Libri: SETA di Alessandro Baricco
di Lara Cantarelli
Baricco, impalpabile come la Seta
Nel breve scritto intitolato
Il ballo dei debuttanti, Riflessioni sui nuovi scrittori
(1995), Alessandro Baricco individua nell’innovazione della forma
espressiva l’obiettivo che ogni “nuovo” scrittore dovrebbe fare proprio
per essere davvero interprete del suo tempo, come lo sono stati, a loro
volta, Moravia, Gadda, Pavese, Calvino, …
“Voglio che (i nuovi scrittori)
riescano a coniugare la lingua del nuovo mondo con le storie che da sempre
continuiamo a raccontarci e che da ogni tempo aspettano una nuova
formulazione: voglio che mi raccontino ancora una volta Giulietta e Romeo,
senza che io mi accorga che è di nuovo la loro storia. Voglio leggerli e
non annoiarmi: che vuol dire trovare i ritmi, la complessità, la ricchezza
e la generosità a cui mi hanno abituato altre forme di narrazione che
trionfano in questa modernità. Voglio che la smettano di raccontare la
loro storia, e se ne inventino altre. Voglio che usino la loro lingua non
per metter giù libri carini, ma per metter su libri importanti. Dai
migliori voglio che usino il materiale retorico e linguistico che hanno
nel Dna, ma voglio anche che alla fine ottengano qualcosa che ottiene la
stessa pulizia di Del Giudice, o la bellezza folle di Voltolini, o la
saggezza di Tabucchi, o la vertigine fantastica di Benni”.
In questo senso, Baricco si presenta ormai
come uno scrittore moderno e maturo, capace di esprimere, attraverso un
linguaggio secco, conciso ed essenziale, al limite della correttezza
formale, le sensazioni e le inquietudini più profonde dell’animo umano.
Seta, “non è un romanzo e
neppure un racconto”, come ha affermato l’autore stesso, chiamato a
definire la sua opera, bensì una storia, nata “da un’idea di musica, di
musica bianca”. E’ la storia di un uomo, apparentemente
insignificante, alla ricerca del senso profondo della propria vita, e di
un incentivo a viverla. Baricco riveste di grande importanza la figura di
Hervé Joncour, un mercante del XIX secolo che, con le sue inquietudini e
la sua inettitudine nei confronti della vita attiva e consapevole, diviene
simbolo dell’uomo e della società moderni.
La storia dei viaggi, degli incontri, delle
esperienze e delle sensazioni che essi suscitano in Hervé, appare quasi
esclusivamente funzionale al disvelamento del personaggio, altrimenti mai
descritto attraverso gli artifici stilistici propri della prosa narrativa
(descrizioni, flashback, analessi, …).
Hervé è uno di quegli uomini che amano
assistere alla propria vita, ritenendo impropria qualsiasi ambizione a
viverla e Baricco allestisce questo spettacolo davanti agli occhi del
lettore, affascinandolo con messaggi brevi ed incisivi, dove si avverte la
sensazione che il “non detto” prevalga sul racconto, dando luogo ad un
affascinante gioco di luci ed ombre, dove il lettore si trova avvinto fino
alla fine, come avvolto in un impalpabile e prezioso mantello di seta.
Il linguaggio di Baricco è, come dimostra il
titolo stesso, ermetico ed evocativo, curato nei più piccoli dettagli e
ricco di ripetizioni, utili a scandire il ritmo narrativo e ad evidenziare
gli stati d’animo dei personaggi. Sono evidenti, inoltre, numerosi
richiami alla letteratura italiana e francese del primo Novecento, che
contribuiscono ad impreziosire il testo, fornendone molteplici chiavi
interpretative e consentendone una lettura a diversi livelli. Con
Seta, Baricco raggiunge un risultato eccezionale ed organico, dove
l’essenzialità della forma e la ricchezza del contenuto si fondono in modo
inscindibile, a testimonianza del valore espressivo di ogni singola
parola, come hanno sempre affermato e sostenuto i poeti della modernità.
La struttura narrativa è ciclica e trova il
suo punto di partenza nella figura di Hervé Joncour e in Lavilledieu, un
paese della Francia meridionale avviato all’industrializzazione, i cui
abitanti paiono esclusivamente animati da interessi commerciali. La realtà
frenetica di Lavilledieu si contrappone decisamente a quella sfumata e
perfetta, a tratti incomprensibile come gli ideogrammi lasciati a Hervé
dalla concubina di Hara Kei, delle terre giapponesi. Da Lavilledieu la
narrazione si allarga a spirale, fino a comprendere i viaggi in Giappone e
le esperienze, sospese tra sogno e realtà, fatte dal protagonista in
quelle terre, così lontane dai ritmi frenetici della società moderna, per
poi ritornare in Francia, davanti al lago del giardino di Hervé.
Il libro è strutturato in capitoli
brevissimi dove Baricco isola stati d’animo, sensazioni, situazioni,
personaggi, paesaggi, simboli ed eventi; ogni capitolo, nella sua estrema
compattezza ed organicità, assomiglia pertanto ad una fotografia
istantanea e segna un cambiamento, spaziale o temporale, di prospettiva,
oppure un mutamento interno all’animo del personaggio.
Nel corso della narrazione, inoltre, Baricco
non dimentica di inserire le coordinate temporali necessarie
all’identificazione del contesto storico e, soprattutto, utili ad
evidenziare, come in una biografia, le tappe fondamentali della vicenda
umana del personaggio di Hervé.
I personaggi di Seta sono,
come gli eventi narrati, i soli strettamente necessari alla vicenda e
appartengono a tipologie ben definite e diversificate tra loro. I
protagonisti sono tratteggiati nei loro caratteri fondamentali e sono
inquadrati nella vicenda, che li inserisce in una precisa rete di
relazioni, la maggior parte delle quali converge nel personaggio di Hervé.
A Lavilledieu troviamo Hélène, moglie di
Hervé, una donna forte, capace di celare silenziosamente la sua gelosia
verso la ragazza giapponese, della quale il marito non le aveva tuttavia
mai parlato (quanto avrebbe desiderato essere quella donna…) e
Baldabiou, maestro di vita di Hervé, uomo fiero, di poche parole, che
non sbagliava ma”.
In Giappone, Hervé incontra una cultura e un
modo di vivere diversi, che non riesce a comprendere appieno; le
descrizioni dei personaggi si fanno ora sempre più affascinanti ed
essenziali: Hara Kei, ricco proprietario delle uova dei bachi da seta
commerciati da Hervé, è un uomo singolare e, scrive Baricco, “ovunque
andasse (egli) andava in una solitudine incondizionata, e perfetta”.
La ragazza, una concubina di Hara Kei, viene descritta attraverso pochi
epiteti, riguardanti il suo aspetto e la sua età, tuttavia sufficienti ad
esprimere l’innocenza e la dolcezza della ragazza: i suoi occhi non
avevano un taglio orientale e il suo volto era il volto di una ragazzina.
Dopo la morte di Hélène, con la quale era
riuscito a ricostruire un’inspiegabile felicità, Hervé sprofonda
nella solitudine e nella nostalgia che si prova per qualcosa che
non si ha mai avuto. Con questa espressione, Baricco coglie
nuovamente un aspetto profondo della sensibilità umana; Hervé ricorda i
suoi viaggi e la ragazza, l’unica cosa per la quale abbia mai sentito di
voler vivere appieno, di volere divenire “inventore” della propria vita,
abbandonando la posizione di spettatore che osserva il suo destino nel
modo in cui, i più, sono soliti osservare una giornata di pioggia.
Hervé, ricordando la concubina di Hara Kei, desiderata e mai realmente
posseduta, sente la nostalgia del suo amore, comprendendo tuttavia la
stranezza di questo inspiegabile dolore: morire di nostalgia per
qualcosa che non si avrà mai.
Hervé si rifugia, dunque, nei miti della
memoria e sente il bisogno e la mancanza dei brevi ma intensi attimi
vissuti in Giappone in casa di Hara Kei, il cui ricordo, da solo, basta a
riempire una vita intera.
La conclusione del libro non è, tuttavia,
malinconica e coinvolge ancora una volta le tematiche del racconto, del
ricordo, del simbolo, del viaggio e del rapporto dell’uomo con la natura,
che Baricco condensa abilmente in poche righe, liriche ed essenziali.
Hervé, per difendersi dall’infelicità, inizia a concedersi un piacere
che prima si era sempre negato: a coloro che andavano a trovarlo,
raccontava dei suoi viaggi. Ascoltandolo, la gente di Lavilledieu imparava
il mondo e i bambini scoprivano cos’era la meraviglia. Lui raccontava
piano, guardando nell’aria cose che gli altri non vedevano. Così
facendo, egli può continuare a ricordare, immergendosi nel mondo perduto
della sua giovinezza e dei luoghi lontani da lui attraversati, conosciuti
ed amati, distrutti l’uno dallo scorrere del tempo, l’altro dalla guerra.
Hervé riesce, in questo modo, ad alleviare la nostalgia e la solitudine e
ogni tanto, nelle giornate di vento, si reca nel suo giardino, che
evoca in ogni cosa quelli giapponesi, davanti al lago dove gli pareva
di vedere l’inspiegabile spettacolo, lieve (come la trama traslucida e
finissima di quest’opera), che era stata la sua vita.
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