaba nada, ibas a encontrarte con él,
con él, con él, con él, con él.
Son cinco minutos.
La vida es eterna en cinco minutos.
Suena la sirena de vuelta al trabajo,
y tú caminando, lo iluminas todo.
Los cinco minutos te hacen florecer.
La sonrisa ancha, la lluvia en el pelo,
no importaba nada, ibas a encontrarte con él,
con él, con él, con él, con él.
Que partió a la sierra.
Que nunca hizo daño. Que partió a la sierra,
y en cinco minutus quedó destrozado.
Suena la sirena, de vuelta al trabajo.
Muchos no volvieron, tampoco Manuel.
Un fischio ed un gran
rumore,
e poi del fumo, denso, nero
che si spande nel cielo
sopra la stazione.
Non ci posso credere
e ad un primo sguardo
non sembra esserlo,
ma guardando bene...
Eh, sì! Sembra di stare
dentro uno di quei film,
di un western all'italiana,
ma non ci sono indiani!
Ha solo le vetture
agganciate davanti,
ma è proprio una tipica
locomotrice a vapore,
una vista in tanti film.
Poi guardo le carrozze
e... sembran arrivate
da un'altro pianeta.
Me ne innamoro,
alla faccia dell'alta velocità
e dei treni super comodi,
quello che ho di fronte
è un pezzo di storia
ancora funzionante.
Il macchinista apre una botola
e... eccolo il fuoco!
Non vedo le fiamme,
ma vedo il rosso
del carbone che brucia
e mi immagino tutto.
E' là per una gita
di qualche scuola elementare,
io pagherei per poter andare,
salire su quelle carrozze,
sedermi su quei seggiolini in legno,
per volare con quel treno,
vedere posti fantastici.
Correre veloce in mezzo al niente
e colorare tutto di allegria.
Vorrei tanto salirci,
ma mi accontento
di vederlo partire lentamente
con un fischio...
ma manco quello:
"Tutti in carrozza!"
ora c'è solo un segnale
tra due controllori,
e così la poesia
un poco finisce.
Poi un fumata più nera
e... si parte "tutti in carrozza",
il fischio che ci saluta
e un'ombra che si allontana
perdendosi dentro un'antica nube.
Gianluca
03 maggio 2000
ore 13.26
Siena
SENZA TITOLO
Sono
sola e osservo il cielo offuscato da grigie nubi.
Le
montagne riflettono la tristezza dei torti subiti,
non c'è più il sole che da luce ai miei occhi pieni di delusione.
La
fredda brezza mi accarezza la pelle quasi volesse consolarmi,
vedo lontano la luna e una stella piccola piccola che gli fa compagnia,
sorrido
e ingenua penso che il cielo domani sarà azzurro e che il sole sarà nei miei
occhi.
Caro
amico silenzio, ogni giorno mi esplodi dentro cercando anche tu una parola
d'amore.
Ti
scorrono nelle vene mari burrascosi, fiumi sgargianti eppur sei solo,
vicino
ai ricordi di chi ti ama, vicino agli occhi sbarrati di chi non ti cerca eppur
si ritrova tra le tue immense braccia.
Tu
che sospiri tra le labbra di chi si sente perso raffreddando un tramonto acceso
sull'amore.
Caro
silenzio ogni notte aleggi sul mio cuscino spargendo i semi della solitudine
che fioriranno imponenti nella mia vecchiaia.
Forse
il mio star sveglia è un cercar di allontanarti ma poi mi ritrovo ad aver
bisogno di te e ti cerco scaraventando le ciglia pesanti di lacrime nelle tue
mani incolori.
Di
nuovo sei qui e di nuovo ti caccerò stanca di te Caro nemico silenzio.
SENZA TITOLO
Le
nuvole vanno e vengono occupano il cielo altrimenti troppo azzurro….
E
sono come le occasioni che si affacciano prepotenti di fronte a noi
Spinte
dal vento del destino e sono come le emozioni che violente ci
bucano
il cuore e lo stomaco facendoci star male ma rendendoci felici di averle
vissute.
Occhi
neri e bardati di sangue
Simili
a candele bruciate.
Facce
butterate da ecchimosi e
da
una sottile filigrana di putrefazione
pelle
che si stacca come merletto sporco di sangue.
Piccole
creature che corrono sulla loro pelle
bocca
chiusa con il filo chirurgico.
Il
nero dei punti che
risalta
sul pallore della pelle esangue.
Hanno
palpebre cucite
camminano
barcollando
nel
caos delle illusioni,
procedendo
a tentoni,
incapaci
di vedere.
Corpi
straziati e tendini con pus
braccio
mozzato.
Nonostante
le bocche cucite
si
sentono le grida con cui cadono a terra
Rimangono
esanimi a terra
senza
occhi né bocche
con
corpi consumati dai vermi della
putrefazione,
ma
i cadaveri delle bambole
continuano
a camminare.
Sheila (scritta dopo aver
letto un libro)
Sono
infangata nel vuoto
rotta
dal desiderio di pace
Ferita
e pugnalata da fantasmi viventi.
Sono
umiliata, sono deflorata.
Sto
crepando nella polvere
Polvere
che luccica d'oro.
I
miei occhi sono bui.
Bui
e mangiati da maledizioni.
Gettami
nell'oblio,
nel
vuoto infinito
in
modo che io possa galleggiare.
Fammi
tornare nell'utero,
nella
pace che c'è!
Sono
stanca, triste e annebbiata.
Gli
spiriti bianchi e puri
mi
hanno rubato l'anima
uccisa
dagli spiriti ubriachi d'odio
e
affamati di perdenti.
Sheila (esperienza Personale)
Figlia
del vuoto
figlia
nera caduta nel vuoto
figlia
mangiata dalla merda
figlia
mangiata dai cancri neri
e
amata dai gigli e dai giunchi.
Dove
hai messo la tua anima?
È
volata via, trascinata dal vento scuro
e
inseguita da tutte le maledizioni ombrose.
Perché
sei triste?
Non
lo so.
Sto
qua seduta a guardare
e
mi sto perdendo nel vuoto della mia anima.
Dov'è
la tua vita?
È
caduta nel buco di qualche cesso.
Sto
annegando
afferrami.
Afferrami
ti prego!
Sto
precipitando nell'oblio
nel
gelo del mio cuore
Sheila (esperienza personale)
METTETEMI IN CROCE
Mettetemi
in croce amici miei
Se
vi piace così
Se
vi fa stare meglio.
Oggi
non ho scuse
e
devo uscirne viva.
È
meglio se sto zitta
è
meglio se muoio.
Stringiti
addosso le tue gioie estreme
non
perdere mai le tue foto preziose.
Oggi
non ho scuse
e
devo uscirne viva.
Mettetemi
in croce, amici miei
Se
vi piace così
Se
vi fa stare meglio.
Ho
disegnato un cuore
e
ci piangerò sopra.
Ho
costruito una scatola
e
ci morirò dentro.
Ho
disegnato un cuore
e
ci annegherò dentro.
Ho
costruito una scatola
e
ci piangerò dentro.
Sheila (esperienza
personale)
È
così difficile da capire
che
sembra insensibile.
Mi
è costato molto sangue
per
arrivare quassù
e
per questo ora sono anemica.
Non
voglio essere come lei
no,
non voglio essere come lei,
voglio
essere la ragazza pura di prima.
Incapace
di mangiare e di dormire
fragile
e incerta,
mi
rivolgo a Dio.
per
non essere come lei.
È
così bello
che
sembra irreale,
luminosa
come un angelo
vado
a pezzi
per
raggiungere il sogno.
Non
voglio essere come lei.
Voglio
essere la ragazza pura di prima.
Sheila (scritta dopo aver osservato
un'amica contaminata da quell'orrida musica
commerciale da disco e dal commerciale in
genere).
SE
di
Rudyard Kipling
Se puoi mantenere la calma
quando tutti intorno a te
la stan perdendo ed a te ne attribuiscono la colpa;
se tu puoi fidarti di te stesso quando tutti dubitano di te
ed essere indulgente verso chi dubita;
se tu puoi aspettare e non stancartene,
e mantenerti retto se la falsità ti circonda
e non odiare se sei odiato,
e malgrado questo non apparire troppo buono ne parlare troppo saggio;
se tu puoi sognare e non abbandonarti ai sogni;
se tu puoi pensare e non perderti nei pensieri,
se tu puoi affrontare il Trionfo e il Disastro
e trattare ugualmente questi due impostori;
se tu puoi sentire la verità che hai dette
e trasformate dai cattivi per trarre in inganno gli ingenui;
e vedere infranti gli ideali cui dedicasti la vita
e resistere e ricostruire con istruenti logori;
se tu puoi fare un fascio di tutte le tue fortune
e giocarle ad un colpo di testa e croce
e perdere e ricominciare da capo
e mai dire una parola di quanto hai pensato;
se tu puoi costringere cuore nervi muscoli
a resistere anche quando sono esausti,
e così continuare finchè non vi sia altro in te
che la volontà che dice ad essi: RESISTETE;
se tu puoi crescere in dominio e mantenerti onesto;
o avvicinare i grandi e non disdegnare gli umili,
se nè amici nè nemici possono ferirti;
se ti curi di tutti, ma di nessuno troppo;
se tu puoi colmare l'inesorabile minuto
con sessanta secondi di opere compiute
TUO E' IL MONDO E TUTTO CIO' CHE E' IN ESSO
E QUEL CHE CONTA DI PIU', TU SEI UN UOMO FIGLIO MIO.
Stavo
ascoltando quella musica
per
continuare a ricordare
Senza
ricordare.
Tu
dormi sull'erba
Sotto
nuvole di temporale
in
acque pericolose
giù
nel profondo
dove
tu sogni veramente.
Nella
mente
pensando
amore…
Sono
un fuoco fitto e grigio
un
fuoco d'origine sconosciuta
perché
sono pazza di te.
Sto'
crollando,
non
ho bisogno di perdere;
non
lasciarmi per il sonno eterno!
Sott'acqua…
Sotto
cieli azzurri…
Sotto
il mio vestito…
Ora,
il
cielo si squarcia per noi
come
un sogno,
ed
io imparo una nuova parola
che
non avevo mai imparato: FINE.
Passatemi questa citazione da un pezzo degli
Afterhours.
La
mia o meglio la nostra generazione è stata etichettata in tutti i modi
possibili, gli invisibili, generazione X, internet generation, chemical
generation, MTV generation, e chi più ne ha più ne metta.
Ma di una cosa sono sicuro, guardando il
comportamento degli altri coetanei intorno a me, vi do qualche aggettivo per
descriverli: menefreghisti, conformisti e superficiali.
In particolare volevo soffermarmi su quest'ultima
parola, SUPERFICIALE, sul dizionario, superficialità: con riferimento a valori
intellettuali e affettivi, mancanza di contenuti, di approfondimento,
d'interiorità..
Esatto, è proprio l'interiorità che ci manca, lo
spirito, l'anima non c'è più, l'abbiamo persa, ce l'hanno rubata riempiendoci
la testa di cazzate, del tipo indossa quel tipo di jeans starai meglio,
spruzzati quel profumo e ti salteranno addosso, tutte cazzate.
Non ne posso più di gente che legge il giornale solo
per sapere cos'è IN e OUT in questo periodo (IN O OUT rispetto a cosa? Che cosa
significa?), che indossa occhiali da sole anche in discoteca, che si veste da
modella perfino per andare a lavorare.
Qualcuno di voi obbietterà, ehi Nongio, è la società
che dice che l'immagine è fondamentale, noi che possiamo fare? Tantissimo, se
la società dice di buttarsi nel fosso voi non lo fate, vero? Non siete
manichini!!!!!!!
Seguitemi un attimo in questo ragionamento, chi basa
tutto sull'immagine lo fa perché non essendo sicuro di se vuole offrire un
immagine vincente, sotto il vestito niente, e se tutti si fermeranno
all'apparenza avrà avuto ragione lui.
Provate a non fermarvi alle apparenze, andate oltre,
riscoprite i rapporti umani, andate a scovare quel losco figuro sotto il
vestito, vi accorgerete che è la sua parte migliore e che solo in questo modo potete dire di
conoscere davvero una persona.
Vi lascio con una frase, secondo me bellissima:
" Non hai
mai sentito dire che la bellezza delle cose ama nascondersi"
(Carmen Consoli)
Nongio
Dieci
Anni fa la Convenzione sui Diritti del Fanciullo ha coinvolto i paesi del mondo
e ha segnato l’inizio di una stagione di attenzione alla cultura dell’infanzia.
Oggi il
telefono azzurro ha riproposto questo tema dando voce ai bambini stessi.
La Convenzione riscritta attraverso disegni ,
pensieri, riflessioni che hanno la forza di andare oltre l’individualità
Parole che indicano una chiara
consapevolezza da parte dei bambini di essere soggetto e non oggetto di diritti.
E al tempo stesso offrono un aiuto diretto per sensibilizzare tutti i bambini
su un testo, la Convenzione, di importanza storica.
Parole che scrivono un messaggio che non dovremmo
mai dimenticare.
Il mondo dell’infanzia va aiutato a crescere nel rispetto
dei suoi diritti e nella consapevolezza che costruirà il mondo di domani.
1 Il bambino (o bambina) è
ogni essere umano fino a 18 anni..
2 Gli stati devono rispettare,
nel loro territorio, i diritti di tutti i bambini;
handicappati, ricchi o poveri, maschi o
femmine, di diverse razze, di religione
diversa, ecc.
3 Tutti quelli che comandano
devono proteggere il bambino e assicurargli le cure
necessarie per il suo benessere.
4 Ogni stato deve attuare
questa Convenzione con il massimo impegno per mezzo di
leggi, finanziamenti e altri interventi. In
caso di necessita gli stati gli Stati più
poveri dovranno essere aiutati da quelli più
ricchi
5 Gli Stati devono rispettare
chi si occupa del bambino.
6 Il bambino ha diritto alla
vita. Gli Stati devono aiutarlo a crescere.
7 Quando nasce un bambino ha diritto ad avere un nome,
a essere registrato e ad avere l’affetto dei genitori.
8 Il bambino ha diritto alla
propria identità, alla propria
nazionalità e a rimanere sempre in relazione con la sua famiglia.
9 Il bambino non può essere
separato, contro la sua volontà, dai genitori. La legge
può decidere diversamente quando il bambino
viene maltrattato. Il bambino
separato dai genitori deve poter mantenere i
contatti con essi. Quando la
separazione avviene per azioni di uno
Stato(carcerazione dei genitori, deportazione,
ecc.) il bambino deve essere informato sul
luogo dove si trovano i genitori.
10 Il bambino ha diritto ad
andare in qualsiasi Stato per unirsi ai genitori.
Se i genitori abitano in due Stati
diversi il bambino ha diritto a tenere relazioni
con tutti e due.
11 Il bambino non può essere
portato illegalmente in un altro Stato.
12 Il bambino deve poter
esprimere la propria opinione su tutte le cose che lo
riguardano. Quando si prendono decisioni
che lo riguardano, prima di decidere
deve essere ascoltato.
13
Il bambino ha diritto di esprimersi liberamente con la parola, lo
scritto, il disegno
la stampa, ecc.
14
Gli Stati devono rispettare il diritto del bambino alla libertà di
pensiero, di
conoscenza e di religione. I genitori hanno il
diritto e il dovere di indirizzare
i figli nell’esercizio dei loro diritti.
15
Il bambino ha il diritto alla libertà di associazione e di riunione
pacifica.
16
Il bambino deve essere rispettato nella sua vita privata. Nessuno può
entrare in
casa sua, leggere la sua corrispondenza o
parlare male di lui.
17
Il bambino ha diritto a conoscere tutte le informazioni utili al suo
benessere.
Gli Stati devono:
- far fare
film, programmi Tv altro materiale utile per il bambino;
-
Scambiare con gli altri Stati tutti i materiali interessanti adatti per
i bambini;
-
Proteggere i bambini dai libri e da altro materiale inadatto per loro.
18
I genitori (o tutori legali) devono curare l’educazione e lo sviluppo
del bambino.
Lo Stato li deve aiutare rendendo più facile il loro
compito.
19
Gli Stati devono proteggere il bambino da ogni forma di violenza,
maltrattamento
e sfruttamento.
20
Lo Stato deve assistere il bambino che non può stare con la sua
famiglia
Affidandolo a qualcuno. Chi si occupa del bambino
deve rispettare le sue abitudini.
21
Gli Stati devono permettere l’adozione nell’interesse del bambino.
L’adozione deve essere autorizzata dalle autorità
col consenso dei parenti del bambino. Se l’adozione non può avvenire nello
Stato del bambino si può fare in un altro Stato. L’adozione non deve essere fatta mai per soldi.
22
Gli Stati devono prendersi cura dei bambini rifugiati e aiutarli a
ricongiurgersi
alla famiglia.
23
Il bambino svantaggiato fisicamente o mentalmente deve vivere una
vita
completa e
soddisfacente insieme agli altri bambini.
Gli Stati devono garantire l’assistenza gratuita se
i genitori e i tutori sono poveri.
Inoltre il bambino ha diritto ad andare a scuola, a
prepararsi al lavoro e a divertirsi.
24
Il bambino deve poter vivere in salute anche con l’aiuto della
medicina.
Ha il diritto ad essere aiutato quando ne ha
bisogno.
25
Il bambino che è stato curato ha il diritto di essere controllato
periodicamente.
26
Ogni bambino deve essere assistito in caso di malattia o necessità
economiche tenendo conto delle possibilità economiche dei genitori o dei
tutori.
27
Ogni bambino ha diritto a vivere bene. La famiglia ha la responsabilità
di nutrirlo, vestirlo, dargli una casa anche quando il padre si trova in un
altro Stato e gli Stati devono aiutare le famigli in questo compito se ne hanno
bisogno.
28
Il bambino ha diritto all’istruzione. Per garantirgli questo diritto
gli Stati devono
-
fare scuole di base gratuite e obbligatorie per tutti;
-
garantire la scuola superiore e aiutare chi ha la capacità a
frequentare.
-
Informare i bambini sulle varie scuola che ci sono.
Gli Stati devono anche controllare che nelle scuole siano rispettati i
diritti dei bambini.
29
L’educazione del bambino deve:
-
sviluppare tutte le sue capacità;
-
rispettare i diritti umani e le libertà;
-
rispettare i genitori, la lingua e la cultura del Paese in cui il
bambino vive;
-
preparare il bambino ad andare d’accordo con tutti;
-
rispettare l’ambiente naturale.
30
Il bambino che ha una lingua o una religione diversa dalla maggioranza
ha il
diritto di usare la propria lingua e
vivere secondo la sua cultura e praticare la sua
religione.
31
Il bambino ha diritto di giocare, di riposarsi e di divertirsi. Gli
Stati devono
Garantire a tutti il diritto di partecipare alla
vita culturale e artistica del Paese.
32
Il bambino non deve essere costretto a fare dei lavori pesanti o
rischiosi per la sua
Salute o che gli impediscano di crescere bene o di
studiare. Gli Stati devono approvare delle leggi che stabiliscano a quale età
si può lavorare, con quali orari e in quali condizioni e devono punire chi non
le rispetta.
33
Gli Stati devono proteggere il bambino contro le droghe ed evitare che
sia
impegnato nel commercio della droga.
34
Gli Stati devono proteggere il bambino dallo sfruttamento e dall’abuso
sessuale.
35
Gli Stati devono mettersi d’accordo per evitare il rapimento e la
vendita dei bambini.
36
Gli Stati devono proteggere il bambino da ogni forma di sfruttamento.
37
Nessun bambino deve essere sottoposto a tortura, a punizioni crudeli,
alla pena di morte o all’ergastolo. Se un bambino deve andare in prigione, deve
essere per un motivo grave e per un breve periodo. In carcere deve essere
rispettato, mantenere i contatti con la famiglia e tenuto separato dagli
adulti.
38
In caso di guerra i bambini non devono essere arruolati in un esercito
se non hanno almeno 15 anni.
39
Se un bambino è stato trascurato, sfruttato o maltrattato anche a causa
delle guerra, deve essere aiutato a recuperare la sua salute.
40
Il bambino che non osserva la legge deve essere trattato in modo da
rispettare la sua dignità. Gli Stati devono garantire che deve essere ritenuto
innocente fino a quando non sia riconosciuto colpevole, dopo un processo
.giusto; che la sua causa
si faccia velocemente; che non sia
costretto a dichiararsi colpevole; che, se non
giudicato colpevole abbia il diritto alla
revisione della sentenza; che se parla
un’altra lingua abbia l’assistenza di un
interprete, che sia rispettata la sua privacy,
ecc.
41
Gli articoli di questa Convenzione possono non essere sostituiti alla
legge dello Stato se essa è più favorevole al bambino
42
Gli Stati si impegnano a far conoscere questa Convenzione sia ai
bambini che
agli adulti
43
Gli Stati devono nominare un comitato internazionale che si
riunisca
periodicamente e controlli se i diritti
dei bambini vengano rispettati.
44
Ogni 5 anni gli Stati devono
informare il Segretario Generale delle Nazioni Unite
(ONU) e il comitato dicendogli cosa hanno fatto per
far rispettare i diritti dei bambini.
45 Le Nazioni Unite possono incaricare organizzazioni
specializzate internazionali,
come l’Unicef o altri, di controllare
come i diritti dei bambini vengano rispettati
in tutti gli Stati del mondo.
46 Questa Convenzione può essere firmata da tutti gli
Stati del mondo.
47
La Convenzione deve essere trasformata in legge da ogni Stato.
48
La Convenzione può essere firmata, anche dopo l’approvazione, da
qualsiasi altro Stato che si aggiunga dopo.
49
La Convenzione è entrata in vigore 30 giorni dopo che i primo 20 Stati
la hanno adottata.
50
Ogni Stato può proporre cambiamenti al testo della Convenzione inviando
le proposte di modifica al Segretario Generale delle Nazioni Unite.
51
Il Segretario Generale farà conoscere a tutti gli Stati le osservazioni
e i dubbi che ogni singolo Stato ha espresso quando ha adottato la Convenzione.
52
Uno Stato si può opporre alla Convenzione scrivendo al Segretario
Generale.
53
La Convenzione è depositata presso il Segretario Generale delle Nazioni
Unite.
54
Il testo ufficiale della convenzione è scritto in arabo, cinese,
inglese, francese, russo e spagnolo.
Claudio (materiale del Telefono
Azzurro)
APPELLO
Le notti tormentate che mi rendono uno straccio,
sentire l'anima che si ritorce insieme a qualcosa di sconosciuto dentro di se
che preme per espandersi come un piccolo rettile in procinto di rompere il suo
uovo, come se la mia stessa persona fosse un impedimento.
Il desiderio violento di scrivere, come una pulsione
che mi opprime e mi consuma giorno dopo giorno.
Ma cosa? Scrivere cosa? Come?
Avere la certezza della propria strada e non trovare
forse la forza e l'audacia, disorientati indugiarci davanti e perdere tempo, e
rimandare….. e soffrire come un cane.
Non lasciate vi prego, che la quotidianità vi
avvolga in una patina di indifferenza verso gli altri, ma soprattutto verso voi
stessi, come una pellicola di cellophane a proteggervi dalla vostra potenziale
felicità completa.
Io sono sulla strada della mia "meta",
sono in continua lotta con me stessa e per me stessa, ancora ho molto troppo da
capire, sapere, realizzare.
Se c'è qualcuno qui che prova o ha provato la mia
stessa inquietudine, la stessa mia ansia di vivere appieno la propria vita, e
neanche questo mondo che tenta invano di assorbirci in se.
Se ce l'avete un motivo, il motivo, se la vostra
illusione più reale l'avete avuta, o magari l'avete persa già, essendo stata
indurita e frantumata dalla noia, vi prego di contattarmi.
Grazie a Claudio e ad Alice.
Grazie a tutti coloro che hanno speso qualche minuto
del proprio tempo leggendo questa stupida e sgrammaticata espressione del mio
delirio.
Sara Oliverio
Via della
Resistenza, N° 16/A
8890 Crotone
(KR)
E-mail:
caleuche26@hotmail.com
RUOLI
E RESPONSABILI DEL PROGETTO TAV
L’architettura
finanziaria e contrattuale per la realizzazione del progetto TAV è stata
definita e attivata nella primavera –estate 1991.
All’epoca i responsabili che avevano competenze e
ruoli di decisione erano:
· Giulio Andreotti –
Presidente del Consiglio
· Paolo Cirino Pomicino –
ministro del Bilancio
· Carlo Bernini – Ministro
dei Trasporti
I responsabili per la definizione e comunicazione
sugli assetti sociali e contrattuali erano:
· Benedetto De Cesaris –
Presidente Ente FS
· Lorenzo Necci –
Consigliere delegato Ente FS
· Claudio Portaluri –
Presidente TAV S.p.A.
· Ercole Incalza –
Amministratore delegato TAV S.p.A.
· Emilio Maraini – Presidente
SISTAV Italfer S.p.A.
· Carlo Iammello –
Consigliere delegato SISTAV Italfer S.p.A.
Fra la primavera 1991 e la primavera del 1992 si
definiscono tutti i contratti per la realizzazione del progetto TAV con
informazioni e comunicazioni, sia al pubblico che agli organi di controllo in
gran parte viziati da “falsi” r comunque privi di riscontri. Tali “falsi” hanno
consentito successivamente di articolare un’architettura contrattuale perversa
comunque caratterizzata da diversi profili di illegittimità e comunque illogici
e sconvenienti dal punto di vista della salvaguardia del pubblico interesse.
L’architettura finanziaria e contrattuale del
progetto è stata presentata in forma solenne con una conferenza stampa il 7
Agosto del 1991 alla quale hanno partecipato in forma ufficiale, oltre alle
persone prima menzionate, quali interlocutori contrattuali:
• Cesare Romiti – Amministratore delegato FIAT
S.p.A.
• Franco Nobili – Presidente IRI
• Gabriele Cagliari – Presidente ENI
In tale occasione vennero presentati oltre al ruolo
di FIAT, IRI, ENI quali General Contractors, i consorzi realizzatori delle
tratte costituiti e o in via di costituzione.
I contratti presentati definiti all’epoca con prezzi:
“CHIUSI” prevedevano un costo
complessivo di 26.180 miliardi per i
quali si disse , il 50% veniva coperto con i finanziamenti PRIVATI.
Contestualmente nella stessa occasione venne presentata la TAV S.p.A.
costituita due settimane prima per la quale venne pure indicata la maggioranza
privata della sua composizione societaria.
Come vedremo sia la maggioranza privata di TAV sia
il finanziamento privato delle infrastrutture erano in quel momento
semplicemente inesistenti , come pure: i costi, la funzione dei GENBERALK
CONTRACTORS, il ruolo e i compiti di TAV, come quello dei CONSORZI REALIZZATORI
si sono rivelati successivamente privi di riscontri e comunque diversi da
quelli pubblicamente presentati.
In presenza di presupposti falsi o inesistenti l’architettura
finanziaria e dunque i contratti impongono atti e provvedimenti conseguenti da
parte degli attuali responsabili. In assenza dell’adozione di provvedimenti ed
atti, ritenuti dai sottoscritti DOVUTI si segnala chi oggi ricopre incarichi di
competenza:
• Romano Prodi – Presidente del Consiglio
• Claudio Burlando - Ministro dei Trasporti
• Azeglio Ciampi – Ministro del Bilancio
per quanto concerne le responsabilità politiche di
controllo ed indirizzo:
• Claudio Dematte – Presidente FS S.p.A.
• Giancarlo Cimoli – Consigliere delegato FS
S.p.A.
• Giancarlo Cimoli – Presidente TAV (fino ad aprile
1998)
• Umberto Bertele – Presidente TAV ( da aprile 1998)
• Roberto Renon – Amministratore delegato TAV
• Vido Livio – Presidente Italfer SISTAV S.p.A.
• Carlo Ianniello – Vice Presidente Italfer SISTAV
S.p.A.
per quanto concerne le scelte economiche,
finanziarie, tecniche nel rapporto con i fornitori privati.
Si segnala infine che fra il 1991 ed il 1997 l’Ente
FS e la FS S.p.A. ha fra gli altri, nominato come GARANTI dell’Alta Velocità:
• Romano Prodi (Tratte)
• Susanna Agnelli (Nodi)
• Sergio Pininfarina (Tratte – Nodi)
I quali hanno assunto tale ruolo (del quale sfugge
la reale portata) in condizioni di dubbia compatibilità (conflitto d’interessi)
in relazione ai contratti e/o rapporti economici realizzati dalle diverse
società pubbliche coinvolte rispettivamente con le società:
• Nomisma
• FIAT
• Pininfarina
Costi
complessivi dei contratti a prezzi chiusi per l’Alta Velocità.
RO
– NA (tratta) |
3.900
|
FI
– BO |
2.100 |
BO
–MI |
2.900 |
MI
– TO |
2.100 |
MI
– VR |
2.200 |
VE
– VR |
1.700 |
GE
– MI |
3.100 |
RO
– FI |
100 |
Totale
Tratte |
18.100 |
Totale
Nodi |
2.080 |
Materiale
Rotabile |
4.800 |
Linee
Aeree |
1.200 |
Totale
Generale |
26.180
(miliardi) |
CHI PAGHERÀ
TUTTO QUESTO ?
Anno |
1991 |
1994 |
1996 |
1997 |
1999 |
Tratta
Milano - Bologna |
2.900 |
4.595 |
6.045 |
8.750 |
9.225 |
Totale
Torino – Napoli |
11.000 |
17.381 |
24.034 |
33.790 |
40.000 |
Totale
Generale |
20
080 |
30.231 |
49.60 |
72.600 |
? |
Mi
sorge spontanea una domanda, ma questi soldi dove vanno a finire?
Davvero
tutti in questo progetto, non ci crede nessuno, preparatevi ad una nuova
tangentopoli.
Possibili profili di
illeciti nelle relazioni contrattuali.
|
|
dell’Europa.
FS S.p.A.
|
Costruzione
e sfruttamento economico
|
TAV S.p.A.
|
SUB-concessione
di progettazione
abuso e truffa ai danni dello Stato
e
sola costruzione
|
FIAT S.p.A.
|
SUB-SUB-Concessione
di
subappalto illegittimo
Progettazione
e sola costruzione
|
(BI- FI)
|
Affidamenti e appalti appropriazione indebita
Claudio (Materiale dell’Associazione
Regionale
“Davide”)
Chi ha paura
del terremoto?
22/8/2000
E' passato esattamente un giorno dalla scossa di terremoto del 21 agosto. É fin troppo facile pensare che sia stato solo un brutto sogno. Grazie tante, non ci sono stati danni a persone e pochissimo a cose, prova un po' a chiedere ai terremotati dell'Umbria se il giorno dopo avevano già dimenticato tutto. Eppure comunque è stata un'esperienza che non dimenticherò facilmente. Lo dico perchè ho appena dato accidentalmente un colpo al tavolo e vedendo lo schermo tremare mi è saltato il cuore in gola. Non so se quello che sto scrivendo avrà un senso logico, certo se lo facessi come tema scolastico prenderei un voto sotto zero, ma voglio scrivere lo stesso. Penso che un'esperienza come questa può servire. E molto. A migliorare se stessi. Perchè a leggere una notizia sul giornale o a vederla al telegiornale perde completamente credibilità. Stamattina, quando ho aperto "La Stampa" e ho visto "Il monferrato epicentro del terremoto" sono rimasto freddino. Ma quando ho letto dell'ultima ( speriamo bene ) scossa questa notte alle tre mi sono ricordato di averla sentita, nel dormiveglia, e la presenza nel ricordo del sordo russare di mio padre proveniente dall'altra stanza mi ha fatto rendere conto di non essermi sognato niente. E il bello è che ieri sera, alle 7.15, mentre cenavamo, stavamo parlando proprio del terremoto. Mamma diceva che la zia aveva sentito una piccola scossa quella mattina... d'improvviso la cucina comincia a traballare e un sordo e martellante rumore invade la casa. Papà urla qualcosa, come nei film: « Fuori!! »
Quelle che si susseguono sono una serie di immagini
velocissime, come fotografie scattate in sequenza da una macchina fotografica
all'interno della mia testa. Con un balzo sono sul balcone, ma da solo. Nella
frazione di secondo in cui mi chiedo dove sono i miei li vedo sbucare dalla
porta della cucina, sono usciti di lì ma la mamma credeva che fossi rimasto
indietro e ha esitato per cercarmi. Capisco che anche loro hanno intenzione di
uscire e mi butto giù dalle scale. Vedo solo più due gambe lunghissime quasi
sollevate da terra ( le mie ) e in un batter d'occhio sono in fondo, spalanco
la porta con un colpo secco ( non ho il minimo ricordo nè della mia mano che
gira la chiave nè del movimento della maniglia ) e siamo fuori. Pochi attimi
dopo, forse subito, la scossa cessa. Papà chiama la nonna che esce spaventata.
Entro un quarto d'ora arriva il nonno in vespa, era andato a giocare a bocce,
tutto tranquillo e da buon rompiscatole comincia a prenderci in giro:
« Come se fosse successo chissà che cosa! »
10/09/2000
Seconda parte, tipo i diari di viaggio, nota
divertente in mezzo ad un discorso decisamente poco comico. Il tempo è passato,
la vita di tutti i giorni ha preso il sopravvento ed il ricordo del terremoto è
in un angolo della mia testa, pronto a balzare fuori come un ragno in attesa di
una mosca nella sua ragnatela ogni volta che passa un trattore e fa tremare i
vetri delle finestre. Ho sentito l'altro sabato il rumore del terremoto
leggero, quasi lontano. É stato però divertente ( solo visto in restrospettiva
) venerdì sera, ero in chat con Alice e Fra. Mi alzo in piedi un secondo per
spegnere la luce e vedo i muri che si muovono, papà è all'altra estremità del
corridoio e anche lui se ne accorge.
- Questa volta lo è -
Usciamo fuori rapidamente ma è già tutto finito. I
media non ne hanno ancora detto niente, evidentemente non interessa più a
nessuno, soprattutto dopo che il menagramo scienziato russo ha cannato
clamorosamente la previsione ed è tornato in patria con la coda tra le
gambe.
Il divertente è che quando sono tornato al computer
e ho scritto che c'era stato il terremoto, la cara Alice non ha nemmeno pensato
che potessi dire sul serio, e per farglielo credere l'ho caricata di insulti
per un paio di minuti buoni. Scherzi della chat.
FULVIO
RECENSIONI
CINEMATOGRAFICHE
RADIOFRECCIA
Raccontata dal suo DJ Bruno (Luciano Federico), RadioFreccia
è la storia di una delle tante radio private nate a metà degli anni ’70, Radio
Raptus, che sarebbe diventata RadioFreccia in ricordo di uno dei protagonisti
della vicenda, Freccia (Stefano Accorsi),
che insieme a Bruno, Tito, Iena e Boris aveva trovato nella radio la sua
seconda casa (la prima era il bar del paese).
Siamo nel 1993, la radio chiude dopo diciotto anni
di attività, e Bruno vuole spiegare il perché di quel nome e la storia di quei
primi avventurosi e indimenticabili anni trascorsi in quel mondo, incerto fra
città e campagna, tipico della Correggio città natale del Liga e naturale
ambientazione della vicenda. L’esordio alla regia di Ligabue, consigliato e
guidato da Antonello Grimaldi (Juke box
-1983 e Il cielo è sempre più blu -
1996), si basa su due racconti del suo libro "Fuori e dentro il
borgo", da lui stesso sceneggiati insieme ad Antonio Leotti. Se ci si
chiede cosa abbia spinto uno dei più creativi cantanti rock italiani a
cimentarsi nella non facile impresa di girare un film, la risposta è
probabilmente nella voglia e nel bisogno di raccontare storie vissute e a lui
molto care. Ligabue pesca nella memoria personale e ricostruisce in modo
genuino, senza retorica, l’epopea di un periodo in cui le radio erano veramente
"radio libere", raccontando con tono fresco e spontaneo le gioie, i
problemi e soprattutto i drammi (quello della droga in primis) vissuti dai
giovani di quel periodo, che non sono poi molto diversi da quelli dei giovani
d’oggi. Ne esce un film di tipico stampo giovanilistico, asciutto e sincero nel
ricostruire le contraddizioni di una generazione cresciuta con la musica
angloamericana, anche se a volte un po’ ambiguo nello schematizzare i
personaggi e contraddistinto da qualche virtuosismo registico di troppo,
lasciando forse intendere che non si è ben capita la differenza fra stile
personale e semplice uso di buone tecniche cinematografiche. Piuttosto a disagio
con la recitazione Francesco Guccini, anche se la sua immagine carismatica
contribuisce indubbiamente a ricostruire l’atmosfera anni ’70 della provincia
emiliana. Ciò non toglie che il film sia riuscito, considerando anche che si
tratta di un’opera prima, soprattutto anche grazie, e come non poteva essere
altrimenti, alla bellissima colonna sonora: due i brani di Ligabue (Ho perso
le parole e Metti in circolo il tuo
amore) uno di Guccini (Incontro)
ed abbondanza di pezzi di leggende musicali quali Lou Reed, David Bowie, Iggy
Pop e molti altri.
Siamo nel 1967 e la diciassettenne Susanna Kaysen
(Winona Rider, "Celebrity") si comporta come tutte le altre
adolescenti sue coetanee: confusa, insicura e impegnata a dare un senso al
mondo in continua evoluzione che ha intorno. Ma lo psichiatra che la visita per
ordine dei genitori, dà a questo comportamento un nome preciso: disturbi della
personalità che si manifestano attraverso l'incertezza riguardante la propria
immagine, gli obiettivi a lunga scadenza, le amicizie e gli amori da avere e i
valori da adottare. Così, dopo questa diagnosi, decide di non preoccuparsene
più mandando Susanna al Claymoore Hospital. Qui conosce Lisa (Angelina Jolie,
in sala con "Il collezionista di ossa") un'affascinante sociopatica,
Daisy (Brittany Murphy, "Ragazze a Beverly Hills"), una figlia di
papà viziata e con la passione per i polli allo spiedo e per i lassativi e
Polly (Elizabeth Moss, "Una cena quasi perfetta") una ragazza con il
viso ustionato ma con il cuore incredibilmente privo di cicatrici. Alla fine
Susanna dovrà decidere fra il mondo di coloro che vivono all'interno
dell'istituto e quello al di fuori di esso, sotto la guida di un'infermiera
"quadrata" come Valerie (Whoopi Goldberg, di recente in "Benvenuta
in paradiso") e del primario di psichiatria dell'ospedale, la dottoressa
Wick (Vanessa Redgrave, vista di recente in "Deep impact"). Diretto
da James Mangold, il film è tratto dalle memorie di Susanna Kaysen sui suoi due
anni trascorsi al Claymoore, dove analizza i confini tra l'essere libero e
l'essere rinchiuso, tra amicizia e tradimento, tra follia e sanità mentale. In
un cast eccellente dove spiccano alcuni premi Oscar come Whoopi Goldberg e
Vanessa Redgrave, o candidate come Winona Ryder, fa la sua splendida parte
anche, e soprattutto, Angelina Jolie che è stata premiata con l'Oscar come
miglior attrice non protagonista.
Puglia, metà degli anni '70. Carlo (Damiano Russo) è
un ragazzo di sedici anni molto ambizioso. Suona in un gruppo musicale, ama una
sua compagna di scuola ed è in continuo conflitto con il padre Pietro (Sergio
Rubini, "Nirvana", attualmente nelle sale con "Mirka"),
impiegato postale con la mania di mettere in scena ogni anno drammi in costume
tra l'ilarità dei paesani. È il più piccolo del gruppo e vorrebbe diventare
come i suoi amici ventenni: estroso come Enzo (Francesco Cannito), intelligente
come Vito (Pierluigi Ferrandini) e seducente come Nicola (Michele Venitucci),
del quale invidia soprattutto lo splendido rapporto che ha con Maura (Teresa
Saponangelo, "Ferie d'agosto", "I vesuviani"). Tutto però
cambia con l'arrivo di tre ragazze dal nord, Tea (Alessandra Roveda), Gaia
(Vittoria Puccini) e Lena (Celeste Pisenti), figlie di un ingegnere mandato in
paese ad ultimare gli impianti di una fabbrica che promette lavoro. Le ragazze
sembrano appartenere ad un altro mondo per il loro modo di fare, di vestirsi,
per il loro linguaggio. E con loro iniziano una serie di cambiamenti: Nicola è
attratto da Gaia e rompe con Maura, Vito si innamora di Tea ed è disposto a
partire con lei e lasciare l'università e la sua attuale ragazza, e anche Carlo
si invaghisce di Lena, la più piccola del gruppo salvo poi capire che anche suo
padre ne è rimasto incantato tanto da inserirla attivamente nel suo spettacolo.
Lentamente franano i vecchi solidi terreni e anche il gruppo con il quale Carlo
si esibisce è diventato più ambizioso e lo ha sostituito con un altro
tastierista. Ma quando tutto sembra perduto, nel corso della recita finale
Carlo si accorge di saper incantare il pubblico attingendo alla propria
sofferenza per dar forza alle povere battute che è costretto a recitare. Il
film è diretto da Sergio Rubini (tre anni dopo "Il viaggio della
sposa"), presente anche nel cast con Margherita Buy e Gerard Depardieu tra
i pochi ad aver avuto esperienze cinematografiche visto che tutti gli altri
protagonisti sono stati scelti tramite provini fatti a Bari (per i ragazzi) e a
Milano (per le tre ragazze provenienti dal nord Italia). Importante ruolo nel
film riveste anche la musica, non solo perché i protagonisti amano suonare, ma
anche perché funge da elemento di aggregazione tra le ragazze (che ascoltano
Led Zeppelin, Santana, Genesis) e i ragazzi del paese.
Claudio
RECENSIONI
LETTERARIE
"Cronache
Marziane" di Ray Bradbury
Questo libro è il primo romanzo di successo e,
probabilmente il più noto da Ray Bradbury. Più che un romanzo è un raccolta di
racconti brevi, nati da ispirazioni diverse e qui riuniti dal filo conduttore
dell'ambientazione marziana. È la cronaca della faticosa conquista del pianeta
Marte, della colonizzazione e della distruzione della terra in seguito allo
scoppio della guerra totale. L'azione si svolge tra il 1999 e il 2026 l'anno
dell'olocausto atomico. I protagonisti sono da una parte astronauti e civili
statunitensi, dall'altra marziani in via di estinzione. Nel racconto
"Ylla", malinconico e grottesco, la prima spedizione terrestre viene
distrutta da un marito marziano geloso. A un successivo tentativo falliscono
nuovamente gli sforzi degli esploratori, coinvolti in un terribile malinteso,
poiché vengono creduti pazzi e rinchiusi in un manicomio locale. Bradbury
interviene con il suo abituale sarcasmo ad annullare il prevedibile pathos dell'incontro
tra due civiltà e a trasformarlo in una tragedia ridicola. In un racconto
successivo "La terza spedizione", il capitano e l'equipaggio,
sbarcati su Marte, incappano in una sorta di paradiso, abitato da tutti i loro
amati defunti. In realtà si tratta
un'astuzia dei telepatici marziani che suggestionando le menti terrestri, si
trasformano in mogli, padri, madri per ingannarli e distruggerli tutti.
"Su negli azzurri spazi", è un racconto decisamente antirazzista,
infatti tutti, ma proprio tutti i neri d'America decidono in una afosa giornata
estiva di prendere i razzi costruiti con i loro risparmi e di andare su Marte,
lasciando i bianchi razzisti, accecati dalla rabbia, con un palmo di naso.
Infine concludo con uno splendido omaggio ad E.A.Poè, uno scrittore che
Bradbury ama moltissimo; si tratta di "Usher II", nel quale si
rinnova l'atmosfera funebre e l'epilogo dell'originale.
CENT’ANNI DI SOLITUDINE –
GABRIEL GARCIA MARQUEZ
Cent'anni di solitudine è il libro più famoso della letteratura sudamericana con cui G. G. Márquez vinse, nel 1982, il premio Nobel. Nei modi delle narrazioni e delle mitologie familiari, mescolando realtà e leggenda, verità e fiaba il libro svolge la saga fantastica e paradossale dei Buendía, nell'arco di sei generazioni, sullo sfondo dell'immaginario ma emblematico paese di Macondo. La famiglia è oppressa dalla superstiziosa paura di generare un figlio con la coda di maiale, poiché il capostipite e fondatore della città, José Arcadio, contravvenendo alle leggi di natura, ha sposato la cugina Ursula. Un destino di decadenza minaccia d'altra parte tutto il paese da quando, uscendo dal suo isolamento per entrare in contatto con la Storia, Macondo comincia a conoscere la violenza e lo sfruttamento, le guerre ed il colonialismo, la miseria ed il sottosviluppo. A tal proposito "tante incertezze... tante lusinghe e sventure, e tanti cambiamenti, calamità e nostalgie" porteranno alla tranquilla cittadina i tentativi di apertura al mondo esterno fatti da José Arcadio Secondo e da Aureliano Triste: "La zattera di tronchi"1, che trasporta "un gruppo di splendide matrone francesi, le cui arti magnifiche cambiarono i metodi tradizionali dell'amore" rappresenta infatti il "primo e ultimo battello che mai attraccò nel villaggio". Medesima funzione ha "l'innocente treno giallo"2, veicolo di mutamenti e sventure nella regione. Inoltre, pur con una veste fiabesca, il romanzo rimanda alla realtà storica dei Paesi latino-americani, sconvolti, assoggettati e annientati dall'imperialismo dei Paesi moderni e tecnologicamente avanzati come gli Stati Uniti, dilaniati dalle guerre civili, oppressi dalle dittature, condannati al sottosviluppo economico o addirittura cancellati nelle loro antiche culture e tradizioni indigene. Come scrive Dario Puccini, "in Macondo, García Marquez non solo incarna il ricordo del suo paese natale Aracataca - oggi desolato ed un tempo luogo dello splendido benessere portato dalle piantagioni di banane - e quello della grande casa avita affollata di esseri reali e fantasmi, ma cifra anche i connotati di persistenza del mai scomparso e aggrovigliato e quindi ossessivo colonialismo. E in Macondo, come una sineddoche, vede in sintesi - microcosmo che rispecchia un macrocosmo - le vicende di memoria e di oblio, di speranza e di disperazione nelle quali si dibatte un universo che soffre di cento anni e più di solitudine e di arretratezza"3. I temi della narrativa del nostro scrittore sono tutti desunti dal mondo latino-americano: il suo impatto con la civiltà moderna, la resistenza alle forze esterne che lo sovvertono e lo sfruttano, la sete di giustizia, l'attaccamento disperato alla propria identità. Di questo mondo egli spesso coglie gli aspetti più originari, che magari ai nostri occhi possono risultare primitivi ed incredibilmente insoliti, sostituendo una realtà oggettiva ad uno spazio fantastico e rappresentando un impasto narrativo sempre ai limiti dell'onirico. Macondo potrebbe così divenire un'illusione, fondata nel posto immaginato da José Arcadio. Così del resto si esprime lo scrittore: "Quella notte José Arcadio sognò che in quel luogo sorgeva una città rumorosa"4, sparita in un "vortice di polvere"5. Bisogna poi affermare che il ritmo ciclico e iterativo della narrazione è una caratteristica fondamentale che crea un tempo ed uno spazio immaginari. Si può parlare pertanto di "realismo magico"6 o di "reale meraviglioso"7 per sottolineare l'esuberanza di fantasia, il simbolismo, il complesso gioco di piani cronologici, l'accostamento di spunti che sanno di mitologico a particolari di crudo verismo. Ne risulta uno stile personalissimo, che ci riporta alla cultura sudamericana, connotato sempre di aspetti altamente suggestivi ed incantati. Fiabesco è, per esempio, il tempo che non procede, ma si ripete in sequenze sempre uguali protraendo le vite degli uomini fuori dai loro limiti naturali. Notano infatti Ursula e Pilar Ternera, le due matriarche, legittima e illegittima, della stirpe: "È come se il tempo continuasse a girarci in giro e fossimo tornati al principio8". D'altra parta la "storia della famiglia era un ingranaggio di ripetizioni irreparabili9". Fiabeschi sono i personaggi che non hanno nulla di naturalistico, ma rappresentano, esasperandoli e ingigantendoli, alcuni caratteri umani: Ursula raffigura, per esempio, la laboriosità della matriarca; il colonnello Aureliano la violenza; Remedios la purezza. Favoloso è pure lo spazio che nasce dalla trasfigurazione dei ricordi e che sconvolge le fila del tempo. Da un lato troviamo infatti "l'irrompere della fantasia nel passato di ognuno, via via che questo si cancella10", dall'altro le ricorrenti proiezioni: "Molti anni dopo di fronte al plotone d'esecuzione, il colonnello Aureliano Buendía si sarebbe ricordato... 11". Cosí nel romanzo, presente, passato e futuro si mescolano liberamente in un gioco di anticipazioni e dilazioni che stravolgono l'ordine cronologico, e forse anche logico, con cui i fatti accadono. Vi sono "due tipi di tempo: un tempo mentale, che scavalcando gli anni congiunge momenti di piú intensa coscienza, ed un tempo - calendario, soggetto a regolari misure12". Il Todorov definisce questa scelta di poetica che G. Márquez compie sugli sviluppi cronologici della vicenda "proiezione13"; sostiene infatti che "le numerose prospezioni non sono un gioco sapiente con il tempo, bensí strumenti della comprensione del presente". Il tempo nel romanzo ha dunque un valore emblematico. La fine ed il principio si confondono, definendo un perfetto circolo, una "parabola visionaria dell'ascesa della rovina di una civiltà o di una città, una sorta di Babele"14. I Buendía e Macondo sono infatti un'allegoria della condizione umana, condannata alla solitudine dal fatto di non poter conciliare le proprie tradizioni con una cultura scientifico-razionalistica. "La mitologia che si inventarono i Buendía e la storia che essi hanno sofferto sono il nostro comune patrimonio. La Sacra Scrittura che ce li trasmette, le pergamene di uno zingaro prodigioso, non fa nessuna differenza tra il pianeta, l'America Latina, la Colombia, Macondo-Aracataca. Nel suo spazio di fiaba sono contenuti, cristallizzati tutti gli spazi15". Per concludere mi sembra opportuno rilevare che, nell'epopea di Gabriel García Márquez, fra realismo e magia si può proiettare e collocare il destino di tutti gli uomini. Per questo, trascende i limiti geografici e si concentra in una visione della vita valida per tutti il suo chiaro e forte messaggio, che è nel contempo un'amara e cruda constatazione: la civiltà e il progresso sottraggono all'uomo la sua intima armonia e semplicità.
DELL’AMORE E DI ALTRI DEMONI- Gabriel Garcia Marquez
C’è chi dice che le storie
d’amore si assomigliano tutte, tutti però sono pronti a giurare che la propria
sia unica nella storia dell’umanità. L’amore si manifesta nelle forme più
disparate e spesso la nostra morale ci porta a definire ciò che niente altro è
se non un sentimento purissimo, come aberranti distorsioni della natura umana.
L’unione che può nascere tra una bambina che si affaccia alla pubertà ed un
uomo maturo, per di più di Chiesa, non può che essere giudicata che con
attributi negativi, ma Marquez in questo suo capolavoro scava non solo negli
animi dei protagonisti, ma si addentra sino alla radice comune a ciascuno di
noi, costringendo il lettore a schierarsi dalla parte dei perseguitati. La
lunga chioma che accompagna la protagonista per tutto il racconto, sin oltre la
morte, rappresenta il punto d’incontro del candore tipico dell’età della
protagonista con la sensualità dolce ma sempre irrequieta e intrigante che
viene sprigionata lungo tutto il racconto. Un vero e proprio filo di Arianna
che guida l’animo di chi si appresta a leggere le vicende, verso un autentico
sentimento di compassione. L’analisi delle cause moventi, attraverso l’inconfondibile
stile dello scrittore colombiano, porta inevitabilmente alla totale
approvazione delle più indicibili azioni. Leggere questo libro significa
estendere la visione quotidiana delle vite altrui, significa quindi apprendere
il porsi dai vari punti di vista, superando quindi quell’insulsa barriera che,
fungendo da paraocchi, ci costringe a giudicare negativamente tutto ciò che è
diverso, o che più semplicemente tutto ciò che non riusciamo a capire. Noi
tutti a causa degli stereotipati canoni di giudizio potremmo essere accomunati
a quei personaggi di contorno che interpretano una ribellione alla quotidianità
come l’essere posseduti da una forza demoniaca travisando in negativo ciò che
non riusciamo a capire, ignorando ingiustamente quelle che sono le reali cause
motrici. Personaggi che dovrebbero rappresentare la bontà pur facendo il loro
dovere vestono abiti da persecutori, mettendo tutto l’apparato di una società
abbastanza evoluta in una vera e propria crisi di identità. Qualcuno potrebbe
anche chiedersi se l’amore stesso sia un’invenzione demoniaca poiché la carica che scaturisce
dall’avvicinarsi di due anime tormentate è così forte da non lasciare dubbi
sulla natura oscura e indecifrabile del nobil sentimento. Una storia d’amore
senz’altro condizionata dal contorno storico ma attualissima, le cui metafore
che infatti si possono ricavare sono innumerevoli e incredibilmente quotidiane.
Chi legge questo libro deve necessariamente estendere la propria visione, la
sua lettura è sconsigliata a colore che hanno paura di mettere in discussione
la normalità, la consigliamo invece a chi non pone limiti all’energia che
l’amore può fornire ai fortunati (o sfortunati!) prescelti. Questo romanzo è
inoltre consigliato ai lettori dal palato fine e sempre disposti ad apprezzare
una gemma di uno dei più floridi autori della narrativa mondiale del novecento.
RECENSIONI
MUSICALI
The Doors - Omonimo(1967)
Quest'album vive nel nome del
rock blues e della fortissima personalità individuale dei componenti del
gruppo.
Morrison su tutti: con una
prestazione vocale incalzante che fa di ogni canzone un piccolo pezzo di
teatro, riesce a dare corpo e credibilità alle sue liriche immaginifiche
visionarie. Ma gli altri non fanno certo tappezzeria: l'organo ripetitivo di
Ray Manzarek, la chitarra accarezzata nervosamente da Rob Krieger, e la
batteria tutta sussulti di John Densmore.
Il vertice artistico dei Doors
prima fase era rimane The end, consegnata direttamente dal vinile all'olimpo
del rock. In undici minuti intensi a drammatici, Morrison racconta, in tono
quasi da tragedia greca, una a storia a dir poco.
Alle prese con freudiano
complesso di Edipo, Jim canta il parricidio e l'incesto senz'altro
compiacimento che quello di mettere a nudo la propria anima angosciata.
The end, che era costata al
gruppo il licenziamento dal Whisky a Go-go (il primo locale dove si esibirono)
a causa del suo tema scabroso, fu il primo mattone "scandaloso" con
cui venne costruito il mito del quartetto.
Light my fire, secondo mattone
scagliato dai Doors contro il comune buon senso, arriva al primo posto nella
hit-parade americana dei 45 giri, in una versione ridotta rispetta a quella
contenuta nell'album(da oltre sei minuti e mezzo a due minuti e mezzo).
Attraverso ripetuti passaggi radiofonici diviene in breve il brano più
conosciuto dei Doors uno degli inni dei giovani anticonformisti.
Mentre The end mescola sesso e
senso di morte in maniera pressoché indistricabile, Light my fire, con il suo testo breve e a doppio senso,
libera esclusivamente le energie sessuali ed è l'esempio, anche musicalmente,
del lato più vitale ed energico dei Doors.
Black Sabbath - Omonimo
Quest'album datato (1970) è stato
inciso in soli due giorni, con una spesa totale di 600 sterline. L'LP
rifletteva fin troppo chiaramente gli interessi del gruppo nei confronti del
blues, risultando alla resa dei conti, ancora abbastanza lontano dalle future
caratteristiche heavy.
Una serie di sovraincisioni
accuratamente scelte (un rumore di pioggia e lampi, opprimenti rintocchi di
campane) di "Black Sabbath" lo rendevano e lo rendono tuttora un
gioiello di raro fascino, dall'intenso "profumo" d'occulto.
Vorrei soffermarmi sul primo
brano del disco ancora una volta la stessa parola
"Black Sabbath", tratto
da un racconto di magia nera di Dennis Wheatley), che inizia subito dandoci
l'effetto del poemetto suddetto, cioè pioggia
battente, tuoni ed una campana in lontananza, veramente inquietante, ma
veramente agghiacciante e da brividi (direi che a qualcuno può anche far paura
la prima volta che la si ascolta) è l'entrata degli strumenti, oltre tutto
veemente come mai si era sentito prima a quei tempi e forse come mai fino ad
oggi.
Poi ecco la voce di Ozzy
finalmente che narra di una figura in nero che gli punta il dito e di un Satana
sorridente alle fiamme che si alzano, per poi supplicare Dio di aiutarlo,
mentre "una grande ombra nera con occhi di fuoco dice alle persone i loro
desideri". Rimbaud, poeta maledetto della seconda metà dell'Ottocento,
faceva dire in "Una stagione all'inferno" al demonio: "Raggiungi
la morte con tutti i suoi appetiti e il tuo egoismo e tutti i peccati
capitali" e poi ancora parlando di se stesso "riuscii a far svanire
nel mio spirito tutta la speranza umana" ed ecco in questa canzone anche
le parole "questa è la fine amico mio". Comunque La title track, non
è l'unica brano degno di nota di quest'album, "N.I.B." "Evil Woman" e Tomorrows
Dream" sono solo alcuni degli ottimi esempi di quello che diverrà famoso
come lo stile Black.
Black Sabbath are:
Geezer Butler: basso
Bill Ward: batteria
Ancora cade la
pioggia, i veli dell'oscurità avvolgono gli alberi anneriti, che contorti da
qualche nascosta violenza perdono le loro stanche foglie e piegano i loro rami
verso un terreno grigio di ali spezzate di uccelli, tra l'erba alta i papaveri
sanguinano prima di una morte gesticolante e giovani conigli, nati morti in
trappole, stanno esanimi come sorvegliassero il silenzio che circonda e
minaccia di sommergere tutti quelli che vorrebbero ascoltare. Uccelli muti,
stanchi di ripetere i terrori di ieri, accalcati l'uno contro l'altro nelle
rientranze di angoli bui, teste che si distolgono dai morti cigni neri che
galleggiano capovolti in un piccolo specchio d'acqua nel vuoto. Lì emerge, da
questo piccolo specchio d'acqua, una nebbia lieve e sensuale che indica la sua
via verso l'alto per accarezzare i piedi scheggiati della statua del martire
senza testa, la cui unica impresa è stata di morire troppo presto perché
impaziente di perdere. La cataratta del buio si forma pienamente, la lunga notte nera
comincia, ma ancora, vicino al lago una fanciulla aspetta, non vedendo si crede
non vista, ride appena, alla lontana campana che suona a morte, e la pioggia che ancora cade.
Deep Purple - In Rock (1970)
Senz'altro uno di migliori album rock di tutti i
tempi, con il quale crea un nuovo filone musicale che oggi classifichiamo come
Hard Rock. Il disco, dove emergono i riff devastanti della chitarra di
Blackmore, il piano di Lord, il magistrale ritmo di Paice e il perfetto
accompagnamento di Glover, è soprattutto caratterizzato dal virtuosismo vocale
di Gillan, che raggiunge tonalità vertiginose soprattutto nella lunga e
ambiziosa "Child in time". Si distinguono anche nel disco brani
importanti come "Speed king" e "Bloodsuker",
senza dimenticare la splendida "Black Night"
Formazione:
Ian
Gillan: voce Ritchie
Blackmore: chitarrra
John
Lord: tastiere e piano Roger Glover: basso
Ian
Paice: batteria
David Beck Hansen nasce a Los Angels, l’8 Luglio
1970, da madre punk e padre chitarrista, a 16 anni lascia la scuola e comincia
a suonare nelle coffe house newyorkesi.
Beck Hansen (il cognome è il materno, adottato alla
separazione dei genitori) è uno degli artisti contemporanei più intelligenti e
promettenti.
Contagiato da Woody Guthrie, Prince, Beastie Boys,
con la creatività di Bob Dylan,
questo angelo dagli occhi blu è la TOTALE FUSIONE di
generi musicali totalmente differenti tra loro.
La sua personalità non ha confini. Basti ascoltare
“Odelay” (1996) per capire: passare dall’alto al basso, dal rilassamento al
totale eccitamento.
Ma fin dall’inizio, da “Mellow Gold” (1994) ci si poteva render conto della originalità di quest’artista: “Loser”, “Soul Suckin Jerk”, “Blackhole”, canzoni stupende, senza un unico filo conduttore che le colleghi; solo pure originalità!
I suoi continui salti, cambi, passaggi Rock, Hip
Hop….
Beck è questo, un creativo, capace di rivoluzionare
la concezione dello stile musicale.
È “Midnight Vultures” (1999) è una conferma, ascoltate
“Sex Laws”, “Mixed Bizness”, ma anche “Debra”, “Beatuiful Way”, insieme a
un’altra artista da tenere sotto osservazione: Beth Orton
Tutto per capire che con Beck non ci sono confini,
il polistrumentista losangelino, con quei suoi occhi blu scuro, quei suoi
capelli biondi, quel suo fare quasi femminile, eppure affascinante nel suo
alone da extraterrestre, non ha limiti, ha mille sfaccettature.
Nel 1994 lo avevano marcato: il “loser”, il perdente, il fannullone, oggi occorrono almeno una decina di aggettivi per descriverne qualche aspetto, perché Beck è una ruota surreale, un continuo geniale dinamismo da cui aspettarsi di tutto..
MARIALUISA