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Paolini – Teatro di Vita

Ascoltare e immaginare, solo in alcuni casi, diventano un'azione automatica e ipnotica. Quando l'oratore è particolarmente attento ai particolari, quando gesti, parole, sguardi, sorrisi vengono utilizzati completamente per raggiungere l'arte sublime del raccontare, solo allora, il pubblico rimane esterefatto. Non parla, non ride, non piange. Rimane semplicemente fermo, bloccato.Come sospeso tra due universi comunicanti. Non si rende nemmeno più conto di avere smesso di respirare, milioni di secondi fa. Gli occhi sono contornati da lacrime che non riescono a scendere, intimorite da quel silenzio quasi sacrale, preoccupate di creare un disequilibrio tra quegli spiriti che si stanno toccando, senza nemmeno immaginarlo. Un Oratore e una Platea. Un uomo che cattura l'immaginario collettivo, il Cuore delle sensazioni più intime del Corteo di emozioni camminanti verso di lui.

Questo è il Teatro. La parola Teatro racchiude un senso di antichità, qualcosa che ci rimanda ai Greci e ai Latini, agli albori della nostra Cultura. In questo tempo in cui Immagini, Suoni, Televisioni e Radio imperversano, senza più possibilità di dare una propria impronta alla storia che ci viene proposta (o alla storia che potremmo costruire insieme), il Teatro si propone come ultima spiaggia per quei reduci della guerra contro la Globalizzazione della Fantasia.
A una persona vorrei rendere omaggio una volta per tutte, perchè è grazie al suo lavoro che io sono così. Anche se l'ho conosciuto poco tempo fa (un mio amico ha sempre affermato che "le cose intelligenti arrivano sempre, prima o poi, alle persone intelligenti"), è riuscito a formare il mio senso del Civile, della Cronaca, del Ricordo. Sensi già spiccati di per se, ma arenati a una forma di scrittura quasi paleolitica. La mia scrittura ha modificato il suo corso, evolvendosi. Più chiara, più concisa, più diretta. Senza false emozioni, perchè ciò che stai raccontando ne è talmente intriso da non avere bisogno di frasi ad effetto per accaparrare l'attenzione del "pubblico" (lettori, in questo caso). L'attore (ma è molto di più di un semplice attore) di cui sto parlando è Marco Paolini.
Le opere che più sono conosciute di Paolini sono Ustica e racconto del Vajont, due descrizioni tragiche, sensibili, dolci, spaurite di due tragedie che hanno caratterizzato quest'Italia (l'italia che si innamora... ). Di Ustica ho anche trascritto dei pezzi su un numero di Albatros, per spiegare proprio quel Muro di Gomma Odiato che ancora esiste (non si riesce ad abbattere.. ). Un Uomo che riesce a trasformare 81 passeggeri di un volo caduto nell'oblio in Tigi. I Tigi. Un Popolo a parte, il popolo del cielo, con una propria tragedia. Tragedia nel senso Epico del termine. Trasforma la loro routine in morte, morte non annunciata ma sicuramente ottenebrata. Una morte priva di sepoltura.. Una morte accompagnata dai canti di Marini e company, che fanno da contorno alle Immagini di repertorio del Titanic dell'aria.
Un Uomo che riesce a portarci nei paesi di Longarone, che ci mostra nell'interezza Erto, Casso e tutta la popolazione contadina che viveva (Viveva, impossibile utilizzare un verbo al presente, per questo) in quei luoghi. Luoghi che oggi odorano di disperazione, di fatalità. Ma Fatalità umana, non ambientale, come tentarono di farci credere in molti, allora. E quando arriva il momento, quando l'eccidio è pronto, quando l'onda si alza e quando le persone vengono annientate.. Moriamo con loro. Sentiamo bruciare la pelle,abbiamo la sensazione di Evaporare. Di non essere più. Di scomparire. Di non avere più un corpo. Di non avere degna sepoltura. Di non potere più riposare.
Paolini ha questa capacità: non racconta. Mostra. Ogni suo gesto diviene azione. Azione collettiva, azione antica, azione presente, futura, attuale. Azione vera o azione inventata (perchè, come dice lui, ogni tanto deve fare del teatro, deve inventare per tenere alta la nostra attenzione). Un suo movimento non è un semplice gesticolare. Non è un semplice accompagnamento alle parole. Ma sono le parole che divengono Vita. E non ha bisogno nemmeno di un Teatro, se vogliamo. Le sue arti magiche sono così evolute che basta che una folla gli si sieda accanto, in un posto qualsiasi, in un'ora qualunque... che quella stanza o quella casa si tramuta in "Luogo per l'Orazione". Orazione Suprema, Sublime, Sempreterna (le Tre s della Sapienza).
Anche nei suoi Diari , di cui un giorno vorrei parlare più lungamente, ogni personaggio diviene oggetto della nostra quotidianità. Nicola, quel Nicola così timido e innamorato della bella Nora, sembra di averlo davanti. Jole, sono sicura di averla incontrata, una volta o l'altra. Forse in una manifestazione, la manifestazione del 25 aprile.
Ogni risata però ha un risvolto. Il risvolto dell'attualità. Perchè, come avete capito, Paolini è Denuncia. Così, tra un urlo, un "Mona" e un italiano biascicato Dialetto, la doccia fredda arriva. Non avvisa. A volte è supportata da un suono. A volte invece è solo il suo sguardo a cambiare. Ma l'effetto è lo stesso. Delirio di impotenza. Annichilimento. Oppressione dei sensi. Voglia di sbattere la testa contro il muro. Urlare agli indifferenti: Io C'ero! Ho visto!! Anche se, in realtà, non è così. Ma Sembra, dopo averlo sentito parlare. Come quando introduce la bomba in Piazza della Loggia, a Brescia. Anche lui, che non c'era, che era a casa, l'ha vista. Con gli occhi dell'incredulità che ci stanno accomunando perchè, anche se sono trascorsi vent'anni, vediamo traditi i nostri giochi, i nostri ideali. Come può esserci il sangue in mezzo alla nostra voglia di amore? Come può in questi favolosi anni settanta...
Ma, un attimo, fermi. Non siamo negli anni settanta. non più. Avevamo dimenticato quale fosse la nostra connotazione.
E' la magia di Paolini.
Che riesce a portarci fino al fiume Donn, insieme ai morti,Italiani, per niente. Sentiamo il freddo, la neve imperversa e camminiamo. Come dei Charlot involontari, perchè quel cammino è difficile, frammentario. Soprattutto non voluto.
E le urla, i comandi, i tamburi, le morti, gli spari... sentiamo tutto questo. Siamo in guerra. E trasformiamo questo caos che imperversa in una strana musica che ci aliena, che ci rende inermi e piccoli, in mezzo a una storia troppo grande per noi.
Paolini, questo è. La storia del mondo personificata, il Male di vivere che si ribella, che ci grida che la vita è bella ma che bisogna sempre capire, ricordare, sviscerare,domandare, Dubitare. Dubitare anche di lui, che non vuole essere trasformato in portatore di verità, ma essere solo un mezzo per il Dialogo, con le vittime che urlano giustizia.
Dubitare anche delle proprie percezioni, a volte, perchè solo il tempo riuscirà a farci capire cosa accadde. Ma il tempo deve essere sposato con le emozioni, perchè solo l'indignazione viva può portare giustizia e Novità Vera in un mondo oramai perso in se stesso. Un mondo che trova rifugio solamente nelle parole e nella penna di un attore, che si trasforma in cantastorie e che ci parla di se per parlarci di noi.
Siamo un racconto collettivo, siamo vite intense ridotte in cenere da chi, da qualche parte, comanda e non pensa. Comanda e non ama. Comanda e... uccide.
Che il cammino del soldato entri dentro di voi. Che i "violentati dal Rumore" (perchè Vajont è stato anche RUMORE!! Chi vi ha mai parlato di questo? Chi mai vi ha fatto ascoltare quel frastuono, quel fragore che ha anticipato la Nostra morte!!) non siano rimossi dalla vostra coscienza. Che non smettiate mai di domandarvi: chi ha messo quegli oggetti sugli alberi? guardando i resti (pochi) che addobbano la flora del territorio di Longarone..
Che non smettiate mai di ripetervi che I Tigi siamo noi..
Tornate pure a respirare. Siete di nuovo a casa. Ma, vi prego, non dimenticate.
 

Che cos’è l’amor?

Non è l’amor che fa soffrire, ma la sua assenza. Alessandro Morandotti.

Che cos’è l’amor? Forse è poter dire, con tono deciso e netto, “Io sto come mi pare”. Perché dalla Liberà nascono i fiori più belli, più colorati e gioiosi. Poco importa se il fiore ha vita breve. Chi dice che il segreto della felicità sia la durevolezza? Già la parola stessa, “durevolezza” non è scorrevole. Quasi aspra, poco serena. Molto cruda.


Forse il punto di vista di questa scrittrice è deviato da un bisogno e un vizio del suo carattere: legare l’amore alla felicità. Si può essere felici senza amore. Non ne sono convinta, ma credo sia per un’instabilità intima.

Comunque non sono qui per parlare di me ma per risolvere il dannato quesito. Che cos’è l’amor?
Cesare Pavese scrisse che “L’amore è desiderio di conoscenza”.

Shakespeare consigliava a Romeo di amare con accortezza, di centellinare i sentimenti. Le passioni cocenti sfumano all’alba. Bruciano. E dopo, ecco che tutto si trasforma in niente. Poi c’è Dante che idealizza talmente la sua Beatrice da collocarla in Paradiso. Ma nemmeno questo è salutare. Si rischia di perdere di vista la realtà. E cadere dall’alto dei cieli, precipitare sulla spoglia terra da altezze vertiginose.. è doloroso.

Ci sono rapporti di dipendenza. Quelli che hanno la maggior parte delle persone. O stessa mi trovo a combattere con l’annullamento della mia persona, per l’altro. Forse è perché sono tendenzialmente depressa. Forse perché mi piace la tristezza. Ma questa è un’altra storia, scriverebbe Micheal Ende.

Poi c’è Vonnegut che trova che sia possibile riversare l’amore su tutta la folla, indistamente. Così scrive in “Dio la benedica, Mr Rosewater”:
 

“Io ti voglio bene”.

Risuonarono altre bestemmie, rese più aspre dal fatto che il senatore era prossimo alle lacrime.
“Perché bestemmi quando dico che ti voglio bene, papà?”
“Tu sei un uomo che sta a un angolo di strada con un rotolo di carta igienica, e su ogni pezzo stanno scritte le parole: “Ti voglio bene”. E ogni passante, chiunque sia, riceve un pezzo tutto per  sé. Io non lo voglio il mio pezzo di carta igienica”.

 
Che cos’è l’amor?
L’amore è una cosa meravigliosa, più dell’arte, così scrisse Oscar Wilde.
(cos’è ce ti trascina fuori dalla macchina? Cos’è che nella notte fa telefonare?).

Comportamenti al limite della schizofrenia. Gente che si prende e si lascia, posseduta dalla personalissima nevrosi che riversano sull’altro. Tutto è normale. La rabbia, dopo i primi periodi di effusione, diviene protagonista assoluto del rapporto di coppia. Non lei, non lui. Insoddisfazione, nervosismo.

E Poi c’è il proibizionismo. Quello dell’emozioni. Il dover far scegliere, l’obbligare alla rinuncia. Il senso di colpa coattivo.
“Mi amavi tanto da distruggere tutte le speranze o gli ideali che io abbia mai avuto”. Sempre Kurt Vonnegut.
Ci sono uomini che vivono vite di quieta disperazione. E tutto perché pensano (pensiamo) con una metrica che non ci appartiene più. Conformismo, l’imporsi azioni che oggi sono solo consuetudine obsoleta. Coppie che non si lasciano mai, che – come direbbe un De Carlo o un Nick Hornby – necessitano di costante contatto fisico, per non perdersi mai di vista.

Eppure una vacanza solitaria non gioverebbe a entrambi, per esempio?
Piccole soluzioni per risolvere la noia dell’amore.
Perché l’amore annoia, dopo  un po’. E rinnovarsi diventa sempre più complicato, mese dopo mese.
Io sto come mi pare.

Questa è la frase che Carlo Molinaro fa pronunciare ad Ara, protagonista del suo romanzo (e la frase è anche il titolo dell’opera). Ara è insieme a Dodo. Hanno anche una figlia, Rita, e sono sposati. Tutto tranquillo, diranno i perbenisti borghesi. Invece no…
Dodo ha cinquant’anni, non ha un lavoro fisso e passa da una donna all’altra. Ama dire che non ha mai lasciato nessuna ed è propriamente così. Nel suo mondo c’è posto per ognuna delle ragazze che ha amato, sia per un secondo che per mesi e mesi. Ara è la sua preferita e la donna che ama, ma questo non gli impedisce di amare anche altre persone.
Ara ha vent’anni e lavora come puttana. Non è una puttana, semplicemente le piace come lavoro. Diventa anche pornoattrice, tra le altre cose. In più, non solo ama Dodo ma passa da un uomo all’altro. Si innamora anche di altri, senza alcun problema.
Perché qui sta la genialità del pensiero di Molinaro: il loro amore, scrivo, è ad un livello della scala evolutivo più alto. Perché loro riescono ad “amare l’innamorarsi dell’altro”. Insomma, sono entrambi felici se il compagno (o la compagna) ha una nuova luce negli occhi per qualcun altro. Perché, tanto, l’amore tra loro è talmente vero e profondo e consolidato da non poter essere intaccato.
Questo è l’amore. Essere liberi di essere come meglio si crede, in qualsiasi modo. Ara non E’ una puttana, come Dodo non è un impiegato. Esistono solo libere scelte ed ognuno deve essere accettato così come è.
Facile da dirsi… ma chi di noi accetterebbe che la propria compagna facesse la puttana.. senza considerarla tale? E chi sarebbe anche solo tollerate se il compagno andasse con chiunque altra?
Dodo E Ara si presentano a vicenda anche i loro temporanei compagni. Quando si sposano, saranno proprio loro amanti a fare da testimoni.
Ed il matrimonio non ucciderà questo pensiero. Tutto trascorre placido e sereno, come prima.

Leggendo la mia coscienza è stata turbata. Altrimenti non sarei qui a scrivere. Che tipo di amore sviluppo? E’ amore il mio? E lo è quello di Carlo? Io sto come mi pare è una bellissima frase… ma quando ci sono in ballo i sentimenti, non è forse un po’ superficiale. L’atto sessuale vario quanto vale, se non legato al sentimento? E quanto è importante per la felicità dell’essere umano?

E’ vero che una dieta alimentare varia rende il corpo più sano. Ma perché mettere sullo stesso piano sesso e cibo? Insomma, cambiare uomo ogni tre ore porta più gioia? Se sì, perché?
Chi non tradisce e si mette dei paletti è solo un perbenista sciocco?

Molinaro in una sua poesia, rende bene l’idea di quanto ha scritto in quasi cinquecento pagine. Poche parole, ma che riassumo la concezione dell’amore da parte di quasi la totalità del genere umano.

Personalmente, non mi so decidere… Che cos’è l’amor? …. È un sasso nella scarpa?

SPAZZOLINI, AMORE, SOLITUDINE E ALTRE COSE

Io le persone le terrei tutte:

certo che le terrei tutte,

non sono mica spazzolini da denti le persone:

gli spazzolini li usi uno alla volta,

poi li butti, ma le persone no:

io le persone le terrei tutte

e le ragazze le terrei tutte,

ma non si può. Le ragazze preferiscono

essere spazzolini da denti, essere

usate una per volta: quando dico

che non ho mai lasciato una ragazza

s’imbestialiscono e lasciano me:

e in fondo anche gli amici fanno un po’ così,

la gente preferisce essere spazzolini da denti

che li butti quando non vanno più

ma li usi uno per volta e non due insieme:

io invece le persone le terrei tutte

perché non sono spazzolini, sono persone, cazzo!

E ragazze come alberi che non è necessario

sradicare gli altri se ne cresce uno nuovo:

c’è spazio nel giardino, e le ragazze

io le ragazze io le terrei tutte, persino

quando diventano non più tanto ragazze,

io le ragazze le terrei tutte,

per questo tutte, una alla volta, mi lasciano

e resterò solo come un cane, si dice così,

col mal di stomaco, coi denti non lavati.

           Barcelona, Catalunya, 2 agosto 2000

 

Per saperne di più di Carlo Molinaro visitate il seguente sito:
http://digilander.libero.it/molinaro/

Quilting = arte?

quilter.gifSo che siamo in clima mondiale e che un post su una riflessione artistica non sarà molto considerato, ma sento lo stesso il bisogno di esprimere i miei dubbi e di ricevere pareri in proposito.
Studiando sociologia dell'arte, ho appena letto un paragrafo sul quilting, l'arte delle trapunte. Questa attività è molto diffusa in America, nelle piccole comunità e si tramanda di generazione in generazione, viene svolta prevalentemente da donne, giovani e vecchie. Non ha nessuna velleità artistica, le trapunte servono per scaldarsi, ma uno dei più importanti sociologi dell'arte, le eleva a opere d'arte. Certamente differiscono dai quadri di Rembrandt o di Picasso, ma secondo lo studioso presentano molte affinità con alcuni pittori contemporanei.
Sinceramente non riesco a convincermi che una trapunta possa essere un'opera d'arte. Io amo l'arte contemporanea, mi affascinano gli artisti che usano oggetti quotidiano per le loro opere,  ma dietro a una coperta non noto niente, l'unica domanda che può suscitare è: sarà calda? L'unica sensazione che può trasmettere è quella di calore. Basta per considerla un'opera d'arte?
Eppure appenderla al muro non è come appendere un quadro? Dopotutto nel Rinascimento non appendevano arazzi alle pareti? L'arte degli arazzi è famosa in tutto il mondo, nel castello Sforzesco di Milano un'intera sala è dedicata a questo tipo di opere. Cosa cambia tra un arazzo e una trapunta?
Forse il disegno: associamo il primo a scene di caccia o a episodi della Bibbia, mentre nelle trapunte americane ci sono solo disegni geometrici. Ma anche artisti contemporanei usano disegni geometrici, per esempio Mondrian.

Ci sono tanti motivi per giudicare il quilting arte. Ma...
il dubbio rimane, questo è arte?

Provocazione

Fontana di Marcel Duchamp risale al 1917 ed è stata definita l'opera d'arte del Novecento
Fontana non ha bisogno di eccessive spiegazioni e non le fornirò di mia volontà, vi dirò solo che l'opera fu rifiutata e venne ritirata dall'esposizione.
Nonostante ciò cambiò ogni cosa.
Prima di dirti cosa ne penso io, voglio prima dare spazio alle tue opinioni. Si, mi rivolgo proprio a te, caro affezionato lettore dei post sull'arte, e anche a te lettore di passaggio.
Per una volta prima di assilarti con le mie lunghe argomentazioni, che confermano l'importanza e la bellezza di quest'opera, vorrei leggere i tuoi commenti, i tuoi pensieri.
Dopo tutto è solo un "impianto igienico"!

Due baci famosi

Francesco Hayez è l'autore di uno dei più celebri baci della storia dell'arte. Il quadro risale al 1859, in piena epoca romantica, è infatti il sentimento che predomina nel dipinto. L'artista è un milanese di adozione, si forma a Venezia e dopo un soggiorno a Roma, si trasferisce nel capoluogo lombardo, dove rimarrà fino alla morte nel 1882.
Il bacio è ritenuto il simbolo del Romanticismo italiano, in esso si può notare la grande carica espressiva e il realismo delle vesti e dell'ambiente. Una curiosità da evidenziare è la presenza di un terzo personaggio, di cui compare solo l'ombra a sinistra e che spia i due amanti, forse geloso del loro amore.
Il quadro si trova alla Pinacoteca di Brera, uno dei migliori musei d'Italia, gli spazi espositivi sono ampi e agevoli, le luci non interferiscono mai con la visione delle opere e ospita molti capolavori dell'arte italiana e straniera, fra i quali Caravaggio, Picasso, Braque, Modigliani e altri ancora.
Come non mettere a confronto il famoso Bacio di Hayez con l'altrettanto famoso Bacio di Gustav Klimt, pittore di poco successivo al precedente, ma così diverso nell'espressione?
Klimt è un artista austriaco, venne in Italia per studiare i mosaici a Ravenna, la sua pittura è luminosa, raffinata, elegante, con una forte componente decorativa.
Il bacio è uno dei suoi lavori più famosi, risale al 1908, nel periodo delle avanguardie e oggi si trova a Vienna alla Osterreichische Galerie. Le due figure si abbandonano al bacio in un'atmosfera avvolgente e affascinante.
Entrambi i quadri presentano la stessa posizione dei protagonisti: l'uomo è proteso in avanti in un atteggiamento di protezione e tenerezza nei confronti dell'amata, che si abbandona totalmente a lui. Il tema e il tipo di composizione è lo stesso, eppure i due dipinti sono profondamente diversi: il primo, con i suoi abiti medievali riinvia ai grandi amori narrati nella letteratura come Romeo e Giulietta o Paolo e Francesca, l'azione ha un suo contesto da cui non può essere scissa, è un bacio di addio o di riavvicinamento e cosa ancora più importante si tratta di un'emozione spiata; il secondo è un bacio libero da ogni condizionamento, rievoca il sentimento puro dell'amore senza contestualizzarlo, non è un bacio in particolare, è quello che ogni giorno ci ricorda l'amore.
Nonostante l'apparenza, sono due soggetti molto diversi e a mio avviso non bisogna preferirne per forza uno, si possono amare entrambi.

Uffizi: un’immensa collezione di opere d’arte

Non ero mai stata agli Uffizi! Essere una studentessa d'arte che all'età di 22 anni non aveva ancora visitato la galleria più famosa d'Italia incominciava a risultare abbastanza vergognoso. Così ho preso il  treno e ho trascorso un'intera giornata nella capitale italiana della cultura, dedicando più di tre ore a un'intensa contemplazione delle opere, che hanno reso celebre il  nostro Rinascimento.
Il museo non è così grande come si può immaginare, le opere sono disposte in ordine cronologico: dopo le antichità romane, ci si ritrova al medioevo italiano e si prosegue fino al barocco, seguito da qualche esempio di paesaggio del 1700.
Nella galleria, su cui si affacciano le sale espositive, si possono ammirare i ritratti dei personaggi storici più importanti, intervallati da sculture, finalmente si può associare un volto a tutti quei nomi letti sui libri di storia.
Nelle sale circostanti si possono ammirare i dipinti dei più importanti pittori italiani, da Piero della Francesca a Leonardo da Vinci, da Giotto al Beato Angelico.
La sala del Botticelli è il trionfo dell'arte. Le opere di questo artista avvolgono lo spettatore in un'atmosfera irreale, incantata; si osserva in silenzio, estasiati la primavera che danza nel boschetto, la Venere che nasce dalle acque e si rimane attoniti, quasi paralizzati di fronte alla dolcezza della Madonna del Melograno.
 

Nelle sale della Galleria si possono ammirare anche alcuni capolavori di arte fiamminga, non bisogna neppure dimenticare la presenza del ferrarese Dosso Dossi.

Al piano nobile, i dipinti di Caravaggio e dei suoi seguaci (nonostante la pessima illuminazione) concludono la mostra, lasciando nel visitatore una tranquillità e una soddisfazione non comuni a tutti i musei.
Un museo ben strutturato con una sola pecca: la LUCE. Spesso le lampade sono dirette sui dipinti a olio provocando un fastidioso riflesso.
I casi più eclatanti: la Nascita di Venere del Botticelli soffre del riflesso sul vetro di finestrelle che collegano la stanza alla galleria, ciò disturba molto la visione, ma probabilmente risente anche della posizione del sole nelle diverse ore del giorno, essendo la luce naturale a passare dalle finestre della galleria fino alla sala del Botticelli; il Bacco di Caravaggio si trova in una stanza non illuminata artificialmente, è molto buia e ciò compromette la visione dei particolari del quadro.
A parte questo, gli Uffizi meritano di essere visitati, in quanto costituiscono un perfetto quadro della pittura italiana dal medioevo al '700, comprendendo anche splendidi esempi di pittura straniera.

Aprimi

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Quando lo spettatore è importante

Ci sono lavori di artisti che mantengono la loro qualità di opere d’arte anche quando non c’è nessuno che li osserva, ma ci sono anche opere d’arte che hanno senso solo se uno spettatore le fruisce.
Dagli anni ’50, infatti, si sono sviluppate correnti artistiche cha hanno evidenziato l’importanza del fruitore. Ilya Kabakov è fra i primi artisti a mettere lo spettatore al centro dell’opera d’arte, inizia a formarsi una nuova forma d’arte che avvolge completamente il visitatore al suo interno e la cui funzione primaria diviene quella di avere un effetto su di lui. Quale piacere può provare una persona guardando un’opera artistica sapendo che è grazie a lei che questa acquista il suo senso e che appena si allontanerà da essa perderà ogni ragione di esistere?
Lo spettatore acquista un potere incommensurabile, ma allo stesso tempo nel momento di fruizione dell’opera si trova in uno stato di completa sottomissione all’artista. È quest’ultimo che, progettando il suo lavoro, ha calcolato in ogni particolare il movimento del visitatore e lo guida all’interno dell’opera, lo accompagna invisibilmente nella scoperta di emozioni nuove.
Tutto viene pensato per la persona che un giorno lo fruirà, ogni singolo oggetto, ogni colore, ogni odore o rumore viene inserito per il visitatore. Un’opera di Kabakov ha lo scopo di creare sorpresa in chi vi entra, è intitolata Die Toilette, ed appartiene alla categoria della doppia installazione, perché le sue pareti non coincidono con quelle del museo, ma sono state create apposta per racchiudere uno spazio entro cui il visitatore può muoversi. Dall’esterno si presenta come l’entrata di un comunissimo bagno pubblico, ma al suo interno si trova una casa completamente arredata, è un’abitazione abbandonata e lo spettatore si aggira con sospetto fra le stanze e prova un senso di disagio e di attesa in quanto una volta entrato ha l’impressione che il proprietario possa tornare da un momento all’altro.
Come si vede sono opere con cui l’artista gioca con lo spettatore, lo trasporta in un mondo diverso e si diverte a vedere le sue reazioni e i suoi movimenti già calcolati.
Può sembrare un tipo di arte in cui lo spettatore non è più libero, ma è vincolato a ciò che l’artista ha già deciso per lui; io cercherei di porre l’accento più sull’importanza che acquista il visitatore, sul fatto che l’opera non ha senso se nessuno la fruisce.
Acquistiamo così un potere che nessun artista del passato ci ha mai concesso, siamo noi a dare l’esistenza a queste opere d’arte; cosa importa se l’artista ha già deciso il modo in cui lo faremo?

Tu come la vedi?

teachme.jpgFoto, foto e ancora foto. Dodici scatti degli ultimi tre mesi che documentano un po' di belle cose fatte ed esperienze vissute.
Per salutare la defunta FujiFilm e dare il benvenuto al nuovo gioiellino Nikon.

Metropolis - another useless photoblog

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Finito, non finito o un errore?

La Pietà Rondanini, l’ultima opera di Michelangelo Buonarroti, è esposta nella sala conclusiva del percorso museale del Castello Sforzesco di Milano. Il museo, pur non essendo molto grande, è ben organizzato, dispone di fogli illustrativi delle opere che il visitatore può consultare senza restituirli. Sono presenti molti reperti dell’epoca romana e longobarda, arazzi dei tempi degli Sforza e alcune sculture medievali di artisti milanesi e lombardi, ma l’opera d’arte che più rimane impressa nella mente del fruitore è sicuramente quella di Michelangelo. È una scultura alta 195 centimetri, lavorata dall’artista dal 1552 al 1564, fino a quattro giorni prima della morte. È un’opera dalla grande carica emotiva, anche senza conoscerne la genesi e la storia si rimane impressionati dai sentimenti che sprigiona quel pezzo di marmo, che dopo il restauro ha ritrovato il suo candore naturale. Si prova dolore nel guardare i volti dei due personaggi, sono ancora allo stato grezzo, la loro forma è appena abbozzata, ma nonostante ciò sono carichi di una tensione emotiva particolare. Quasi commuove il corpo del Cristo così accasciato su quello della Vergine, come se volesse rientrare nel ventre materno, e fa tenerezza la posizione della Madre che sorregge il Figlio con fatica e dolore.
La scultura evidenzia anche un cambio di stile effettuato dall’artista, in essa non ritroviamo più la venustà formale, il virtuosismo anatomico e la contrapposizione delle membra tipiche delle sue precedenti opere.
Ripensando alle sculture romane di Michelangelo e guardando la Pietà Rondanini possono nascere diverse domande: come possono essere state scolpite dalla stessa mano la Pietà che si può ammirare nella Basilica di San Pietro in Vaticano e questa? era intenzione di Michelangelo terminare la scultura in questo modo? Il braccio staccato dal corpo e le gambe levigate del Redentore, completamente diverse sono frutto di un errore? La volontà di lasciare le teste e il busto della Madonna grezze deriva dalla sua teoria del non finito o dalla morte che gli ha impedito di ultimarle?

Forse è il caso di spiegare un minimo la poetica di Michelangelo: egli andava personalmente a scegliere il marmo a Carrara, era convinto che in ogni blocco fosse già contenuta la scultura e che il vero compito dell’artista fosse solo quello di aiutarla ad emergere. Dalle sue parole si può capire meglio la sua idea: "Non ha l’ottimo artista alcun concetto ch’un marmo solo in sé non circoscriva col suo cuperchio, e solo a quello arriva la man che ubbidisce all’intelletto." L’attività artistica risulta anche un impegno etico, essa assomiglia un po’ alla lotta titanica dell’uomo per liberarsi dal peso della materia, riassumendo la concezione neoplatonica della forma imprigionata nel marmo come l’anima nel corpo. Il non finito deriva appunto da questa sua convinzione: alcune figure non avevano abbastanza spinta per uscire del tutto dal marmo e quindi rimanevano imprigionate in alcune parti, senza che l’artista potesse fare nulla, in queste sculture vi è un evidente contrasto tra il moto vitale della forma e l’immota  pesantezza del marmo.
La Pietà Rondanini è frutto tuttavia di molti ripensamenti e non sembra fare parte di quella serie di opere non finite. Michelangelo è ormai vecchio e nella scultura si possono distinguere due fasi precise: dal 1552 al 1554 di cui rimangono come testimonianza il braccio destro del Cristo e un frammento, ritrovato recentemente, che raffigura la testa e la sommità della spalla destra  e combacia perfettamente con il braccio troncato; e una seconda fase, elaborata dopo il 1555, che vede lo spostamento delle figure indietro e i due personaggi che si toccano.
L’opera è frutto di vari ripensamenti, non si tratta né di un errore dell’artista né di un non finito.  Le varie fasi delle intenzioni di Michelangelo sono testimoniate da vari disegni autografi ora raccolti all’Ashmolean Museum di Oxford. L’ultima versione della scultura rappresenta uno stadio di riflessione religiosa, l’artista aveva raggiunto la fede e ormai ai confini della vita riflette sulla morte e sul sacrificio di Cristo ed elabora l’umano pensiero della fine dell’esistenza come un ritorno alla madre. È per questo che il corpo del Cristo è così ritratto verso l’indietro e quasi viene assorbito dal ventre della Madonna. Una visione circolare della vita che affascina e allo stesso tempo consola, non contraddice la riflessione religiosa, ma la incarna in una metafora spirituale di universale significato.
Al di là di qualsiasi interpretazione la Pietà Rondanini è un’opera di eccellenza, trasmette nel fruitore tutto il suo carico di passione e dolore, si distacca da qualsiasi altra opera di Michelangelo e testimonia un’evoluzione dell’artista impressionante. Il fatto che essa sia stata composta senza committenza ne fa un unicum, in quanto l’idea dell’artista che dipinge o scolpisce per sé, per il suo piacere, è tipica dell’età moderna.  

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Più simpatico di uno scivolone della Regina Madre, più divertente di una rissa al pub. Thank you, Ciccsoft!
(The Times)

Una lieta sorpresa dal paese delle zanzare e della nebbia fitta. Con Ciccsoft L'Italia riacquista un posto di primo piano nell'Europa dei Grandi.
(Frankfurter Zeitung)

Il nuovo che avanza nel mondo dei blog, nonostante noi non ci abbiamo mai capito nulla.
(La Repubblica)

Quando li abbiamo visti davanti al nostro portone in Via Solferino, capimmo subito che sarebbero andati lontano. Poi infatti sono entrati.
(Il Corriere della Sera)

L'abbiam capito subito che di sport non capiscono una borsa, anzi un borsone. Meno male che non gli abbiamo aperto la porta!
(La Gazzetta dello Sport)

Vogliono fare giornalismo ma non sono minimamente all'altezza. Piuttosto che vadano a lavorare, ragazzetti pidocchiosi!
(Il Giornale)

Ci hanno riempito di tagliandi per vincere il concorso come Gruppo dell'anno. Ma chi si credono di essere?
(La Nuova Ferrara)

Giovani, belli e poveri. Cosa volere di più? Nell'Italia di Berlusconi un sito dinamico e irriverente si fa strada come può.
(Il Resto del Carlino)

Cagnazz è il Mickey Mouse dell'era moderna e le tavole dei Neuroni, arte pura.
Topolino)

Un sito dai mille risvolti, una miniera di informazioni, talvolta false, ma sicuramente ben raccontate.
(PC professionale)

Un altro blog è possibile.
(Diario)

Lunghissimo e talvolta confuso nella trama, offre numerosi spunti di interpretazione. Ottime scenografie grazie anche ai quadri del Dovigo.
(Ciak)

Scandalo! Nemmeno Selvaggia Lucarelli ha osato tanto!
(Novella duemila)

Indovinello
Sarebbe pur'esso un bel sito
da tanti ragazzi scavato
parecchio ci avevan trovato
dei resti di un tempo passato.
(La Settimana Enigmistica)

Troppo lento all'accensione. Però poi merita. Maial se merita!
(Elaborare)

I fighetti del pc della nostra generazione. Ma si bruceranno presto come tutti gli altri. Oh yes!
(Rolling Stone)

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