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Non recensione 2.0 a ‘Ratatouille’ (ovvero come un non-topo può non-diventare noumeno)

[Anche Noantri aderisce alla campagna di sensibilizzazione letteraria "Non vi sopportiamo più", promossa inconsapevolmente da Irene tra i commenti di questo ormai storico (e a ragione) post apparso sull'imperdibile blog Cabaret Bisanzio]

Ho visto il film d'animazione Ratatouille.

La fenomenologia semantica della pellicola in questione richiama alla memoria del vissuto empirico gli esempi più riusciti della produzione popolare nostrana, quella dove i protagonisti del cosiddetto volgo si ergevano, a seguito di vicende trasmigranti ed equazioni collaterali di indubbio effetto, al ruolo di protagonisti e/o eroi assoluti, in particolare così visti dalla loro sfera coabitativa che, dunque, passava dal ritenerli inetti al ritenerli eccellenti. Il processo d'eccellenza è la linea guida dominante di questo non-film.

[questa non è Parigi. Sembra: in realtà è una non-Parigi. E quello all'estrema destra è un topos]



Nello specifico, l'ascesa del roditore celeste, (dove il celeste non è più un colore casuale, bensì a-laico) da semplice - appunto - roditore celeste a celeberrimo cuoco ed esponente d'un certo spicchio dell'intellighenzia culinaria francese, è una metempsicosi dei desideri nascosti di ciascuno. Dirò di più: come nel caduceo due serpi sapienziali si annodano intorno al bastone che fa da continuum, qui si misurano due serpeggiamenti che penetrano a spirale la narrazione fintosaggistica; ebbene io qui dico che Ratatouille indica la via del capolavoro agli astanti.

Sin dal titolo, che i più potrebbero confondere come un semplice coacervo fonetico di lemmi indicanti la figura del ratto, certamente, e della "vill", ovvero della comunità, del popolo, del villaggio e che, invece, nasconde, questo titolo, un tentativo, non di ermeneutica, ma anzi caratterizzato da una brillante, adamantina, genialità di nomen-omen.

Ratatouille altro non è che un piatto, un mix ben posato di verdure. Proprio come il topo protagonista è una mistura romantica di coraggio e impaccio. E allora che altro è, questo, se non la più ineccepibile prova di meta-filmografia che il cinema abbia mai partorito dai tempi di Kurosawa o Orson Welles?

In Ratatouille l'extraletterario è devastante, non solo per la nube mercantilizia e quella paradorniana, fatta di ignoranza e hortus conclusus, ma soprattutto per l'ipocrisia di chi addita mafie a partire dalla propria cosca. E sono contingenze transeunti, mentre i testi, se passano il metabolismo della specie, sono tutto tranne che transeunti, e noi possiamo dare giudizi evanescenti, anche entusiasti, in attesa che si compia la permanenza nomade di un libro o la sua definitiva scomparsa. Ratatouille non scomparirà, perciò mi permetto d'essere entusiasta; Ratatouille non è oggetto transeunte ma oggetto immobilis et evacuazionis, per dirla come Kaiser Soze. (o era il draghetto Grisù, non mi ricordo)

Inutile affermare, perciò, quanto in Ratatouille emerga anche un altro topos del cinema moderno, ma, io suggerirei, della totalità della tentacolarità dell'ars, ecco, questo topos, che in Ratatouille nemmeno topos è, ma, direi, noumeno del topos e quindi RATTO, questo non-non-concetto del-non-non-non-concetto è il Male.

Il Male in Ratatouille è incarnato in un non-Male che è poi il bene (o comunque il non-tanto-male, quindi il quasi-bene), vale a dire lo Chef. Il Male è il Male e non ha agenti o immagini: è il Male ed è l'"io" la trappola inindagata con cui l'incarnazione del male sembra essere demonicamente mossa, mentre la sua routine esistenziale è già il Male, senza separatezza dal soggetto agente.

Ma.

L'oggetto di questo Male, in Ratatouille è un oggetto-soggetto che, generalmente, nella vita vera, per così dire, è visto come Bene, ovverosia lo Chef, l'uomo della cucina: difatti difficilissimamente chi opera ai fornelli viene indicato come il Male, perché, non a caso, è sua la responsabilità di nutrire, quindi di far crescere, vale a dire di far rimanere in vita. Vita uguale non-male. Eppure in Ratatouille questo non avviene: anzi si palesa l'opposto contrario. Il Male s'incarna nel bene: e questo non-male è l'epicentro del  lungometraggio-capolavoro qual è Ratatouille, proprio perché non-lungometraggio e quindi non-accettazione-dell'accettazione-della-non-accettazione. Ratatouille è oggetto a-letterario, a-sinottico e, soprattutto, extra-sinaptico prodromico della luce del sole, o della luna, a seconda dell'orario, che ci avvolgerà una volta usciti dalla sala cinematografica; sala cinematografica che non è più sala cinematografica, ma qualcosa d'altro, una non-sala cinematografica dove i non-topoi si stravolgono davanti ai topoi, tantissimi topoi, in Ratatouille ve n'è un'intera comunità, a dire il vero, pure se questa comunità, la comunità dei topoi, kantianamente, ci appare come una non-non-comunità e dunque... [Mode G. Genna OFF]

ad libitum...

p.s. Non tutta la recensione che avete appena letto è frutto di follia. Celàti nel delirio vi sono alcuni frammenti di reali recensioni scritte veramente dall'importante autore italiano Giuseppe Genna: divertitevi pure a scovarle...

Una domanda grammaticalmente scorretta

A me mi piace cucinare.



(so che a me mi non si dice. Però "a me mi piace cucinare" a me mi pare che suoni meglio dell'altra formula, quella più corretta che tutti conosciamo. A me mi piace cucinare è il massimo grado di verità che riesco a dare a questa cosa che voglio dire. "A me piace cucinare" sa di bugia, non dice tutto, si ferma all'apparenza, dà solo una nozione, ovvero: a me cucinare piace. E non è sufficiente. Perché a me cucinare MI piace: se a me mi piace una cosa, a me mi sembra di abbracciarla, quella cosa, di tenerla stretta al petto e di sentirne l'odore, il sapore. E questa cosa non deve essere per forza una cosa tecnicamente perfetta: in particolare se si tratta di cucinare. Si sa che gli odori, i sapori, mica sono tutti gradevoli. Però può esserci amore anche nella sgradevolezza: per esempio quando abbracciamo qualcuno e sentiamo l'odore dei capelli grassi, quel qualcuno abbracciato, per quel piccolo difetto del momento, non è certamente meno amato o meno abbracciato. L'odore di capelli grassi passa, l'abbraccio, quell'abbraccio, rimane: a me mi piace cucinare suona veramente rotondo, fidato e non si cura dei difetti, sebbene di difetti, il mio cucinare ne abbia a iosa, perché è qualcosa che ho intrapreso a fare veramente da poco tempo, cucinare dico, e infatti non azzardo troppo, so che esistono tre o quattro cose che a me mi piace cucinare e che a me mi escono benissimo e quelle faccio, senza tracotanza o fretta. Poi, semmai, a queste tre o quattro cose che a me mi piace tantissimo cucinare, ne aggiungo ogni tanto una quarta e una quinta e così resto, a cucinare quelle quattro o cinque per un bel po', perfezionando, sbagliando, imparando e solo quando mi sento molto pronto e molto sicuro di me, vado oltre. "A me mi piace cucinare", sebbene sia grammaticalmente scorretto, per via di quella ridondante ripetizione personale, a me mi pare l'unico modo onesto per raccontare il mio piacere nei confronti dell'atto di cucinare, un atto non perfetto, tutt'altro, soggetto a continue correzioni e passi indietro: a me mi piace cucinare veramente, senza timidezze, senza remore, a me mi piace cucinare almeno tanto quanto a me mi piace mangiare. Ecco, a me mi pare che ci sia bisogno, al giorno d'oggi, di ritrovare quel gusto per la semplicità, espressiva, fonetica, contemplativa, d'esistenza, che a me mi pare stia un po' andando a farsi benedire: c'è necessità di anti-cinismo. Sento l'urgenza di farmi colpire da qualcosa di minuto. Perciò a me mi piace cucinare per ritrovarmi la sera con le dita che sanno di aglio. A me mi piace questo fatto, questo concedermi all'imperfezione, di tanto in tanto; a me mi piace che il mio amico Andy Capp mi telefoni per dirmi che, secondo lui, la pasta col tonno è più saporita se nel soffritto ci aggiungi un'alicetta. Oppure che, invitato a cena, preferisca portare la maionese fatta da lui, piuttosto che usare quella industriale già comodamente presente in frigorifero. A me mi piace molto questo essere senza iniziali maiuscole: a me mi piace vivere senza chiedere troppo alle occasioni, ecco perché mi è scappato questo a me mi che in altre narrazioni e in altre occasioni mai mi sarei sognato di sbrigliare. A me mi piace l'odore del pane fatto in casa alla mattina, ma a cosa servirebbe, adesso, entrare in particolari abusati o sentimentalmente pornografici? Servirebbe? Non servirebbe: molto prima faccio a dire che a me l'odore del pane non piace solamente. A me, l'odore del pane alla mattina, MI piace e questo è quanto: a me mi piace girare il sugo col cucchiaio di legno cento e cento volte, finché la consistenza non è proprio quella che a me mi piace; a me mi piace togliere e rimettere il coperchio da sopra le cose in cottura perché la zaffata di profumo che ne esce a me mi piace un sacco. Vi chiedo perciò di sopportare questa voluta sgrammaticatura, anche se foste soliti ergervi al ruolo di amministratori delegati dell'accademia della crusca: a me mi piace quanto a voi parlare bene ed esprimermi correttamente, ma sono convinto anche che, trattandosi di cibo, pure a voi, in un certo senso, VI piace assai sporcarvi e sentirvi poi gli odori addosso. Non si può dire diversamente, di quell'atto necessario quando si prepara un trito di prezzemolo, guardando il verde infilarsi sotto le unghie e la lama del coltello sminuzzare le larghe foglie fino a trasformarle in coriandoli profumatissimi, la cui essenza arriva fino alla porta del bagno, di questo atto non si può dire, semplicemente, mi piace. Sminuzzare le cose, il basilico, la salvia, la cipolla, a me mi piace. A me mi piace! Sentire il rumore dell'olio in frittura cambiare quando si aggiunge qualcosa di saporito sopra, a me mi piace, a me mi piace quando nella padella bollente ci verso tutto quel po' po' di pelati e, per un istante solo, il frastuono della frittura precedentemente avviata si spegne completamente, affogato dal nuovo ingrediente, per poi riprendere con lo stesso vigore qualche secondo dopo. A me mi piace perfino quando l'acqua comincia a bollire e tutte quelle bolle muoiono appena il pugno aperto sul pelo dell'acqua calda rovescia il sale grosso. A me mi piace, capite? Non c'è un modo diverso per dirlo, per abbracciare l'esilissimo significato di tutto questo. E' facile descrivere, con parole importanti e significative, lo spessore di una grande opera letteraria ma, letteralmente, non ho alcuna difesa di parole davanti all'attacco che mi fa una patata bollente che non vuole farsi pelare dopo essere stata diversi minuti in acqua. Quella stessa patata che, dopo tanto lottarci, finalmente mi appare del tutto ignuda nel palmo della mano, a me mi piace. A me mi piace usare le mani, macchiarmi la camicia, girare le cose con le dita, a me mi piace tantissimo tutto questo: quando finisci di mangiare un piatto di pasta ottimamente venuto e ti accorgi che in padella ce ne sono altri 100 grammi, questa cosa qui a me quanto MI piace! La prima volta che ho fatto il pesto in casa a me mi è piaciuto eccome, pure se ci avevo messo troppo aglio e dopo un'ora stavo per forza di cose seduto sulla tazza del cesso: quello stare male a me mi è piaciuto proprio, credetemi. Cucinare è una di quelle cose che distingue per bene il genere umano dai sassi.)

E a voi vi piace?

Veltroni è la persona meno indicata possibile per governare un Paese

Oggi ha tutta l'aria d'essere venerdì.
Se non ho fatto male i calcoli potremmo ritrovarci lunedì 15 ottobre, vale a dire il giorno dopo le Primarie.

Mi piacerebbe stare qui a dire: gente, vi saluto. Quando ci rivedremo l'Italia sarà un altro Paese. Non si sa se migliore o peggiore, però un altro Paese. In bocca al lupo a tutti. Invece mi sa tanto che non sarà così ed è una tristezza, questa. Lunedì sarà sempre la solita Italia, dall'ora di pranzo a quella di cena. Non mi faccio illusioni.

Questa cosa, questa convinzione, che non è solo mia peraltro, dovrebbe pesare come una maledizione, come una condanna a morte. La consapevolezza d'essere addentro a un Paese serenamente rovinato, decrepito, marcio e che mai cambierà, certamente non grazie a una giornata di urne, questa coscienza dovrebbe portarci in piazza, a strillare, a battere sulle pareti dei Palazzi che contano, a occupare le strade, a stenderci sulle strisce pedonali del Centro. Dovrebbe condurre almeno a una sparatoria, a un paio di morti, a due o tre rapimenti, a scontri di piazza, a un'esplosione. Senza idealismi, beninteso: solo pura e semplice rabbia. Una rabbia che scaturisca dal nostro ventre da italiani. Come a dire: cazzo, ci vogliono inculare un'altra volta, ci stanno per inculare, ci inculeranno con le loro belle facce pulite e la barba fatta. Facciamoci sentire. Oppure no, restiamo zitti ma quantomeno a braccia incrociate, rabbiosi, incazzati neri.


Ma niente del genere accadrà da oggi a lunedì prossimo: la gente si alzerà e siederà sulle poltrone, si infilerà in bocca forchette e pistole e starnutirà come tutti gli altri giorni possibili. Poi si annoderà al collo una cravatta male abbinata, oppure un cappio, e si infilerà in un traffico da tregenda biblica.

Mi sto convincendo che quello che manca all'Italia è il furore. La rabbia. S'è parlato, in questi giorni, di Che Guevara: un uomo criticabile, violento, geniale, bellissimo, ardente, che fallì da amministratore e da politico e si reinventò rivoluzionario guerrigliero. Che Guevara - non voglio parlare di lui ma seguitemi un attimo - nutriva questa rabbia, questo furore di cui vado dicendo, perciò, a un certo punto, scelse di allacciarsi gli stivali ai piedi e di uccidere e farsi ammazzare anziché rassegnarsi davanti ai propri limiti. Voi, con una laurea in medicina in tasca e una famiglia benestante alle spalle lo avreste fatto? Io no. Penso nemmeno Mastella. Nemmeno Gasparri. Quello che fece, l'argentino col basco, prima di ogni altra cosa, fu di liberare Cuba. Non da Batista, per carità, ma da questa stessa malattia che oggi attanaglia gli italiani: Guevara prese la paura dei cubani e la trasformò in furore.

C'è un passaggio, proprio in "Furore" di Steinbeck, che vorrei adoperare. Fa così:

"Le donne osservavano i mariti, per vedere se questa volta era proprio la fine. Le donne stavano zitte e osservavano. E se scoprivano l'ira sostituire la paura nei volti dei mariti, allora sospiravano di sollievo. Non poteva ancora essere la fine. Non sarebbe mai venuta la fine finché la paura si fosse tramutata in furore".

L'altra sera sentivo Veltroni a Matrix e mentre lui parlava a me s'accaponava la pelle. Nonostante io provi della stima per l'uomo-Veltroni, devo dire di non aver mai visto seduto su una poltrona di uno studio televisivo una persona meno indicata per governare un Paese.

Ha parlato a lungo, e forbitamente, e in oltre due ore non gli è mai scappata, mai, neanche per sbaglio, una frase che non fosse solo minimamente retorica. Dentro Veltroni non c'è una goccia di sano furore, esattamente come non c'è dentro ciascuno di noi italiani: Veltroni, che da lunedì guiderà l'Italia, è semplicemente una catastrofe, sebbene sia di certo la catastrofe minore tra tutti i cataclismi che rappresentano gli altri soncertanti candidati.

A un certo punto, pungolato, ha detto che lui non concepisce tutti quei politici che si lamentano. I politici non dovrebbero lamentarsi, ha detto lui, sottintendendo che i politici fanno un lavoro blando e leggero, e che sono i camionisti a doversi lamentare piuttosto, ha suggerito sempre Veltroni, perché loro sì, i camionisti, insieme agli scaricatori dei mercati generali e ai minatori, loro sì che fanno un lavoro devastante, altro che noi politici, ha ribadito Veltroni.

Non so voi, ma a me è venuta voglia di rovesciare la televisione sul parquet: niente di buono verrà mai fuori da una persona che parli alla sola funzione di ricercare gli applausi facili della gente. Voglio molto bene a Uolter, ma l'Italia non si cambia con tutto questo consenso puzzolente. Andando dritti per la propria strada, facendo le più impopolari delle scelte, circondandosi di teste che fanno no, fino a quando, improvvisamente, non fanno : ecco come si fa. Vorrei gente incazzatissima: vorrei vedere la bile scorrere come passato di fagioli. Grigia e densa. Vorrei, una volta tanto, non trovarmi d'accordissimo con tutto quello che dice Veltroni, o chi per lui, perché non è così, scardinando le morbide porte dell'Ovvio, che si disincaglia il Paese dalle secche.

Non voglio idealismo, per carità.
Voglio rabbia, furore, e che tutto questo sia mondato dall'idealismo: vorrei che la gente, che gli italiani, fossero spaventati e non rassegnati da questo Nulla che vorrebbe governarci e che, di fatto, ci governerà. Come nel passaggio di Steinbeck, vorrei vedere l'ira sostituire la paura. Può esserci furore senza retorica idealista: non servono, lungi da me pensarlo, uomini abbarbicati sugli alberi in tuta mimetica, però non serve neanche l'opposto di questo, ovvero tizi incravattati o tizie in talleur che, quando va bene, parlano di un partito "nuovo, aperto e plurale", "alternativo", di "un Pd capace di scelte forti e impegnative, per un'Italia più ricca e più giusta" (Rosy Bindi); di uno "scatto di innovazione" (Veltroni); di un "voto per cambiare davvero" (Adinolfi, il quale, tra le altre cose, adduce come motivazione a votare lui, questa: "Meritiamo il vostro consenso perché il vincitore annunciato ne avrà già molti e allora è forse utile dare un segnale vero di discontinuità", che è più o meno la retorica dei concorrenti del Grande Fratello quando vanno in Confessionale e non sanno che motivazioni dare ai nomi fatti); oppure chi, come Gawronski, auspica che il 14 ottobre lo votino "tutti coloro che, come me, non hanno paura di mettersi in gioco".

Questi tizi imbellettati che vanno da Matrix e da Vespa a  guardare fissi nelle telecamere mentre sciorinano dati, numeri e frasi fortemente aggettivate, mi ricordano, tutti, i concorrenti di un qualche show televisivo a suffragio telefonico, in cui la gente da casa deve fare il numerino per votare il preferito mentre quello se ne sta accanto al conduttore, inquadrato, a fare il segno giusto con le dita o le smorfie con il labiale, "due! due! vota due!" L'avete vista la foto di Rosy Bindi che c'è in alto a sinistra nell'header del suo sito ufficiale? Sembra uno spot della Johnson & Johnson. Fa spavento.

C'è un altro passaggio nel libro di Steinbeck, proprio alla fine del primo capitolo. Fa:

"Dopo un poco, i visi degli uomini perdettero la loro stupefatta perplessità ma acquistarono un'espressione dura, collerica, ostile. Allora le donne capirono che erano salvi, che gli uomini non si davano per vinti, e allora ardirono a domandare: Cosa facciamo? E gli uomini risposero: Chi lo sa, ma le donne capirono che erano salvi, e i piccoli capirono che erano salvi. Le donne e i piccoli avevano l'intima convinzione che nessun disastro era catastrofico se i loro uomini non si arrendevano".

C'è qualcuno di voi, là fuori, che ancora può dire di non essersi arreso?

Questi magnano bignè e cacano rivoluzione…

Quando Berlusconi tornerà a  vincere le elezioni, almeno potrò dire che per un attimo ci avevo pensato. Perché a votare Partito Democratico, per un momento durato almeno tre settimane, ci ho pensato davvero. E ne ero anche abbastanza convinto, tanto da aver avuto alcune accese discussioni. Ma alla fine, avevano ragione loro. I compagni, quelli cresciuti a pane e partito. Quelli che non si arrendono mai nonostante i capelli bianchi, quelli che fanno volantinaggio alle manifestazioni che una volta portavano in piazza 10 mila persone e oggi sì e no 3 mila (vedi i 30 anni dalla morte di Walter Rossi sabato scorso a piazzale degli Eroi, a Roma).

E' una questione di idee, coscienza o chissà cosa. Ma votare quelli lì non è pensabile. Sorvolando sulle ridicole diatribe su nome e collocazione nel Parlamento europeo del periodo che ha preceduto l'estate, l'unico sussulto si è avuto con il discorso di Uòlter dal Lingotto di Torino. E nonostante la mia speranza resti quella che sia lui a guidare la nuova formazione, caro Uòlter, io non posso proprio. Non posso votarti. Perché non posso votare il nipote di Gianni Letta così come non posso votare i cattocomunisti alla Bindy, che tuttavia non è nemmeno male se penso al resto delle quote rose che si stanno facendo strada, dalla Melandri a Lilli Gruber, passando - sic - per Veronica. Ma dico, Uòlter, ma come solo ti viene in mente una cosa del genere? Vabbè che in questi anni a darle il patentino di donna liberal e impegnata ci avevano pensato prima Micro Mega e poi Repubblica, espressione mediatica dell'intellighenzia di sinistra fatta di aperitivi all'aperto sulle terrazze di Trastevere, foulard colorati, registi brizzolati, catering di cibo arabo: mi convincerete nel momento in cui avrete il coraggio di affermare che un felafel è meglio di una pizzetta o di un tramezzino. Ma questa sulla donna del Berlusca è peggio - o forse no - di Fassino che lecca il culo a Marchionne.



Suvvia, guardiamoci in faccia compagni e parliamoci chiaro: sta tutto nella semplicità della vita. Beppe Grillo, i blog, le magliette, le primarie, i girotondi, la partecipazione democratica. TUTTE CAZZATE. Tutta gente senza ideali, tutta gente che arriva dai salottini della sinistra, professionisti che per avere la coscienza a posto iscrive i figli al Mamiani. "Questi mangiano bignè e cacano rivoluzione", come dice un mio amico camerata. E c'ha ragione. C'ha ragione perché loro sono la conventicola, sono uguali agli altri, sono la casta, mantengono privilegi a cui non vogliono rinunciare, adottano bambini a distanza per raccontarselo durante le cene a tema. "Io ieri ne ho preso uno in Birmania", già le sento quelle vecchie befane che fanno a gara a chi è più solidale mentre affondano i denti di ceramica nel cous cous. Ma un giro a Napoli, a Roma o a Palermo se lo sono mai fatto? Probabilmente no perché il fine settimana lo passano a Capalbio. Basta con questa ipocrisia: a loro delle istituzioni, della Costituzione, del pacifismo NON GLIE NE FREGA UN CAZZO. Come non glie ne è mai fregato prima.

Con questa gente - descritta in maniera superficiale e confusa lo ammetto - sento di non avere nulla da condividere. Così come sento di avere poco da condividere con l'operato del Governo in carica. Mi sono convinto di una cosa: non sarà certo un periodo storico di dieci-quindici anni a determinare i cambiamenti sociali dell'Italia. Di conseguenza, visto che non siamo in tempo di guerra, il concetto di elezioni (soprattutto con questo tipo di sistema antidemocratico) perde di significato. E io ho deciso che non li voto - nemmeno alle primarie - perché non mi rappresentano né rappresentano quello in cui ho sempre creduto e a cui non vedo motivo per rinunciare. Proprio oggi si apre una settimana importante: nelle fabbriche cominciano le consultazioni tra gli operai sul collegato del Welfare. Mi sento molto vicino in questo momento ai lavoratori della Fiom, ora al centro del mirino dei nostri eroi, e anche se il No raggiungerà il 25% auspico che il Governo Prodi cada e faccia un bel tonfo. Nella Finanziaria che stanno portando avanti manca ancora una volta un segnale di discontinuità con il passato. Se Montezemolo applaude e Mirafiori fischia, da qualche parte si cela l'inculata. E io non voglio essere complice.

[Questo post ha una dedica triste: ciao Luca]

Il gioco della puntura sul pisello

Sentite, io non m'intendo di giustizia, di legge, mai me ne intenderò. Quando guardo il mio amico Federico negli occhi, lui avvocato, gli dico sempre: "Ma chi te l'ha fatto fare? Tu eri un grande chitarrista...", ma questo è un modo di dire, tutti noi, da giovani, da piccoli, eravamo già qualcosa, avevamo un talento che faceva unire le mani ai nostri genitori, quel non so che che prima o poi avremmo finito per sprecare, perciò quello che io dico al mio amico Federico è certamente una boutade, un modo come un altro per avviare una chiara media al pub, però resta il fatto che io di legge eccetera eccetera.

Premesso questo mi voglio permettere di dire che c'è qualcosa che non va in tutta questa faccenda di Rignano Flaminio: non so se vi ricordate, ma insomma in un paesello laziale, uno di quelli dove la gente confonde le -b- con le -p- e trova grandissima difficoltà a capire dove vadano a finire le doppie in un'analisi grammaticale, ecco in questo paesello qui, da più di un anno ci sono decine di bambini di quattro o cinque anni che, davanti a giudici e psichiatri e psicologi ed esperti dell'infanzia dicono sempre le stesse cose, al punto che tutti questi esperti, trattandosi di bambini, hanno parlato di "chiari racconti del vissuto", capite?, "del vissuto", perché un bambino può mentire una volta, due, ma se nel giro di un anno - u n    a n n o - un bambino riesce a mantenere la stessa "linea di ragionamento" più o meno stabile, questo significa che c'è sotto qualcosa semplicemente di vero. E' per questo che gli esperti parlano di "vissuto" e non di "immaginato".

Era prevista per ieri 2 ottobre l'ultima delle udienze. Ad essere interrogato dalla Procura l'ennesimo bimbo, cinque anni, il quale ha dichiarato più volte al magistrato che "A scuola mi picchiavano. Facevamo giochi brutti". Qualcuno dei vostri figli ha mai parlato di "giochi brutti" tornando da scuola? I bambini non sono granché complicati: scelgono quasi sempre una linea retta per percorrere lo spazio da A a B: mica sono adulti o che. Non è che sanno zig-zagare come facciamo noi. Quindi, tenendo presente anche la teoria del Rasoio di Occam, a me pare che un bambino che improvvisamente parla di "giochi brutti" vada tenuto molto, molto presente.



Questo bambino, l'ultimo della successione di interrogatori che si ripete indefessa da dodici mesi, ha cinque anni e ha detto che gli facevano "il gioco della puntura sul pisello". Testualmente: il gioco della puntura sul pisello. Ora io non so a che gioco si giochi in quel di Rignano Flaminio, non ci sono mai stato a Rignano Flaminio: però so che il gioco delle punture sul pisello è qualcosa che dentro la testa di un bambino di cinque anni non ci dovrebbe stare. Non voglio farne un discorso retorico, tipo che i bambini sono dei piccoli angeli o che. Anzi: per me i bambini, il più delle volte, sono dei giganteschi figli di puttana, egoisti, egocentrici che rompono i coglioni e che pensano che tutto quanto al mondo sia pronto per il loro uso e consumo (ehi, ma sono io questo!), dico, però, che un concetto come il gioco delle punture sul pisello non dovrebbe avere spazio, fisicamente, dentro la testa di una creatura tanto piccola. Da dove è andato a pigliarla? Che cosa dicono in proposito i magistrati, i giudici, i poliziotti, i carabinieri, gli investigatori privati, i Tom Ponzi, Dio, il vigilante di quartiere? Com'è possibile che Rignano Flaminio non esploda per aria a sentir parlare di punture sul pisello?

Dice quel bambino - sempre nell'interrogatorio di ieri, e mi viene difficile perfino chiamarlo interrogatorio, ma è di questo che si tratta purtroppo per lui e per il suo futuro: un interrogatorio - dice quel bambino che in un altro dei giochini fatti "i maschi venivano fatti salire sulle femmine" ed eccolo qua un altro bel significato che codesti bimbi non dovrebbero poter dare al significante. Ma invece lo fanno: descrivono palesemente il più classico degli atti sessuali: i maschietti sopra le femmine. È qualcosa che faranno tutti, presto o tardi: salire sopra le femminucce, a meno che non diventino froci, e allora saliranno su altri maschietti, presto impareranno a farlo, forse il più perspicace di loro non dovrà aspettare che altri 10 o 11 anni, mica una vita, perciò, mi chiedo, a che serve che questi tizietti piccoli piccoli abbiano già coscienza adesso di questa procedura che li terrà impegnati per il resto della loro esistenza? Chi gliel'ha inculcato questo insegnamento? Mamma e papà? Maria De Filippi? L'Orso Yogi?

"La maestra Marisa faceva giochi brutti a scuola. Ed era brutta e cattiva": lo ha detto sempre lui, lo ha ribadito il bimbo interrogato ieri 2 ottobre. E ha detto anche un'altra cosa. Questa: "Le bidelle mi picchiavano", al che io, che non m'intendo di legge, voglio pure concedervi il beneficio del dubbio e perciò dico va bene, anche io ho visto una maestra o due, durante l'adolescenza, alzare le mani su uno dei miei compagnucci senza per questo essere una pedofila, una di loro, davanti a questi occhi, in quarta elementare, quasi strappò via il lobo dell'orecchio a un bambino che si chiamava Simone, però, insomma, la situazione era diversa, le porte erano aperte, avevamo quasi 10 anni e non la metà e, comunque sia, dopo quell'episodio, stesso il giorno dopo, i genitori di Simone vennero in aula inferociti e poco ci mancò che rendessero pan per focaccia alla maestra colpevole. A sentire parlare di bidelle che picchiano i vostri figli e di una maestra che fa fare loro dei giochi brutti, voi, che fareste? Vi girereste dall'altra parte del letto? Concedereste un'intervista in esclusiva a Chi? Oppure spacchereste tutto?

Io non ho bambini, non ho figli. Non ho nemmeno un fratello piccolo, né l'ho mai avuto. Perciò questo è un post che neanche avrei dovuto scrivere: non ne so di legge, non ne so di bambini, però vorrei ugualmente chiedere a voi, che mi leggete, e che siete padri o madri, vorrei chiedere a voi: perché questi genitori di Rignano Flaminio non hanno fatto implodere la scuola? Perché non l'hanno fatta crollare a suon di martellate, badilate? Perché non hanno preso, e non prendono, a pugni le porte dei giudici e dei tribunali fino a spellarsi le nocche, fino a schiumare saliva dalle guance, perché non urlano davanti alle telecamere, non fanno scioperi della fame, non prendono la rincorsa con le macchine e vanno ad impattare contro il muro di tutte le Istituzioni? Perché non si rivolgono a un'altra giustizia, a un'altra magistratura, semmai quella del Burundi, non lo so, una a caso, però lontanissima?

Non ne so niente di legge, ragazzi miei, all'amico Federico dico sempre che non so proprio lui come faccia a trovare la forza di fare un lavoro così importante e così complicato, perciò non so se esistono i crismi legali per urlare la mia ragione; tantomeno ho figli, come dicevo, perciò ecco un altro muro oltre il quale non posso vedere per affermare, con certezza, genitori, cazzo, ribellatevi.

Eppure lo stesso sento dentro di me la convinzione morale che se fossi stato genitore IO di quel bimbo di 5 anni che, manovrando un camioncino giocattolo, ha detto ieri al giudice "mi hanno fatto il gioco delle punture sul pisello" avrei immediatamente scavalcato la scrivania e l'avrei preso per il collo quel giudice, quell'avvocato, quel perito, o chi per lui, e gliel'avrei sbattuto sotto un pestacarne, il pisello; così come sarei andato dalla "maestra Marisa", io madre, sarei andato a bussare alla porta della "maestra Marisa", con un mattarello in mano, e l'avrei legata col nastro isolante alla sedia, le avrei tirato via le unghie dei piedi, dislocati i menischi, urlato in faccia tonnellate di insulti mescolati a rabbiose, inconsapevoli lacrime. Così, solo nel dubbio.

Perché non è successo? Perché non succede? Perché le autorità, i mass media e l'ITALIA s'indignano se un ex brigatista disperato prende e fa una rapina alla Monte dei Paschi di Siena ma se ne stanno in poltrona a fare tò tò sulla testina del bambino quando quello, ogni tanto, senza preavviso, prende e si mette a parlare di giochi pazzeschi, di punture sul pisello, di passerina, di dita infilate di qua, di baci soffiati di là, di maestre cattive e brutte, di bidelle manesche, di orchi, lupi cattivi, satana, di bambini sopra le bambine? Perché mettono dentro, in diretta televisiva, per un anno e otto mesi un tizio che ha lanciato un mortaretto sul tartan del campo di calcio e  invece non c'è neanche una persona minimamente indagata per tutto questo scempio diabolico? Perché si istituiscono i processi per direttisma per un ragazzo con una canna in tasca e lì, a Rignano, ancora parliamo di "incidente probatorio" e di eventuale processo?

Perché urlano "Assassino!" ad Alberto Stasi, mentre entra in galera, senza saperne niente, e poi, quando lo fanno riuscire con tante scuse 24 ore dopo, non c'è nessuno ad aspettarlo a testa bassa girando i pollici? Perché va così il mondo? Perché mettono 10mila euro di taglia sul responsabile della strage degli orsi in Abruzzo, e non istituiscono una Commissione Parlamentare d'Inchiesta per i bambini abusati? Perché l'udienza di ieri, oggi non è su tutte le prime pagine? C'è una novità! C'è qualcosa da raccontare, amici giornalisti, non è come a Garlasco, quando si va per piazzette a intervistare il salumiere, qui c'è stata una deposizione che varrà come prova. E allora? Dov'è l'attenzione mediatica e istituzionale? Perché chi ha parlato in un primo momento de "L'orrore a Rignano" oggi preferisce parlare di gossip post-estivo e dei destini delle gregoraci di turno? Perché le veline non fanno gli stacchetti quando muore un italiano in Afghanistan e invece stasera sono tutte ignude davanti alla televisione? Perché Bruno Vespa si porta in studio la bicicletta di Garlasco e neanche un grembiulino di Rignano Flaminio? Perché Matrix preferisce occuparsi di Gigi Sabani?

Chi c'è veramente dietro?

Perché si sprecano tante energie per far girare le miss di culo, quando c'è un paesino nel Lazio così palesemente PIENO di olio buono e pedofili in libertà?

Grosso guaio a Viale Mazzini

(A un tavolo lunghissimo sono sedute due persone calve)
- Il caso è serio.
- Certo ma…
- Niente ma. Il caso è serio.
- Tu che ne pensi?
- Di culo...
- Sì ma di culo come?
- Che vuol dire "di culo come"?
- Vuol dire "di culo come". Vuol dire questo. Significa: come lo dobbiamo inquadrare questo culo?
- E appunto! Un culo come vuoi che si inquadri? Di culo! Le fai girare, metti un videowall, non lo so!
- Non funziona...
- Cosa non funziona?
- Il videowall...
- Per Dio, era tanto per dire. Un videowall per inquadrare il culo. Le fai girare, fai venire la giuria... Un modo si trova...
- Te l'immagini?
- Cosa?
- Mike che fa girare 45 miss di culo?
- ...
- Diventa comico... E noi non vogliamo l'effetto comico.
- E quindi?
- ...
- ...
- Non lo so... Serve un'idea.
- Siamo qui apposta.
- Sì ma serve un'idea per la stesura della prossima scaletta, vale a dire entro questa sera...
- Merda...
- Già.
- Che dice il Direttore?
- Che vuoi che dica...
- Che dice?
- Niente dice. Come sempre. Sta di là a farsi i bigodini o quello che cazzo fa tutte quelle ore in sala trucco…
- Merda.
- ...
- Potremmo...
- Cosa?
- No, niente.
- Dimmi.
(Fuori, intanto, crolla a terra un uomo. Un laureato suicida dal settimo piano: non ne poteva più di un contratto a tempo determinato da 650 euro lordi)



- Pensavo che potremmo demandare la cosa alla Goggi. Sai com'è: una donna che chiede ad altre donne di mostrare il culo agli spettatori sembrerà meno maschilista...
- ...
- Che te ne pare?
- E' una stronzata...
- Perché?!
- Perché è una cazzata! Mike non accetterà mai. Non dopo quello che è successo...
- ...
- Ci mancava solo la soubrette isterica in diretta...
- Dai, la Goggi non è una soubrette.
- Quello che è... Ha firmato un contratto da...
- Se la chiami soubrette fai il gioco della sua polemica, no? S'è sentita insultata proprio perché Mike l'ha trattata da soubrette...
- E invece cos'è?
- Chi?
- La Goggi!
- Ebbè, la Goggi, dai, è una che ha fatto carriera in televisione, è una che ha lavorato con... Come si chiama... E pure quell'altro lì... Una delle prime donne a fare le imitazioni in scena... Insomma, la Goggi non...
- Dai...
- Ad ogni modo...
- Già...
- Come si risolve la questione?
(S'ode uno sparo in lontananza: un pensionato non ha sopportato che Mastella abbia potuto acquistare un intero palazzo al centro di Roma a 800mila euro, mentre lui dovrebbe pagare 750 euro mensili di affitto per un bilocale da 45 mq in periferia)
- Te l'immagini il Moige da domani sera? Già hanno rotto i coglioni...
- Eh...
- Far girare le miss di Culo...
- ... Dobbiamo trovare un modo per...
- ... Ce ne diranno di tutti i colori...
- ... E se le facessimo girare di culo, però più vestite? Semmai in jeans? Anche la Cassazione ha detto che se c'è il jeans non è violenza. Quindi figurati se...
- ... E il maschilismo, e il femminismo, e le quota rose e le pari opportunità...
- .. Potrebbe sembrare meno... Meno... Come dire...
- ... Vedrai se non tireranno fuori le statistiche sulle violenze sulle donne... Lo fanno sempre. Tirano sempre fuori quelle cazzo di statistiche...
- Se il problema è il rapporto Mike-Loretta, sbattiamocene le palle... Siamo noi gli autori, in fondo... O no? Facciamo fare alla Goggi e...
- ... Come se le Miss concorressero per diventare donatrici di organi. O giudici di pace... E' o non è un concorso di bellezza? E allora fuori il culo, perdio. Lo dice anche Tinto Brass...
- ... Cerchiamo di centrare il problema...
- E qual è il problema?
(I due si spazientiscono non appena dalla finestra trapela puzza di gas. E' quello utilizzato da un insegnante che dopo 8 anni non riesce ancora a diventare di ruolo. La finestra viene chiusa)
- Il problema, seguimi adesso, il problema non è il culo o il non culo. Il problema è come farlo vedere senza che questo sembri maschilista, volgare, offensivo o altre menate.
- ...
- Allora. Se dare la responsabilità alla conduttrice femminile non funziona, allora potrebbe essere tutta questione di inquadratura...
- Di inquadratura?
- Di inquadratura!
- Come di inquadratura?
- Tipo: un culo in primo piano cos'è? È volgare? È maschilista? Va bene. E una panoramica, invece? Un totale su una decina di culi tutti insieme? Cos'è questo? Potrebbe sembrare meno volgare?
(All'improvviso un grande fracasso. Niente di grave: è solo la macchina di un parlamentare che procedeva da oltre un chilometro contromano. Stavolta è andata male è l'infrazione è costata la vita a una famiglia di quattro persone. Lui, il parlamentare, ovviamente sta bene e ha chiamato un'ambulanza col telefono "aziendale". L'ambulanza è già arrivata)
- Potrebbe sembrarlo, ma è volgare lo stesso...
- E qui casca l'asino! Perché a noi non interessa! Se non sembra volgare, allora non è volgare! C'è appeso questo cartello, no, nell'ufficio del Direttore? O non c'è appeso? E sotto c'è una tavola di Milo Manara che richiama alla masturbazione femminile. Allora facciamo così!
- Facciamo masturbare le miss?
- Lo facciamo sembrare meno volgare, anche se in realtà lo è tantissimo!
- Quindi?
- Quindi inquadriamo i culi delle cazzo di Miss quando escono dalla scena, vestite in bikini o quello che è. Loro escono di spalle e noi facciamo vedere i giurati che prendono appunti... Si soffermano LORO sui culi delle miss, non noi. Noi facciamo solo capire che LORO si stanno soffermando sui culi delle miss.
- Prendono appunti sui culi delle miss?
- Massì! Funzionerà. Niente primi piani: faccio stampare subito i meme per i cameraman e poi vado dal regista.
- E' un po' macchinoso...
- Senti: o così o lo facciamo fare alla Goggi...
- Per carità. A Mike gli prende l'ictus.
(Un altro corpo precipita a terra. Stavolta è un operaio senza casco. Il suo lavoro non era considerato affatto usurante dallo Stato. Invece il barbiere del Parlamento sì. C'è una copia aperta del giornale su un tavolo e si legge che il barbiere del Parlamento è stato inserito nella categoria dei lavori usuranti – notizia vera ndr)
- Allora siamo d'accordo. Culi sì, ma non in primo piano.
- Benissimo.
- Ti vedo dubbioso...
- No, è che...
- Cosa?
- Mah... A me 'sti culi mi piacevano.
- Tanto te li becchi quanti ne vuoi in camerino. Dal vivo. Non è meglio?
- Massì.
- E allora?
- Niente. Però facciamo vincere la 256.
- Siamo già d'accordo, mi pare.
- La 256 è stupenda.
- ...
- Cosa?
- L'hai vista struccata?
- No.
- E' sputata a Mike Bongiorno.
- ...
- ...
- Ok, passiamo al prossimo ordine del giorno.
- Qual è?
- Nella puntata di Porta a Porta dedicata all'arresto di Alberto Stasi, la bicicletta ci deve essere nello studio o non ci deve essere?
(Il sole si oscura per l'ultima volta: stavolta è un giornalista precario, perfino in regola con l'Irpef. Ha appena saputo che l'ex calciatore Coco ha percepito 1   m i l i o n e   d i   e u r o  per partecipare all'Isola dei Famosi)

Killing Moore

Secondo me Micheal Moore è la risposta americana nazional-popolare ad Antonio Ricci di Striscia la Notizia.

Non a caso Antonio Ricci piace alla gente che io reputo più insopportabilmente di destra, (Beppe Grillo compreso) esattamente come Michael Moore piace alla gente che io reputo più insopportabilmente di sinistra. Significherà qualcosa questo fatto? Forse no, ma provo a spiegarmi.



Entrambi, Moore e Ricci, hanno un obiettivo molto preciso, vale a dire catturare consensi denigrando il potere della classe politica, (per esempio) attraverso presunti scoop relativi a malgoverno, scandaletti, superscandali, abusi sessuali, vallettine, maxi-condoni, agevolazioni fiscali. MA per arrivare a questo fine entrambi ricorrono al medesimo mezzo: prendono l'obiettivo della loro critica e la ridicolizzano mettendone in risalto soprattutto i difetti carnascialeschi, le sproporzioni fisiche, gli errori grammaticali, le idiosincrasie, le fisime, le gaffes pubbliche, i vizietti innocenti ma ridanciani, insomma, perdendo completamente di vista l'oggetto della critica, però arrivando ugualmente al loro scopo finale: rendere quell'obiettivo inviso agli occhi degli spettatori.

Il George Bush di Moore è il Silvio Berlusconi di Ricci.
Entrambi sono personaggi di una pericolosità sociale unica, entrambi sono personaggi colpevoli dei più grandi disastri sociali, storici, umani che la recente storia politica dei due Paesi ricordi, eppure il George Bush di Moore è un simpatico signore di mezza età che in 9/11 non fa altro che giocare a golf, sbagliare riferimenti storici, incappare in gaffes macroscopiche con i giornalisti, sbagliare tutti i tempi degli interventi pubblici, ripetere in sequenza - grazie a un montaggio naturalmente truffaldino e deontologicamente aberrante - la locuzione, "li staneremo!", "li staneremo!", "li staneremo!", "li staneremo!", dove, si sa, la ripetizione ossessiva è uno dei meccanismi comici più funzionanti e, infatti, è lo stesso meccanismo comico utilizzato da Antonio Ricci: il suo Silvio Berlusconi è un uomo gioviale, simpatico, galvanizzante che fa le corna durante le foto, infila topiche a ripetizione, guarda le scollature delle giornaliste e, soprattutto, proprio come il Bush di Moore, viene ripreso in continuazione mentre pronuncia l'ormai storica frase: "Sono invincibile!", "Sono invincibile!", "Sono invincibile!".

Guardando l'orribile Fahrenheit 9/11, ho notato anche un'altra drammatica somiglianza tra l'operato di Michael Moore e quello di Antonio Ricci: il ricorso al fotomontaggio, sia visivo che sonoro. Il volto del Bush di Moore è continuamente sovrapposto ai volti di cow boy in assetto di guerra e di altri personaggi tipici della filmografia popolare americana, (addirittura nel montaggio c'è un uso ossessivo di non so quale attore, forse Charles Bronson, che ripete indovinate quale frase? Esatto: "Li staneremo"...) così come il volto del Berlusconi di Ricci è continuamente sovrapposto, in quella trasmissione deplorevole qual è Striscia la Notizia, ai volti delle maschere italiane più tipiche. L'effetto comico è il medesimo: squallido, però funzionale, perché il continuo bombardamento di immagini simili serve senza dubbio a dare agli obiettivi della feroce satira quella connotazione negativa desiderata senza fare approfondimento.

In 9/11 non c'è, in tutto il documentario, una chiave d'inchiesta originale: i volti rigati dalle lacrime dei parenti delle vittime dell'11 settembre vomitano le sciocchezze ovvie e legittime di tutti i parenti di vittime del mondo, da quelle del terrorismo, a quelle dei sassi dai cavalcavia; gli interventi di Bush sono, come detto, sempre votati alla comicità involontaria, alla caricatura. Il resto è creato dall'intervento rumoroso di Moore che, proprio come i vari Staffelli e Ghione di Ricci, arriva sul posto con mezzi mediaticamente esplosivi, disturbanti, invadenti, utili a rendere prima di tutto inoffensivo l'obiettivo. (un senatore che si vede arrivare Moore a bordo di un camioncino di gelati, a megafono spianato, con dietro 400 persone preda di crisi di risate, non è il referente ideale per organizzare un botta e risposta onesto, proprio come gli inseguimenti di Staffelli seguito da elicotteri trasportanti Tapiri megagalattici e pesanti 4 tonnellate, non è neanche un po' giornalistico, ma è più che altro una cagata pazzesca)

Nel suo ultimo lavoro, "Sicko", Moore ha fatto qualcosa di talmente aberrante che neanche Ricci ha osato mai. Nel tentativo inutile (perché già si sa) di dimostrare quanto inefficiente sia il sistema sanitario americano, Moore ha preso un tot di ammalati americani e li ha portati alla Havana con il chiaro messaggio di mostrare a cinema zeppi di mangia hot dog inebetiti dalle Marlboro rosse quanto sia indietro l'America, dal punto di vista sanitario, rispetto nientemeno che a Cuba, la stella mancante della bandiera a stelle e strisce, proprio la terra vessata dai Kennedy, da Clinton e dai Bush, l'isola rivoluzionaria devastata dall'embargo americano, proprio Cuba, siore e siori, riesce ad essere più avanzata rispetto all'America, almeno dal punto di vista sanitario. Questo è quello che vorrebbe dirci Moore nel suo ultimo "documentario". Applausi scroscianti dei mangia hot dog e dei compagni italiani con le magliette del Che.

Peccato che questa… Cosa sia totale pornografia. Lo dico da comunista e da amante profondo di Cuba, terra che ho nel sangue come ho nel sangue l'Italia e gli spaghetti cacio e pepe. Moore prende e fa vedere in primissimo piano l'atto della penetrazione, così da eccitare irreversibilmente teenagers, adolescenti e puttanieri. Ma Cuba, dal punto di vista sanitario, NON è affatto più avanti dell'America: non esiste UN americano che preferirebbe farsi curare a Cuba e non esiste UN cubano che non preferirebbe farsi curare in America. I medici cubani sono bravissimi, straordinari, umanamente profondissimi (ma anche i medici italiani lo sono): peccato che il sistema sanitario cubano sia, semplicemente, inesistente. (a parte il fatto che le farmacie sono vuote ed è impossibile trovare perfino i fazzolettini per soffiarsi il naso) Gli ospedali, se non ti chiami Diego Armando Maradona, non esistono, non curano, sono fatiscenti, non hanno le attrezzature, la ricerca non è sovvenzionata, (come l'arte) i medici che possono espatriano, quelli che non possono farlo, come il mio fraterno amico Raul, sceglie di abbandonare la professione tanto amata per scaricare carne ai mercati. E Raul era uno di loro, un bravissimo scienziato, un medico superiore, capo del laboratorio di medicina molecolare, aveva all'attivo convegni in tutto il Sudamerica e l'Italia e se avesse visto Michael Moore con la sua flotta di malati emigranti, li avrebbe presi tutti quanti a calci nel culo, oppure inseguiti con il suo furgone che è adesso diventato lo strumento di lavoro principale.

Il mio amico Raul vuole vedere Fidel Castro morto e sepolto da quando, in uno dei suoi tanti comizi televisivi, il lider maximo annunciò che una certa malattia che colpiva i bambini era colpa dell'embargo. Raul, che stava lavorando alla cura per quella malattia con la sua equipe medica da tempo, e che finalmente aveva trovato la via, si vide tagliati i fondi perché, secondo Fidel, quella malattia era colpa dell'embargo. E invece, naturalmente, no. Si può dire che l'embargo sia l'ultimo dei problemi cubani e il primo alibi di Fidel, ma questo è un altro discorso. Il fatto è che Moore ha messo su una cosa molto comoda e molto pornografica ed è per questo che io reputo Moore un cialtrone grasso e non un grasso e grosso documentarista: Moore è un ciccione furbacchione che fa spettacolo.

(l'avete sentita la storia del suo denigratore? Quello che aveva organizzato un sito Web per affossarlo? Per affossare Moore? L'avete sentita? A un certo punto al denigratore folle è capitata una disgrazia: la moglie stava morendo di cancro. Allora lui, il denigratore, sul sito che usava per denigrare Moore, ha messo un annuncio: per piacere aiutatemi. Mi servono tot soldi per le cure di mia moglie. Tac, Moore ha preso e gli ha fatto un assegno. Però restando anonimo. La moglie s'è salvata e il denigratore di Moore ha messo sul sito un altro annuncio: grazie al mio angelo salvatore. Chiunque tu sia. Moore s'è fregato le mani e che ha fatto? Ha schiaffato questa cosa in "Sicko". Così il denigratore folle, se non si è suicidato, adesso sta schiattando lui di cancro per la rabbia e la vergogna. Vi sembra bello? Vi sembra deontologico? Vi sembra per caso funzionale all'obiettivo del documentario oppure vi sembra funzionale soprattutto per rendere l'autore di quel documentario simpatico a tutti i mangia hamburger dei cinema?)

Come dice il mio amico Andy Capp: ma a che serve Moore? Lo andiamo a vedere noi, quelli come noi, ne parliamo tra di noi e finisce lì. Io aggiungo che pure quelli come noi dovrebbero smetterla di farsi abbindolare dal falso giornalismo d'inchiesta travestito da show del sabato sera. (anzi, scusate, è il contrario: è show del sabato sera travestito da falso giornalismo d'inchiesta) Moore è come Ricci: fa risaltare cose ovvie usando i mezzi sbagliati, quelli più comodi.

(a proposito: non vi viene in mente nessun altro che, saggiato l'anello del potere, sta adesso impazzendo e anche lui comincia a far risaltare cose ovvie ridicolizzando l'obiettivo della sua critica tramite i difetti fisici, di pronuncia, eccetera eccetera, utilizzando parole chiave come "Alzaheimer", "Valium" e compagnia bella? Vi viene in mente nessuno? Che facciamo? Ci svegliamo in tempo o ci facciamo prendere per il culo un'altra volta?)

Il Signor Gambero

Sono uscito di casa che faceva caldissimo. Stavo per raggiungere la mia macchina parcheggiata - la mia macchina è rossa e da lontano si vede subito - quando qualcosa di molto più interessante m'ha distratto. Sul vetro di una Golf verde petrolio, appoggiato al tergicristallo, dove di solito gli ausiliari del traffico ci piazzano le multe, più precisamente subito accanto a quel cosetto di plastica che spruzza l'acqua sul parabrezza, proprio lì stava un gambero.

Un gambero arancione, uno di quelli che nei ristoranti fa bella mostra di sé in cima alle fritture miste o sul cucuzzolo della montagna di spaghetti allo scoglio. Aveva tutto di un gambero, aveva quelle antennine, la crosta arancione disarticolata che gli permette il movimento in acqua, le due perline nere sporgenti come occhi, le zampe disposte a raggiera sotto la pancia: era un gambero a tutti gli effetti e se ne stava lì, impossibile, sul parabrezza di una Golf verde petrolio. Morto, certo: non l'ho toccato, non ho idea se fosse cotto o cosa, ma di sicuro era morto. Volete che non sappia riconoscere un gambero morto da un gambero vivo?

Ho alzato gli occhi al cielo, tipo uno che ha appena pestato una cacca, come se in cielo, proprio sopra la Golf verde petrolio, potesse esserci, che ne so, una navicella spaziale a forma di gambero, oppure una nube gravida di uno di quei fenomeni meteorologici che ogni tanto si sentono al telegiornale in quei posti strani: tormenta di rospi ad El Paso. Epperò nel cielo sopra Roma, a parte un azzurro accecante e la pallina gialla del sole, non c'era niente.



E' stato allora che ho di nuovo guardato il gambero sul parabrezza dell'auto: era ancora immobile, sempre morto, forse crudo, forse cotto, di sicuro cotto dal sole. Ho dato un'occhiata anche nei balconi intorno, hai visto mai che qualche burlone non avesse deciso di impegnare così la sua mattinata, lanciando in strada i gamberi avanzati dalla cena della sera prima. Magari un bambino, un pazzo: se ne sentono di storie così, vai a capire.

Giuro che era un gambero: ho pensato al padrone di quell'auto, della Golf verde petrolio. Immaginatevi voi un tizio che alla mattina esce di casa e sulla macchina, al posto dei volantini pubblicitari della Tecnocasa, si trova un perfetto gambero.

Insomma c'era questo gambero.

E' incredibile a dirsi ma ho cominciato ad avere pensieri pieni di pietà nei confronti di quel gambero. Io non sono animalista, né niente, non sono nemmeno vegetariano, però giuro che ho cominciato a pensare a quel gambero. Voglio dire: se uno gli avesse detto, per ipotesi, due anni fa - adesso non ho idea della vita media di un gambero, ma supponiamo che un gambero possa vivere tanto - se qualcuno gli avesse detto, al gambero, che so, un totano di passaggio gli avesse detto: "Aho, gambero, quanto ci scommetti che da qui a due anni morirai bruciato dal sole sul parabrezza di una Golf verde parcheggiata a Roma Nord?", ecco sono convinto che quel gambero ci avrebbe scommesso qualsiasi cosa, un'intera piantagione di plancton! Quello è un gambero, un esserino abituato a ben altre morti - reti di pescatori, fauci di squali - altro che Golf verde petrolio. Vi immaginate un gambero e un totano fare una discussione del genere nel bel mezzo, bò, del Mar dei Sargassi?

Non ho idea se esista o no un linguaggio dei pesci, d'altra parte si dice che siano tutti muti, comunque può darsi che in qualche modo comunichino, perciò, se comunicano, è sicuro che adesso, laggiù nei fondali, stanno tutti raccontandosi delle vicende di Signor Gambero, finito a morire sul cofano di una macchina di produzione tedesca. Cose da pazzi: un gambero sul parabrezza di una macchina. Forse esiste, e io non lo so, da qualche parte, una strada come quella che scoprii una volta a Cuba, una strada con un cartello che avvisava del passaggio granchi e, infatti, mi ritrovai la macchina tutta tappezzata da pezzi di granchi, chele, cose così, perciò magari, ho pensato, esiste una strada simile anche a Roma, una strada dei gamberi, con un cartello stradale che avverte dell'attraversamento gamberi e quella macchina, quella Golf verde petrolio, c'era passata e poi s'era parcheggiata lì, non lontano dalla mia auto.

Tutto è possibile, questo è un mondo in cui continuamente accadono cose che non comprendiamo, quindi perché insistere a negare l'esistenza di un gambero sul parabrezza di una Golf verde petrolio? Può darsi che quel gambero sia stato messo lì da un'entità superiore (un SUPER gambero, o Dio) per ricordare agli uomini proprio questo fatto, vale a dire l'imponderabilità delle decisioni divine, l'ineluttabilità del mistero, il caos o vattelapesca.

Quando sono rientrato nella mia macchina ho pensato ad alcune cose, solo leggermente deluso dal fatto di non aver trovato a mia volta un bel Signor Gambero sul parabrezza: ho pensato che trovare un gambero sul parabrezza della macchina significasse essere un eletto, ho pensato che dio stesso fosse un gambero e che inviasse, in questo modo, segnali ai prescelti. Invece niente: la mia macchina era come al solito rossa e con le cacche di piccione sui cristalli posteriori. Quindi o dio non è un gambero o io non sono un prescelto. Oppure dio è un piccione. In quel caso sarei il prescelto tra i prescelti perché la mia macchina rossa è sempre piena di cacche di piccione.

Adesso lo so cosa state pensando: il racconto di questo episodio non può dirsi concluso fin quando non vi ho detto se, al mio ritorno a casa, Signor Gambero stava ancora lì o cosa. Ebbene, al mio ritorno non c'era più la macchina. Se n'era andata. E Signor Gambero stava per terra, lo avevano abbandonato, conteso dai gatti, più morto di prima, svuotato di tutto quel fascino mistico.

Ho pensato alla scena che m'ero perduto: un tizio che prende tra pollice e indice un gambero dal parabrezza della propria auto e lo lancia in terra. Ho invidiato la storia che che quel tizio avrebbe potuto raccontare, quella sera a cena, alla moglie, ai figli o chicchessia, durante il tiggì, eccetera, la storia di Signor Gambero sul parabrezza dell'auto, questa storia, che io adesso ho raccontato a voi. E ho pensato anche che è così che va, per ciascuno di noi, tutti i giorni della nostra vita: usciamo di casa e ci capitano cose su cose che poi raccontiamo agli altri, a voce, su un blog. E ci facciamo compagnia: le cose che ci capitano ci fanno compagnia. Sarà per questo che, nonostante tutto, continuiamo a fare quello che facciamo, volta dopo volta, nonostante le delusioni, i problemi, la depressione, lo stress. Sarà che, parafrasando Woody Allen, la maggior parte di noi ha bisogno di gamberi.

Leccare

Mi sono reso conto di non tollerare la visione di uomini, maschi, che mangiano il gelato.

L'ho capito in via definitiva una sera d'estate, (via definitiva non è un luogo) ciondolando pigramente davanti alla gelateria "Il pellicano" su Via Cassia, quando le mie pupille si sono soffermate su un uomo, seduto da solo al tavolino, che leccava un gelato al cioccolato. Lo avrei sciolto seduta stante in un container di acido solforico, ammesso che l'acido solforico possa sciogliere le carni di un uomo, non lo so, non sono mai stato bravo in chimica, non sono mai stato bravo in niente a scuola, comunque sia gli avrei fatto qualcosa di molto doloroso al fine semplicissimo di farlo smettere di fare quello che stava facendo, ovvero leccare un gelato al cioccolato.



Vedere un uomo, un maschio, leccare il gelato mi fa venire il vomito e so già cosa state pensando, perciò, va bene, lo ammetto subito, sono vagamente omofobico, con buona pace dei massimi difensori pop dei Diritti Universali, quelli che s'in-di-gna-no per qualsiasi cosa abbia a che fare con gli omosessuali; quelli che si incatenano di qui e di là se un omosessuale, per caso, non viene eletto Presidente del Mondo a favore di un eterosessuale, ecco, non me ne vogliano costoro, ma un uomo che fa così, che lecca il gelato nel modo che m'è capitato di testimoniare, ebbè, a me fa venire l'esaurimento.

Nello specifico, l'uomo in questione stava dando all'atto di per sé innocente di leccare un gelato una connotazione sessuale di deplorevole lascività. È sicuro che quel tizio non era al gelato al cioccolato che stava pensando, mentre lo leccava, ma a qualcosa d'altro, per esempio alla schiena di una donna, se non di un altro uomo, appunto, e stava facendo di tutto per darlo a vedere, stava seriamente impegnandosi perché chiunque, lì intorno, guardandolo, potesse pensare, che so, magari che fosse sexy, o spregiudicato, o molto avvezzo a leccare cose fresche e appiccicose. Se non che l'unico che s'è accorto di lui sono stato io e io sono omofobico e gli uomini che leccano il gelato con tanto di lingua, in quella maniera, mi fanno rivoltare lo stomaco e il gelato glielo sarei andato volentieri a spiaccicare sulla camicia.

Si guardava intorno pure lui, aveva un casco da motocicletta sistemato sotto la sedia, e un paio di volte ha pure incrociato il mio sguardo, distogliendolo quasi subito, dove con quel "quasi" intendo dire che, incrociato il mio sguardo, s'è comunque sentito in dovere di sostenerlo per una frazione di secondo, giusto il tempo di suggerirmi una cosa tipo: "Ehi senti, non sei tu che mi interessi, però già che ci siamo guarda come lecco bene questo gelato. Hai guardato? Ok, adesso pensa a cosa sarei in grado di fare leccando dell'altro...". E allora ho cominciato davvero a sentirmi poco bene: per esempio non sono più riuscito ad attaccarmi alla bottiglia di Beck's che tenevo in mano, esclusivamente preoccupato dal fatto che qualcun altro, guardando me bere in quel modo, avrebbe potuto associarmi all'uomo del gelato e pensare, semmai, che fossimo in combutta o che facessimo parte di una qualche setta di depravati sessuali.

La cosa pazzesca è che il gelato al cioccolato del tizio non accennava a diminuire. C'era sempre questa palla sanguinolenta marrone in cima al cono e sempre quella lingua enorme che la leccava lentissimamente, circumnavigandola per intero, come intorno a un continente farebbe una nave. Non dava semplici colpetti di lingua, ma gigantesche spatolate, eppure il gelato non diminuiva mai: per dirla tutta sembrava che stesse leccando un orrendo bolo di merda semicongelata e questo pensiero nuovo, insieme a quell'altro insistente che il tizio in questione non avesse solo voglia del gelato, ma anche di tutt'altro, semmai proprio da me, mi ha per sempre convinto della bruttezza estetica di un maschio che mangia un gelato.

Quel tizio del malaugurio... Con il suo gelato impossibile che non diminuiva mai. A un certo punto deve avermi contagiato un qualche morbo, perché tutto ha cominciato a muoversi al rallenty, come in quei film in cui la soggettiva malata del protagonista prende il sopravvento su tutto il resto e la pellicola scorre lentissimamente, con le voci di sottofondo amplificate e rallentate anch'esse, come in un girone infernale. Ecco, tutto ha preso a muoversi così, intorno alla gelateria "Il Pellicano" su Via Cassia: e più mi guardavo intorno, più mi sembrava che tutti avessero un comportamento strano. Il gesto di un uomo che accarezzava la schiena nuda della fidanzata è diventato brutale, violento, esagerato, altri due che si baciavano poco distanti sembravano emettere i suoni liquidi di una fogna piena di topi e i tanti ragazzini che parlavano tra di loro con le bottiglie di birra tenute per il collo, sono diventati tanti piccoli goblin farneticanti e le loro bottiglie di birra tanti piccoli tacchini spennati e strozzati.

Mi sono alzato dalla sedia di colpo, attirandomi due o tre sguardi addosso: l'uomo col gelato stava ancora leccandolo, imperterrito, come se la sua lingua, oltre che essere gigantesca, avesse anche la capacità di non assorbire quello che leccava, tutti facevano quello che si dovrebbe fare davanti a una gelateria, anche F. e le sue due amiche stavano facendo quello che si dovrebbe fare nei pressi di una gelateria d'estate, e infatti non si erano accorte di nulla, non l'avevano nemmeno visto l'uomo che leccava il gelato, solo io l'avevo visto, solo io avevo visto quell'enorme lingua violentare il gelato al cioccolato a quel modo, solo io davo l'idea di non trovarmi affatto davanti a una gelateria.

In macchina ho pensato di chiedere a F. qualcosa a proposito del gelato, della lingua e degli uomini, ma poi ho deciso di restare col dubbio.

La mortazza è finita

La serata è finita male.
Ho dovuto camminare intorno al tavolo del salone per un sacco di tempo, finché non è venuta F. e abbiamo mangiato la pizza. (e pure quella l'ho mangiata in piedi) Mi sono guardato allo specchio un paio di volte, ho messo gli indici sotto gli occhi e ho tirato giù la pelle per vedere che effetto faceva. E ho respirato a lungo, naso-bocca, naso-bocca, per togliermi la nausea e fermare la vorticosa terra: ho un video di me stesso, risale ad almeno tre anni fa, in cui cammino alle 4 del mattino in camera mia alzando e abbassando le braccia: è quello che faccio, camminare, ogni volta che sono ubriaco. Perché come mi fermo, vomito. Me lo sono fatto da solo, quel video.

L'altra sera con Andy Capp è finita male: ci siamo ubriacati a metà pomeriggio per festeggiare un lavoro finito e finalmente anche pagato. Io non lo so perché la gente si debba ubriacare per festeggiare: quello che so lo so per bocca di Omer Simpson il quale dice che l'alcol altro non è che la causa di – e la soluzione a – tutti problemi della vita. Io amo Omer Simpson: amo quello che fa e come lo fa. Per me non dovrebbe esserci bisogno di nessun altro modello imitativo se non, appunto, Omer Simpson che riesce contestualmente ad amare se stesso, egoisticamente, e la sua famiglia nella stessa misura. Comunque non è di Omer Simpson che volevo parlare, a parte il fatto che sia Andy Capp che io, dopo sei Cuba Libre, eravamo gialli quasi quanto lui, quanto Omer Simpson.


Ho detto "sei" Cuba Libre non per intenderne "tre" o "quattro" o, genericamente, "un po'". Ho detto "sei" perché è quello che abbiamo fatto: ci siamo bevuti sei Cuba Libre. A testa. Il che non è né intelligente né sano, me ne rendo conto, ma il fatto è che avevamo un sacco di cose di cui parlare e molte cose per cui fare tintinnare i bicchieri. Ce li siamo bevuti tutti di gusto. Nella mia cucina: è stato bellissimo bere i Cuba Libre nella mia cucina. Sul tavolo ci stava: una bottiglia di Ron bianco (il vero Cuba Libre è col Ron bianco, bando alle ciance), una bottiglia di Coca Cola (il vero Cuba Libre è con la TropiCola, non con la Coca Cola, ma qui in Europa la TropiCola non si trova neanche da Castroni, quindi nisba), un bicchierino con dentro un po' di lime spremuto e una vaschetta di ghiaccio abbondante. Non eravamo né comodi né belli, però eravamo noi. Eravamo veri e a un certo punto, tra il quinto e il sesto Cuba Libre, abbiamo chiamato Fede ché anche lui stava bevendo, però a Ponte Milvio e invece noi nella mia cucina, aggratis, e allora gli abbiamo detto: "Fede, noi siamo completamente ubriachi nella mia cucina, perché non vieni anche tu?", al che lui ci ha risposto: "Maddeché, sto a Ponte Milvio a bere pure io, ci sentiamo dopo", e quindi abbiamo continuato a bere ognuno per conto proprio, finché, circa mezz'ora più tardi, non abbiamo mandato a Fede un sms in cui gli abbiamo scritto: "Stiamo a magnà mortazza", perché era esattamente quello che stavamo facendo, ovvero mangiare mortazza, mortadella, con il pan carré del mulino bianco, "una cosa da alcolizzati" ha detto Andy Capp a un certo punto, però era bello essere alcolizzati per un momento, per un pomeriggio di fine estate, col campionato di calcio già iniziato e l'abbronzatura già mangiucchiata dalla vita di città e dal lavoro, era bello essere ubriachi mangiando mortazza, alle 7 e 30 di sera, mentre fuori ci stavano tutte le macchine che si parcheggiavano a fine giornata, e la gente tornava a casa tra le cacche di cane.

Abbiamo brindato a un sacco di cose, davvero, certe serie, altre meno. Per esempio, tra quelle serie, abbiamo brindato a Carlo Verdone. Noi amiamo, stravediamo per Carlo Verdone: "Je vojo troppo bene" ho detto io a un certo punto. E Andy Capp ha aggiunto: "Il nostro modo di parlare, le nostre battute, qualsiasi cosa diciamo, ha a che fare con i film di Carletto" e da lì ne abbiamo tirata fuori una sfilza di film di Carletto, e io gli ho raccontato, ad Andy Capp, che sul sito suo  ci stanno un sacco di cose stupende, tipo le canzoni di Morricone di "Bianco, Rosso e Verdone", il tema di Marisò, e tutte le scenette più divertenti, per esempio quella dell'Aci di Furio, il personaggio comico di Verdone meno amato da Sergio Leone, insieme a un sacco di scritti suoi, di Verdone, uno su tutti quello in cui racconta la sua storia con Alberto Sordi, un altro che noialtri romani teniamo stretti sul cuore ogni volta che apriamo bocca o facciamo qualsiasi cosa. Abbiamo brindato a queste cose qui, a Verdone in particolare, ad "Acqua e Sapone" che io, ubriaco di sei Cuba Libre, non riuscivo a ricordare il titolo e allora a un certo punto ho detto: "Aho, quello che c'ha una cosa tipo er sapone ner titolo", perché noi, quando siamo appena appena brilli, ma che dico?, noi, appena ci allentiamo il nodo della cravatta, parliamo subito in romanaccio e facciamo proprio come Verdone in uno di quei film lì, a metà strada tra la timidezza e il dominio dell'universo e ci sentiamo bene, benissimo, ci diciamo un sacco di cose sulle donne che non dovrebbero essere dette e poi, sempre tornando sul discorso Verdone, che è stato il leit motiv dell'ubriacatura epocale, ci siamo trovati tutti e due d'accordo, Andy Capp ed io, che un altro grande romano, invece, non ha mai raggiunto le vette del collega e amico e cognato: Christian De Sica.

Uno con quel nome, ci siamo detti, lo ha mai fatto un film veramente indimenticabile? Ci abbiamo pensato, ravanando nella nostra memoria trash il più profondamente possibile e ci siamo detti no, a parte i primi "Vacanze di Natale" che però erano corali, fatti di tanti protagonisti, niente affatto "De sica-centrici", come invece sono tutti i più grandi film di Verdone, ecco, a parte, volendo proprio fargli una concessione, quei primi "Vacanze di Natale", si può dire che De Sica, a differenza di Carlo, non abbia mai fatto un film degno di passare alla storia degli uomini.

Comunque poi la mortazza è finita e io ho telefonato per farmi portare la pizza, boscaiola bianca per me e margherita per F., ed Andy se n'è andato a casa a mangiare la pasta, e dopo un po' è arrivata F. e abbiamo mangiato la pizza, io in piedi, perché sennò vomitavo, e poi ci siamo messi sul divano e abbiamo visto su Sky "Febbre da cavallo" commentando tutte le scene in romanaccio - si vede che era una serata così - e a me, che stavo perdendo l'ubriacatura poco a poco, m'è sembrato che, tutto sommato, non lo so, non mi ricordo bene cos'ho pensato, però mi è venuto da rannicchiarmi sul divano.

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(Il Resto del Carlino)

Cagnazz è il Mickey Mouse dell'era moderna e le tavole dei Neuroni, arte pura.
Topolino)

Un sito dai mille risvolti, una miniera di informazioni, talvolta false, ma sicuramente ben raccontate.
(PC professionale)

Un altro blog è possibile.
(Diario)

Lunghissimo e talvolta confuso nella trama, offre numerosi spunti di interpretazione. Ottime scenografie grazie anche ai quadri del Dovigo.
(Ciak)

Scandalo! Nemmeno Selvaggia Lucarelli ha osato tanto!
(Novella duemila)

Indovinello
Sarebbe pur'esso un bel sito
da tanti ragazzi scavato
parecchio ci avevan trovato
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(La Settimana Enigmistica)

Troppo lento all'accensione. Però poi merita. Maial se merita!
(Elaborare)

I fighetti del pc della nostra generazione. Ma si bruceranno presto come tutti gli altri. Oh yes!
(Rolling Stone)

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