Author Archive for Alice Su

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Gigi, perchè l’hai fatto?

Mi alzo. Assonnata, vado in bagno.

Presa dai miei lavori mattutini, afferro  il solito giornale di Gossip.

Apro una pagina a caso. Gigi D'alessio lascia la moglie dopo vent''anni di matrimonio. Per una ragazzina. E non una ragazzina qualsiasi: Anna Tatangelo.

Depressione.

Nemmeno i migliori matrimoni napoletani rimangono saldi...

Tutte le mie certezze sono crollate.

Basta il Link.

www.repubblica.it/2007/01/sezioni/cronaca/ustica-processo/
ustica-processo/ustica-processo.html

Che Depressione.

Zombie

Secondo capitolo della saga sui morti viventi di George A. Romero e forse il meno efficace dei tre (il quarto non riesco, per quanto appartenga sempre al maestro, a considerarlo parte integrante del lavoro). Nettamente inferiore a La notte dei morti viventi per l'utilizzo dei colori, che rendono meno cruenta e reale la scena. Certamente una scelta ben mirata: se il primo film voleva mettere in evidenza caratteri per lo più personali dell'umanità (complesso di Edipo, paura della società) in questo caso ci si sofferma molto più sul capitalismo e sullo sfrenato consumismo: sul bisogno di sottolineare con colori moderni la realtà contemporanea.


Forse è inferiore anche per la scarsa originalità del tema. Se il primo era totalmente innovativo (ha fatto scuola, d'altra parte) qui si ricalca esattamente la stessa vicenda. Inizia dove eravamo rimasti quasi vent’anni prima. L'umanità è perfettamente a conoscenza di quanto sta accadendo ed è presa completamente dal panico. La pellicola si apre sul set di un programma televisivo che trasmette un dibattito sulla tragedia onnipresente. Ma si nota da subito come non esista affatto un'organizzazione, né voglia di risolvere senza essere presi dal panico quello che potrebbe trasformarsi nel definitivo declino dell'Uomo.
Alla domanda cruciale: perché uccidono, gli Zombi? La risposta più chiara e concisa che l'intervistato può dare è che Uccidono per nutrirsi. Il problema però non sono davvero questi esseri immondi che si sono risvegliati. Il problema, e Romero non si stancherà mai di ripeterlo nelle sue opere, sono i vivi che continuano a non vedere la realtà. Mentre i morti cercano di sopravvivere, con l'istinto più primordiale della caccia, i vivi hanno trasformato l'intera società in un monito vivente che ripete incessantemente Mors Tua, Vita mea. Il programma tv viene trasformato in una vera e propria giungla deforme, ricca di derisioni, urla, insulti. Il cervello degli uomini è già morto in partenza. Forse è proprio per questo che si colpiscono alla testa i mostri. Sembrano utilizzare più loro l'intelletto, che noi.

In mezzo a tutta questa baraonda, un gruppo di persone cerca di fuggire con un elicottero. Due appartengono all'esercito (un bianco e un nero) e due sono giornalisti (un uomo e una donna). Poco prima di partire, i due soldati incontrano un prete senza una gamba (ricordiamo che anche nel primo episodio il personaggio del rappresentante di Dio è importante, in quanto portatore di verità) che li lascia con una scomoda quanto palese dichiarazione: Quando i morti camminano, signori, bisogna smettere di uccidere o si perde la guerra. Ma a cosa si può pensare di arrivare, in un mondo in cui è la morte a far da Regina? Gli Zombi oramai banchettano allegramente con i resti della civiltà. I Due soldati cominciano la loro fuga con lo sterminio di un'ipotetica ultima cena: decine di apostoli professano l'imminente distruzione, priva di perdono e gloria. Uccidono senza pietà, i soldati. Se poi è uccidere, questo. Stanchi, devastati, alzano ancora una volta il grilletto, verso la telecamera. Lo premono e siamo noi a perire questa volta.
Romero è totalmente negativo, ci fa intendere che nemmeno per noi, che stiamo guardano un semplice film dell'Orrore, ci sarà qualcosa denominato salvezza. Verremo uccisi. Se non dai vivi, sicuramente dai morti. Per farci capire meglio a quale deleterio stato siamo caduti, il regista ci mostra la Nostra caccia. Se i morti cacciano per sopravvivenza, noi lo facciamo per puro e semplice divertimento.

La musica, dei Goblin, da cupa e angosciante, si trasforma in una tiritera da circo, accompagnata da risa di uomini che colpiscono facendo a gara, quello che invece dovrebbe spaventarli e farli riflettere. Morte è uguale a divertimento. Niente rispetto, niente alleanza. Solo voglia di sangue. Ma la scena più famosa del film è sicuramente l'entrata nel supermercato. Un supermercato, tra le altre cose, pieno zeppo di morti che camminano. Il motivo è presto detto: ci tornano per abitudine, per loro doveva essere un posto molto importante quando erano in vita. Non credo che abbia bisogno di commentare ulteriormente questa frase che si fa onore da sola. Altrettanto eloquente è il salire sulle scale mobili dei mostri: si calpestano a vicenda. Proprio come facevano in vita, a loro tempo.

La Squadra di Fuggitivi irrompe dunque in questo supermercato e fa razzia di tutto ciò che NON serve. Perché, strano a dirsi, neanche alle strette l'uomo riesce a comprendere quali siano le cose fondamentali della vita. Volere TUTTO e subito è ciò che caratterizza il nostro secolo e ciò che ci ridurrà a dei mentecatti bavosi (è il Romero-pensiero, chiaramente). Il restante tempo del film viene vissuto in questo Tempio del Consumismo, tra razzie, divertimenti e tragedie (in fondo è pur sempre un film dell'Orrore, non tutti possono arrivare alla fine). Fino a raggiungere il classico Tocco romerico, con l'irruzione di Harleysti nel supermercato e la guerra civile tra i vivi. I Protagonisti si alleano in qualche modo agli Zombi, morte e non morte uniti per un solo scopo comune: il Potere. Potere differente: se i fuggitivi possono rappresentare velatamente il governo costituito, gli Zombi sono il Popolo, che si accontenta dei resti e ne banchetta. Romero non lascia spazio alla speranza. Gli unici due sopravvissuti (il nero e la donna, incinta) lasciano il supermercato in elicottero; il seme dentro di lei lascia intravedere una possibilità: un mondo nuovo potrebbe esser possibile. Ma è solo un diversivo.

Le ultime parole pronunciate dai sommersi e salvati sono: Quanta benzina abbiamo? - Non molta. L'esodo continua, dunque. Per quanto si cercherà di fuggire, il problema è sempre dentro di noi: nell'Io che, quando meno te lo aspetti, può trasformarsi nel più grande incubo mai concepito dall'uomo. Quell'Io destinato a deteriorarsi fino a diventare quello che, in modo molto pagano, chiamiamo Morto Vivente.

Violenza in fabbrica

Anche a Pechino qualcosa si muove. O forse, semplicemente, l'episodio è stato talmente estremo che nemmeno i Cinesi si sono sentiti in dovere di sopportare tanto.

E come biasimarli?

Un'azienda Italiana di Divani, la DeCoro, avrebbe avuto al suo interno episodi di violenza. Delle guardie (un centinaio) avrebbero malmenato, con manganelli di ferro, settanta dipendendi. Due operai feriti, uno in coma.

L'azienda afferma che le guardie non sono pagate da loro, un testimone invece dice che la violenza era tacitamente approvata dall'industria.

Vergognoso.

La notte dei morti viventi

Un buon film dell’orrore, ho scritto qualche tempo fa, deve essere in grado di riportare alla luce le paure più recondite di ognuno di noi. E, aggiungo, dovrebbe trasfigurare la nostra realtà, creando così dei paradossi o uno specchio di ciò che vediamo e viviamo ogni giorno. Una sorta di satira sociale e, se vogliamo, politica. Romero, con la sua trilogia sui morti viventi ( “La notte dei morti viventi”, “Zombie”, “Il Giorno degli zombie”)ha delineato indubbiamente un profilo abbastanza chiaro della società non solo degli anni settanta, ma anche dell’imminente futuro, quello in cui oggi viviamo. Mi soffermo solo sul primo capitolo della serie, girato nel sessantotto e prima opera del regista. Ha creato letteralmente uno stile cinematografico e tutti hanno attinto e attingono dalla sua pellicola cult. Basta citare “Zombie 2”, il remake de “La notte dei morti viventi” e i più recenti “L’alba dei morti viventi” e “28 giorni dopo”. Persino Resident Evil, videogioco di successo da cui hanno tratto un film tra i più guardabili (Nel genere) degli ultimi anni, ha sicuramente da ringraziare il Vecchio George. Sarà che è stato il primo a trattare l’argomento?


Può essere, certamente però è la sola opera a terrorizzare ancora oggi. Privo d’effetti speciali, con una fotografia in bianco e nero, la vicenda avviene quasi solamente dentro una casa, diventata rifugio per sette persone disperate. Fuori, infatti, il mondo sembra impazzito. I morti sono tornati a vivere, sono pericolosi e soprattutto sono cannibali. Insomma, gli Zombie hanno invaso la Terra. Per tutto il film, di conseguenza, i protagonisti cercano di sopravvivere. Storia semplice, direte voi, quasi banale. Peccato che le cose non sono proprio come sembrano. Innanzi tutto soffermiamoci sulla figura del “morto vivente”, sull’”uomo mangia uomo”. Non è un mostro, ma è il nostro modo di campare. Non viviamo (Generalizzo, chiaramente) forse godendo del soccombere altrui? E, diciamola tutta, non siamo noi spesso i carnefici della vita altrui? La radio spiega nel film che si tratta di “Automatismo ossessivo”, quasi fossero tutti sotto ipnosi. Se vogliamo fare un parallelo con la Realtà, è ciò che capita a tutte quelle persone ormai talmente assorbite dal sistema da spingere i propri gesti verso il motto: PRODURRE – CONSUMARE – MORIRE. Una catena di montaggio senza senso, ma approvato dall’umanità. Gli Zombie, appunto. Zombie che, assai simbolicamente, possono perire solo se colpiti alla testa. Il regista ci suggerisce, quindi, che il potere, la massa (chiamiamolo come vogliamo) è poco intelligente e con la forza del singolo è possibile abbatterlo. La forza del singolo è rappresentata dai sette superstiti, quelli che non si sono arresi, quelli che uniti possono creare la rivoluzione. Peccato però che esista qualcosa chiamato: “Guerra fra poveri”. E’ vero, non siamo arrivati a mangiarci l’uno con l’altro, ma siamo in gara per ottenere quanto più potere possibile. Abbiamo l’uomo con ego di superiorità e il nero che si sente capo nell’animo. Il gruppo quindi è portato a dividersi in due fazioni che apparentemente collaborano ma, in realtà, attendono solo un passo falso per avere supremazia. Insomma, se il potere riesce a dividere, il nemico vince. Gli Zombi prenderanno il sopravvento. Perché, si sa, ogni divisione di razza, credo e politica, altro non è che un miraggio e inganno, solo un qualcosa creato ad arte per metterci gli uni contro gli altri. Infatti, durante il film anche i superstiti si ammazzeranno a vicenda, per il predominio di una semplice casa disabitata. Allucinante se ci si pensa, ma reale se si contrappone la nostra società. Persino tra “amici” non si può mai voltare le spalle se non vogliamo essere pugnalati.

Un episodio particolarmente disturbante è il risveglio della figlia di una coppia presente nella casa. “Risveglio” tra virgolette perché, morsa da una delle creature immonde, diventa come loro e mangia con noncuranza i genitori. Questo non è altro che il complesso d’Edipo, ma anche segno che non esiste più moralità. Il detto “Parenti Serpenti” è allegramente superato dall’ipotesi di uccidere il familiare pur di diventare parte integrante della società d’oggi. Non c’è limite all’indifferenza, alla crudeltà. Pur di non restare “arretrati” si ucciderebbe la propria madre. 
Ma, questo è quel che tutti penserete, alla fine i buoni vincono sempre, no?Sicuramente almeno un superstite riuscirà ad uscire dalla casa. Gli Zombi torneranno sotto terra. Sì e no. Certo, l’umanità riesce a sotterrare (momentaneamente) la nuova razza. Si Sono, infatti, formate delle vere e proprie squadre che avanzano senza paura abbattendo i mostri che, ora lo sanno, sono infondo molto deboli. Peccato però che non riescano più a riconoscere il buono dal cattivo, il bene dal male. Quindi quando l’ultimo sopravvissuto (il Nero) cerca di uscire dalla casa dopo quasi un’ora e mezza di pellicola cercando di difendere la propria vita, viene abbattuto senza remore da un “cacciatore”. Questo cosa vuol dire? Semplicemente che non c’è speranza. Che la forza del singolo, la mia forza, la tua o quella del regista, è vana. Se non sarà la Società dei Potenti Automatizzati (Gli Zombie) a finirti, sarà il destino o il volersi dividere in piccoli gruppi gli uni contro gli altri. Insomma, l’umanità è ridotta al macello. Prima o poi finirai anche tu in mezzo a quel rogo di corpi senza nemmeno sapere il perché. Anzi, conscio del fatto che un perché non deve esistere né mai esisterà. E’ la nostra natura. Vivere per uccidere.

Paolini – Teatro di Vita

Ascoltare e immaginare, solo in alcuni casi, diventano un'azione automatica e ipnotica. Quando l'oratore è particolarmente attento ai particolari, quando gesti, parole, sguardi, sorrisi vengono utilizzati completamente per raggiungere l'arte sublime del raccontare, solo allora, il pubblico rimane esterefatto. Non parla, non ride, non piange. Rimane semplicemente fermo, bloccato.Come sospeso tra due universi comunicanti. Non si rende nemmeno più conto di avere smesso di respirare, milioni di secondi fa. Gli occhi sono contornati da lacrime che non riescono a scendere, intimorite da quel silenzio quasi sacrale, preoccupate di creare un disequilibrio tra quegli spiriti che si stanno toccando, senza nemmeno immaginarlo. Un Oratore e una Platea. Un uomo che cattura l'immaginario collettivo, il Cuore delle sensazioni più intime del Corteo di emozioni camminanti verso di lui.

Questo è il Teatro. La parola Teatro racchiude un senso di antichità, qualcosa che ci rimanda ai Greci e ai Latini, agli albori della nostra Cultura. In questo tempo in cui Immagini, Suoni, Televisioni e Radio imperversano, senza più possibilità di dare una propria impronta alla storia che ci viene proposta (o alla storia che potremmo costruire insieme), il Teatro si propone come ultima spiaggia per quei reduci della guerra contro la Globalizzazione della Fantasia.
A una persona vorrei rendere omaggio una volta per tutte, perchè è grazie al suo lavoro che io sono così. Anche se l'ho conosciuto poco tempo fa (un mio amico ha sempre affermato che "le cose intelligenti arrivano sempre, prima o poi, alle persone intelligenti"), è riuscito a formare il mio senso del Civile, della Cronaca, del Ricordo. Sensi già spiccati di per se, ma arenati a una forma di scrittura quasi paleolitica. La mia scrittura ha modificato il suo corso, evolvendosi. Più chiara, più concisa, più diretta. Senza false emozioni, perchè ciò che stai raccontando ne è talmente intriso da non avere bisogno di frasi ad effetto per accaparrare l'attenzione del "pubblico" (lettori, in questo caso). L'attore (ma è molto di più di un semplice attore) di cui sto parlando è Marco Paolini.
Le opere che più sono conosciute di Paolini sono Ustica e racconto del Vajont, due descrizioni tragiche, sensibili, dolci, spaurite di due tragedie che hanno caratterizzato quest'Italia (l'italia che si innamora... ). Di Ustica ho anche trascritto dei pezzi su un numero di Albatros, per spiegare proprio quel Muro di Gomma Odiato che ancora esiste (non si riesce ad abbattere.. ). Un Uomo che riesce a trasformare 81 passeggeri di un volo caduto nell'oblio in Tigi. I Tigi. Un Popolo a parte, il popolo del cielo, con una propria tragedia. Tragedia nel senso Epico del termine. Trasforma la loro routine in morte, morte non annunciata ma sicuramente ottenebrata. Una morte priva di sepoltura.. Una morte accompagnata dai canti di Marini e company, che fanno da contorno alle Immagini di repertorio del Titanic dell'aria.
Un Uomo che riesce a portarci nei paesi di Longarone, che ci mostra nell'interezza Erto, Casso e tutta la popolazione contadina che viveva (Viveva, impossibile utilizzare un verbo al presente, per questo) in quei luoghi. Luoghi che oggi odorano di disperazione, di fatalità. Ma Fatalità umana, non ambientale, come tentarono di farci credere in molti, allora. E quando arriva il momento, quando l'eccidio è pronto, quando l'onda si alza e quando le persone vengono annientate.. Moriamo con loro. Sentiamo bruciare la pelle,abbiamo la sensazione di Evaporare. Di non essere più. Di scomparire. Di non avere più un corpo. Di non avere degna sepoltura. Di non potere più riposare.
Paolini ha questa capacità: non racconta. Mostra. Ogni suo gesto diviene azione. Azione collettiva, azione antica, azione presente, futura, attuale. Azione vera o azione inventata (perchè, come dice lui, ogni tanto deve fare del teatro, deve inventare per tenere alta la nostra attenzione). Un suo movimento non è un semplice gesticolare. Non è un semplice accompagnamento alle parole. Ma sono le parole che divengono Vita. E non ha bisogno nemmeno di un Teatro, se vogliamo. Le sue arti magiche sono così evolute che basta che una folla gli si sieda accanto, in un posto qualsiasi, in un'ora qualunque... che quella stanza o quella casa si tramuta in "Luogo per l'Orazione". Orazione Suprema, Sublime, Sempreterna (le Tre s della Sapienza).
Anche nei suoi Diari , di cui un giorno vorrei parlare più lungamente, ogni personaggio diviene oggetto della nostra quotidianità. Nicola, quel Nicola così timido e innamorato della bella Nora, sembra di averlo davanti. Jole, sono sicura di averla incontrata, una volta o l'altra. Forse in una manifestazione, la manifestazione del 25 aprile.
Ogni risata però ha un risvolto. Il risvolto dell'attualità. Perchè, come avete capito, Paolini è Denuncia. Così, tra un urlo, un "Mona" e un italiano biascicato Dialetto, la doccia fredda arriva. Non avvisa. A volte è supportata da un suono. A volte invece è solo il suo sguardo a cambiare. Ma l'effetto è lo stesso. Delirio di impotenza. Annichilimento. Oppressione dei sensi. Voglia di sbattere la testa contro il muro. Urlare agli indifferenti: Io C'ero! Ho visto!! Anche se, in realtà, non è così. Ma Sembra, dopo averlo sentito parlare. Come quando introduce la bomba in Piazza della Loggia, a Brescia. Anche lui, che non c'era, che era a casa, l'ha vista. Con gli occhi dell'incredulità che ci stanno accomunando perchè, anche se sono trascorsi vent'anni, vediamo traditi i nostri giochi, i nostri ideali. Come può esserci il sangue in mezzo alla nostra voglia di amore? Come può in questi favolosi anni settanta...
Ma, un attimo, fermi. Non siamo negli anni settanta. non più. Avevamo dimenticato quale fosse la nostra connotazione.
E' la magia di Paolini.
Che riesce a portarci fino al fiume Donn, insieme ai morti,Italiani, per niente. Sentiamo il freddo, la neve imperversa e camminiamo. Come dei Charlot involontari, perchè quel cammino è difficile, frammentario. Soprattutto non voluto.
E le urla, i comandi, i tamburi, le morti, gli spari... sentiamo tutto questo. Siamo in guerra. E trasformiamo questo caos che imperversa in una strana musica che ci aliena, che ci rende inermi e piccoli, in mezzo a una storia troppo grande per noi.
Paolini, questo è. La storia del mondo personificata, il Male di vivere che si ribella, che ci grida che la vita è bella ma che bisogna sempre capire, ricordare, sviscerare,domandare, Dubitare. Dubitare anche di lui, che non vuole essere trasformato in portatore di verità, ma essere solo un mezzo per il Dialogo, con le vittime che urlano giustizia.
Dubitare anche delle proprie percezioni, a volte, perchè solo il tempo riuscirà a farci capire cosa accadde. Ma il tempo deve essere sposato con le emozioni, perchè solo l'indignazione viva può portare giustizia e Novità Vera in un mondo oramai perso in se stesso. Un mondo che trova rifugio solamente nelle parole e nella penna di un attore, che si trasforma in cantastorie e che ci parla di se per parlarci di noi.
Siamo un racconto collettivo, siamo vite intense ridotte in cenere da chi, da qualche parte, comanda e non pensa. Comanda e non ama. Comanda e... uccide.
Che il cammino del soldato entri dentro di voi. Che i "violentati dal Rumore" (perchè Vajont è stato anche RUMORE!! Chi vi ha mai parlato di questo? Chi mai vi ha fatto ascoltare quel frastuono, quel fragore che ha anticipato la Nostra morte!!) non siano rimossi dalla vostra coscienza. Che non smettiate mai di domandarvi: chi ha messo quegli oggetti sugli alberi? guardando i resti (pochi) che addobbano la flora del territorio di Longarone..
Che non smettiate mai di ripetervi che I Tigi siamo noi..
Tornate pure a respirare. Siete di nuovo a casa. Ma, vi prego, non dimenticate.
 

Il caso Pinelli

"Anche quando avranno scoperto i colpevoli o provato la mia innocenza, non potranno cancellare i segni di ciò che hanno fatto. Spero solo che avvenga molto presto e sono sicuro che molta gente, in avvenire, sarà a doversi scusare ed abbassare gli occhi". - Pietro Valpreda, lettera dal carcere -
 
In piazza Fontana, nel giardino della questura, di fronte alla Banca Nazionale dell'Agricoltura, è posta una targa: "Pinelli, ucciso innocente nei locali della questura". Poco tempo fa, il sindaco di Milano Albertini, ha sostituito il tutto con un ricordo più morbido. Pinelli, difatti, risulta oggi Morto Innocente, non più Ucciso. Una differenza sostanziale. Soprattutto se riguarda una tragedia che ha modificato il modo di pensare Italiano.

L'atto è stato avanzato nottetempo, proprio alla maniera dei ladri, come volere derubare la città dal ricordo storico, dell'indignazione forse un pò dormiente, ma ancora presente. Gli Anarchici hanno risposto istantaneamente: di fianco al vergognoso epiteto Albertiniano hanno posto la bruciante verità, come è giusto che sia. Per comprendere meglio la "defenestrazione" del "Pino", bisogna compiere qualche passo indietro. Allontanarsi da Milano, giungendo a Roma. Osservare uno strano soggetto, di radici fasciste: Mario Merlino che ha militato in gruppi di estrema destra: Avanguardia Nazionale, Ordine Nuovo e Giovane Italia. Durante le estati frequenta un campo clandestino di addestramento organizzato dai neonazisti tedeschi di "Nazione Europea". E' amico di Pino Rauti e Stefano Delle Chiaie. Cosa c'entra con gli anarchici, dunque? C'entra. Perchè all'epoca era in atto un movimento fondamentale, studiato per compiere gesta future. Un movimento volto all'attribuire le colpe di atti terroristici o comunque violenti ai gruppi di sinistra, con il corrispondente ritorno ad un regime autoritario di destra (la solita strategia della Tensione). Merlino era solito infiltrarsi negli ambienti della sinistra per scatenare sommosse impopolari. Al momento dell'attentato militava nel circolo anarchico 22 Marzo, da lui stesso creato. Al 22 marzo, scrive in "Strage di Stato" (una controinchiesta redatta proprio in quegli anni), si presenta al circolo con un nuovo personaggio: Pio d'Auria, (ex) fascista. La cosa impressionante è che ha una certa somiglianza con Pietro Valpreda e si sospetta che sia questo l'uomo visto da Cornelio Rolandi, il tassista testimone (era infatti partito da Roma il 4 di dicembre con meta ufficiale la Germania). Ma quella di Valpreda è una storia lunga e travagliata, da approfondire in un secondo tempo. In questo spazio vorrei solo rendere giustizia a Pinelli e a tutti gli anarchici rimasti incastrati in questo meccanismo statale.
Merlino quindi, probabilmente guidato dall'alto, crea il circolo, lo riempie di infiltrati di destra e, presumibilmente, offre appositamente questo sosia di Valpreda. L'uomo, la sera dell'11 dicembre (siamo nel 1969), viene visto in Viale Manzoni, a Roma. Dove sta andando? Ufficialmente in Via Tuscolana, numero 572, dove abita Leda Minetti Ma vengono varate altre due ipotesi: 1) in via Tor Caldora dove abita Pio d'Auria; 2) in Via Tommaso da Celano, dove abita Stefano Delle Chiaie.
Il particolare di quella sera è importante, soprattutto in seguito ai macabri fatti del 12 dicembre. Gli altri "affiliati" infatti sono stati indagati con molta serietà (Valpreda, Gargamelli, Borghese, Mander e Bagnoli), chiedendo delucidazioni proprio al signor Merlino. Non è stata invece eseguita l'operazione contraria. Dai verbali risulta la mancanza di dati fondamentali e basilari (non gli è stato chiesto nè "cosa abbia fatto nei giorni precedenti gli attentati, nè dei suoi rapporti con i vari fascisti che frequentava"). Inoltre, non vi sono alcune accuse contro Merlino, nè indizi, che possano renderlo colpevole. Eppure, è stato incriminato, ma senza i duri interrogatori a cui è sottoposto Valpreda. Riporto fedelmente da "Strage di Stato": "La sua posizione appare molto simile a quella di un teste a carico che si voglia "proteggere"".
Quindi, grazie alle pseudo-confessioni di Merlino, abbiamo un colpevole romano per l'attentato di Milano: Valpreda (partito per quella città qualche giorno prima, sotto ordine della questura, per chiarire una questione riguardante dei volantini) e il Circolo 22 Marzo. Anarchici.
Naturalmente c'era bisogno anche di un colpevole Milanese, per rendere la macchinazione più credibile. I "Burattini" milanesi sono due: Antonio Amati (magistrato, capo dell'ufficio istruzione) e Luigi Calabresi (commissario). Sono loro che, dopo poche ore dall'esplosione dell'ordigno, indicano la mano assassina: il circolo anarchico capitanato da Pinelli. E' un'accusa strana: Giuseppe Pinelli è una persona pacifica, nega ogni forma di violenza. Così l'intero circolo. Non sono dei temuti assassini, eppure Pinelli viene sequestrato insieme ai suoi compari. Perchè? La controinchiesta fornisce i punti del piano: 1) Nel gruppo prescelto si erano tenuti dei discorsi, si era parlato di armi, di guerriglia, di come opporsi a tentativi di colpo di Stato; 2) Nel gruppo si sono infiltrati dei provocatori/informatori che hanno soffiato sul fuoco, hanno estremizzato al massimo il discorso, hanno proposto la necessità di passare dalla teoria alla pratica; 3) Nel frattempo sono stati commessi degli attentati la cui forma è stata resa simile a quella che avrebbe lasciato tale gruppo se mai li avesse commessi, e per questo l'opinione pubblica è già predisposta ad accettarlo come quello dinamitardo per eccellenza.
Non solo, attribuire agli anarchici tali malefatte, vorrebbe dire colpire in Alto. Vorrebbe dire incastrare Feltrinelli, l'editore di sinistra scomodo e rivoluzionario. Colui che fornì l'alibi a Eliane Corradini, accusati per gli attentati del 25 aprile (alla Fiera). Quindi, il circolo si sarebbe chiuso: dagli Anarchici a Corradini. Da Corradini a Feltrinelli. Caso chiuso.
E' facile pensare che non si tratti di fantapolitica, soprattutto dopo 30 anni dall'accaduto. Soprattutto dopo aver assodato che gli Anarchici erano e sono completamente innocenti.
Pinelli viene prelevato e interrogato. Ed i metodi non sono ortodossi: l'obiettivo è stancare "il Pino" per indurlo a confessare qualcosa. Lo attaccano. Gli dicono che sanno del suo viaggio a Roma, risalente all'otto e il nove. Che il suo alibi era stato contraddetto. Lo minacciano. Gli dicono che verrà licenziato (è un ferroviere) a causa dei suoi movimenti politici. Cercano anche di convincerlo che potrebbe essere in qualche modo implicato, anche per vie secondarie. Ma Pinelli è tranquillo, a quanto si legge. Fino a quando non gli dicono che Valpreda ha confessato. A questo punto, lo scoramento. Il ferroviere si alza. Mormora: "E' morta l'anarchia". E si butta, di corsa, giù dalla finestra. Vien portato all'ospedale Fatebene Fratelli, dove muore, poco dopo.
Una brutta storia. Specialmente perchè avvengono diverse stranezze. Partendo dalla sala operatoria. Un settimanale di allora, "Vie Nuove", scrisse: "La polizia era presente anche all'interno della sala di rianimazione dove i due medici cercavano invano di tenere in vita Giuseppe Pinelli. Un poliziotto in borghese, camicia e cravatta, baffetti neri e un distintivo all'occhiello della giacca, non si allontanò neppure per un attimo dal lettino dove Pinelli stava morendo. Che cosa pensava o temeva che Pinelli potesse dire prima di morire?".
In secondo luogo, il corpo dell'uomo presenta diverse anomalie. Ad un esame superficiale non mostrava nessuna lesione esterna nè "perdeva sangue dalle orecchie e dal naso, come avrebbe dovuto essere Pinelli avesse battuto violentemente al suolo con la testa" (sempre tratto da "Vie Nuove"). "Per logica si arriva quindi ad una seconda domanda: non è possibile che quella lesione al collo (unico segno esterno visibile n.d.a.) fosse stata provocata prima della caduta? Come e da cosa, non ci vuole molta fantasia per immaginarlo: sono ormai molti anni che nelle nostre scuole di polizia si insegna quella antica arte giapponese di colpire col taglio della mano, nota come Karatè".
Al di là di questo, i fatti più strani sono altri. Innanzitutto l'ora del suicidio. I cronisti che erano presenti in questura scrivono che è avvenuto a mezzanotte e tre minuti. Nei giorni successivi viene definito in modo più generale, con un "circa mezzanotte". Dopo di che decidono il tempo ufficiale: ore undici e cinquantasette minuti. La telefonata all'ospedale avviene a mezzanotte e cinquantotto secondi. Se ascoltassimo la primissima versione, sembrerebbe quindi che prima i poliziotti abbiano chiamato l'ambulanza e poi che Pinelli si sia suicidato. Premonizione? Se si vuole credere invece al secondo orario attribuito al suicidio, allora nessun mistero. Peccato però che i giornalisti fossero parecchi. E che il cadavere sia stato trovato proprio da uno di loro: Aldo Palumbo.
Ma Aldo Palumbo lavora per l'Unità. Questo è un dubbio che voglio infilare, perchè capire qualcosa dell'affare di Pinelli non è tanto semplice. A destra e a sinistra si dicono delle cose, negli atti processuali ne troveremo scritte delle altre. Ma andando con ordine, elencherò tutti i punti di vista. Palumbo, dicevo, lavorava per l'Unità e questo era un bollettino di partito. Quindi era di parte. Però non solo Palumbo indica quell'ora come momento del Suicidio.
L'ipotesi del suicidio, per altro, non sta in piedi. Questa è l'unica cosa certa, dopo tanti anni. Perchè? Semplicemente perchè un uomo che prende la rincorsa e si butta da una finestra non ha quelle reazioni. Da "Strage di Stato": Pinelli cadde letteralmente scivolando lungo il muro, tanto che rimbalza su ambedue gli stretti cornicioni sottostanti la finestra dell'ufficio politico: non si è dato quindi nessun slancio. Cade senza un grido e i medici stabilirono che le sue mani non presentano segni di escoriazioni, non ha avuto cioè nessuna reazione a livello di istinto, incontrollabile, nemmeno quella di portare le mani a proteggersi durante la "scivolata". La polizia fornisce nell'arco di un mese tre versioni contrastanti sulla meccanica del suicidio. La prima: “quando Pinelli ha spalancato la finestra, abbiamo tentato di fermarlo ma senza riuscirci”. La seconda: “quando Pinelli ha spalancato la finestra, abbiamo tentato di fermarlo e ci siamo parzialmente riusciti, nel senso che ne abbiamo frenato lo slancio: come dire, ecco perchè è scivolato lungo il muro”. Ma questa versione è stata resa a posteriori, dopo cioè che i giornali avevano fatto rilevare la stranezza della caduta. Infine l'ultima, la più credibile, fornita in "esclusiva" il 17 gennaio al Corriere della Sera: “quando Pinelli ha spalancato la finestra, abbiamo tentato di fermarlo e uno dei sottoufficiali presenti, il brigadiere Vito Panessa, con un balzo ha cercato di afferrarlo e salvarlo; in mano gli è rimasto soltanto una scarpa del suicida. I giornalisti che sono accorsi nel cortile subito dopo l'allarme lanciato da Aldo Palumbo ricordano benissimo che l'anarchico aveva ambedue le scarpe ai piedi".
C'erano dei testimoni. Non hanno potuto vedere, erano in attesa di essere interrogati. Pasquale Valitutti ha lasciato questa testimonianza, che sarebbe dovuta risultare importante per il processo: "Verso le 11,30 ho sentito dei rumori sospetti, come di una rissa e ho pensato che Pinelli fosse ancora lì e che lo stessero picchiando. Poco dopo ho sentito come delle sedie smosse ed ho visto gente che correva nel corridoio verso l'uscita, gridando "si è gettato". Alle mie domande hanno risposto che si era gettato il Pinelli: mi hanno anche detto che hanno cercato di trattenerlo ma che non vi sono riusciti. Calabresi mi ha detto che stavano parlando scherzosamente del Pietro Valpreda, facendomi chiaramente capire che era nella stanza nel momento in ciu Pinelli cascò Inoltre mi hanno detto che Pinelli era un delinquente, aveva le mani in pasta dappertutto e sapeva molte cose degli attentati del 25 aprile. Queste cose mi sono state dette da Panessa e Calabresi mentre altri poliziotti mi tenevano fermo su una sedia pochi minuti dopo il fatto di Pinelli. Specifico inoltre che dalla posizione in cui mi trovavo potevo vedere con chiarezza il pezzo di corridoio che Calabresi avrebbe dovuto necessariamente percorrere per recarsi nello studio del dottor Allegra e che nei minuti precedenti il fatto Calabresi non è assolutamente passato per quel pezzo di Corridoio".
Calabresi dunque, stando alle testimonianze, non era uscito dalla stanza. Con tutta probabilità è stato lui a tirare quel colpo di Karate sul collo del Pinelli. O, se non è stato lui fisicamente, è stato uno dei suoi uomini, sotto la sua supervisione. Visto il danno, chiamano l'ambulanza e poi lo gettano dalla finestra, a peso morto, cercando di simulare un suicidio. Anni dopo (molti anni dopo) verrà eseguita anche una simulazione di suicidio con un fantoccio e la dinamica risulterà chiara: non è suicidio.
In "Strage di Stato" sono convinti: omicidio e Calabresi colpevole. Ma non è la sola versione, naturalmente. Michele Brambilla, giornalista, scrive nel suo "L'Eskimo in redazione" un'altra versione dei fatti. In questa storia, Calabresi e Pinelli sono quasi amici. Si stimano, tanto da scambiarsi dei libri (Calabresi regala "Mille milioni di uomini" di Enrico Emanuelli, mentre Pinelli ricambia con "L'Antologia di Spoon River"). Asserisce che “risulta difficile pensare che la polizia, avendo deciso di uccidere un uomo (e perchè, poi?), l'avesse buttato giù da una finestra della questura, e cioè da casa propria, esponendosi così ai pubblici sospetti". A parer mio, la morte non era premeditata. Ma, essendo capitata, dovevano in qualche modo agire. Chiamare l'ambulanza con Pinelli morto nella stanza, avrebbe voluto dire aprire le porte agli scandali. Ma simulare un suicidio era rischioso ma meno plateale, se vogliamo. In più, univa l'utile al dilettevole: il suicidio sarebbe stato un'autoaccusa di colpevolezza per i fatti terroristici.
Ma la cosa più sconvolgente che scrive Brambilla è questa: "un fatto era certo. Quando Pinelli precipitò dalla finestra, Calabresi non c'era. Nella stanza, insieme con Pinelli, c'erano il tenente dei carabinieri Savino Lograno, i brigadieri Giuseppe Caracuta, Vito Panessa, Pietro Mucilli e Carlo Mainardi. Sulla porta dell'ufficio, nel corridoio, c'era il brigadiere dei carabinieri Attilio Sarti. Nella stanza a fianco, il brigadiere dei carabinieri Giuseppe Calì e l'appuntato Giuseppe De Giglio. In un salone di fronte, l'anarchico Pasquale Valitutti". Ma Valitutti dice il contrario. Su quali basi il giornalista scrive questo? Perchè spinge la tesi della figura del Martire Calabresi, del perseguitato ingiustamente? E poi, una fatto è certo (o almeno è questa l'idea che mi sono fatta). L'interrogatorio di Pinelli non era amichevole, non era leggero e semplice. Non era una semplice "formalità" o un confronto tra due persone che si stimano. Perchè, oltre che violenti, sono stati irregolari. Pinelli era stato trattenuto per tre giorni e per tre notti in questura senza che il suo fermo venisse notificato al palazzo di Giustizia. Inoltre, lo stesso Ferroviere, dopo essere stato sottoposto a violenze psicologiche (lo mettevano sotto pressione, non lo facevano dormire) dice la frase, a un suo amico anarchico, "Ce l'hanno con me". Perchè dire questa frase?
Il libro più esauriente sulla questione Pinelli, rimane però quello della giornalista (sempre dell'Unità) Cederna: "Pinelli - Una finestra sulla strage". Viene percorso l'intero cammino giudiziario, sottolineando i paradossi che l'inchiesta incontra, mano a mano. Intere dichiarazioni che non vengono ascoltate, gli anarchici che non vengono nemmeno chiamati in causa. Un processo di assoluzione, sembra. Brambilla dice che Calabresi è stato sincero sin dall'inizio, perchè ha detto che aveva cercato di estorcere delle notizie utilizzando l'espediente della confessione di Valpreda. Ma allora perchè, se non c'era nessuna prova contro Pinelli, Valpreda e Anarchici (come verrà infatti detto dopo, quando l'intera macchinazione sembra implodere), il questore, in presenza di Calabresi che Annuisce, dice: "Era fortemente indiziato di concorso in strage... era un anarchico individualista... il suo alibi era crollato... non posso dire altro... si è visto perduto... è stato un gesto disperato... una specie di autoaccusa insomma..." Perchè far credere ai giornalisti che davvero la pista anarchica era più che valida, se tanto innocenti? E' un fatto che esistevano due magistrature e due corpi di polizia che lavoravano in modo parallelo. Se Amati e Calabresi avevano fornito nomi prima di avere un qualsiasi indizio, Ugo Paolilli (il procuratore della Repubblica di Milano che era in turno al momento dell'esplosione) aveva cercato di aprire una pista molto più avvalorata, quella fascista. Ma era stato ostacolato, scavalcato, senza ritegno. Calabresi stava perciò compiendo qualche lavoro sporco in nome di chi? Chiaramente, sono solo supposizioni. Ma la tesi di Brambilla mi sembra solo revisionista. La stessa Cederna riporta il fatto dello scambio dei libri/regali, ma come una cosa lontana: Pinelli aveva ricevuto diverse minacce, nell'ultimo periodo. In più, il tanto sincero Calabresi, un mese dopo la morte dice la seguente frase: "Non avevamo niente contro di lui, era un bravo ragazzo, l'avremmo rilasciato il giorno dopo." Non è un pò contrastante ai gesti di consenso che aveva compiuto il mese prima, alle parole del questore? In più, se non è stato buttato dalla polizia, da chi è stato buttato? Vogliamo davvero credere al suicidio?
Il suicidio, scrive anche la Cederna, era plausibile per due motivi: 1) l'alibi consegnato era falso; 2) Valpreda aveva confessato ed era stato quindi arrestato. Ma nella realtà Pinelli aveva un alibi di ferro (ed aveva sorriso, quando glielo avevano contesto) e la questione Valpreda non poteva toccarlo nemmeno più di tanto: avevano avuto diversi scontri, poco tempo prima e lo considerava uno "sbruffone". Quindi, l'ipotesi suicidio (oltre che per le dinamiche spiegate all'inizio) era eliminato (a meno che non si voglia credere al Malore attivo… Ossia una sorta di svenimento in cui Pinelli si alza dalla sedia, arriva alla finestra, perde l'equilibrio - da svenuto- e cade. Assurdo. E comunque rimarrebbe quel colpo insolito).
assoluzione degli imputati perchè il fatto non sussiste.
Per chi volesse ampliare la conoscenza, consiglio:
La strage di Stato - controinchiestadi Eduardo M. Di Giovanni e Marco Ligini
L'eskimo in Redazione - Michele Brambilla
Foto di Gruppo da Piazza Fontana - di Mario Consani
Pinelli - una finestra sulla Strage - di Camilla Cederna
in cui potete trovare l'intera sentenza del giudice D'Ambrosio;
http://www.strano.net/stragi/tsragi/pfontana/index.htm dove trovate il testo integrale de La strage di Stato;
http://www.ercanto.it/pine.htm dove trovate il testo integrale di Pinelli - una finestra sulla strage.
Infine, consigliata la visione dello spettacolo teatrale di Dario FoMorte accidentale di un anarchico.
Concludo con una frase detta da un uomo ancora in auge. Riassume in modo eloquente l'intenzione di tenere all'oscuro la gente della verità e la voglia di ricercare espedienti da colpevolizzare. E detta oggi, dopo che Valpreda è morto, dopo che "tutte le sentenze, anche quelle assolutorie, puntano il dito sulla pista nera, c'è un personaggio che orna ad alludere a possibili responsabilità del vecchio ballerino anarchico. E' il politico che da mezzo secolo si trova al centro dei più oscuri misteri della Repubblica e che, secondo l'ex procuratore Gerardo D'Ambrosio, conosce anche il segreto di Piazza Fontana". Quest'uomo ha un nome: Giulio Andreotti.
"Dovrebbero essere i magistrati a scoprire la verità. E poi un dettaglio mi ha sempre colpito. Il tassista che riconobbe Valpreda aveva annotato che indossava un cappotto diverso. Si scoprì poi che Valpreda era passato da casa di un parente e aveva cambiato cappotto. Un dettaglio, ma di quelli che in poche righe possono contenere la chiave di un giallo".

Piazza Fontana – Tutta la storia (o quasi)

Vassillikos (scrittore Greco), scrisse, riferendosi al loro colpo di stato: "Anche noi non credevamo che in Grecia fosse possibile"
 
"Ci sono state esplosioni nel pomeriggio, a Milano e a Roma. La più grave è avvenuta a Milano, nel salone centrale della Banca Nazionale dell'Agricoltura. Per lo scoppio quattordici persone sono morte, un'ottantina sono rimaste ferite o contuse. Sembra accertato che sia scoppiata una bomba. Il fatto, per la sua atrocità, è il più grave che abbia colpito Milano in tempo di pace."
[Dal telegiornale della sera del 12 dicembre 1969]

Il 28 aprile 2005 si chiude un processo importante per il nostro Paese. Vengono infatti assolti i presunti responsabili di una tragedia tutta Italiana, la strage di Piazza Fontana. I Nomi sono tre: Delfo Zorzi, Carlo Maria Maggi e Giancarlo Rognoni, militanti neo nazisti. Processo chiuso, spese legali sostenute (come per il caso di Ustica) dai parenti delle vittime. Un'altra ingiustizia che aleggia nell'aria, un altro assassinio impunito, un'altra data storica da Ricordare. Anzi, si tratta DELLA data storica. Perchè iniziò tutto qui. Le bombe sui treni, la strage di Bologna,quella a Brescia in piazza della Loggia, sono solo logiche conseguenze di una strategia della tensione creata ad arte dallo Stato (quello Stato che avrebbe dovuto difendere i suoi cittadini) per creare uno stato militare, per combattere un'ideologia comunista.. Sono anni difficili, anni che vengono definititi "di piombo".
Che cos'è la strategia della tensione? Si tratta di un subdolo meccanismo azionato dallo Stato tramite braccia minori, in questo caso gruppi extra-parlamentari di Destra e di Sinistra, che azionarono atti di terrore per provocare paura nel paese ed un conseguente potere autoritario per riportare l'ordine. E tutto, ripeto, ebbe inizio lì. In quel Venerdì dodici dicembre del 1969.
Ore 16.35 . Un boato blocca per qualche secondo la Grande Città. Viene dalla Banca Nazionale Dell'Agricoltura. Piazza Fontana. Vespa, dall'alto della sua (immutata) onnipotenza, dichiara senza dubbi che "E' esplosa una caldaia".. Ma la verità, almeno su questo, emergerà poco tempo dopo. Qualcuno ha messo una bomba all'interno della Banca, sotto a un tavolo. Il Triste risultato sarà presente nella memoria storica di ogni cittadino: 14 morti e 80 feriti.
La Bomba alla Banca dell'Agricoltura non è l'unica presente nel territorio italiano. Dopo le cinque, infatti, scoppiano altri tre ordigni a Roma e a Milano ne viene trovato un altro alla Banca Commerciale in piazza della Scala, accanto all'ascensore che porta agli uffici dei dirigenti. Inesploso. Uno dei Misteri (uno dei tanti) di questa vicenda riguarda proprio questa bomba. Viene infatti brillare subito, distruggendo una prova fondamentale: la cassetta stessa, il timer e il tipo di esplosivo avrebbero indicato parecchi indizi per ricercare il vero assassino. Era infatti identica a quella scoppiata in Piazza Fontana. Distruggendo questa prova indiziaria, distrussero anche il biglietto da visita del terrorista. Presero questa "avventata" decisione il procuratore De Peppo e il sostituto Pasquale Carcasio, che non era nemmeno di turno.
E' sempre Bruno Vespa che annuncia il nome del Mostro di Piazza Fontana: Pietro Valpreda. Valpreda è un anarchico senza arte nè parte, con qualche denuncia alle spalle per resistenza a un pubblico ufficiale e piccole azioni, sempre pacifiste. Vive a Roma, ma si trova a Milano perchè convocato dalla questura per rispondere a un'accusa riguardante dei volantini. Valpreda appartiene a un piccolo gruppo anarchico, denominato 22 Marzo, fondato a metà ottobre di quello stesso anno,situato in uno stabile di via Governo Vecchio. E' frequentato da una quindicina di giovani anarchici, tra cui Mario Merlino, un infiltrato di destra, in stretto contatto con Stefano Delle Chiaie (capo di Avanguardia Nazionale) . Insomma, a parte la presenza di questo dubbio individuo, è un piccolo circolo culturale, poco importante e sicuramente non in grado di organizzare un eccidio di tale portata. Ma l'arresto di Valpreda è pressochè immediato e anticipa addirittura il riconoscimento da parte di Cornelio Rolandi dell'uomo. Rolandi è un tassista che ha portato il presunto assassino proprio davanti alla banca, ha aspettato che uscisse, per poi portarlo lontano. Nella sua dichiarazione, afferma che l'uomo è salito con una valigetta, è sceso sempre con essa, ma è risalito a mani vuote. Il riconoscimento, avviene in un modo quanto meno singolare: l'uomo si ritrova con innanzi Valpreda, l'unico con barba e tutto malconcio, con di fianco altri uomini che non somigliano all'anarchico nemmeno da lontano, che odorano palesemente di poliziotto in borghese. Sembra proprio un riconoscimento montato ad arte. Sembra (ma direi che il verbo sembrare è un insulto per il povero Valpreda, rimasto in galera per due anni nonostante fosse innocente, liberato solo dopo aver creato una legge che prende giustamente il suo nome) che tutto sia una macchinazione per attribuire la colpa agli anarchici.
Come se non bastasse, viene arrestato anche un altro anarchico, Giuseppe Pinelli, che viene obbligato a interrogatori fuori norma (viene infatti trattenuto più di due giorni, nonostante non ci fossero prove a suo carico) e che, la notte del 15 dicembre, muore misteriosamente cadendo dalla finestra del quarto piano della questura. La prima versione è, chiaramente, il suicidio. I presenti raccontano, con versioni tutte differenti e contrastanti, che il ragazzo, visto la prova schiacciante della colpevolezza degli anarchici, avesse detto: "Allora è la morte dell'anarchia"e si fosse gettato di sotto. In realtà, anche se l giudice ha risolto il caso della morte spiegandola con un "malore attivo" (in pratica Pinelli si sarebbe sentito male durante l'interrogatorio e invece di accasciarsi sul pavimento, è caduto dalla finestra), l'opinione pubblica e parecchi giornalisti pensano che Pinelli sia stato ucciso per sbaglio e poi gettato, per simulare un suicidio. Vengono implicati nel caso il commissario Calabresi (soprannominato Commissario Finestra, avrà un dura campagna di "diffamazione" da Lotta Continua che ha come Leader Adriano Sofri, il quale verrà poi accusato dell'omicidio del Commissario, avvenuto qualche anno dopo) e tutti i presenti. Ne usciranno illesi, almeno giuridicamente.
Ma come fa a partire la "pista nera", se sono tutti tanto sicuri e vogliosi di dare la colpa agli anarchici? Guido Lorenzon, segretario di una sezione locale della Dc, riferisce che, probabilmente, Giovanni Ventura (camerata di Ordine Nuovo) è coinvolto negli attentati di Milano e di Roma, in quanto gli ha riferito notizie troppo precise perchè possa essere totalmente estraneo ai fatti. Non è così semplice, anche se dovrebbe, far tenere conto di questa notizia perchè questa dichiarazione non basta. Deve ritrattare la denuncia per essere a sua volta accusato di calunnia, solo allora riconferma la sua versione che verrà verbalizzata. Lorenzon trova indizi e prove contro di lui e contro Franco Freda, una sua camerata, attivista di Ordine Nuovo. Parte l'indagine, quindi. Ma si blocca subito, grazie a una campagna diffamatoria che colpisce Pasquale Juliano, commissario di Polizia. Ha inserito uno dei suoi uomini nel gruppo di Freda, ignaro del fatto che quest'ultimo fa arruolare uno dei suoi nella polizia, Franco Tomasoni. Tomasoni fa arrestare un suo zio che tiene in casa delle armi. Questo è il particolare che farà piombare Juliano nel nulla. Egli arresta, infatti, Giancarlo Patrese, neofascista, mentre esce dallo stabile in cui abita Fachini (accusato di essere quello che fisicamente spostò la bomba. chiaramente assolto) ed ha in mano una bomba e una pistola. Patrese si difende dicendo che non ha visto Fachini e che le armi gliel'ha consegnate un amico. Chi è questo amico? Nicolò Pezzato, il confidente infiltrato di Juliano. E, colpo di scena, la pistola apartiene all'arsenale sequestrato a casa dello zio di Tomasoni. Quindi, prova schiacciante: Juliano ha inventato tutto pur di prendere Freda. Conseguenza logica: il questore di Padova sospende Juliano dal servizio. Avremo poi un testimone che smentirà tutto questo, per poi ritrattare per paura: è il portiere del palazzo, che dice di non aver visto nessuno uscire, oltre a Patrese. O entrare. Insomma, è tutta una trappola, ma ci vorranno anni perchè Juliano esca dall'infamia imputatogli.
Nel novembre del 1971 a Castelfranco Veneto un muratore sta riparando il tetto di una casa ma sbaglia e sfonda il divisorio dell'abitazione confinate: qui abita Giovanni Marchesin, socialista. All'interno vengono ritrovate armi, esplosivi e munizioni Nato. A chi appartengono? A Giovanni Ventura che le nascose lì dopo le bombe del 12 dicembre. Aggiunge che Ventura gli aveva chiesto di comprare delle cassette metalliche Jewell, ma che si era rifiutato. E' la marca utilizzata per Piazza Fontana. Un altro dei misteri che rimane ancora irrisolto, è il fatto che il 10 dicembre 1969, a Padova vengono vendute due valigette Mosbach e Gruber (quella utilizzata per la Banca Commerciale) e il titolare e la commessa riferiscono alla polizia (DUE GIORNI DOPO) l'insolito acquisto. E' sicuramente un indizio. Che, però, non viene mai utilizzato. Solo tre anni dopo, verrà riesumata questa prova per cercare di fare luce. Tre anni di silenzi.
L'attentato e l'intera strategia della tensione nacquero una sera, il 18 aprile 1969.Quella sera si riunirono Ivano Toniolo, Marco Pozzan, un personaggio importante proveniente da Roma (rimane ancora oggi un mistero chi fosse, forse Pino Rauti, il capo di Ordine Nuovo) e, anche se riuscirà a provare il contrario, Stefano Delle Chiaie. Forse, anche Giannettini, che lavorava per il Servizio Segreto (il Sid). Sì, perchè in questa drammatica vicenda il Servizio Segreto ha un ruolo abbastanza importante. Per spiegare come sia possibile che Stato, Sid e gruppi extra-parlamentari di destra possano essere correlati, riporto una dichiarazione di Corrado Guerzoni (collaboratore di Aldo Moro), trascritta su un grandissimo libro che troverete facilmente in ogni libreria: Foto di gruppo da Piazza Fontana, di Mario Consani. "Non è che l'onorevole X dice ai servizi segreti di andare l'indomani mattina in piazza Fontana a mettere la bomba... Al livello più alto che si dice che il Paese va alla deriva, che i comunisti finiranno per avere il potere. Al cerchio successivo si dice: "Guarda che sono preoccupati. Che possiamo fare? Dobbiamo influire sulla stampa". Così si va avanti sino all'ultimo livello, quello che dice: "Ho capito", e succede quello che deve succedere. Nessuno ha mai responsabilità diretta? Se si va a dire a questo onorevole che lui è la causa di Piazza Fontana, risponderà di no. In realtà è avvenuto questo processo per cerchi concentrici". Chiaro? Tutti sapevano. Una tesi azzarda che ci sia stato un errore, che in realtà Piazza Fontana non doveva avere dei morti, bensì spanventare (destabilizzare) come hanno fatto gli altri ordigni a Roma. Si pensa che sia stato un errore di valutazione e, detto in altri termini, l'operatore abbia agito di testa sua, disubbedendo agli ordini. Infondo, in quella famosa riunione del diciotto aprile, qualcuno ha detto che feriti tra i civili potevano anche esserci, era un sacrificio logico per ottenere ciò che volevano. Ma cosa volevano? "Destabilizzare per Stabilizzare", così dirà il più grande testimone di quegli anni, Vincenzo Vinciguerra (unico terrorista nero dichiarato e condannato che stia scontando la pena, autore della strage di Peteano, di cui parlerò in altra sede). Sempre dal libro di Consani: "Tutte le stragi che insanguinano l'Italia a partire dal '69 appartengono ad un'unica matrice organizzativa. Una struttura che obbedisce ad una logica secondo cui le direttive partono da apparati inseriti nelle istituzioni, e per l'esattezza in una struttra parallela e segreta del ministero dell'Interno più che dei Carabinieri. Piazza Fontana sarebbe stata il detonatore che, facendo esplodere una situazione, avrebbe consentito a determinare Autorità politiche e militari la proclamazione dello stato di emergenza". Questo, è ciò che voleva Ordine Nuovo e la maggior parte dei gruppi extra-parlamentari di destra. Distruggere il Comunismo e riportare lo Stato Forte, cosa che Rumor aveva assicurato che avrebbe fatto dopo l'attentato. Cosa che non fece, probabilmente per la massiccia risposta dell'opinione pubblica, che volle sapere la verità (Le manifestazioni SERVONO, altrimenti oggi chissà in che Italia saremmo). Anni Dopo, il 17 maggio 1973, Rumor pagò questa "disobbedienza" con un tentato attentato: Gianfranco Bertoli, dopo la commemorazione del commissario Calabresi (quello di Pinelli) lancia una bomba alla questura di FatebeneFratelli, a Milano. Muoiono quattro passanti, altre 40 persone ferite. Rumor si salva, perchè già lontano dal luogo. Ma anche questa vicenda cerca di essere traviata. Bertoli si proclama anarchico e dice di avere agito per vendicare la morte di Giuseppe Pinelli. In realtà non sarà così.
Ma torniamo alle indagini. E' molto difficile cercare di avere un filo conduttore. I nomi sono tanti e i fatti si intersecano come una fitta maglia, quindi divagare diventa obbligo. Chiaramente ogni singolo fatto avrà un articolo a parte, un giorno. Per Ricordare (come dice il mio personale Monito). Quindi, appena scoppiata la bomba abbiamo dei finti responsabili anarchici e il Sid che ha un ruolo. Quale? Depista le indagini. Anche perchè erano a conoscenza che qualcosa di grosso stava per accadere e un loro agente era stato incaricato di partire da Roma per Milano per ordinare il fermo dell'azione. Ma non fa in tempo. Per depistare le indagini fanno espatriare Pozzan (presente alla riunione) perchè ritenuto un anello debole della catena, quindi possibile terrorista pentito. Questa è una serie di azioni che il Sid portò avanti. In più i processi iniziati a Milano furono tolti dalle mani del giudice D'Ambrosio per portarli a Catanzaro (evidentemente hanno trovato dei magistrati più malleabili).
Chiaramente, abbiamo delle dichiarazioni, altrimenti anche la poca parte di verità che siamo riusciti a scoprire sarebbe ancora nascosta dal veto "Segreto di Stato". Il primo a parlare è stato Giovanni Ventura, che ammette la sua partecipazione nell'organizzazione degli attentati e spiega di essere un infiltrato perchè appartenente al Sid e prende ordini da Giannettini. I magistrati chiedono ufficialmente al Sid la verità su Giannettini. Ma, dopo una riunione a Palazzo Chigi, il governo convince il Sid a dare una risposta negativa. Chiaramente Falsa. Ci sarà un processo anche su questo e sarà tra i più deprimenti della storia in questione. Con Andreotti che non ricorda, sta in silenzio, da risposte non convincenti. Andreotti, tra l'altro, è l'unico che ancora oggi accusa Valpreda di avere messo la bomba, ricordando un particolare su un cappotto che avrebbe avuto la persona scesa dal Taxi di Rolandi. Evidentemente Andreotti sa davvero qualcosa (qualcosa? è un eufemismo. Credo sappia tutto) e spinge ad un ennesimo depistaggio della verità.
Altri pentiti neri (tra cui Angelo Izzo, uno dei responsabili della Strage del Circeo) fanno il nome di Massimiliano Fachini, accusato di essere l'esecutore materiale della tragedia. In pratica, sarebbe stato lui a mettere la bomba. Ma, chiaramente, sarà assolto.
I pentiti più importanti per la scoperta della verità sono Martino Siciliano e, soprattutto, Carlo Digilio. Siciliano racconta di una cena avvenuta un paio di settimane dopo la strage, in cui erano presenti Delfo Zorzi e Vianello (sempre Ordine Nuovo). Viene ricordata come la "cena del Tacchino" e qui Zorzi in persona rivendica la paternità della bomba: "L'abbiamo messa noi" (se il noi stia per Zorzi in persona o comunque gruppo Ordine nuovo, a mio modesto parere, è di poco conto). Questo episodio è confermato dallo stesso Digilio, considerato teste inattendibile quando testimonia contro i propri camerati, ma attendibilissimo quando accusa se stesso. E' difatti l'unico responsabile della strage, almeno giuridicamente, non condannabile nei fatti perchè il caso è andato in prescrizione.
L'organizzazione dell'estrema destra italiana è legata anche a movimenti esteri. Sicuramente ha legami con la Gregia (Pino Rauti organizzò anche un viaggio informativo ad Atene insieme ai principali leader di Avanguardia Nazionale e di Ordine Nuovo) e lo stesso giorno della strage il capo colonnello in comando in Grecia, Papadopulos, disse: "Stiano attenti quelli che ci vogliono espellere, perchè la democrazia è in pericolo anche nei loro Paesi". Che fosse informato del colpo di Stato (tentato) in Italia?
Il 30 giugno 2001 viene emessa la sentenza che più sembrerebbe avvicinarsi alla verità (cito testualmente, sempre da Consani) . "Maggi fu l'artefice della strategia eversiva culminata negli attentati del 12 dicembre, operando, nella sua veste di capo indiscusso del gruppo di Ordine Nuovo di Venezia e Mestrem come teorico della strategia della tensione. Dà la sua auto a Zorzi perchè vada all'incontro con Digilio per verificare lo stato dell'esplosivo. Preannuncia a Digilio la strage sollecitandolo ad avvertire i militari veneziani perchè si precostituissero un alibi. Dopo il massacro ribadì il proprio coinvolgimento negli attentati, rivendicando la paternità per conto del gruppo di cui era il leader e giustificando con la logica politica le vittime della strage. A Zorzi, indiscusso capo di Ordine Nuovo di Venezia-Mestre, vengono contestate ideazione, organizzazione e attuazion materiale degli attentati. Non si intende affermare che Zorzi fu colui che materialmente depose l'ordigno alla Bna, ma le indicazioni fornite da Digilio e Siciliano hanno delineato la partecipazione diretta di Zorzi alla fase esecutiva del progetto che lo stesso imputato aveva ideato e organizzato. Rognoni (leader del gruppo milanese La Fenice, legato a Ordine Nuovo) avrebbe avuto un fondamentale ruolo di supporto logistico. Fu lui, a Milano, a coordinare materialmente gli attentatori veneti.
Chiaramente questa sentenza fu ribaltata pochissimo tempo dopo e il risultato è stato quello che ho scritto all'inizio dell'articolo: assolti i presunti responsabili Delfo Zorzi, Carlo Maria Maggi e Giancarlo Rognoni, militanti neo nazisti. E Tutto questo, in una maxi sintesi, ciò che esiste dietro alla storia contemporanea di Italia. Perchè i personaggi non sono cambiati. Forse hanno modificato i ruoli, i nomi (Zorzi per esempio ha cittadinanza Giapponese, una diversa identità e un impero economico vastissimo.. la domanda sorge spontanea: da dove ha preso i soldi??), ma sono sempre presenti. Un nome su tutti per fornire un esempio: Pecorella (avvocato di Zorzi) che fu implicato per una questione di scambio di denaro avvenuta con Siciliano, oggi è uno degli avvocati di Berlusconi.. Sempre alla ribalta, dunque.
Chiuderei con un articolo di Pier Paolo Pasolini. Che l'Indignazione sia con voi:
 
"Io so. Io so i nomi. Io so i nomi dei responsabili della strage di Milano del 12 dicembre 1969. Io so i nomi del gruppo di potenti, che, con l'aiuto della Cia (e in second'ordine dei colonnelli greci e della mafia), hanno prima creato (del reeto miseramente fallendo) una crociata anticomunista, a tamponare il 1968, e in seguito, sempre con l'aiuto e per ispirazione della Cia, si sono ricostituiti una verginità antifascista, a tamponare il disastro del referendum. Io so i nomi di coloro che, tra una messa e l'altra, hanno dato le disposizioni e assicurato la protezione politica a vecchi generali (per tenere in piedi, di riserva, l'organizzazione di un potenziale colpo di Stato), a giovani neofascisti, anzi neonazisti (per creare in concreto la tensione anticomunista) e infine a criminali comuni, fino a questo momento, e forse per sempre, senza nome (per creare la successiva tensione antifascista). Io so tutti questi nomi e so tutti fatti (attentati alle istituzioni e stragi) di cui si sono resi colpevoli. Io so. Ma non ho le prove".

Piazza Fontana

Era il 12 dicembre del 1969. L'anno scorso, alla manifestazione di milano, eravamo poche decine di persone. Qualche manifesto o striscione, sdraiato sull'asfalto di quella Piazza che ha visto gente morire.

Forse non tutti sanno che la mattina del 12 dicembre, ore prima del massacro, i carriarmati marciavano per le strade di Roma. Forse non tutti sono ancora, purtroppo, a conoscenza del piano per il colpo di stato che quelle persone polverizzate da una bomba. Dentro a una banca. In momento di pace.

 I colpevoli sono impuniti. La Strage E' di Stato.

E un altro anno è andato...

Harry ti presento Sally

Uomini e donne possono essere amici?

Per quanto sia strano a dirsi, amore e amicizia non legano spesso insieme. Tutti noi cerchiamo un compagno (o una compagna) che possa completarci e con cui potere parlare proprio di tutto, ma nessuno penserebbe ad una relazione con il suo migliore amico. Difficile da spiegare. Come se l’amico non possedesse una sessualità, quasi fosse un cartone animato. Ma, in qualche caso, può un’amicizia decennale nel grande amore della nostra vita? Nella realtà non lo so, ma nel campo cinematografico l’esempio per eccellenza è rappresentato da Harry e Sally. Harry e Sally, incontratosi mille volte nell’arco di dieci anni e odiatosi sempre più, senza motivi ben precisi.

Eppure, durante il loro primo viaggio per New York, gli argomenti e la sintonia sembrano non mancare. Si aprono molto sinceramente, litigando e dissertando su Casablanca, l’essere negativi e mille altri discorsi.Ma la fiamma non si accende e si salutano, pronti ad affrontare un’esistenza diversa, cercando ciascuno il proprio compagno di vita… Dopo qualche anno si ritrovano su un aereo, lei fidanzata da un mese e lui in procinto di sposarsi. Ma, si sa, non è la felicità a legare le persone, ed anche quest’incontro non frutta. E’ dopo qualche anno ancora, quando lei soffre per amore e lui è stato lasciato dalla moglie, che scatta la scintilla. La depressione, la malinconia, l’inadeguatezza. Queste sono le condizioni che rendono possibile la comunicazione profonda con uno sconosciuto. Così, Harry e Sally diventano finalmente amici. Parlano dei loro rapporti antichi, di quello che li ha fatti finire, dei nuovi appuntamenti disastrosi, delle paure più radicate. Consigliandosi a vicenda, supportandosi. In cuor loro sanno di essere innamorati. Se ne rendono conto durante il ballo di fine anno. Ne sono stupiti e talmente spaventati da voler fare finta di nulla. L’uomo non ama essere felice o (come dice Jesse,l’amico di Harry) ne ha paura. Quindi il tempo passa e nessuno compie il primo passo, fino a quando l’ex di Sally decide di ammogliarsi. Sally è disperata e, in piena notte, chiama l’amico, che corre subito a casa sua. Lacrime, parole consolatrici, bacini per colmare quel qualcosa che non c’è… E l’attimo è complice. Finalmente i due fanno l’amore.
Ma, ribadiamolo, gli uomini hanno paura d’essere felici. Ed Harry se la dà a gambe. Si dà inizio così a un tira e molla, un corri e fuggi, tra Sally che vuole dimenticarlo e lui che non può fare a meno di lei. Finalmente, la notte di capodanno (con sottofondo un brano dolcissimo che più o meno canta: “Dovunque io vada, qualsiasi cosa faccia, dovevi essere tu”) Harry si rende conto della sua stupidità. Cammina per le strade deserte, disperato e, ad un tratto, ecco la voglia di gridare, di vederla, di sposarla. E corre,perché quando ci si rende conto di volere trascorrere il resto della propria vita con una persona, si vuole che il “resto della vita” sia prima possibile. A nulla serve il rancore di Sally, perché la ama quando sente freddo anche se fuori ci sono quaranta gradi, quando ci mette un’ora per ordinare al ristorante, quando lo guarda come se fosse pazzo e si forma quella ruga al centro della fronte. Gli piace quando, dopo una giornata trascorsa con lei, rimane il suo profumo sui pullover ed è felice quando l’ultima voce che sente prima di addormentarsi è la sua. E, come in ogni commedia romantica che si rispetti, il lieto fine arriva, sospirato e atteso.
Rob Reiner, regista di poco conto (chiaramente è solo un punto di vista), questa volta colpisce pienamente il bersaglio. Riesce a divertire, commuovere, riflettere ed a inserire un piccolo grande omaggio a “Casablanca”,uno dei capostipiti del genere romantico (anche se trovo limitante definirlo in tal modo). Ha momenti indimenticabili, dei piccoli gioielli, inserendo nella commedia moderna frammenti e stili di quella classica anni ’50. Esempio evidente è la telefonata a quattro, con lo schermo diviso in tre parti. La commedia, di solito, pecca di stereotipi. La donna romantica e l’uomo cinico (o viceversa), senza altre caratteristiche. Qui invece sembra di assistere alla storia d’amore di due amici, amici che si conoscono bene e che hanno cento difetti e mille pregi. Harry è depresso, cinico, amante dell’amore ma incredulo di trovarlo. Infondo lo sa che tutto è un inganno, che prima o poi si arriva alla conclusione dei momenti felici. Sally è esattamente l’opposto. Solare, positiva. Ma, anche se non vuole ammetterlo, altrettanto depressa. Trascorre le notti insonni, guardando film in spagnolo e lagnandosi incessantemente. Sì, d’accordo: è un’inesattezza. In realtà questo è Harry. Ma, cosa credete, Sally semplicemente non vuole ammetterlo. Sta attenta a non farsi vedere, tutto qui.
E, dulcis in fundo, troviamo dei dialoghi profondi, con spessore, vivi. Sempre più rari, di commedia in commedia. Senza dimenticare la musica, perfettamente integrata, che ci suggerisce le varie scene, raccontandole.
Si può infine affermare che sia l’unica pellicola degna di nota anche per Meg Ryan. Attrice mediocre, prima ferma nello stesso ruolo per decine di film, ora pronta al riscatto con parti trasgressive (riscatto impossibile: non sa recitare), in “Harry ti presento Sally” è davvero perfetta. Forse complice il duetto con Billy Cristal, qui in stato di grazia. Il film è una gioia per gli occhi anche grazie (o forse è giusto dire soprattutto grazie) alla sincronia dei due attori. Non sembrano veramente recitare, ma vivere sulla propria pelle la loro avventura. Infine non posso tralasciare la fotografia e i costumi, che segnano con evidenza il trascorrere del tempo.
Un film da vedere e rivedere, imparando le battute a memoria.
Ma, dopo tutto questo, il quesito rimane: uomini e donne possono essere soltanto amici?
 

Buffet

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Giovani, belli e poveri. Cosa volere di più? Nell'Italia di Berlusconi un sito dinamico e irriverente si fa strada come può.
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Cagnazz è il Mickey Mouse dell'era moderna e le tavole dei Neuroni, arte pura.
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Un sito dai mille risvolti, una miniera di informazioni, talvolta false, ma sicuramente ben raccontate.
(PC professionale)

Un altro blog è possibile.
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Lunghissimo e talvolta confuso nella trama, offre numerosi spunti di interpretazione. Ottime scenografie grazie anche ai quadri del Dovigo.
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Scandalo! Nemmeno Selvaggia Lucarelli ha osato tanto!
(Novella duemila)

Indovinello
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(La Settimana Enigmistica)

Troppo lento all'accensione. Però poi merita. Maial se merita!
(Elaborare)

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(Rolling Stone)

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