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E' tutto un equilibrio sopra la follia
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Io dico che bisogna essere dei completi idioti se tra tutti i giorni del carnevale si sceglie proprio il martedì grasso per andare a Venezia in treno con i bambini piccoli. Per poi lamentarsi che non si riesce a salire perché è troppo pieno, dove per troppo pieno si intende che la gente dentro non occupa solo il corridoio centrale ma anche i posti tra i sedili dove di solito stanno le gambe delle persone sedute come me, che dormivo e un signore mi ha bellamente appoggiato il gomito in testa e io che sono una persona riservata ed educata e non mi piace fare polemica sui treni specie quando c'è già il caos e nervosismo diffuso ho solo alzato la testa guardandolo come dire ma-che-cazzo! E la gente che vuole salire lo stesso e vuole passare oltre - oltre dove signora? siamo tutti qui pressati non può andare oltre - e quello che sbuffa e la bambina si lamenta che ha caldo e non respira e ha già la mascherina addosso e si scioglie il trucco e io mi chiedo razza di genitore coglione come mai proprio oggi con tanti giorni che hai avuto per venire a questo benedetto Carnevale di Venezia o per mostrare Venezia ai tuoi figli, perché proprio il martedì grasso hai dovuto scegliere, quando la città è nel suo momento più orribile e caotico, ci sono i sensi unici di marcia a piedi, si gira in un unico serpentone in coda, i prezzi sono tutti gonfiati e le frittole con lo zabaione terminate.
Tutto questo per segnalare in realtà che mentre il treno arrivava tronfio a Padova e io mi pregustavo l'apocalisse di ulteriori mascherati che volevano salire forse spingendone fuori altre come certe scene di vecchi film, Trenitalia ha annunciato un treno aggiuntivo per Santa Lucia, in occasione del Carnevale. Sta a vedere che finalmente alcune piccole cose di buon senso in questo paese iniziano a succedere davvero. Forse doveva arrivare Monti per darci una sferzata.
Questa mattina a colazione chiacchierando con mia nonna scopro infine il principale motivo per il quale sono nato e vivo a Ferrara, avendo metà parenti in Lombardia e metà in Abruzzo. E la storia ha dell'incredibile.
Mio nonno materno era nella Polizia Stradale, categoria che da bambino mi affascinava molto e dalla quale invece oggi mi guardo bene quando sono al volante, pensando sempre di commettere qualche errore o reato che mi costi multe salate. Erano gli anni '50 e Beppe si trovava in servizio a Reggio Emilia. Guidava la moto, faceva i rilievi sulle statali, qualche incidente, multe da fare, cose così. Il ricordo che ho di mio nonno non combacia con quello di un poliziotto di oggi. Il rigore e la compostezza erano valori che gli appartenevano, ma in casa era sempre una persona buona e gentile, niente a che vedere con certa arroganza e prosopopea tipica da caserme e simili. Da certi atteggiamenti e chiacchiere all'interno della Polizia venne fuori che il Capitano del comando, il capo tra gli altri di Beppe, era ghéi. Dice proprio così la nonna raccontando, con la e aperta lombarda e una parola a lei insolita. Forse all'epoca avrebbero detto effeminato, tuttalpiù omosessuale.
Lo immagino discriminato e deriso il Capitano, in una società che non era pronta a certi atteggiamenti ancora oggi faticosamente vissuti in certi ambienti, figuriamoci tra la dirigenza di una centrale di Polizia negli anni '50. Venne segnalato in maniera anonima alla sede centrale e questa cosa gli rese la vita più complicata perché un conto è una voce, un conto una chiacchiera o una burla, ma se qualcuno fa rapporto su un aspetto della vita privata di un uomo diventa una mezza verità. Diventa un outing non richiesto.
Forse per via che Beppe era nelle mire del Capitano e non ricambiava certi atteggiamenti e attenzioni venne tacciato insieme ad un collega di essere il responsabile della segnalazione ai piani alti, atto che tuttavia non aveva compiuto. Il Capitano ghèi decise per punizione di trasferirlo ad altra sede. Ferrara era una città di provincia decentrata ed ancora piccola, una sede che nessuno richiedeva e nessuno ambiva particolarmente, nonché città natale del Capitano. Lì venne mandato il nonno Beppe, con due figlie piccole, una moglie al seguito e quaranta giorni di tempo.
Lì nacqui io, quasi trent'anni dopo. Ferrarese per colpa di un capitano ghèi.
"Hai visto che ho usato anche l'Helvetica? Che brava eh?"
Sms, mail, segnalazioni sui social network di casi d'uso e tesi sull'argomento. Questa mia mania per il carattere Helvetica inizia ad essere nota anche ai sassi. Mi aspetto da un momento all'altro che anche mia nonna scelga i biscotti per la mia colazione mattutina sulla base dei font sulla confezione. Mi rendo conto di essere una persona orribile quando trovo le cose scritte in Helvetica Neue e faccio gli occhi a cuoricino, o quando spiego agli amici come riconoscere Helvetica dall'Arial guardando i particolari di alcune lettere. O quando trovo scritte in Comic Sans e mi lamento a voce alta come se avessi trovato una mosca nella minestra o mi avessero fatto uno sgarbo gravissimo. Per tutti quelli che hanno vissuto quei momenti, mi scuso per gli episodi passati e per quelli che verranno, almeno fino a quando Microsoft non ritirerà da questo pianeta il suo font peggio riuscito di sempre.
Mi piace camminare nella neve, pensavo ieri recandomi nel lungo tratto tra casa e ufficio: circa cinque minuti di pensieri congelati in solitaria guardando le nuvolette di alito e le signore anziane fare piano per non cadere sui lastroni di ghiaccio. Mi piace camminare nella neve con gli scarponi che metti una volta ogni qualche anno, se vai in montagna a fare la settimana bianca, ma tanto chi ci va più. Mi piace fare stomp stomp stomp e lasciare le impronte sulle croste ghiacciate, sulla neve fresca, su quella sporca e quella battuta da altri piedi e troppe macchine.
Stomp stomp stomp.
Vestito come un pellegrino con i pantaloni di lana pesantissimi che metti una volta all'anno quando c'è neve o troppo freddo per i jeans. E lo zaino in spalla, la berretta che fa di me un imbacuccato ridicolo cui improvvisamente non interessa più niente di chi c'è in giro, chi si potrebbe incontrare, chi passa di fianco. Testa bassa a guardare dove mettere i piedi.
Stomp stomp stomp.
Sembro l'Eternauta, che si fa largo nella neve sfidando il vento e i fiocchi che cadono leggeri e silenziosi. Perchè i fiocchi non fanno rumore e rubano anche quelli degli altri. Forse li mangiano. Infatti non vola una mosca ed è tutto ovattato, persino le macchine fanno sfrush sfrush e scivolano morbide come il pinguino nella caverna di fight club. Alcune hanno le catene e fanno crac crac crac spezzettando il ghiaccio sottostante in finissimo mojito, passasse qualcuno subito dietro con rum e mentuccia.
Stomp stomp stomp.
Davanti all'ufficio i ragazzini giocano a palle di neve - e non potrebbero fare altrimenti visto quanta ce n'è - così vengo preso dal raptus di fermarmi a giocare un momento con loro. Non capirebbero. Darei fastidio. La signora spala la neve dal terrazzo, non è che me la presta? Quando passo sotto il suo balcone si ferma per un attimo, per evitare di ricoprirmi buttandola giù. Mi ricopra pure, signora, così mi sveglio!
Stomp stomp stomp.
Il generale nella neve ha completato la sua breve ma onesta missione. Entra trionfante nel fortino. Non volevo inzaccherare tutto l'androne, penseranno senz'altro che sono stato io. Come hanno fatto gli altri ad entrare oggi senza sporcare? Forse dormono ancora tutti.
Plotch plotch plotch.
Lascio gli scarponi fuori a fianco dello zerbino. Ho lasciato acceso il riscaldamento un giorno e mezzo in mia assenza e appena entro gli occhiali si appannano che sembra di stare in piscina. Il vetro ha fatto persino la condensa. Devo avere esagerato, il pavimento è tutto bello caldo che concilia il sonno. In calzini, concedo un pisolino ai piedi.
Per coloro che non hanno mai sentito parlare di Splinder, o sono sul web da troppo poco tempo, gli basti sapere che quella che chiude oggi i battenti dopo circa undici lunghi anni è stata la più grande piattaforma di pubblicazione per blog in Europa degli anni Zero. La più diffusa in Italia prima dell'avvento di WordPress, la più vasta community di scrittori in erba, appassionati, grafomani, giornalisti, scrittori e disperati. Tutti i blogger negli anni hanno a suo tempo iniziato a scrivere sulla rete aprendo un blog su Splinder prima di mettersi in proprio comprandosi un dominio nomecognome.net. Hanno passato le giornate a leggere blog su Splinder, commentare blog su Splinder, linkare blog su Splinder.
Per quel che mi riguarda si è trattato per anni della principale attività alternativa allo studio dell'Ingegneria, quella che ha causato notti insonni, appelli mancati, distrazioni in aula, chiacchiere al pub e organizzazione di eventi smandrappati.
Perché c'è stato un tempo - in cui non esistevano i social network e nemmeno YouTube - in cui ad un gruppo sempre più ampio di persone venne la mania di aprire un blog per raccontarsi e per raccontare qualcosa. Erano i primi anni del Duemila e come per incanto sulla rete si potevano intavolare discussioni bellissime, approfondire concetti, raccontare storie, aggregarle, mescolarle, ascoltando quello che i lettori avevano da dire e a loro volta da proporre nei rispettivi blog. Ognuno produceva contenuti e ne fruiva altri, in uno scambio enorme di conoscenza, sensazioni, idee messe nero su bianco.
Ovviamente all'inizio scriveva solo chi aveva qualcosa da dire, per lo più aspiranti scrittori ed addetti al mestiere come giornalisti o addetti stampa, ma anche molte ragazzine che tenevano un diario virtuale al posto di quello con il lucchetto nascosto in un cassetto. C'era parecchia qualità in giro, mescolata ad una buona dose di cosiddetta fuffa.
Ci si conosceva fuori dalla rete alle blogfest, alle blogcene, e ai blograduni, che sembrano nomi ridicoli ma dietro c'erano persone che nella vita reale abitavano in posti lontanissimi e quando si incontravano di persona quelle poche volte l'anno avevano un sacco di cose da dirsi perchè conoscevano l'uno dell'altro interi scampoli di esistenza letta tra le righe di un blog.
Noi nel nostro piccolo eravamo una piccola perla di blog, cari i miei quindici lettori. Ci leggevano in centinaia ogni giorno, avevamo un programma su una webradio, stampavamo un giornalino, andavamo ai raduni e ne abbiamo persino organizzato uno un po' bucolico ai Giardini Margherita di Bologna dove si è finito per giocare a bandiera come quando eravamo ragazzini.
Eravamo quasi famosi. Una volta hanno riconosciuto me ed Attimo per strada a Bologna e la cosa ci aveva fatto parecchio ridere per quanto fosse assurda. La cosa che ci distingueva, fin dagli inizi quando eravamo ancora su Splinder, era avere un blog a più voci che unisse l'Italia da nord a sud. Idea certamente non nuova, ma siamo stati un po' come il Parma di Scala, pieno di talenti incredibili che sono passati e negli anni hanno avuto successo e fortuna altrove.
Tra gli oltre 50 collaboratori persone che abbiamo avuto la fortuna di incontrare e con cui collaborare come Francesco Costa, oggi in forza al Post, Francesco Locane, conduttore di Radio Città del Capo, Margherita Ferrari, Mauro Zucconi, Marco Bertollini, Gabriele Capasso (che non ha un blog di riferimento ma oggi scrive per TvBlog e CalcioBlog) e tanti altri che negli anni sono passati da uno pseudonimo sulla rete a scrivere libri veri e propri o a collaborare per riviste e giornali vari. Questo grazie anche a Splinder, principale piazza di ritrovo in quegli anni.
Abbiamo intessuto relazioni tra persone, avuto opportunità di lavoro, incluse le attuali professioni per molti di noi, incluso il sottoscritto. Quello che era un gioco è diventato un lavoro a tempo pieno e una palestra dove esercitare l'arte del web design, del marketing, e in generale di ogni aspetto che ruota attorno alla comunicazione e all'informatica.
Abbiamo conosciuto ragazze, ci siamo fidanzati, mollati, desiderati, frequentati per un po' e poi buttati via. Abbiamo fatto sognare qualcuno per quello che abbiamo scritto e abbiamo sognato una sconosciuta dalla penna tagliente per poi scoprire che nella vita reale eravamo entrambi anche qualcos'altro, con i nostri difetti e i nostri non detti.
Splinder insomma è stata lo specchio dei nostri anni Zero, quella che ha custodito i nostri pensieri più profondi e più sciocchi, il nostro desiderio di comunicare qualcosa con il mondo fuori, ma anche colei che ha costruito le nostre identità in rete, il nostro essere diversi a volte da come siamo nella realtà di tutti i giorni, in casa, al lavoro o con gli amici.
All'epoca sotto uno pseudonimo, oggi con nome e cognome come i moderni social impongono, molte delle nostre presenze online si sono costruite negli anni attraverso le parole che abbiamo scritto sui blog, le cose che abbiamo raccontato e quelle che abbiamo taciuto. Siamo diventati grandi insieme a Splinder e grazie a lei molti di noi ancora oggi adorano scrivere, raccontarsi e non buttarsi via. Rintanati da qualche parte al sicuro dietro uno schermo, proprio come allora.
Ci siamo ancora quasi tutti, sparsi qua e la come dieci anni fa, prima che arrivasse la grande onda dei blog e la piazza di Splinder a riunirci qualche anno per poi disperderci di nuovo. A voi il difficile compito di scoprire dove siamo finiti, come ci chiamiamo oggi, e se siamo ingrassati un po'.
Tra le tante cose che questa mattina leggerete in giro sulla scomparsa del caro Presidente Scalfaro, forse la più incredibile sarà di quella volta che Oscar Luigi venne sfidato a duello (!) e fece incazzare Totò.
Considerato persona di rigide vedute in tema di morale fu protagonista il 20 luglio del 1950, all'inizio della sua attività parlamentare, di un episodio che fece molto scalpore, poi divenuto noto come "il caso del prendisole".
Il fatto ebbe luogo nel ristorante romano "da Chiarina", in via della Vite, quando insieme ai colleghi di partito Sampietro e Titomanlio Scalfaro ebbe un vivace alterco con una giovane signora, Edith Mingoni in Toussan, da lui pubblicamente ripresa in quanto il suo abbigliamento, a parere dell'onorevole, era sconveniente poiché ne mostrava le spalle nude.
Secondo una ricostruzione de Il Foglio, la signora si sarebbe tolta un bolerino a causa del caldo e Scalfaro avrebbe attraversato la sala per gridarle: «È uno schifo! Una cosa indegna e abominevole! Lei manca di rispetto al locale e alle persone presenti. Se è vestita a quel modo è una donna disonesta. Le ordino di rimettere il bolerino!». Sempre secondo questa fonte, Scalfaro sarebbe uscito dal locale e vi sarebbe rientrato con due poliziotti. L'episodio terminò perciò in questura, ove la donna, militante del Movimento Sociale Italiano, querelò Scalfaro ed il collega Sampietro per ingiurie.
La vicenda tenne banco sui giornali e riviste italiane per lungo tempo: la stampa laica accusava Scalfaro di "moralismo" e "bigottismo", quella cattolica lo difendeva. […] Alla Camera furono presentate interrogazioni parlamentari nell'attesa di una delibera sull'autorizzazione a procedere (della cui competente Giunta Scalfaro stesso era membro) contro i due parlamentari a seguito della querela sporta dalla signora. Peraltro, poiché la Mingoni aveva dichiarato la sua militanza politica, nella richiesta di autorizzazione a procedere si afferma che dai parlamentari sarebbe stata chiamata "fascista" e minacciata di denuncia per apologia del fascismo. L'episodio fu raccontato dalla stampa anche in una versione secondo la quale Scalfaro avrebbe dato uno schiaffo alla signora.
Il padre della Mingoni in Toussan (un colonnello pluridecorato dell'aeronautica militare a riposo), ritenendo offensiva nei confronti della figlia una frase pronunciata da Scalfaro durante un dibattito parlamentare, lo sfidò a duello. Al padre subentrò poi come sfidante il marito della signora, anch'egli ufficiale dell'aeronautica. La sfida fu respinta, la qual cosa, risaputa pubblicamente, fece indignare il "principe Antonio Focas Flavio Comneno De Curtis", in arte Totò, del quale il quotidiano socialista Avanti! pubblicò una vibrante lettera aperta a Scalfaro. Nella missiva, il comico napoletano rimproverava a Scalfaro un comportamento prima villano e poi codardo.
«Ho appreso dai giornali che Ella ha respinto la sfida a duello inviataLe dal padre della signora Toussan, in seguito agli incidenti a Lei noti.
La motivazione del rifiuto di battersi da Lei adottata, cioè quella dei princìpi cristiani, ammetterà che è speciosa e infondata.
Il sentimento cristiano, prima di essere da Lei invocato per sottrarsi a un dovere che è patrimonio comune di tutti i gentiluomini, avrebbe dovuto impedire a Lei e ai Suoi Amici di fare apprezzamenti sulla persona di una Signora rispettabilissima.
Abusi del genere comportano l'obbligo di assumerne le conseguenze, specialmente per uomini responsabili, i quali hanno la discutibile prerogativa di essere segnalati all'attenzione pubblica, per ogni loro atto.
Non si pretende da Lei , dopo il rifiuto di battersi, una maggiore sensibilità, ma si ha il diritto di esigere che in incidenti del genere, le persone alle quali il sentimento della responsabilità morale e cavalleresca è ignoto, abbiano almeno il pudore di sottrarsi al giudizio degli uomini, ai quali questi sentimenti e il coraggio civile dicono ancora qualcosa.
principe Antonio Focas Flavio Comneno De Curtis»
(Avanti!, 23 novembre 1950)
Il processo per la querela non fu mai celebrato per l'amnistia del dicembre 1953.
(via Wikipedia)
Probabilmente non avete mai visto - davvero - un circo delle pulci. Attenzione, causa prurito!
Un giorno, per via del freddo, tutto lo smog che respiravano noncuranti divenne una massa grigia simile a neve. Allora finalmente videro, e capirono di avere esagerato con i macchinoni, le industrie, gli impianti di riscaldamento. E non fecero nulla, perché non c'era più niente da fare.
Rimasero a guardare la città ricoperta: in fondo sembrava pur sempre neve.
Guarda i muscoli del capitano, tutti di plastica e di metano.
Guardalo nella notte che viene, quanto sangue ha nelle vene.
Quando ho scoperto questo intenso pezzo di Francesco De Gregori facevo il liceo e devo aver preso quella piega romantica che ancora oggi riemerge nei momenti più impensabili. La prima immagine che mi veniva in mente era il famoso quadro di Friedrich, con il viaggiatore che guarda l'acqua frangersi sugli scogli, e pensa alla vita, all'infinito, e guarda dritto l'orizzonte senza paura.
Il capitano non tiene mai paura, dritto sul cassero,
fuma la pipa, in questa alba fresca e scura che rassomiglia un pò alla vita.
Mi piace quest'immagine romantica del capitano che con sguardo fiero, petto in fuori e occhi socchiusi dal troppo vento rimane là, sicuro di cosa deve fare, di come ci si deve comportare. Un esempio per tutti. Non certo come i capitani che ci sono oggi. Di romantico non hanno più molto. Forse rimane l'esperienza, ma in fondo governare una nave altamente tecnologica dev'essere piuttosto semplice finché le cose vanno per il verso giusto. Non è mica da questi particolari che si giudicano i capitani.
E poi il capitano, se vuole, si leva l'ancora dai pantaloni
e la getta nelle onde e chiama forte quando vuole qualcosa,
c'è sempre uno che gli risponde.
Ma capitano non te lo volevo dire,
ma c'è in mezzo al mare una donna bianca,
così enorme, alla luce delle stelle,
che di guardarla uno non si stanca.
Il capitano è rispettato e prende le decisioni per il bene di tutti. Quando ordina qualcosa il mozzo esegue senza discussioni, ma la settimana scorsa le decisioni non le ha prese lui o sarebbe andata molto peggio. Non ha nemmeno obbedito agli ordini dei suoi superiori a terra, il capitano Schettino. E' un capitano moderno: celebra i matrimoni a bordo, fa il piacione con le signore attempate, dispensa sorrisi a completi in saldo, a polo inamidate, a cravattini stanchi. Non si prende le responsabilità se qualcosa va male, ma è colpa sua se qualcosa è andato liscio come l'olio. E' un capitano italiano. Non è nemmeno questione di essere capitani: è semplicemente italiano, schietto, semplice e scaltro. Persegue il suo interesse da bravo cittadino.
Questa nave fa duemila nodi, in mezzo ai ghiacci tropicali,
ed ha un motore di un milione di cavalli
che al posto degli zoccoli hanno le ali.
La nave è fulmine, torpedine, miccia,
scintillante bellezza, fosforo e fantasia, molecole d'acciaio,
pistone, rabbia, guerra lampo e poesia.
Il problema, capitano, è quando hai per le mani una piccola città. Quando da te dipendono le sorti di migliaia di turisti e lavoratori. Quando hai tutto questo potenziale sotto il culo e lo manovri con la leggerezza di chi tiene un chiosco di gelati. Se si distrae lui al limite si scioglie della crema, ma se lo fai tu, pluridecorato ed apprezzato professionista del mare, va a finire male. Ed è andata a finire anche bene, capitano Schettino, dalla tua idea di avvicinarti a riva per fare un salutino fino alla tua fuga alla chetichella per salvare le venerabili chiappe. Ti è andata bene che alla fine non sei dovuto tornare a bordo come ti hanno chiesto al telefono. Hai detto si, si, ora vado e poi sei rimasto giù perchè era buio e stava affondando tutto e l'ultimo dei tuoi pensieri era voler andare a picco con la tua nave, capitano. Non sei certo un eroe romantico come quello di De Gregori. Sei italiano, si salvi chi può, ognuno pensi per se stesso, come ci ha insegnato la peggiore classe dirigente di un paese europeo dal dopoguerra ad oggi.
In questa notte elettrica e veloce, in questa croce di Novecento,
il futuro è una palla di cannone accesa e noi la stiamo quasi raggiungendo.
Il vostro futuro è tutto qui: un gigante riverso davanti un'isola bellissima che ora ha paura di quello che succederà, se il gigante vomiterà olio nero, se i rottami inquineranno le acque e la gente e i media non lasceranno l'isola alla sua tranquillità. Cent'anni dopo il più grande disastro marino della storia un incidente moderno che si poteva evitare, capitano, fossi stato meno cocciuto, meno sbruffone, meno sicuro di te, che in fondo non lo eri proprio per niente se al tuo confronto un tuo superiore che ti intima di fare il tuo dovere diventa addirittura un eroe, quando ha semplicemente svolto il suo compito in maniera ordinata e precisa. Forse hai peccato di superbia pensando di poter governare quella barchetta come volevi. Forse le leggi della fisica per te non valevano. O siete tutti pieni di prosopopea voi capitani, e le cose vanno sempre a finire nello stesso modo.
E il capitano disse al mozzo di bordo
"Giovanotto, io non vedo niente.
C'è solo un pò di nebbia che annuncia il sole.
Andiamo avanti tranquillamente".