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Essere John Terry.

Accomunati dalla passione per il calcio e per il Manchester United siamo andati al Druid’s Rock a vedere la finalissima di Champions League.

 Adulti abbastanza, noi quattro, da dover venire a patti, almeno a volte, con quello che più si attiene all’età adulta: moralità, serietà, coerenza, attaccamento alle solide basi del reale. Eppure presenti davanti al Manchester United come cerbiatti o stambecchi attirati al ruscello. Non si può non amare il Manchester United, se quel pallone che rotola sta alla tua vita come i globuli rossi al sangue.

DruidNon c’è molto da fare al Druid’s Rock: non servono da mangiare, non c’è grande fantasia nel menu, anzi non esiste proprio il menu. Però ci sono le sciarpe delle squadre di calcio incollate sul soffitto di legno, ed è stupenda quell’arcata, c’è la bandiera del Galles, un sacco di locandine dei film, vecchie bottiglie di rum e whiskey e una foto di Russel Crowe al bancone, incorniciata, con sotto la scritta a penna, gigante, esitante: "Russel Crowe", a caratteri cubitali, così che ti resti impresso almeno qualcosa da raccontare agli amici, il giorno dopo, nonostante la birra, ehi quel pub, sapete, c’è stato anche Russel Crowe e non aveva una bella faccia. Il Druid's Rock è il locale degli inglesi a Roma. Accogliente e informale, a due passi dalla Stazione Termini. In pratica è come stare a casa, però con l’odore delle ascelle di Bobby Charlton al posto del Vape.

Ci mettiamo lì, noi quattro, in piedi, in mezzo agli inglesi, tutti inglesi, solo inglesi: il primo derby inglese della storia in una finale di Champions. I tifosi del Chelsea presenti sono in larghissima maggioranza di colore: ragazzi neri piuttosto a modo, vestiti casual. Quelli del Manchester United sono decisamente più rustici. La partita è bellissima, Cristiano Ronaldo segna e tutti ci vengono addosso: Yyyeaaah! Il Manchester United è superiore, la gente vestita di rosso comincia ad annuire: si fa a turno per andare a prendere da bere. Qualcuno resta col naso appeso verso il monitor sopra la cassa, la mano coi cinque euro a mezz'aria, mentre l'ennesimo tiro finisce fuori di poco.Wayne Rooney

Come può esserci qualcuno al mondo a cui il calcio rimbalzi addosso? Non riesco a comprendere come possa esistere una persona che davanti al Manchester United, la squadra dei ferrovieri dello Yorkshire, non si commuova, non decida di cambiare stile di vita, modi, abitudini. Il Manchester United: sono lì a tifare Manchester United e mi piace ostentarlo: sono dei vostri, odio il Chelsea del petroliere mafioso, odio il Chelsea dell’ebreo Grant, l'allenatore che non fa giocare nemmeno per un minuto il grande Sheva. Come si fa? Come si fa? E’ la domanda che gonfia le guance di tutti quando Ferguson toglie Rooney ai supplementari: not Roney! Mi aspetto di vederlo uscire dall’inquadratura, Rooney, raccogliere la felpa dalle mani del dirigente accompagnatore e comparire accanto a noi quattro, ancora sudato, puzzolente di fatica e di pioggia di Mosca, ehi guys, me l’aspetto, Wayne, l’attaccante più forte e con meno muscoli addominali che esista sulla faccia del pianeta, me l’aspetto che ci raggiunga, coi calzettoni risvoltati dentro i parastinchi e qualche parola poco gentile nei confronti del suo allenatore. Ma tutto quello che arriva è un altro giro di birre e la decisione di seguirci i rigori DENTRO, nella bolgia, nel girone infernale.



Andiamo, ci sistemiamo, c’è un gigantesco maxischermo e almeno altri dieci televisori. C'è odore stantìo di whiskey, piscio e sudore ma, su tutto, c’è un odore che riconosco, un odore che ho sentito emanare dai miei amici romanisti, domenica scorsa, durante l’intervallo delle partite, in redazione, con la loro amatissima squadra prima in classifica finalmente, e l’Inter sotto: l’odore della paura. Fisica. Dici: è calcio. No, è il Manchester United. E’ la vita. E’ il pallone. Ci sono ragazzi di 18 anni che l’ultima volta ne avevano 8 e si persero quel capolavoro comminato contro il Bayern Monaco negli ultimi due minuti di partita. Ci sono uomini che la prossima saranno troppo vecchi. Non c'è futuro, dentro al Druid's Rock. Non c'è la consolazione del: "ma in vita può succedere di peggio". E' una bugia che non consola nessuno: in vita non potrà accedere mai più nulla di tanto grave come l'eventualità di perdere la Coppa adesso.

C’è questo odore qui, lo sento, mentre le squadre sono a centrocampo a decidere la lista di chi andrà a battere per un Paese intero. La paura fisica. La paura di aver fatto tutto quel casino per niente, di aver ingurgitato dodici pinte di Guinness senza motivo: passano negli occhi delle persone immagini care, amici e famigliari, amori passati e speranze. Si sollevano fioretti impossibili: chi giura che lascerà il lavoro, in caso di. Per dio, è la Champions League! Il migliore dei presenti dovrà aspettare altri trent’anni, la nascita di un figlio, la prima parola di un nipote, per poter parlare di una gioia grande altrettanto.

Entra un ragazzo spaesato con la maglia dell’Inter: attraversa il mare rosso e blu come Mosè. E’ la paura, la paura che prende durante il vuoto d’aria sull’aereo, la paura che non lo potrai raccontare.

Sei impotente di fronte a Van der Sar che si sistema i guantoni sulla linea di porta. Non puoi fare niente per infilarglieli meglio. Gli vorresti massaggiare i quadricipiti. Non puoi. Sei impotente anche davanti a John Terry, il capitano di mille battaglie in giro per il mondo, nel fango, nella neve, sotto la pioggia, il capitano, quello lì, quello a cui ti sei aggrappato quando le cose non andavano bene, e non sto parlando del calcio, sto parlando della Vita di tutti i giorni, dammi la forza John..., il capitano, il tuo capitano, quello di cui hai la maglia, quello di cui rispetteresti la moglie, quello per il quale ti butteresti in un fosso, quello di cui hai urlato, coi polmoni di un condannato a morte, il nome da quelle gradinate maledette, domenica dopo domenica, quello che ti sogni di notte, prima di un grande match, quello che ti porti tatuato sul polpaccio destro, insieme ai Che Guevara, ai McEnroe, alle croci celtiche, sei impotente davanti a John Terry vestito di blu che scivola, cade, tira male il rigore della vita, guarda la palla sbattere sul palo, sei impotente davanti al grugnito cupo che si alza dalla gola di metà dei presenti, sei impotente, perché è stato il destino a scegliere per te, una vita fa, se farti tifoso del Manchester United o del Chelsea, è questa la tua impotenza, insieme a tutto il resto, e qualsiasi cosa, allora, al tempo, ti abbia reso rosso o blu, adesso elargisce il suo tributo, di sangue o di tossine, quel brivido ti attraversa la schiena, forse hai visto il tuo capitano fallire un rigore importantissimo, o forse hai visto iddio materializzarsi sotto forma di palo di legno, l'importante è restare concentrati su quest'impotenza, l'impotenza del carnefice e l'impotenza della vittima, sei tutto e nessuno, adesso, dirigente d’azienda e puttaniere, l'unica cosa certa è che non sei mai stato tanto simile a John Terry in vita tua, il tuo eroe, il campione che avresti sempre voluto essere, dietro le tue scrivanie oleose e i tuoi turni massacranti, bello, ricco e talentuoso, coi contratti milionari e le modelle al fianco, adesso è identico a te: a terra, disperato e chiuso in se stesso, steso sul prato con le mani in faccia, piccolissimo e insignificante, ecco che improvvisamente ti ci riconosci, improvvisamente sei tu, John Terry, hai dovuto aspettare questo per riuscirci, la tossica lotteria dei rigori; ne sappiamo tutti qualcosa, i rigori stanno agli appassionati di pallone come le cicatrici ai bambini, ma già tocca a Ryan Giggs e non c'è più tempo per pensare al resto, sei solo tu e quel gallese del cazzo, magro e ormai stempiato, sei tu, sei lui, hai i suoi stinchi, le sue ginocchia, si gratta, ti gratti anche tu, lo segui, lo anticipi, gli vorresti suggerire nell’orecchio qualche cosa, la direzione, il tuo presentimento, il sogno della settimana scorsa, oppure lo vorresti spintonare proprio al momento dell'esecuzione, dipende sempre da quel piccolo filo che da bambino t'ha fatto prendere una direzione oppure un'altra, sei Ryan Giggs o sei Peter Cech, in entrambi i casi è proprio il tuo cuore a fare questo rumore assurdo, è meglio se ti dai una calmata, amico mio, perché tanto la tua impotenza resta, e il gallese te lo dimostra, calciando il tiro di rigore più sensato, bello e pacato che ti riesca a ricordare, ah se solo sapessi battere anche tu in quella maniera; e c'è un signore con la camicia blu e gli occhiali che adesso dà le spalle al televisore e piange, piange e avrà 50 anni, piange perché è un tifoso del Manchester United e lo sa, lo sente dentro le vene secche, che potrebbe essere a un passo dalla Vittoria, perciò piange, quel signore, che a 50 anni suonati, o giù di lì, avrà conosciuto, in vita propria, ben altri motivi per piangere o gioire, eppure lo stesso piange, in silenzio, da solo, dietro gli occhiali, a Roma, e darebbe in cambio qualsiasi cosa, il conto in banca, le scarpe di pelle, il passaporto, la fedina penale; SEI quel signore, l'avresti mai detto?, sei proprio lui, lo sei stato tantissime volte in vita tua, lo sei di nuovo, ti scorre velocissimo il suo sangue negli organi e gli vorresti dire, suggerire, di ripensarci, gli vorresti prendere gli occhi e lanciarli sullo schermo, gli vorresti dire guarda!, guarda Anelka, il tuo avversario, il tuo nemico, guardalo, guardalo perché ha quella faccia lì, Anelka, quella faccia che hai imparato a riconoscere dopo migliaia di partite viste e rigori dati a favore o contro. Ha la faccia di Roberto Baggio, ha la faccia di quello che s’è sentito qualcosa, ha la faccia di uno che se li avverte tutti conficcati nel cervello i milioni di occhi che lo stanno guardando in quel momento e questa è la cosa peggiore che può capitarti, se di mestiere fai il giocatore di pallone, percepire l’enormità di quello che stai per fare, avvertire sui peli dietro la nuca tutto quel buio in cui hanno scelto di rifugiarsi quelli che come il signore del Druid’s Rock non hanno avuto il coraggio di guardare, e saranno centinaia di migliaia, perciò gli vorresti dire, a quel signore girato di spalle, che si copre gli occhi con tutti gli occhiali, di ripensarci, di guardare, perché Anelka ha la faccia giusta se sei un tifoso del Manchester United, oppure sbagliatissima, se tifi dall'altra parte, la peggiore faccia possibile, la faccia della paura, la faccia di quello che sbaglierà la mira, che fallirà il colpo, Anelka ha la faccia di quello che il rigore decisivo sa già di averlo fallito, e infatti c’è questo momento di decompressione che arriva, come quando chiudi il finestrino in autostrada a 130 all’ora e senti quel rumorino in fondo all’orecchio, ecco, senti quello stesso rumorino mentre Anelka fa esattamente quello che ti eri aspettato, che avresti voluto dire al signore con gli occhiali appannati, sbaglia il rigore, e ti dici che il calcio è una cosa che fugge via davanti ai ragionamenti del giusto e dello sbagliato, il calcio è una cosa viva che ridà la vista ai ciechi, non a caso il signore con gli occhiali ora ci vede benissimo e ha la faccia incassata dentro il collo di perfetti sconosciuti che saltano e urlano e tutti piangono perché hanno VINTO, pensi che non l’hai mai vista tanta gente piangere dentro a un pub, pensi che ci voleva il Manchester United, pensi che perfino un paralitico, davanti alla Parata Totale di van der Sar, lì dentro, al Druid’s Rock, avrebbe preso e si sarebbe alzato dalla carrozzina. Così, senza pensarci.

John TerrySe ne vanno i tifosi del Chelsea. Ne hanno abbastanza di birra e destino. Quei neri, di colore, ben vestiti. Se ne vanno, sfilano tra gli avversari estasiati: li guardiamo andare via, nella notte romana, verso Rione Monti, in discesa, verso il Colosseo, nell’illusione di poter dimenticare. Non dimenticheranno. Mai più. Dimenticheranno tutto, della loro vita, faticheranno a ricordarsi, tra venti o quarant’anni, i ricordi più belli, i nomi dei parenti, le date di nascita e di morte della gente cara, ma davanti a una casacca del Manchester United non conosceranno un istante di esitazione: impallidiranno e sapranno perché. Calceranno lattine per la strada tutta la vita, da vecchi perfino, anche se doleranno le ginocchia, e ogni volta che verrà fuori una parabola perfetta, ripenseranno al loro capitano, John Terry, che un giorno di maggio litigò col suo personalissimo destino e scese al livello dei comuni mortali. Guarderanno partite per sempre, col tempo ritroveranno il coraggio di tenere gli occhi aperti durante un calcio di rigore e prima o poi avranno anche la loro vendetta. L'abbiamo avuta tutti, la nostra vendetta, nel calcio. Perché il pallone questo fa: ti stende al tappeto ma poi ti concede la seconda occasione. E' la severa moralità di questo sport: nella nostra esistenza saranno assai di più le occasioni in cui saremo come John Terry disperato per terra. Solo a pochi eletti capiterà di gioire come van der Sar. Passeremo i nostri anni più belli piegati per la sofferenza, ma ci riprenderemo. Ritroveremo la forza di tornare a centrocampo. Pescheremo dentro di noi il coraggio per battere ancora un calcio di rigore senza scivolare. Sono solo 11 metri, soltanto 90 minuti: ma, oddio, certe volte, che fatica.

Il contrario della fede.

Sentimi bene: si chiama scopare.
Amore si chiama ma, dalla faccia che fai e dalle parole che dici, mi par di capire che il concetto ti sfugge.

Allora Vecchio, mettiti qui, a sedere, cuccia, sitz, stai buono un attimo e parliamo dell'amore, del sesso. Tu ed io, Vecchio, sfilati le scarpucce Prada e parliamo. Dici: "Se l'esercizio della sessualità si trasforma in una droga che vuole assoggettare il partner ai propri desideri e interessi, senza rispettare i tempi della persona amata, allora ciò che si deve difendere non è più solo il vero concetto dell'amore, ma in primo luogo la dignità della persona stessa".

Vecchio, cazzo dici?
Fermo, stammi a sentire. Il problema di quelli come te è che parlano senza sapere, solo perché ci sono milioni di rincoglioniti che vanno pazzi per questo accomondantissimo nulla. Quelli ti piazzano in braccio il loro primogenito e buonanotte al secchio.

A parte il fatto che le droghe dovrebbero essere un diritto di ogni libero cittadino che si trovi costretto a vivere in questo mondo di merda, ti voglio anche dire che "l'esercizio della sessualità", come lo chiami tu, non assoggetta manco per un cazzo il partner ai propri desideri, perché, in genere, a letto - sai quella cosa morbida su doghe di legno che tu usi solo per dormire - il partner è d'accordo, altrimenti si chiama violenza sessuale e lì interviene la magistratura. In più, Vecchio, tu dai aria alla bocca quando parli di "rispettare i tempi della persona amata": si vede che non sai di che minchia vai cianciando, perché, Vecchio, rispettare i tempi della persona amata, nel sesso, quando si scopa, in genere è complicatissimo, è vero, hai ragione tu, qualche volta non si riesce a fare, ma ciò che tu chiami peeeeeeccaaaaaato moooooortaaaaaaaaleeeeeee noi lo chiamiamo eiaculatio precox.



Vecchio, faresti meglio, secondo me, senti che ti dico, a farti una birra, metterti in blue jeans e provare in prima persona quello di cui vai dicendo tutto tremante: il sesso è una cosa niente male. Non sarà all'altezza di un gol allo scadere o di un piatto di pasta fatto come si deve, ma non è nemmeno un mastino napoletano senza guinzaglio.

"Nessuna tecnica meccanica può sostituire l'atto d'amore che due sposi si scambiano come segno di un mistero bla bla bla": Vecchio, ma chi te li scrive questi testi? Tuo nipote seienne? "Tecnica meccanica"? Era ai vibratori che pensavi? Ai d i l d o? Oppure a quei letti da motel che vibrano tutti se ci infili una moneta?

"L'amore coniugale [...] non soggiace al solo sentimento, spesso fugace e precario, ma si fa carico dell'unità della persona e della totale condivisione degli sposi che nell'accoglienza reciproca offrono se stessi in una promessa d'amore fedele ed esclusivo che scaturisce da una genuina scelta di libertà".

Bum. Ma, Vecchio, santo il cielo, davvero credi che l'amore sia qualcosa di così fisico, controllabile, scaricabile dalle tasse? Cosa pensi che sia, l'amore? Un ficus d'ufficio? Un lombrico? Un tegolino? "L'amore coniugale non soggiace" Vecchio? "Una promessa"? E per chi ci hai presi? Un cartone animato? L'hai mai trovata a letto con un altro? Sei mai stato donna, Vecchio mio, e hai mai provato a vederlo violento, dopo il lavoro, rinchiudere lo stress nei pugni stretti e scaricarli sui tuoi fianchi di madre? No, che non sei mai stato donna: tu non lo sai nemmeno lontanamente cosa siano le donne. Ho più consapevolezza io della fisica quantistica e dell'ingegneria nucleare. Perché parli, Vecchio? E' quasi estate, comincia a fare caldo, perché non segui anche tu i consigli che sono soliti elargire i telegiornali e ti infili nel reparto surgelati di un bel supermercato?

"Separare la sessualità dalla procreazione è sbagliato ed espone al rischio dell'infelicità". Vecchio, sentimi bene, tu hai bisogno di aiuto. Se mio nonno dicesse cose così al vento primaverile, io parlerei nell'orecchio dei miei genitori e li convincerei ad internarlo a Guantanamo o qualcosa di simile.

Vecchio, ormai s'è detto di tutto sull'argomento e io non voglio tornarci, però, Vecchio, quello che tu dovresti capire è che è molto facile fare la madre con l'utero altrui, tu questo dovresti fartelo tatuare, li tatuano i Vecchi come te?, non lo so, magari mi informo, un bel tatuaggio sul petto e via, vergato alla rovescia, come nel film "Memento", così ti ritorna in mente ogni volta che ti fai una doccia o ti radi la barba allo specchio.

Vedi Vecchio, ora ti racconto questa cosa: una volta in una trasmissione, mi pare al Festival di Sanremo, l'hai mai visto il Festival?, ecco, come ospite c'era Sharon Stone, una di quelle ipnotizzate del cazzo, non mi ricordo bene se da Scientology o dalla Chiesa Cattolica, vabbè, siamo lì, comunque la Stone, quella che accavallò le gambe consegnando la patonza alla storia dell'umanità, intervistata da Baudo o chi per lui, se ne uscì, tutta piangendo, che lei, non so in quale occasione, era quasi morta e poi tornata alla vita e, incalzata dalle domande, rivelò che il Paradiso, l'Aldilà, come lo vuoi chiamare, non era un fatto di luce o roba simile: "E' tutta una questione d'amore", disse la Stone. E a me questa frase colpì molto, mi commosse, arriverei a dire, perché trovai molto plausibile che il presunto Aldilà potesse riassumersi esclusivamente in un concetto d'amore. Quel che interessa a noi, tuttavia, vero o non vero, plausibile o non plausibile, è che il concetto di "assoluto amore" può andare bene per l'Aldilà, per ciò che esiste, se esiste, dopo la vita, e NON per la Vita Stessa.

Tu, Vecchio, ci infili questo discorso dell'Amore e della Pace ogni due per tre e non va bene, non in questa vita: questa vita, la nostra, per definizione, è prima di tutto una questione di sopravvivenza, di fame e di sete, di contratti a tempo indeterminato, di lavoro, di violenza, di morte, di solitudine, di droga, di depressione, di povertà, di malattie indicibili e nuove, di catastrofi naturali. In questa vita, fatta di queste cose, tu non puoi dire che "separare la sessualità dalla procreazione è sbagliato e porta all'infelicità", perché non lo sai in che razza di vita si va a infilare una potenziale nascita. Se riduciamo tutto a una questione di Amore, come diceva la Stone parlando dell'Aldilà, tu fai pornografia sentimentale da due soldi, per la quale è vero tutto e il contrario di tutto. Mi capisci, Vecchio? Separare la sessualità dalla procrezione non solo è legittimo ma molte volte diventa necessario, obbligatorio: perché QUI, dalle nostre parti, sulla terra, la questione "amore" occupa, tristemente, le ultime posizioni della scala gerarchica che porta alla sopravvivenza.

L'amore non è dogmatico, anzi: se ci pensi bene, Vecchio, l'amore è proprio tutto il contrario della fede.

L'amore ha bisogno di continue prove, riprove, controprove, carezze, sangue, urla, carne; l'amore ha bisogno di tutto quello che ci sta dentro quelle sacche di sangue che sono gli esseri umani: della loro ritrosia alla coerenza, della loro ipocrisia; l'amore si nutre, fisicamente, della minutaglia quotidiana, delle salite e delle discese, di tutti e cinque i sensi, dell'odorato, della vista, del tatto, dell'udito, della voce, dei capelli, dei pori, del sudore, della lanuggine dentro l'ombelico, del solletico, delle lacrime e della violenza, l'amore succhia dai difetti, dalle differenze, l'amore è sesso, godimento, eiaculazione, l'amore è amore pure se in quel momento lì un figlio diventerebbe una maledizione. L'amore è sapere rimandare. L'amore sa quand'è il momento giusto. L'amore non è dogma: l'amore, in quanto tale, è una cosa che inizia e finisce e che continua fin tanto che si vede, si sente, si percepisce.

Perciò Vecchio, tu che parli tanto di amore e di sesso, perché non pensi a misurarti la pressione e a lasciar fare a noi, che siamo fortunatamente ancora in vita, e non nell'aldilà della Stone, e che dunque d'amore viviamo e per amore prendiamo le nostre scelte più importanti? Il problema, Vecchio, è che tu sei invidioso, secondo me. Il tuo amante, diciamocelo, non è proprio il massimo in quanto a comunicazione, sensibilità e presenza. E allora ci vedi, ci guardi, noi innamorati, amanti, amici, dentro le pizzerie, davanti alle birre, alle prese coi nostri giganteschi e bizzarri cazzi di tutti i giorni e non ti capaciti che la vita possa essere così semplice e complicata al contempo. L'amore è una questione di millesimi di secondo, altro che di Eternità.

Provalo a chiedere a un interista, vecchio, perché in questo periodo non ha la voglia di fare un figlio e poi prova a trovare il coraggio di dirgli in faccia che ha peccato.

Ore 10.30. Nubile.

[scritto da Simona, donna]

Mi ricordo le mani. E le venuzze che gli si gonfiavano sulle tempie quando si arrabbiava.

Mi ricordo ogni centimentro della faccia e le diverse sfumature dei suoi occhi.
So perfettamente com'ero vestita la prima volta che l'ho visto, quante sigarette ho fumato e cosa c'era scritto sul post-it attaccato allo schermo del computer.

Colloquio per fare la segretaria amministrativa in un'azienda di ricambi per auto. Una grossa. Azienda. Di ricambi per auto. Con sedi in tutta Italia. Loro sono in due: il capo-filiale con le sue venuzze ed il responsabile di zona del nord-est.

Dopo mezz'ora il lavoro è mio: me la chiacchiero bene, nulla da dire. Anche a scuola era così: liceo classico, voti ottimi, mai una versione a casa. Me la chiacchiero proprio bene. All'inizio va che è una meraviglia; lui, il capo filiale, con le sue mani, è simpatico e paziente, si congratula per la velocità con cui imparo, è indulgente per gli errori. Si ride, anche; ci si racconta. Oltre a noi ci sono due colleghi che però vanno spesso in giro per i servizi a domicilio; simpatici pure loro. Tutto perfetto.

Dopo un mese circa, cambia la musica; le venuzze cominciano a gonfiarsi all'improvviso e per un nonnulla. Basta un timbro messo in un punto sbagliato della scrivania e si scatena l'inferno. Insulti e grida. Io, sorpresa arrabbiata triste, mi chiedo dove sia finito quel signore simpatico che mi ha fatto il colloquio: questo tizio non è lui, è solo uno che cerca di farmi piangere ma che non ci riuscirà.

Andare in ufficio è come camminare sui carboni ardenti: combattere tutti i giorni con l'isteria di frasi cattive ("fammi un bocchino", "perché non la dài a quel cliente, così lo facciamo contento", "non capisci un cazzo") ed attenzioni da fidanzato adolescente, tipo che mi viene a prendere a casa senza che io l'abbia chiesto, anche perché un fidanzato ce l'ho già, lo amo e - guarda un po' - me lo sposerei domani, quindi grazie dell'offerta, ma prendo l'autobus.

Ormai è chiaro che i centrimetri della sua faccia si sono presi una cotta per me, però c'è una modalità ossessivo-compulsiva nel manifestare l'interesse che col corteggiamento non ha niente a che fare: alterna momenti di estrema calma, (momenti in cui, manco a dirlo, io credo davvero che tutto sia tornato a posto; retaggio di un passato che ha spostato i limiti della mia sopportazione un paio di abissi oltre il buon senso) ad altri di rabbia per la sua vilipesa mascolinità.

Nel frattempo reagisco, è ovvio: quando mi si avvicina, quando urla, quando mi dice che sono una troia. Parlo con il super boss del nord est, il quale cerca di appianare le cose, che però non si appianano. Parlo allora con altri responsabili di responsabili di responsabili. Nessuno muove un dito.

Finché arriva lo strappo: un telefono tirato in testa. E la settimana dopo una spalla lussata. Mentre salgo sul taxi che mi porta in ospedale, mi ordina di dichiarare che sono finita contro una porta; faccio di sì con la testa e intanto penso: "Col cazzo...".

Mi licenzio il giorno dopo: sono in infortunio, vivo da sola, devo mantenermi; ma non voglio comunque i soldi di quello schifo di Azienda. Un amico avvocato mi spinge a denunciarli: la società, lui, le sfumature dei suoi occhi. Mi lascio convincere solo perché ho i colleghi pronti a testimoniare, so come vanno queste cose, le umiliazioni che devi passare: ho già dato, grazie. La peggiore, di umiliazione,  è quello sguardo: una donna che ha subìto molestie lo riconosce subito, anche perché spesso segue la domanda, che spiega quello sguardo. "E tu che hai fatto per provocarlo?". Ecco perché non se ne parla mai abbastanza. Perché non si hanno risposte adeguate ad una domanda così. A parte inviti a recarsi in un posto che finisce per "ulo".

In buona sostanza vinco: o meglio, lui patteggia per la denuncia di mobbing e molestie sessuali.



Chiedo il rimborso dei due mesi di stipendio persi causa spalla e delle spese legali. Non voglio altro. Tanto sono sicura che adesso verrà sbattuto fuori dall'Azienda e questo mi basta per pensare che c'è giustizia. E poi continua il processo penale per l'infortunio, quello va avanti d'ufficio, è lo Stato contro di lui (anzi, contro la Società) ed io figuro come testimone.

Sono passati sette anni.
Lui è ancora il direttore della filiale di una provincia benestante e bacchettona del nord Italia. Nessuno mi ha mai chiamato per scusarsi. Signorina, buongiorno, sono l'amministratore delegato dell'Azienda, volevo manifestarle la mia solidarietà per quello che ha passato: ho una figlia anche io, ho una moglie, una zia, una madre, un'amica, una donna che amo e mi vergogno a pensare che possano esistere realtà del genere sotto il mio naso. Quanto l'ho sognata, questa frase.

Adesso ho un nuovo lavoro, o meglio, ce l'ho da sei anni. Sono brava, nel mio lavoro, lo faccio bene. Sono un direttore commerciale, seguo altre cinque persone dell'ufficio vendite. Giro l'Italia e gestisco i clienti più importanti. Insomma, mi sono impegnata tanto e i risultati si vedono.

Un paio di mesi fa, in qualità di consulente tecnico-commerciale, vengo chiamata per supportare un mio cliente che deve proporre un grosso impianto di videoconferenza. Proprio a quell' Azienda. L'appuntamento è nella sede di Milano. Fortuna vuole che cada nell'unico giorno in cui tutti i direttori delle filiali italiane si trovano lì. Per cui, durante il mio incontro di lavoro, lo vedo, sul corridoio: le sue mani, venuzze, sfumature. Lui invece non si accorge della mia presenza. Aspetto che passi oltre, mi manca l'aria. Devo uscire, ma riesco a dissimulare, sono brava anche in questo. Una volta fuori, al mio cliente (con cui comunque c'è confidenza, lavoriamo insieme da tanto) racconto a macro linee perché ad un certo punto mi tremava un ginocchio. Lui mi guarda strano.

Non ci credo.
Eccolo, quello sguardo. E la frase che segue dice più o meno che è meglio che io prenda tutta la mia bravura e me ne torni da dove sono venuta; ha paura di perdere il cliente, di non riuscire a vendere all'Azienda il progetto che IO STESSA ho preparato. Anzi, non è che ho lasciato un mio biglietto da visita, vero? Si sa mai dovesse capitare nelle mani sbagliate e qualcuno si ricordasse di quella pazza che nel 2001 ha cercato giustizia.

Infatti non ho più sentito nemmeno lui. 
La conclusione di questa storia non esiste; non il lieto fine, non un altro inizio.
Scusate se sono stata troppo lunga o troppo poco chiara. E scusate se non so come chiudere, se vi saluto così, con un angolo della bocca che punta in basso.

Comunque avevo una gonna viola, un maglioncino bianco e gli stivali in pelle. Ho fumato due sigarette e sul post-it c'era scritto: "Ore 10.30. Colloquio. S. M., 20 anni. Nubile."

[Non molto da aggiungere. Ho conosciuto Simona e, quando mi ha detto di questa storia, ho pensato che un ulteriore sfogo non avrebbe potuto farle male. Quello delle violenze sessuali, delle molestie, del mobbing compulsivo-maschilista, sono tutti temi "sociali" che mi/ci stanno molto a cuore: non se ne parla granché nelle piazze o nei Vday di questo gran cazzo, perché non fanno moda, non strappano applausi a vene gonfie e spruzzi di bava dalla bocca. Ecco perché ho voluto che lei sussurrasse qui la sua storia: continueremo così in silenzio e senza urla, su questo blog, a raccontare storie di dissenso dal basso. Perché crediamo fortemente che ci sia verità nella frase ex pluribus unum e non nel suo contrario - ndNoantri]

Il genovese.

Tu a un genovese i soldi glieli devi lasciar stare, sennò il genovese s'incazza. I genovesi sono fatti strani, hanno quella faccia un po' così, come diceva que tale al pianoforte. I genovesi coi soldi non ci sanno fare: i genovesi sono dominati, dai soldi.

Tu lo puoi idolatrare, un genovese, puoi mandare a puttane il tuo cervello, se credi, te lo puoi prendere, il cervello, svitartelo dal cranio come una lampadina, e poggiarlo sul comodino, se ritieni che il suo, il cervello del genovese, possa fare tranquillamente le veci del tuo. Puoi firmare i referenda del genovese, gli puoi comprare i dvd, i giornali, le videocassette, i cd, gli alambicchi, i ritratti, i libri, e tutto questo puoi farlo perché lui, proprio lui, il genovese, ti implorava di farlo, perché altrimenti - altrimenti - avrebbe rischiato di non potersi pagare le spese legali e amministrative necessarie per consentirsi tutto ciò, gli puoi dare i tuoi, di soldi, al genovese, se il genovese si vuole comprare delle pagine sui quotidiani nazionali per sparare delle stronzate che potevi benissimo pensare DA SOLO, gli puoi chiedere un autografo per la strada, puoi anche evitarti di domandare PERCHE' il genovese non risponda mai, giammai, alle critiche, alle richieste di spiegazione e alle interviste, puoi fare lo gnorri, puoi far finta di niente quando cominci a fare caso che il genovese insulta i giornalisti attraverso gli amici suoi giornalisti e le trasmissioni televisive attraverso le trasmissioni televisive amiche sue, puoi alzare le spalle, dirti che i nodi verranno al pettine prima o poi, se qualcuno ti fa notare che nessun sistema  si è mai rovesciato dall'interno e che a forza di vaffanculo non si sovvertono nemmeno le decisioni di una partita di calcio, figuriamoci gli indirizzi di un Paese, sbufferai di noia quando scoprirai che gli uomini e le donne del genovese, gli amici suoi, stanno lentamente penetrando nei gangli della politica italiana, quella stessa politica italiana, cioè, che, secondo il genovese, è qualcosa di malato come un fegato abitato da metastasi, gli puoi fare tutto al genovese, però non gli devi toccare i soldi, i soldi no, come il Breil, avete presente il Breil?, toccatemi tutto ma non il mio Breil, quella roba là, ecco al genovese non devi mai far sapere quant'è divertente fargli i conti in tasca.

Perché, non si sa come, improvvisamente gli prende la tigna: tira fuori i coglioni, così, tutto d'un tratto, dopo anni che si limitava a fare i discorsi di peluche della casalinga di voghera. Gli prende tipo un ictus, al genovese, e che fa? Diventa pesto e dopo averci raccontato quanto bello fosse Internet e di quanto libero dovesse restare, Internet, e ad ogni costo, improvvisamente tuona che no, altolà, bisogna stare attenti a cosa ci si piazza, su Internet.

Dice il genovese che a rendere pubblici i nostri conti in tasca si rischia l'attivazione della criminalità. Come se uno tutti quei soldi li tenesse sotto al materasso, o nel portaombrelli sul pianerottolo. Dovrebbe pensare, il gnovese, che la medesima cosa, allora, potrebbe rischiarsi salendo sul palco a tuonare morte e distruzione contro TUTTO e contro CHIUNQUE. I giovani vengono istigati al delitto da cartoni animati e videogiochi: il genovese non crede che anche le sue parole d'odio e d'ira potrebbero alla stessa maniera crepare i delicati meccanismi chimici di chi lo ascolta pedissequamente con la lancetta dello spirito critico ormai sotto lo zero? Non ci pensa, il genovese.

Il genovese è scortato da centinaia di migliaia di adepti che sono felicissimi di delegare a lui, al genovese, lo sforzo del pensiero. Gli adepti non hanno più una sola idea propria, ma pensano tutti quanti idee che sono già state pensate dal loro Guru tascabile, il genovese. E il genovese non si sforza più di avere un solo pensiero originale: a lui, al genovese, interessa solo cavalcare l'onda emozionale data dal malcontento generale di un Paese allo sfascio. Solo che, d'incanto, il Malcontento Generale ecco che coglie anche lui, anche il genovese, quando in pubblica piazza - la stessa piazza pubblica che lui, il genovese, diceva essere la Via, la Salvezza, la Soluzione - quando in pubblica piazza vengono rovesciate le sue tasche, le tasche del genovese. Che sono legittimamente gonfie: nulla da dire in proposito. Anzi: sono soldi guadagnati onestamente. Allora monta la rabbia: allora, d'incanto, la Libera Rete è TROPPO libera, allora, magicamente, l'oasi Internet diventa un miraggio, allora, incredibilmente, colui che prima difendeva a spada tratta la scheggia impazzita, ne diventa oppositore.

E succede anche di più: succede che sul sito del genovese si legge, per la prima volta, malcontento: gli adepti storcono il naso, perché l'amico è amico finché non ti rendi conto che scopa molto (mooolto) più di te, finché non t'accorgi che è molto (mooolto) più ricco di te e allora anche tu, che semmai al genovese vuoi bene, due domande, vivaddio, te le cominci a fare e, per esempio, ripensi a tutte le volte che siete andati al ristorante insieme e lui ha fatto pagare te. E' sempre così che funziona: sono tutti buoni e cari finché non gli strappi un ciuffo d'erba dal giardino.

Questa rabbia che ha accecato il genovese è la prima rabbia genuina che io gli riconosco. E' umano, allora, vien da pensare. Com'è umanissima, e perfettamente borghese, la replica del Codacons, il quale ha deciso di fare causa a destra e a manca per un totale di qualche decina di milione di euro, tanto viene il totale se si considerano 55 euro circa di risarcimento a cranio per l'abissale colpa di cui si sarebbe macchiato Visco. Come se questo Stato Italiano navigasse nell'oro. E allora dico, io che genovese non sono, e anzi i soldi in tasca me li so tenere a stento, io dico che, caso mai qualcuno dovesse pensare in mia vece, giacché ho già detto che tale Sport Nazionale io lo schifo, lo sport di delegare ad un altro la fatica dell' intelligenza, dico che questi 55 euro non li voglio. Teneteveli: trovo legittimo che i redditi degli italiani siano stati resi pubblici. Lo trovo democratico, addirittura. Quei numeri che tanto scalpore hanno destato sono i numeri degli italiani che pagano le tasse. (se poi un odontoiatra dichiara 47 euro, cazzi suoi. Voglio vedere poi se avrà anche la faccia di accettare l'assegno circolare di 55 euro che gli farà pervenire il geniale Codacons) Il genovese dovrebbe perciò essere fiero di risultare in quegli elenchi: vedete?, potrebbe dire il genovese, vedete come sono coerente? Dico a voialtri di comportarvi bene e, infatti, io pago fino all'ultimo centesimo ciò che devo allo Stato. Voi mi pagate le ville, ma io le PAGO allo Stato. Guardate: leggete gli elenchi. Scaricateli: è gratis. E' libero. E' Internet. Prendetemi a esempio e moltiplicatevi. Così potrebbe dire il genovese: e invece no. Il genovese s'incazza. Vomita e sbraita. Mastica e sputa. Vuole mettere i lucchetti ad Internet come a Ponte Milvio. Lo sa, il genovese, è furbo e intelligentissimo, che un Martire da 5 milioni di euro funziona quanto una Maserati parcheggiata in un posto per invalidi. Sempre Maserati è, ma messa in quel modo puzza. Pure se ha il pass arancione sul parabrezza con il disegnino della carrozzina.

"In questo momento il mondo, senza accorgersene, sta vivendo la terza guerra mondiale: quella dell'informazione. L'unico modo per salvarsi è sapere. Conoscere le notizie. Noi abbiamo un mezzo, la Rete, che ci consente di arrivare dritti alle notizie. La politica, le televisioni, i giornali arrivano sempre dopo". (Il genovese)

Pietrelcina Revolution.

(due sono davanti alla tv. Uno ha il saio, l'altro no)
- Vedi, è questo il problema: guarda come appaio brutto...
- Brutto?
- Brutto.
- Ma brutto come?
- Guarda qui. Guarda che roba. Le rughe e quel pizzetto... Questi pensano che sono davvero un santino... La gente pensa... Io non lo so mica cosa si sono messi in testa questi scriteriati...
- E' una vita che la vedono così, signore. Lei è un'icona, prima di tutto. Lei è...
(l'uomo col saio si batte tutte e due le mani sulle guance. Con forza)
- Ma questa è la mia faccia, questa! Non quella del santino, delle figurine, delle bandierine, delle bandanine, delle iconine. Per chi mi hanno preso, tutti quanti? E per chi mi hai preso TU? T'ho chiamato apposta, non mi fare pentire...
- Però, signore, la guardi la gente com'è contenta... Come sono tutti... Tutti... Ecco, sereni. Sì: sono tutti sereni...
- Bof...
- ... Guardi, guardi i bambini, guardi gli anziani, le persone in carrozzella. Guardi! Guardi come fanno la fila, come aspettano pazienti il proprio turno...
(l'uomo col saio si dà una spinta coi piedi e la sedia su cui è seduto fa una piroetta all'indietro, allontanandolo dallo schermo)
- Ma stanno guardando un pupazzo. Un pupazzo di silicone...
- ... E poi guardi i giovani... Quante persone piene di felicità! Quanta gioia! Guardi quanta serenità, Padre! Quanta... Quanto...
- ... Quanto SILICONE! Quello un pupazzo di silicone è! Mettici una bambola gonfiabile e avrai la stessa gente "felice". Silicone per silicone...
- Padre, signore, ma lei deve pensare al fine, non al mezzo... Al mezzo ci pensiamo noi: è il nostro lavoro. Lei si goda soltanto i risultati.
(Padre Pio torna vicino al televisore trascinandosi coi piedi bitorzoluti avvolti da sandali)
- Credi che dovrebbe piacermi questo risultato?
- Con Gesù Cristo ha funzionato. Il Cristo rappresenta ad oggi la nostra maggiore soddisfazione. Lui ha avuto la lungimiranza di non curarsi dei mezzi ma di godersi solo del fine: ha lasciato fare a noi e adesso guardi...
- Io guardo e quello che vedo è una marea di ipnotizzati senz'anima.
- Ma è proprio questo il cuore della pubblicità, signore...
- Anima un bel niente! Guardali! Dico: guardali. Piangono! Ridono! Si strappano le vesti! E che ne sanno di me? Ecco tutto quello che sanno di me, ecco tutto quello che hanno: uno stupido, ridicolo, insulso fantoccio. (Il frate si alza dalla sedia e comincia a camminare in tondo. La sua figura è imponente, la voce leggermente afona, però severa. Il piccolo burocrate incravattato prova a seguirlo: si alza a sua volta, con il suo catalogo in mano, e cerca di assecondarne il passo)
- La gente ha bisogno di...
- Sì, sì: la solita storia: la gente ha bisogno di questo, la gente ha bisogno di quello e noi glielo diamo. Noi siamo qui apposta, eccetera eccetera.
- L'Azienda Chiesa, Padre...
- L'Azienda Chiesa...
- Lei è stato frate e sa che...
- Io sono stato frate perché sono cresciuto tra frati e istruito da frati! Fossi nato tra postini sarei diventato un postino.

- Guardi padre, guardi quanta gente contenta che...
- La gente... (Padre Pio si adagia su un divano blu elettrico e si tira forte il pizzo. Odia il suo pizzo)
- L'Azienda Chiesa, prima fra tutte, non pensa mai al mezzo. Così anche lei si curi del fine, signore, e se lo goda. D'altra parte ha una certa esperienza in tal senso... O mi sbaglio?
- "Una certa esperienza" COSA? (Il famoso cappuccino blocca i propri movimenti e allinea le gambe, ginocchio contro ginocchio. Ritta la schiena. In attesa. Osserva con la precisione di un cacciatore il proprio interlocutore)
- Suvvia... Tutto quell'acido fenico ha... Fatto in modo che...  (l'omino incravattato si fa una risata nervosa) Quando ne parliamo nelle riunioni aziendali ancora ci battiamo le mani sulla fronte! Ci avessimo pensato noi, signore! Un'idea così semplice, eppure tanto perfetta, a tema, contestualizzata! La portiamo come esempio alle giovani leve che vengono da noi per gli stage: avrebbe un futuro nel marketing, ci ha mai pensato?
- Non ti azzardare a... (Padre Pio si alza: in altezza sovrasta il suo interlocutore) Io non ho fatto un bel niente. L'acido fenico mi serviva come antisettico. Come ti permetti di... (le mani prendono a tremargli improvvisamente)
- Padre... Padre... Non serve che lei... (l'omino fa un passo indietro e incespica contro la sedia) Le ripeto che a noi non interessa il mezzo... Quello che conta è il fine... Quindi lei non deve sentirsi in dovere di...
- Io non mi sento in dovere di un bel niente! Vuoi capirlo? (Padre Pio si porta entrambe le mani davanti agli occhi e comincia ad aprire e chiudere i pugni. Si osserva i palmi, attentamente, quindi i dorsi) L'acido fenico mi serviva come antisettico punto e basta: d'altra parte si sa come funziona per queste sostanze. Ognuno le usa come meglio crede: prendi Hitler con le sue iniezioni...
- Esatto! Stiamo dicendo la stessa cosa... Il fine giustifica i mezzi!
- ... Lo usavo come antisettico, l'acido fenico, va bene?, VA BENE? Vorrei non tornarci più. E, caso mai stessi per tirare fuori pure quest'altra illazione, la tintura di iodio mi serviva per denaturare le proteine: sai quanto fossi cagionevole di salute in vita... (il vecchio apre e chiude le mani per l'ultima volta, poi se le infila sotto le cosce come se volesse scordarle)
- ...
- Ma veniamo a noi.
- Dica, Padre.
- A me non interessa ciò che pensi tu: sei pagato, e in nero, per obbedirmi. Dico bene?
- Signorsì.
- Se vuoi fare San Tommaso mettiti in fila: non sarai certo tu il primo a levarti la curiosità.
- Sissignore.
- A te, a VOI, deve interessare solo obbedirmi. Rendermi felice, Dico bene?
- Assolutamente, Padre.
- Ecco e allora sentimi bene e vallo a dire ai tuoi capi...
- Sono amministratore unico dell'azienda di famiglia, signore. Si può dire che non abbia capi...
- A differenza mia... (Padre Pio gonfia i polmoni) Allora sentimi bene: io voglio un drastico cambio d'immagine. Basta con questa paccottiglia: questa è schifezza ad uso e consumo della ritualità d'avanspettacolo. Guardali, io ti invito ancora una volta a guardarli: (indica il televisore sintonizzato sulla diretta di Rai Uno) questi ipnotizzati pretestuosi che piangono e strillano e portano i loro neonati a guardare un fantoccio di silicone e paglia. Non è a questi che io voglio arrivare. Questi sono bolliti buoni per il Papa. Io voglio di più.
- Assolutamente d'accordo signore. Se mi permette vorrei appunto illustrarle...
- ZITTO!
- Molto bene, signore.
- Prima mi hai nominato Gesù Cristo. Ti intendi di Gesù Cristo tu?
- E' stato tra i nostri più affezionati e soddisfatti clienti. (l'omino fa per aprire il suo fascicolo con la copertina di velluto viola)
- Allora senti la novità: tu non sai niente di Gesù Cristo, va bene? Mettitelo in testa. Cliente o non cliente. Pensi che ne saprai di più di me, dopo che mi avrai aggiunto ai tuoi clienti?
- Nossignore.
- Guardalo, Gesù Cristo. No, dico: guardalo: tre giorni sulla croce e poi il Potere Assoluto. E quella storia dei pani e dei pesci? Altro che stigmate. Quella è la roba forte.
- Appunto le dicevo, signore. (il burocrate apre la sua cartella e spalanca un enorme sorriso) Ha appena confermato lei stesso, con le sue parole, che il lavoro fatto per il signor Cristo dalla nostra Agenzia è stato inappuntabile. Come le consigliavo poc'anzi, se mi permette...
- NON ti permetto nulla! (l'omino si immobilizza come una reliquia) Taci. Se mi sono rivolto a voi non significa che vi lascerò fare come credete: conosco le vostre credenziali, ma tu non devi perdere d'occhio quelle immagini e quelle facce e non devi dimenticare che ciò è MALE. (indica il televisore)
- Molto bene, signore.
- Non fu, forse, proprio il tuo Gesù a dire ai mercanti del tempio: "Portate via questa roba! Non riducete a un mercato la casa di mio Padre!"?
- Sissignore. Quella frase fu accuratamente messa a punto dal nostro reparto creativo. Proprio come la celeberrima camminata sull'acq...
- Ecco. Per l'appunto. Io voglio cose così. Frasi del genere. Non ne posso più di quest'aria da bravo nonnino.
- Potremmo organizzare dei ritrovamenti, testimonianze; modificare vecchie fotografie, oppure...
- Stai parlando con me? Non mi pare, non dovresti, perché IO non ti ho detto di parlare. Ti ho detto di parlare? Forse qualcuno ti ha detto di parlare? (si guarda intorno) Non c'è nessun altro qui, perciò nessuno può averti detto di parlare.
- Mi scusi, Padre...
- E allora.
- ...
- Tu che fai tanto il gradasso con Gesù Cristo, i clienti più affezionati, repertorio e bla bla bla, dimmi un po', ti ricordi forse cosa venne detto a Maria Maddalena, Giovanna e Maria che cercavano Gesù nel sepolcro?
(l'omino si monta sul viso un'aria di soddisfazione. Fa per cercare una pagina nel suo catalogo e mentre sfoglia recita a memoria)
- "Perché cercate tra..."
- Esatto, bravo! "Perché cercate tra i morti colui che è vivo? Egli non è qui, è resuscitato".
- ...
- Capisci?
- Mi sta forse dicendo che...?
- Sì, ti sto forse dicendo che.
(c'è un attimo di sospensione in cui ognuno dei due astanti sembra cercare l'attimo giusto per trasformare il proprio pensiero in voce alta)
- Ma non si può. Signor Pio, Padre: è una cosa assolutamente sconsigliata, questa. Ma se l'immagina la gente che...
- Ancora con questa gente!? Lo vuoi capire o no che io la odio la gente? (Padre Pio si rialza con uno scatto da adolescente)
- Ma, mi permetta, Padre, se lei odia tanto la gente, perché si è rivolto alla nostra Agenzia? Saprà bene che il marketing e la pubblicità senza la gente non possono...
- Zitto!
- ...
- Taci!
- Molto bene, signore.
(Padre Pio si avvicina a una finestra che dà sul mondo dei vivi. Resta qualche secondo in silenzio, poi si infila entrambe le mani nelle tasche del saio e si volta con l'aria severa di un professore che ha scoperto l'alunno copiare)
- R e s u s c i t a m i.
- ...
- Io voglio resuscitare.
- Farà la felicità dei Testimoni di Geova, signore...
- Come hai detto?
- Niente, niente, signor Pio. (l'omino si fa piccolo)
- ...
- ...
- Senza la resurrezione non sei nessuno. E' questo il vero, unico e totalizzante insegnamento del Cristo. Serve il colpo di teatro, serve lo scoop, serve la botta mediatica: serve APPARIRE. Se Cristo non fosse resuscitato, nessuno ci avrebbe mai fatto i film al cinema.
- Ma anche su di lei hanno fatto film...
- Fiction! Stupidissime operette di fiction per la famiglia! Perché Zeffirelli non è venuto da me? (Ora il frate cappuccino da Pietrelcina è rosso in volto)
- ...
- Te lo dico io: perché non sono resuscitato!
- Ma lei E' resuscitato, signor Pio. Si guardi! Si....
- Imbecille!
- ...
- Se non avessi le mani in questo stato, ti avrei già preso a schiaffi!  (si porta le mani sulla gobba del naso) Tu non capisci! Quel coso di plastica dentro quel... Quell'acquario non sono io: è una caricatura, un'orrida scultura in vetroresina buona per ipnotizzare i rincoglioniti di quella foggia.
- Molto bene, signore. (l'omino prende appunti con una penna d'oca)
- Io. Voglio. Resuscitare.
- Ha qualche idea, signore, in merito.... In merito a QUANDO resuscitare?
- Certamente.
- E quando, signor Pio, intende resuscitare?
- Ora.
- Ora?
- Ora.
- Ma ora c'è la diretta televisiva, tutta quella gente e... (l'omino indica il televisore dove una signora grassissima con degli enormi occhiali da sole a forma di Padre Pio sta dicendo che l'unica via della salvezza è quella del digiuno assoluto e perenne)
- Ti sei appena risposto da solo.
- Signor Pio, mi permetta di dissentire... Lei se l'immagina quello che succederebbe?
- Certamente.
- Ma... Voglio dire... La cosa non crede che assumerebbe delle tinte... Uhm... horrorifiche?
- Precisamente.
- La salma di Padre Pio dentro alla teca che spalanca gli occhi e si solleva dall'eterno giaciglio? E magari si mette a camminare?
- Ha funzionato col Cristo, funzionerà anche con me.
- Ma, signor Pio, compito della nostra Agenzia è far riflettere i nostri clienti circa tutti i possibili...
- Ho riflettuto abbastanza! Qui ci vuole una bella Resurrezione.
- Signore, la gente scapperebbe. Comincerebbe a urlare. Si butterebbe dalle finestre: ci sarebbe un caos storico. Lo capisce che verrebbe rivoluzionato il pensiero degli uomini?
- Perché mai?
- Veder risorgere qualcuno!
- E allora?
- ...
(Padre Pio si avvicina al suo interlocutore e lo prende per le spalle. Delicatamente. Con saggezza paterna)
- Senti: se sono lì, tutti quei tizi in lacrime, adoranti, in linea teorica non dovrebbero nutrire alcun dubbio circa l'effettiva possibilità che qualcuno possa risorgere. Dico bene? E' così che sono stati istruiti, irregimentati. E' così che ha detto loro il Nuovo Testamento: è quello che credono. Credono a Gesù Cristo, alla Resurrezione, ai pani e ai pesci, a Lazzaro. Sfornano tutti quei ridicoli figli perché pensano che a noi ce ne freghi qualcosa. Credono che camminare sull'acqua si può. O no? Ci credono ad occhi chiusi: quelli lì non dovrebbero più stupirsi di niente, giusto? Accetteranno in quattro e quattr'otto la mia Resurrezione perché è proprio QUELLO che si aspettano! Loro. Credono. Nella. Magia.
- ...
- O no?
- ...
- Come avete fatto con Cristo?
- Ci sono dei permessi da chiedere, bisogna organizzare la scena: non ce la faremo mai per tempo. Pagare le comparse.
- E allora?
- E' previsto un milione di persone da qui ai prossimi mesi, signore. In fondo non c'è alcuna urgenza di farlo succedere oggi...
- Invece sì.
- E perché?
- Perché oggi c'è la diretta tv.
- ...
- Sei sicuro che la tua agenzia sia così abile come dici con la pubblicità e tutte quelle cose lì?
- Sissignore. I primi in assoluto. Se vuole consultare il nostro portfolio... (gli porge il catalogo viola)
- Silenzio!
- Molto bene, signore.
- Fammi resuscitare. OGGI.
- Oggi, signore.
- Oggi!
- ...
- E mi raccomando. (Padre Pio si riavvia i capelli. Poi si tira su il cappuccio e si guarda nel riflesso della finestra)
- Cosa signore?
- Fammi sembrare bello.

L'Aldilà di Noantri, altri racconti sul tema:
- Eternity
- L'Aldilà dei Valori

Fini, a Roma nun fa’ er gaggio.

FiniL'artro pommeriggio Gianfranco Fini ha deciso de fa' er gaggio. Ha scerto de fasse 'n giro da le parti de Boccea, che un po' sò pure le parti mia, pe' tirà la volata a Gianni Alemanno alla corsa ar Campidoglio. Famo subbito chiarezza: io Gianni Alemanno nun l'ho votato pe' la storia mia perzonale, però Gianni Alemanno, pure che nun è romano come sottolinea sempre Rutelli er cicoria - 'n antro che je piace da fa' er gaggio - nun c'aveva bisogno de 'ste goliardate.

Sì perché er grande  - grande co li piccoli e piccolo co li grandi - Fini s'è messo a strigne le mani dei passanti. Allora è passato er penzionato che voleva più sordi pe' la penzione, poi è passata la mamma che chiedeva l'asili nido, poi è stato er turno der vigile urbano che voleva la pistola, er tabbaccaio che reclamava sicurezza e la signora cor cane che je voleva fa' solo 'n saluto. A 'na certa so' passati pure du pischelli cor motorino che j'hanno fatto er braccio teso perché a Boccea ce so' tutti negozi d'ebbrei. Li fasci veri a Roma je rimproverano, a Fini er gaggio, d'esse annato a piagne a Gerusalemme e de avé rinnegato er fascismo.

Inzomma, dopo tutto 'sto bagno de folla, er gaggio (pe' comodità mo' lo chiameremo così) a 'na certa ha deciso de fasse grosso. Così s'è avvicinato a du venditori ambulanti de accendini, du eggiziani, e j'ha chiesto er documento. A gaggio ma che te sei messo pure a fa' la guardia? A gaggio ma che nun ce lo sai che tu nun li poi chiede i documenti a 'n antra perzona? Li du poracci, spauriti e circondati dalla folla che sbraitava insurti, j'hanno fatto vedé la carta d'identità e er gaggio ha rosicato: «Me sa - ha detto pure divertito - che voi due sete l'unici in regola in città». Er gaggio allora è annato a fasse 'n giro ar mercato der quartiere e lì tra chi je avrebbe voluto tirà du carote e chi je regalava du mele - du arance sembrava brutto - ha incontrato n'antri du negretti, seduti ar bar. Pure a questi allora j'ha chiesto li documenti. Uno ce l'aveva, l'artro se l'era dimenticati a casa: «Voglio vedé - ha detto er gaggio - se funziona la legge mia, ma me sa che nun è così... Nun è possibile che tutti c'hanno 'sto permesso, me sa che se lo comprano». Bella figura c'hai fatto a gaggio, nun sai manco come funziona la legge tua.

Fortuna che hai fatto la fine che meritavi, da gaggio a comparsa de la politica. Me sa che facevano bbene li du pischelli sul motorino che te 'nsurtavano. Manco Alemanno s'è fatto vedé in giro co' te. Pensace a gaggio, alla fine che hai fatto.

Va benissimo così com’è.

[questo è il secondo post di Ornella, infermiera e coordinatrice dell'Assistenza Domiciliare di Cure Palliative. La volta scorsa s'era parlato di eutanasia e di morte assistita. Di nuovo, la ringrazio di cuore. - nd noantri]


Anna ed io
siamo amiche da sempre, siamo coetanee ed è l'unica cosa che abbiamo in comune. Per il resto siamo molto diverse: lei è il bianco io il nero. Lei è credente, praticante (appartiene a C.L.) e devota, io atea. Lei ha 5 figli e un marito che la ama, io una figlia e nessun marito. Lei è casalinga, io lavoratrice. Lei di centro destra, io di estrema sinistra e cosi via. L'elenco sarebbe molto lungo e non voglio tediarvi; dicevamo diverse ma cosi vicine da sempre con reciproco affetto e stima.
 
Qualche mese fa Anna mi chiama, è trafelata, ha la voce che trema:

- Ornella sono di nuovo incinta!
- E' una buona notizia? – le chiedo, non capendo davvero, se per lei lo  sia
– NO. È terribile, non ci voleva, non ce la posso fare ad averne un altro. Il piccolo ha solo 18 mesi gli altri dipendono ancora da me al 100% e Fabrizio (il marito - ndO) lavora sempre, non è mai a casa ed io non ho altri aiuti se non me stessa e poi lo sai, mi devo ancora riprendere dalla depressione post-partum e  il solo pensiero di dover affrontare un'altra gravidanza, mi fa impazzire!
- Cosa conti di fare?
- Non lo so, ma io non voglio questo figlio, non posso... Aiutami Ornella.
- Ma se non desideravi un’altra gravidanza, perché non hai preso un contraccettivo, perché non avete usato delle precauzioni? - Le chiedo senza giudicare (non l'ho mai giudicata), piuttosto cercando di capire.
- Scherzi? Lo sai che a Noi non è consentito...
- Lo hai detto a Fabrizio che sei incinta e che non vuoi il figlio?
- Gli ho detto che sono incinta ma non che non lo voglio. Come faccio a dirglielo? Lo sai come la pensa, come la pensiamo... Sto malissimo, sono confusa. (piange a lungo). Vorrei abortire, Dio mi perdoni, non ce la faccio. Aiutami...

Il giorno dopo ci incontriamo.
Lei ha la faccia tirata, non dorme e non mangia da giorni, i suoi figli sono tutti sistemati: i 3 più grandi a scuola, la quarta all'asilo e il piccolo è li con noi.

Decidiamo di andare al Consultorio per parlare con il Ginecologo e la Psicologa, per affrontare il discorso dall'Interruzione Volontaria di Gravidanza.

La accompagno la settimana successiva: Anna viene visitata dal medico e fa un colloquio con la Psicologa. Alla fine di tutto, nonostante la sua sofferenza psicologica e fisica, prende la decisione di non abortire.

- "Perché non è giusto, perché i figli sono una benedizione di Dio, perché lo amerà come ama gli altri e perché non potrei mai uccidere una creatura umana. E inoltre, ti immagini che scandalo se mio marito venisse a sapere che ho fatto una cosa del genere, se lo sapesse la Comunità! (quelli di C.L.) Mi caccerebbero! Non posso farlo!".



Spiego ad Anna che in caso di I.V.G. la sua privacy sarebbe tutelata e che se volesse non far sapere a nessuno le sue intenzioni,  potrebbe farlo senza problemi, perché ne ha tutto il diritto e perché la legge glielo consente. Mi risponde che ormai ha deciso: terrà il bambino e confiderà nell'aiuto del Signore per superare questo momento di difficoltà e di sbandamento personale. Mi ringrazia per la mia disponibilità e per l'amicizia che da sempre le dimostro e ci salutiamo con la promessa di chiamarci presto.

Non ci sentiamo per un po'.
E' passato meno di un mese, quando ricevo la telefonata di Fabrizio. Io sono al lavoro.

- Ornella, Anna è stata ricoverata d'urgenza in Ospedale: ha avuto un'emorragia e da ieri sera ha la febbre altissima, credo che stia perdendo il bambino!

Mi precipito in Ostetricia, Anna sta malissimo, Fabrizio mi chiede di parlare al medico prima che la portino in Camera Operatoria, per capire cosa sia successo: lui è troppo agitato per farlo e ha una paura folle che il bambino non si possa salvare.

Prima di parlare con il medico vado da Anna che, come mi vede, scoppia in lacrime e mi racconta cosa è successo.

Anna è stata da una "mammana" (così vengono chiamate quelle che fanno abortire in casa le donne) sperando di poter simulare un aborto spontaneo. La donna le aveva assicurato che non ci sarebbero stati problemi e che così non avrebbe fatto sapere a nessuno che voleva abortire: bastava introdurre un piccolo ferro  (sterile! per carità!) nell'utero, raschiare un po', e in men che non si dica sarebbe comparsa l'emorragia (niente di copioso! per carità!). In questo modo sarebbe andata in ospedale e tutti avrebbero pensato ad un aborto spontaneo, un piccolo intervento di pulizia e tutto si sarebbe sistemato...

Fabrizio non ne sapeva niente.
La diagnosi all'ingresso era: "Metrorragia massiva di n.d.d. (natura da determinare) con sospetta setticemia secondaria".
Anna ha rischiato la morte.

Sono passati più di due mesi, adesso Anna si è ripresa (fisicamente). Il suo cuore e la sua anima sono a pezzi, sta andando da una Psicologa e prende un antidepressivo. Fabrizio l'ha PERDONATA (?!)

Io le sono vicina, come posso, con l'amicizia di sempre.

Ma sono arrabbiata, anzi furiosa (non con lei, naturalmente), contro CHI o CHE COSA ci impedisce di poter pensare con la nostra testa e che ci impedisce di scegliere quale sia la cosa giusta da fare senza sentirci dei MOSTRI o delle ASSASSINE. Sono furiosa perché, ancora oggi, ci sono delle BESTIE (senza offesa per il mondo animale) che praticano gli ABORTI CLANDESTINI, senza essere PUNITE, a donne ignoranti, o condizionate da Credi e Regole assurde, o spaventate, o incapaci di decidere.

Donne che potrebbero essere aiutate, gratuitamente, a scegliere cosa fare, tenendo conto delle motivazioni che le spingono a fare quella scelta, anzi, INDIPENDENTEMENTE da quelle. Sono arrabbiata perché ancora oggi, nonostante si faccia un gran parlare di prevenzione, tante donne, più o meno giovani, più o meno sposate o fidanzate, non usano i contraccettivi, perché non si può, perché non si fa, perché non si deve, perché fanno male.

INFORMATEVI, NON COSTA NIENTE.
Di mezzi a disposizione ce ne sono tantissimi se non si vuole restare incinte, persino quelli approvati dalla Chiesa (vedi il computerino Persona che attraverso le urine ti dice esattamente quali sono i giorni a rischio, quando stai ovulando, e quali i giorni sicuri)

Sono furiosa perché l'Obiezione di Coscienza non deve essere permessa all'interno degli Ospedali Pubblici: più nessuna donna deve essere costretta a vagare per giorni cercando la PILLOLA DEL GIORNO DOPO.

Ma soprattutto sono incazzata perché ancora oggi, qualche signore che non ha niente di più importante da fare, sostiene che la legge 194 va cambiata e/o modificata in alcuni suoi punti.

NO! la legge 194 va benissimo così com’è, è una legge giusta e  democratica, voluta dalle donne e dagli uomini di questo Paese.

Sappiate Signori, che finché io e le donne che la pensano come me avremo vita vi impediremo di mettere le mani sull'unica legge che è dalla nostra parte.

Mi dichiaro prigioniero politico.

[Lettera a cuore aperto agli elettori di sinistra
che stanno soffrendo per le loro scelte nell'urna.
Riflessioni e autocritica post disastro].

Cari compagni e care compagne,

non so da dove cominciare. Non mi piace pensare che l'unica soluzione sia andarsene in Spagna (ma forse in Nepal sarebbe meglio) con un biglietto di sola andata, né che gli italiani siano un popolo senza testa. Perché è qui il punto. E' qui l'errore. Abbiamo demonizzato non solo il nostro popolo, ma il popolo. Lo abbiamo allontanato, emarginato, sbeffeggiato, l'abbiamo disprezzato, non lo abbiamo ascoltato. E per la prima volta nella vita repubblicana italiana, la storia socialista e quella comunista non avranno una rappresentanza parlamentare. Un fallimento, una catastrofe, una tragedia senza precedenti dal 1948 ad oggi. Viviamo in un Paese di destra, ma questo lo sapevamo. Solo che ci siamo illusi. Illusi che fosse impossibile non riconoscersi in valori universali come la solidarietà sociale, la redistribuzione della ricchezza, l'antirazzismo, il pacifismo, la contrattazione collettiva, il rispetto per il concetto di lavoro. Evidentemente questo non è bastato. Dovevamo parlare al cuore e alla pancia dei lavoratori, ascoltare i loro bisogni, dare soluzioni ai loro problemi, investire sul futuro anche con promesse (e non compromessi) forti e radicali.
Gagarin_space_suiteL'errore più grande secondo me è stato quello di formare un cartello politico come conseguenza della nascita del Partito Democratico. L'operazione unitaria  - se proprio non si poteva evitare - andava fatta prima, così come prima andava presentato un programma innovativo e credibile, magari di opposizione, attraverso quei dirigenti  radicati sul territorio come Vendola o come lo stesso Ferrero, uno dei pochi ministri che salvo del Governo Prodi. La rottura con la tecnocrazia di Padoa Schioppa doveva avvenire a ottobre, sul protocollo del welfare, non si doveva arrivare alla crisi centrista. Solo in questa maniera si poteva restare credibili agli occhi dei cittadini in difficoltà, dei precari e di tutti quelli per cui votare a sinistra ha sempre significato un'alternativa. Rompere con l'ambientalismo di facciata invece di farsi inglobare era la strada da scegliere: il progresso, compagni, Yuri Gagarin, cazzo!

Non abbiamo creato un soggetto politico credibile e rinunciando alla nostra identità comunista ci siamo fatti schiacciare da un sistema neoamericano arrivato dal basso. Certo, le colpe sono anche di chi ha respinto qualsiasi tipo di dialogo dopo due anni di fedeltà al Governo Prodi e un funzionale accordo politico che a livello locale ha pagato quasi sempre in tutte le elezioni amministrative e regionali. Ma le colpe di questo fallimento non possono essere solo degli altri. Politica si può fare anche fuori dal Parlamento, cominciando una nuova militanza nella vita di tutti i giorni fatta di presenza nelle scuole, nelle fabbriche, nelle piazze; di sobrietà e moderazione nelle scelte quotidiane. Ogni piccolo gesto di dissenso potrà risultare utile alla costruzione di un nuovo modo di affrontare le difficoltà. Non abbassiamo la testa e non inchiniamoci a ogni compromesso. E' necessario ora restare concentrati, aprire una fase nuova di critica e di divulgazione delle proprie ragioni. Ci vorrà molto tempo, forse anni. E l'assenza di una seppur minima rappresentanza parlamentare certo non gioverà a questo cammino. Mancheranno finanziamenti e visibilità. Ma non mancherà l'impegno.

"Il coraggio rivoluzionario non consiste nell'essere uccisi,
ma nel resistere al riso degli stupidi che sono in maggioranza".
[Lev Trotsky]

Le virgole, sono importanti.

Mi sono messo in testa, che le virgole veramente, sono importantissime. Cioè uno, non è che può metterle dove gli pare le virgole altrimenti, succede che chi legge quando, legge, fa una fatica secondo me quadrupla rispetto, a uno che legge qualcosa con le virgole, messe al punto giusto.

Una cosa, che ho notato per esempio, è che quando le virgole, sono messe a cazzo, di cane, la prima cosa che viene fuori leggendo il testo con le virgole, piazzate, a cazzo di cane è una musicalità come, dire, sbagliata, stonata, ecco mi pare proprio che sia, stonata, la parola giusta, non so se a voi fa lo stesso effetto, anche perché, diciamocelo, chiaramente non è che capiti tutti i giorni di leggere roba con le virgole a cazzo di cane per fortuna ormai la gente mediamente sa dove mettere le virgole e quindi le cose che si leggono dai giornali ai libri insomma le virgole ce le hanno eccome anche perché cristo di un dio chi mai si metterebbe lì a scrivere una cosa senza le virgole? Una cosa senza virgole diventa illeggibile dall'inizio alla fine che ne so mi viene in mente un amore senza baci ecco un testo senza le virgole questo è un amore senza i baci.

Quindi mi sa, che è vero, quello che ogni, tanto, dicevano a scuola i professori e cioè che le virgole, sono quelle cose che danno il tempo al testo che fanno capire, ai lettori dove è giusto rallentare e dove, no. I giornalisti gli scrittori chi scrive dovrebbe, avere maggiore tatto nell'adoperare virgole e affini perché, è proprio da ciò che passa la comprensione o meno, di un'opera.

E' che, uno, poi tende ad abituarsi alle cose: è tutta una questione, di abitudine la vita. Perciò io me le aspetto le virgole, a un certo punto di un testo oppure, non me le aspetto che ne so, dopo i soggetti eccetera le sapete tutti queste cose com'è che funzionano però, quello che voglio dire è che, io abituato lettore ma anche abituato e basta perché uno secondo me non serve che sia un lettore abituato per capire di virgole pure quando parliamo ce le mettiamo le virgole anche se sembra di no e insomma io, abituato lettore o non lettore come vi pare, SO mi immagino, quel che sta per succedere leggendo vuoi, per istinto o vattelapesca, e allora pure, in presenza di un testo difficile aulico pure in quel caso lì io che, ormai ci ho fatta l'abitudine, saprò dove aspettarmi le virgole quindi se improvvisamente leggendo una cosa qualsiasi a maggior ragione se lunga o difficile o piena di incidentali o ipotetiche io mi dovessi trovare, le virgole tutte spostate da una parte ecco, che in quel caso io farei una fatica bestiale a leggere perché abituato come sono a trovarmi, le virgole al posto giusto sarei in difficoltà e io sto parlando proprio, di una difficoltà fisica, atroce, è questo lo scherzo che ti fa l'abitudine in tutte le cose mica solo, nella lettura e nelle virgole.

Leggere, una cosa, con le virgole tutte messe a casaccio è come trovarsi a scrivere, un sms, con il telefonino di un altro pure, se fosse lo stesso modello di telefonino ditemi voi se comunque non trovereste difficoltà a redarre il testo ecco, com'è che la penso io sulle virgole, al punto che uno dopo un po' ne sente la mancanza, delle virgole, ci fate caso? La punteggiatura, mamma mia, dovrebbe essere alla base, di qualsiasi cosa scritta o addirittura pronunciata: le virgole, queste benedette virgole, io ne sento proprio la mancanza, ripeto, fisica, quando non me le mettono o le mettono a caso.

Non vi sembra che tiri tutta un'altra aria quando, puf, di punto in bianco uno si trova a riavere a che fare con le virgole messe al punto giusto? Certo che sì: la verità è che l'abitudine dovrebbe essere proibita e ve lo dice uno che si considera un grande abitudinario, seppure buon amante delle novità. C'è gente che rientra in casa e se per caso qualcuno, in sua assenza, ha spostato una pianta, quello magari perde l'appetito: conosco una tizia che è dovuta ricorrere allo psicologo per trovare la forza di cambiare montatura agli occhiali da vista.

Figuriamoci, con le virgole, a casaccio. Le virgole, sono importanti.



Basta un niente: ci vuole un attimo che, il senso, di una frase che si voleva dire viene detto tutto, in un altro modo.

Un'altra cosa che non sopporto sono le ripetizioni: ma non le ripetizioni dei termini, perché le ripetizioni dei termini, il ridondare, a me piace molto, anche. Un sacco di scrittori ne fanno sapientemente uso (Paolo Nori, per esempio) e la prosa che ne vien fuori è parecchio parecchio piacevole. Quelle che proprio non riesco a mandare giù sono le ripetizioni dei modi di dire, degli intercalare, che ne so, come se i romanzi che si vendono oggi, che ne so, non fossero già abbastanza lunghi e costosi, oppure, che ne so, pesanti, perché il peso conta oggigiorno: uno deve pure pensare che uno la macchina mica ce l'ha per forza, non è mica detto, uno può pure darsi che la macchina abbia scelto di non acquistarla perché preferisce prendere i mezzi, se uno ha la fortuna di vivere in una città dove i mezzi pubblici funzionano, in quel caso uno non è mica condannato a prendere la macchina, uno mica è detto che se la possa permettere la macchina, potrebbe non averci i soldi, ad esempio, mica è un'onta, e insomma, quello che volevo dire, a parte le virgole, è che un'altra cosa che mi infastidisce alquanto sono le ripetizioni dei modi di dire, degli intercalare, anche dei pronomi e delle congiunzioni e compagnia bella, a meno che non ti chiami J.D. Salinger, e ci mancherebbe.

Per non parlare della ridondanza delle similitudini! Come se uno non fosse già abbastanza stufo di fare le stesse cose tutto il giorno come un robot di Asimov, no, adesso dobbiamo pure metterci lì a leggere un libro in poltrona e trovarci di continuo similitudini a raffica come in una serigrafia di Andy Warhol. Si può sapere a che servono troppe similitudini? Io penso che se un'immagine letteraria è scritta come si deve, in linea teorica, il lettore ci dovrebbe già pensare da solo, non c'è bisogno di imboccarlo continuamente di similitudini come un neonato di pappa.

C'è un'ultima cosa che mi viene in mente che proprio non sopporto leggere quando leggo, ed è quel meccanismo per cui un autore che non sa che chiusa dare al proprio pezzo si mette lì a scrivere che non sa che chiusa dare al pezzo, come se questo esercizio banale di post-modernismo possa servire a salvare la cifra stilistica del tutto. Addirittura ci sono quelli che, nel dubbio, per giustificarsi, confondono ancora di più le carte e decidono di sollevarsi dall'impegno dando appuntamento ai propri lettori a una fantomatica prossima puntata, (che non ci sarà mai!) come a dire: sentite un po', cari lettori, fino ad ora mi sono fatto un culo tanto per intrattenervi, adesso non mi rompete i coglioni che volete pure una chiusa soddisfacente. Facciamo che ne riparliamo e buonanotte al secchio.

(credo di aver dimenticato di dire che un elemento definitivo di non appetibilità di un testo è l'eccessiva lunghezza. Ma di questa discuteremo un'altra volta)

Un altro di quelli.

Tutti pazzi per Sarkozy. Sarkozy quà, Sarkozy là. Non è che voglia parlare di Sarkozy: non sarei in grado, non so nemmeno come la pensi, politicamente o che. Però impressione m'hanno fatto le enormi attenzioni mediatiche su quest'omino, e in particolare le ultime foto uscite, quelle in cui lui è a un ricevimento, le avrete viste, e prima guarda, si vede proprio che non resiste, la scollatura di non so quale mucca arrivata per l’occasione e travestita da essere umano con un bicchiere di martini appresso, e poi, in un’altra foto, sempre a un ricevimento, perché se c'è una cosa che questi uomini di potere fanno in grande quantità questa è proprio andare ai ricevimenti, al punto che viene lecito domandarsi quand’è che gli uomini di potere fanno le cose che gli uomini di potere dovrebbero fare, se stanno tutto il loro tempo a presiedere ai ricevimenti, ma non è questo il punto, il punto è la foto, perciò fatemi tornare a quella, alla foto dove si vede Sarkozy posare al ricevimento - nello specifico la visita ufficiale alla Regina Elisabetta - insieme alla sua bella Carla Bruni. Ecco, stanno tutti in fila, loro due, gli sposini novelli, e un sacco d'altra gente, in particolare delle vecchie bacucche ingioiellate con cappotti del secolo scorso e gli zigomi da beverly hills, e lui, Sarkozy, ha questa appuntitissima faccia da volpone, mentre si alza sulle punte per apparire alto quanto la sua bella.

Al che m'è venuto da pensare: eccolo qua, un altro di quelli. Eccolo qua! Un altro furbetto di cui si sentiva la mancanza, un altro vate dell'immagine politica, della promozione personale. Un altro esegeta della Confezione Perfetta: quanto mi stanno sul cazzo, se mi concedete il francesismo, giacché siamo in tema.

Quanto mi stanno sul cazzo questi tizietti bassi e piccoli incravattati che vanno ai ricevimenti e stringono mani e sorridono come in quelle scene dei film dove c'è il grande ricevimento e il protagonista si dimostra affabile con tutti epperò poi noialtri spettatori sappiamo eccome che c'è il trucco, cioè che a lui in realtà non gliene frega una cippa di nessuno, al protagonista, anzi se potesse vederli tutti morti e sepolti ne sarebbe più contento, lo sappiamo, certo, perché noi siamo gli spettatori e quello è un film, e quello che stringe mani e poi se le pulisce sul fianco della coscia non appena voltate le spalle si chiama Tom Cruise, George Clooney, conosciamo il meccanismo di queste cose, ne abbiamo viste tante e poi, suvvia, noi stessi, film o non film, nella realtà, li avremo passati quei due o tre natali o capidanno in compagnia di gente sconosciuta verso la quale, però, era necessario dimostrare grande attenzione e gentilezza, o no? Perciò non ci caschiamo più: lo sappiamo che il Grande Atteso del ricevimento puzza di pesce andato a male ancor prima di scendere la grande navata e inchinarsi all'applauso degli astanti. Lo sappiamo perché, in piccolo, in minuscolo, l'abbiamo scese anche noi quelle scale, ricevuti gli applausi da parenti e vecchi amici degli amici i cui nomi e cognomi c'erano sconosciuti e le cui mani da stringere ci apparivano come sogliole morte.

Per questo non riesco a capire a chi vorrebbe darla a bere, Sarkozy in quelle foto lì, mentre sorride a cento denti e si alza sulle punte delle sue scarpe già rialzate. Alla stampa? Agli elettori? Alla moglie stessa? Cosa dovrebbe avere uno così da insegnare a noi? Cos'ha di più? Perché mai dovremmo avere bisogno di tale gente, al mondo? Mi stanno sul cazzo quelli così: in più trovo che sia un'enorme mancanza di rispetto nei confronti di Carla Bruni stessa la quale, per carità, non sarà un mostro di simpatia, anzi, però perfino una così a me non sembra meriti l'onta di essere costretta a indossare ballerine ultrapiatte per non apparire troppo più alta del marito potente, ed ecco, è proprio questo gioco, un gioco al massacro, che mi sta sul cazzo, che mi fa pensare, guardando questo sgorbio francese danzare sulle punte come la Fracci, eccone un altro, un altro uguale ai suoi predecessori e che sta già facendo scuola per quelli che verranno.

Eccone un altro: un altro di quelli che per sfondare non riesce a fare affidamento solo sulla qualità del pensiero e la bontà delle azioni, no, lui è un altro di quelli, l'ennesimo, che dev'essere alto più di tizio, bello più di caio, magro ben più di sempronio. Ecco un altro di quelli che necessita di piccole bugie per arrivare alla fine dei propri ragionamenti.



Non riesco a non vederla così: mi faranno difetto gli occhiali o vedete voi cosa, ma sento proprio un fastidio fisico. Saranno i faccioni da boy band che campeggiano ovunque in città in questo degradante periodo elettorale, sarà il campionato di calcio, sarà il cambio di stagione, fatto sta che mi sta sul cazzo tutto questo sollevarsi sulle punte, tutti questi libri di plastica nelle librerie della gente, che ne tiri via uno e quello si porta appresso tutti gli altri, non lo so che sarà, forse è solo l'invidia maschia e competitiva che mi vede sconfitto, agli occhi di Carla Bruni, a favore di quell'intollerante mezzo metro d'uomo.

(... E allora Carla Bruni, nella solitudine dei suoi 110 metri quadri di camera da letto, osservò sconcertata le fotografie in questione sul giornale scandalistico. Come ho potuto sposare un uomo sì misero e meschino?, disse la bella italiana sbalordendo davanti all'immagine orribile di suo marito ritto sulle punte come una scimmia ammaestrata. Come ho potuto?, pronunciò ancora la Signora alla stanza desolata, piangendo e scalciando lontane quelle ridicole ballerine a cui Sarkozy l'aveva obbligata il giorno prima. Infine, calzate le scarpe adatte, Carla uscì fuori dalla camera e, percorsi due chilometri di corridoio, arrivò alla porta della biblioteca dove suo marito stava. Senza bussare irruppe con l'irruenza di un amore adolescenziale e costrinse il mezz'uomo a sollevarsi dalla seduta per venirle incontro. Visti così, uno davanti all'altro, senza trucchi e, anzi, con lei finalmente slanciata da 9 cm di tacco a spillo, sembravano due parti di uno spaghetto spezzato frettolosamente e non di certo a metà: da oggi in poi io indosserò scarpe del genere soltanto!, disse tronfia e ricolma di rabbia Carla Bruni rivolgendosi al putto francese e facendogli danzare davanti al viso il piede destro rivestito da una decolleté vertiginosa. Il quale marito, fatti due conti su chi avrebbe avuto la peggio in caso di scontro fisico, non poté fare a meno che annuire, sempre osservandola dal basso in alto. Altrimenti puoi dire addio al nostro matrimonio!, sentenziò ancora l'altissima femmina i cui polpacci, disabituati ai tacchi, tremavano sensualmente di indecisione. No! Ti prego no!, irruppe allora il putto tra le lacrime e così, inginocchiato in terra, assunse perentoriamente le dimensioni di un piccolo stronzo di cane: tanta era a quel punto la distanza tra i due che le parole di lui risultavano alle orecchie di lei quasi inudibili. Da quel giorno in avanti la storia della Francia proseguì diversamente e tutti vissero felici, sui tacchi e contenti. Senza contare che un decreto legge dichiarò illegale e anticostituzionale qualsiasi modello di scarpa femminile privato del tacco.)

(... Uffa, ma perché non va mai così, nella realtà?)

Buffet

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Il nuovo che avanza nel mondo dei blog, nonostante noi non ci abbiamo mai capito nulla.
(La Repubblica)

Quando li abbiamo visti davanti al nostro portone in Via Solferino, capimmo subito che sarebbero andati lontano. Poi infatti sono entrati.
(Il Corriere della Sera)

L'abbiam capito subito che di sport non capiscono una borsa, anzi un borsone. Meno male che non gli abbiamo aperto la porta!
(La Gazzetta dello Sport)

Vogliono fare giornalismo ma non sono minimamente all'altezza. Piuttosto che vadano a lavorare, ragazzetti pidocchiosi!
(Il Giornale)

Ci hanno riempito di tagliandi per vincere il concorso come Gruppo dell'anno. Ma chi si credono di essere?
(La Nuova Ferrara)

Giovani, belli e poveri. Cosa volere di più? Nell'Italia di Berlusconi un sito dinamico e irriverente si fa strada come può.
(Il Resto del Carlino)

Cagnazz è il Mickey Mouse dell'era moderna e le tavole dei Neuroni, arte pura.
Topolino)

Un sito dai mille risvolti, una miniera di informazioni, talvolta false, ma sicuramente ben raccontate.
(PC professionale)

Un altro blog è possibile.
(Diario)

Lunghissimo e talvolta confuso nella trama, offre numerosi spunti di interpretazione. Ottime scenografie grazie anche ai quadri del Dovigo.
(Ciak)

Scandalo! Nemmeno Selvaggia Lucarelli ha osato tanto!
(Novella duemila)

Indovinello
Sarebbe pur'esso un bel sito
da tanti ragazzi scavato
parecchio ci avevan trovato
dei resti di un tempo passato.
(La Settimana Enigmistica)

Troppo lento all'accensione. Però poi merita. Maial se merita!
(Elaborare)

I fighetti del pc della nostra generazione. Ma si bruceranno presto come tutti gli altri. Oh yes!
(Rolling Stone)

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