|
Sport | |||
CALCIO Internazionale F.C Gazzetta dello sport FORMULA 1 Il regolamento FIA Ferrari McLaren M. Schumacher VARIE Canale
sport
|
Interminabile
sciagura In questi ultimi 11 anni abbiamo assistito al susseguirsi di diversi cicli. Alla ribalta del panorama italiano è giunto prima il Milan di Sacchi e in seguito di Capello, che ha fatto incetta di coppe e scudetti, poi è subentrata la Juventus di Lippi e oggi sembra che la Lazio di Eriksson, supportata dai miliardi del patron Cragnotti sia ben attrezzata per iniziare una cavalcata di successi. Si tratta tutti di cicli durati qualche anno, tutti diversi fra loro per proporzione degli investimenti, stili di gioco, mentalità. Tutte queste squadre citate, sebbene attraverso strade diverse, sono però riuscite a vincere. Ma negli ultimi 11 anni, dall’ormai lontanissimo 1989, un ciclo ha resistito, sopportando cambi di allenatori, presidenti, giocatori. Un ciclo privo di trofei significativi e ricchissimo di amarezze. Stiamo parlando dell’Inter, ridotta a sbiadito ricordo della Grande Inter figlia di Dio che fu e chissà quando mai sarà ancora. Sarebbe riduttivo limitare il discorso al piano esclusivamente tecnico, tale è la portata, vale a dire lo scandalo, di questa incredibile regolarità di insuccessi. Se oggi l’Inter è oggetto di derisioni da buona parte d’Italia, la questione non può essere soltanto di carattere tecnico. Il male oscuro che la affligge è profondo e radicato, e riguarda aspetti quali l’ambiente, la mentalità, le figure umane che hanno tentato di reggere le sorti della Beneamata. Tralasceremo
di occuparci dell’epoca di Pellegrini, presidente fino al 1994, poiché
troppo distante per mezzi finanziari e troppo diversa per uomini da quella
di Moratti Massimo, figlio del mitico Angelo, che come un
innamorato folle è disposto a tutto pur di soddisfare la sua amata.
Moratti è un presidente dotato di stile e, soprattutto, di soldi, molti
soldi. Forse troppi per chi, ormai è più che un sospetto, non ha le
conoscenze adeguate. Sull’onda della sua passione, si è letteralmente
fumato miliardi su miliardi acquistando decine di giocatori, ogni anno il
bilancio del mercato è costantemente in rosso, l’ultimo, tanto per fare
un esempio, di 50 miliardi. Pochi, alla fine, si sono rivelati degni
giocatori del campionato italiano. In una sola, delirante stagione è
addirittura riuscito ad ingaggiare quattro allenatori. Si è prima
circondato di vecchie glorie dell’Inter, insediandole in importanti
incarichi societari, fidandosi più del mito che si portavano dietro che
delle loro effettive capacità. Moratti è finito vittima di un equivoco:
generosità non significa necessariamente intelligenza, non comporta
essere al di sopra di ogni colpa, mentre, in alcuni casi, generosità vuol
dire ingenuità. Bisogna in sostanza sapersi dosare, saper spendere, saper
decidere e dirigere. Questo Moratti non sa farlo, o almeno, non
completamente. E’ pur vero che l’Inter senza i Moratti sarebbe ben
poco. Senza, non sarebbe arrivato il vero grande e forse unico colpo di
mercato, Ronaldo, ma, diciamo così, la sfortuna lo ha cancellato
dalla scena calcistica. L’errore più grande di Moratti è stato quello
ci cacciare via un onesto tecnico, Gigi Simoni, finora l’unico
che è stato in grado di condurre l’Inter a un campionato di vertice,
poi esonerato in nome del “bel gioco”. Da una possibile costruzione di
una squadra solida al totale disfacimento il passo è stato breve quanto
doloroso. Sono venute le sconfitte, le umiliazioni, la ridicola trovata
dei già citati quattro allenatori in una sola stagione, litigi negli
spogliatoi fra giocatori viziati e privi di qualsiasi orgoglio, anche
personale, l’assenza disarmante di un barlume di gioco, di uno spirito
di squadra, il vuoto impressionante di mentalità vincente, una squadra
incapace di reagire, di tentare, di dimostrare il proprio valore. Nemmeno Lippi
è riuscito a ridare speranza, anzi è proprio con il tecnico viareggino
che si è toccato il fondo. Eliminati prima ancora di entrarvi dalla
Champions League da una modestissima squadra di svedesi. Il tonfo è stato
fragoroso, ha scatenato nuovamente una ridda di processi e sentenze già
sentite. E’ inutile cercare chi ha colpe, perché tutti hanno dato il
loro contributo, dai giocatori che non rendevano quanto dovevano, agli
allenatori che non rendevano quanto ci si attendeva da loro, da un
ambiente intero incapace di darsi una scossa vera, risolutiva, che vada
aldilà di proclami di facciata ma che sia effettivamente in grado di
rovesciare il triste e incessante andamento di questa misera, sfortunata e
indecente Inter. Ecco dunque che ha pienamente ragioni chi sostiene che
non si doveva cedere un gioiello di terzino sinistro come Roberto Carlos
per poi rimpiangerlo, che non si deve stravolgere ogni anno l’intera
rosa, che non si doveva far partire un tipo come Roberto Baggio, che Lippi
ha messo in campo la formazione sbagliata. Tutte ragionevoli obiezioni, ma
che finiscono per essere puro esercizio di stile. L’Inter disastrata e
bistrattata non ha bisogno di nuovi mercenari e condottieri. In questi
anni all’Inter è mancata la Mentalità. L’Ambiente. Quando alla
Pinetina si comincerà finalmente a ragionare e concentrarsi, liberando la
mente da squallide preoccupazioni monetarie, l’Inter riacquisterà, se
non la vittoria, almeno la dignità. Concludiamo con le parole di Michele
Serra, autore di un’impeccabile analisi su “La Repubblica” di
venerdì 25 agosto: «Non è la mentalità vincente, ma la mentalità
giocante il segreto di ogni gioco e di ogni sport. Ci vorrebbe un
allenatore di buonumore, non importa se zonista o catenacciaro. Purché di
buonumore. E ci vorrebbe un presidente ricco e appassionato, come Moratti,
ma paziente e serafico come Moratti non riesce ad essere, che confidasse
nel tempo e nella tranquillità (come da sempre avviene) per costruire,
piano piano, anno dopo anno, una squadra forte e serena. La cui formula è
sempre la stessa, dall’alba del calcio: sette-otto titolari fissi per
dare ossa a un corpo che altrimenti è inevitabilmente disarticolato (per
quanto muscoloso), uno stuolo di ottimi comprimari e di ambiziose riserve,
e l’idea fortificante, terapeutica, che se non si vince oggi si vincerà
sicuramente domani. Prima di quanto ti aspetti, soprattutto se non sei
obbligato ad aspettartelo» |
|
|