Archive for the 'Personale' Category

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I messaggelli di auguri nel 2012

Dice mia mamma che non le ho nemmeno mandato un messaggino di auguri la notte di capodanno. Io ne avrò ricevuti quattro o cinque, quando una decina di anni fa la prima preoccupazione di tutti dopo la mezzanotte era bombardare l'intera rubrica con qualche frase originale di augurio da inviare per sms trovando la rete cellulare intasata e consumando tutti i bonus delle Christmas card di turno.

Dice mia mamma che potevo allora telefonare, tanto ho le chiamate gratis. A parte che le suddette chiamate le pago, in maniera forfettaria ma le pago, ma nemmeno io ho ricevuto alcuna chiamata a capodanno, né ho chiamato nessuno per gli auguri come si usava fare tanti anni fa con parenti ed amici lontani. Altri tempi.

Dice ancora mia mamma: non vi fate più gli auguri a Natale e Capodanno?
Dice mia sorella: ora c'è Facebook, usiamo quello.
Dice mia mamma: ah ecco, meno male.
Dico io: si ma non li mandiamo mica ad una persona precisa. Scriviamo qualche frasetta simpatica, mettiamo una foto sulla bacheca così che la possano leggere tutti gli interessati e via andare. Tolto il pensiero.

Siamo una generazione spiccia, un po' vuotina ma indubbiamente spiccia.

A capo dell’anno

Non mi è mai piaciuto troppo il capodanno. Più che rallegrarmi per l'anno che arriva, mi rattristo per quello vecchio che se ne va, con il suo carico di vita, di momenti importanti belli o brutti che siano. Dice: ma la festa, il cenone, il trenino e gli auguri con gli amici? A parte la mia atavica paura per i petardi che mi impedisce di rilassarmi e godermi la mezzanotte fin da bambino, onestamente, possiamo farla anche la sera dell'uno, il due o anche il 15 ottobre, il 27 marzo, il 3 agosto questa benedetta festa. Ogni giorno comincia un anno che termina 365 giorni dopo, ma è in fin dei conti una convenzione: trovatene una vostra se vi piace di più. Per me l'anno inizia a settembre, quando Ferrara si svuota dopo le giornate del festival dei Buskers e riaprono tutte le attività ferme per la pausa estiva.

Una cosa semplice che ho imparato con il passare degli anni è che il tempo è un unico lungo percorso e che non ci sono salti netti come quello che festeggiamo la sera del 31 dicembre. Si cresce, si va avanti, si diventa grandi e vecchi, si cambiano luoghi, persone care, abitudini, ma ogni cosa accade a tempo dovuto in una maniera lenta e continua, che il numero dell'anno non riesce ad identificare completamente. Passano gli anni e ci scordiamo di loro: in che anno era quando siamo andati quella volta al mare? E quando ci siamo divertiti ad una festa e c'era quell'amico vestito da scemo? Quando è stata l'ultima volta che ci siamo incontrati per caso in piazza e abbiamo fatto due chiacchiere? Con il tempo finiamo per dimenticare in che anni succedono le cose ma ricordiamo momenti, stati d'animo, quando siamo stati bene e quando siamo stati male. Gli anni al massimo servono alla storia per mettere paletti, ai cronisti per ricordare gli eventi che cambiano il mondo, e a segnare le date di inizio e fine di qualcosa di importante come una vita umana. Per tutto il resto non ci servono i capodanni, ci basta avere spesso momenti felici con le persone che ci sono care a farci stare bene senza l'angoscia di un bilancio a fine dicembre.

Buon proseguimento.

Perchè Margherita è bella

Lo scorso weekend mi trovavo in terra ligure, a Loano in provincia di Savona per la precisione e sabato sera dopo una bellissima cena con tutti i parenti riuniti della famiglia che ci ospitava, dopo caffè e ammazzacaffè, siam finiti a suonare la chitarra. Sfogliando il canzoniere escono sempre le solite canzoni: i grandi classici che tutti conoscono e sanno cantare a memoria. C'è stato un momento però in cui ho ceduto lo strumento ad uno dei ragazzi presenti che, un po' a sorpresa, si è messo a suonare un pezzo che conoscevano tutti, tranne noi che venivamo dall'Emilia. E' un gruppo delle loro parti che non avevo mai sentito, ma sono rimasto rapito da questo pezzo ancora prima di sentirlo sul disco. Padre, madre, cugini, non c'era una sola persona che non conoscesse a memoria il testo intero e cantasse a squarciagola nemmeno fosse l'inno. Mi è così capitato per la seconda volta in vita mia di innamorarmi di una canzone sentendola suonare da amici con la chitarra invece che dal gruppo che l'ha creata. Vorrei averla registrata con le loro voci, per riascoltare quel momento speciale in cui tutti insieme ci hanno regalato questo pezzo di Liguria in musica ma non mi rimane altro che farvi sentire l'originale. A me piace un po' meno, ma non riesco a smettere di cantarla da qualche giorno.

Freddie, oh dear!

Nel 1991 avevo 8 anni, e la mia collezione musicale era fatta in larga parte da cassette di fiabe narrate e raccolte sanremesi di mia nonna o dei miei genitori, se si esclude fortunatamente una cassettina dei Pink Floyd e qualcosa di Battisti, Baglioni e De Gregori molto rovinati dal tempo. Quando esattamente 20 anni fa morì Freddie Mercury non sapevo chi fosse e non ricordo affatto la notizia nei telegiornali o la disperazione dei milioni di fans nel mondo. Solo 3 anni più tardi ho bene in mente invece l'angoscia per la triste fine di Kurt Cobain, ma ero già alle medie e musicalmente un pelo più preparato.

Quello che però ricordo è che Matteo, all'epoca mio vicino di casa e compagno di giochi, poi chitarrista del mio gruppo ed oggi compagno di avventure nella gestione di un circolo Arci, mi portò pochissimo tempo dopo la scomparsa di Mercury, un paio di cassettine dei Queen (i due Greatest Hits per la precisione), per farmi conoscere il meglio del gruppo inglese. E che quelle cassettine le ho ascoltate per anni ed anni, consumandole all'inverosimile fino a dire in giro che i Queen erano il mio gruppo preferito, e fino a tenere appeso per anni in camera il poster di Freddie, ereditato sempre dal sopracitato Matteo, quando entrò nella fase Nirvana che un po' tutti presto o tardi abbiamo avuto.

Poi nel 1994 in Canada, il marito di una cugina con una collezione di dischi spropositata mi disse: chiedimi quello che vuoi che ti faccio delle cassette. Voglio i Queen, dissi. Tutto quello che hai. Solo i Queen? chiese sorpreso. Solo i Queen, confermai. Così tornai a casa con alcuni album in cassetta, ma scoprii negli anni seguenti che alcune erano raccolte per il mercato americano e un po' differenti dalle tracklist che conoscevo. Ma ho continuato ad ascoltare quelle cassette per tanti anni, insieme alle prime due che già avevo. Nel 1994, ero un ragazzino con gli occhialini tondi che si usavano allora, e andavo in giro per i suburbs di Toronto in bici da corsa ascoltando ed imparando a memoria ogni secondo del Live at Wembley.

Nel 1998 ero in Inghilterra a studiare inglese e un giorno ci portarono a Londra regalandoci un pass giornaliero per la metropolitana. Andate dove volete, dissero. La mia meta non poteva che essere il numero 1 di Logan Place, a vedere la villa di Freddie a Kensington, e lasciare un ricordo sul muro. Era tutto graffitato e non c'era posto per scrivere niente. Non avevo ovviamente con me una bomboletta ma solo una penna Bic, così scrissi sul tondo di bronzo che sta intorno alla serratura del portoncino, convinto non l'avrebbero più pulita. Poi ho chiesto a Mattia, uno rosso di Reggio Emilia che avevo conosciuto al college, di farmi una foto davanti all'ingresso della villa, per ricordo. Io all'epoca non avevo una macchina fotografica quindi elemosinavo foto agli altri. Poi me la mandi, quando torniamo in Italia ok? Non me la mandò mai più ovviamente. Non c'era ancora internet e le sue comodità, e mi secca pensare a questo tizio che ha una mia foto di cui non si fa niente in qualche cassetto a prendere polvere, mentre io l'appenderei in salotto anche subito. Sempre a quel giro, in una bancarella di Camden Town comprai una maglietta con la grafica del Greatest Hits II, cioè blu con il logo dorato, litigandomela con Davide, un bolognese anche lui conosciuto al college che ora come me è passato al culto dei Radiohead e per fortuna ci sentiamo ancora. Un po' kitsch la maglietta, ma la metto ancora come pigiamino ogni tanto, visto che è bucata e non sta bene andarci in giro.

Nel 2001, con l'avvento di Napster e derivati, ma prima ancora di avere una linea adsl a casa e solo con una linea flat 56k che non mi pareva vero di poter lasciare connessa ad oltranza, il mio primo pensiero fu di scaricare l'intera discografia dei Queen. Un chiodo fisso. Pazientemente per mesi ho raccolto uno ad uno i brani, poi i bootleg, le rarità, i live, eccetera. Poi negli anni ho comprato libri, ho studiato la biografia di Freddie, ho imparato i testi a memoria, e comprato gli spartiti per pianoforte per suonarmi Bohemian Rhapsody da solo, o Love of my life, che all'epoca avrei dedicato a qualunque ragazza di cui mi innamoravo.

Per dire che insomma, quando è morto non lo conoscevo affatto Freddie Mercury, ma che poi grazie alla scintilla iniziale di un paio di cassettine duplicate ho ampiamente recuperato. Rimane ancora oggi un'ispirazione per un sacco di cose che faccio e mi commuovo ogni volta a rivedere certi vecchi video. Qualsiasi cosa tu faccia, falla con stile, diceva.

Ci sto provando, Freddie, ci sto provando.

Qualcuno 8, qualcuno 21, qualcuno 29

Forse a voi non sembrerà ma questo posto compie oggi 8 anni. Nella versione che conoscete, perché altrimenti esisteva da prima eccetera eccetera e vi risparmio anche questa volta tutta la storia. E' stato aperto il 21 settembre del 2003, una data simbolica per festeggiare il compleanno di un suo autore doc, uno dei famosi Padri Fondatori che intraprese con me quel giorno questo cammino tutto da inventare e da scrivere. All'epoca Fabio (che qui si fa chiamare Attimo perchè all'epoca era un poeta estinto ma ormai lo chiama così forse solo una persona) compiva 21 anni, era più giovane e meno disilluso, o forse era quasi uguale ad oggi, tranne per il fatto che pensava di fare l'ingegnere, e questo posto qui, con il passare degli anni, ha finito per cambiare un po' la sua vita, la mia e perfino quella di molti amici, fino a farci diventare le persone quasi adulte che siamo oggi. Se abbiamo conosciuto persone incredibili, ragazze bellissime, se ci sono state offerte opportunità, esperienze, momenti memorabili, è grazie anche a questo - come si chiamavano? - blog.
Fabio compiva 21 anni il 21 settembre, e quel 21 è un numero che gli piace tanto e ricorre un po' ovunque nella sua vita passata e presente. Forse non è un caso che anche oggi che di anni ne festeggia 29, continui ad averne 21 di più di questa sua creatura. E così sarà il prossimo anno, e quello dopo ancora. Quando di festeggiare non ne avrà più voglia e forse non ne avrà mai avuta ed è per quello, in fondo, che abbiamo messo questa ricorrenza proprio il 21 settembre. Per fare la festa a Ciccsoft, gli auguri, i regali, le pacche sulle spalle ad un sito, mascherando l'augurio vero ad un vecchio amico.

L’altra volta che mi sono appassionato al tedesco

I viaggi a Berlino e poi a Monaco lo scorso anno mi hanno causato un'improvvisa passione per la lingua tedesca, che mi guardo bene dallo studiare perché immagino ostica e incomprensibile. Alla fine quando si è trattato di aprire il mio studio grafico pochi mesi fa ho scelto proprio una parola tedesca, obst, che significa frutta, una cosa semplice e corta dal suono simile ad un inciampo: ooops!

C'è stato in realtà un altro momento nella mia vita in cui mi ero fissato con una parola tedesca. Ero in prima liceo, frequentavo pianoforte al conservatorio e c'era questa simpatica biondina che faceva solfeggio con me e probabilmente studiava tedesco a scuola. Mi scrisse una dedica sul diario, alquanto incomprensibile a prima vista ma ebbe il buon cuore di spiegarmi che in tedesco significava "sei un ragazzo birichino". La parola esatta con cui mi apostrofò era SPITZENBUBEN. Mi rimase in testa per anni e la usavo indiscriminatamente con chiunque per dargli dello sciocco o della "canaglia", che è la traduzione più vicina in italiano ad un termine crucco puramente gergale (è usato anche per identificare i biscottini con il tondino di marmellata al centro). Ovviamente nessuno mi capiva ma era divertente perchè molti compagni di classe la impararono e la ripetevano come me.
In gita scolastica a Monaco di Baviera, ormai oltre dieci anni fa, mi divertivo a chiamare i numeri di telefono interni delle camere d'albergo dei miei compagni, fingendo di essere un tedesco:
- Pronto?
- Spitzenbuben!
- Come?
- Spitzenbuben! Läufer!
- Oddio non capisco niente...
e puntualmente mettevano giù o mi passavano qualcun'altro che pure non capiva nulla.
Ci alternavamo in tre a farlo, e grazie alle voci diverse ci cascavano quasi tutti ma il siparietto era divertente e causò diverse risate rivelando infine la cosa ai compagni. Läufer invece era una marca di gomme da cancellare, e mi piaceva per il suono tipicamente crucco oltre al fatto che era scritto vicino ad un cagnolone san bernardo ritratto sulla gomma. Ho scoperto ieri che significa "corridore" e non era il nome del cagnolone.

Ho incontrato di nuovo la ragazza di Spitzenbuben sabato scorso, dopo ben 15 anni. Credo non si ricordi di questo episodio e non abbia mai nemmeno mangiato gli ottimi spitzenbuben tedeschi, ma è stata la prima cosa che il mio cervello ha rispolverato, rivedendola dopo tanti anni.

Sineddoche

Le poesie non riusciamo mai a ricordarcele a memoria, non più almeno, e allora siamo andati in giro a imparare un po' di figure retoriche di qua e di là dagli Appennini. L'immancabile (?) e lentissima pagina con le foto si trova qui.

But we know it’s just a lie

L'estate è finita più o meno sabato 9 luglio alle 23.06, al termine del concerto degli Arcade Fire, davanti al botteghino di Ticket Office ormai chiuso, sopra i marciapiedi di Corso Garibaldi. Lucca è come Ferrara, più o meno, è circondata su tutti i lati da poderose mura medievali, ma la fortificazione della città toscana è conservata in uno stato migliore rispetto a quella ferrarese: le mura sono più larghe, più massicce, e le porte d'accesso al centro cittadino mantengono l'aspetto quasi originale. A Ferrara invece le mura ci sono e non ci sono, ci si può correre sopra come a Lucca, ci si può innamorare e rotolare sui prati in pendenza come a Lucca, anzi, forse ancora più dolcemente, perché i pendii fanno meno paura, ma presentano ampi varchi, di porte ne resiste a malapena una, Porta Paola, le altre sono state stravolte dal tempo e dalle auto, che per passare hanno preteso e ottenuto varchi in calcestruzzo. E in alcuni tratti non ci sono nemmeno più, o sono appena appena più alte dei vecchi che passeggiano solitari al mattino presto. A Lucca invece ci sono tante porte e hanno tutti nomi propri di persona. Credo.

 

Nel 2007 ho assistito al miglior concerto della mia vita, e devo dire che sono veramente una persona fortunata, perché il concerto più bello della mia vita (finora, ovviamente) si è tenuto esattamente (guarda te, le coincidenze) nella mia città, ci sono andato in bicicletta, mi ricordo ancora la saracinesca della cartoleria di via Cairoli dove l'ho chiusa, pensando che era fuori mano e che lì, sicuramente, non me l'avrebbero fregata (doppiamente fortunato: non me le fregarono mica, ha!), e di quella sera mi ricordo perfettamente tutto, la maglietta che indossavo, che avevo i capelli più lunghi di adesso, mi ricordo della mano appoggiata sulla sua spalla, sfidando timidezze e ritrosie e scandali, ricordo la scaletta, la gola sgolata e le braccia nude che sotto le luci di luglio picchiavano fragorosamente il tempo, ma senza violenza. Il miglior concerto della mia vita me lo ricordo perché era a Ferrara, perché ci sono andato in bicicletta e perché suonavano, senza violenza ma spaccando comunque i cuori e i polmoni soltanto grazie alla gioia (che cosa quasi scontata, vero?) quello che scoprii poi sarebbe diventato qualcosa di molto simile al mio 'gruppo preferito'.
Ma quella sera, luglio 2007, non lo era ancora, ma un concerto dove la pausa tra la fine ufficiale e l'inizio dei bis viene interamente riempita dagli ooohh del pubblico che prolunga all'infinito l'ultima canzone, non può non essere il mio preferito. Mi ricordo, di quella sera, a Ferrara, che c'erano un sacco di canadesi sul palco, c'era un tamburino che picchiava come un forsennato su un tamburo e c'erano canzoni che non avevano bisogno di spiegazioni, canzoni da scartare come caramelle, canzoni da tirarsi reciprocamente addosso come torte farcite alla panna, e leccarsi i baffi e andare a letto senza lavarsi i denti. Quella sera, in piazza Castello, eravamo tutti ricoperti di panna, e per le strade che si diramavano dal centro verso l'esterno c'era panna ovunque, e sorrisi ovunque, e mi ricordo ancora di quel gruppetto di ragazzi che si era spinto addirittura fuori dalle mura ferraresi, che non sono così possenti come quelle di Lucca e lasciano filtrare molto, forse tutto, e mi chiesero dove fossero finiti, e sorridevano anche se erano vicino a una rotonda e lontano da casa, così lontano da far girare la testa.

Magari ci saranno stati anche loro, ieri sera, a Lucca, in piazza Napoleone, larga, con gli alberi, con mille ingressi diversi, con il "corridoio di sicurezza", mi pare si chiamasse così, dove poter prendere quarti di focaccia e correggere il proprietario del negozio di dischi che stava esponendo in vetrina il vinile di The Suburbs posizionandolo però al contrario. Dai ciottoli a un imperatore, i canadesi ne hanno fatta di strada, e ne ho fatta anch'io, e col tempo ho preso il brutto vizio di fidarmi più dei concerti, che delle persone, più delle luci sul palco, che quelle dei tuoi occhi, delle scalette appallotolate dai tizi che smontano gli strumenti, che delle lettere che mi hai scritto. Le mura di Lucca sono molto più imponenti di quelle di Ferrara, e dal 2007 ad oggi è aumentato tutto, in proporzione, le mura, il prezzo del biglietto, la coda ai bagni, la birra che bevo, la mia pancia, la mia fronte sguarnita di capelli, che ora tengo più corti. E sono diventati grandi, grandissimi, anche i canadesi sul palco, Win Butler si erge in piedi sulle casse, e prende in mano le videocamere del pubblico in prima fila, nel 2007 a Ferrara non l'aveva mica fatto, a Ferrara cantava impettito, adesso parla, anche, e credo si renda conto di scrivere canzoni della madonna e di fare concerti che rendono felici le persone. E Regine, Regine è sempre una zolletta di zucchero, indossa sempre vestitini impertinenti come i suoi riccioli, ma ora sono ricoperti d'oro, e ora i canadesi hanno il maxi-schermo alle loro spalle, e molto più persone di fronte, e molte più mani che battono, anche se non riusciranno mai a fare più rumore di quelle che c'erano a Ferrara nel 2007. Ma piove panna montata ovunque, e ovunque le bocche si spalancano, e ogni volta, al loro concerto, e così, (e così sempre sarà, e questo il loro segreto), anche se adesso registi indipendenti producono film con le loro canzoni con bambini che girano in bicicletta, per farci commuovere davanti a uno streaming gratuito ma soltanto fino a mezzanotte, adesso suonano nello stesso festival dove suonerà Elton John, sponsorizzato dal Rotary, con i vergognosi palchi vip semivuoti.

Ma l'organo di Intervention è sempre pronto a gambizzarti, a metterti sulle ginocchia, e l'incedere del piano di We Used To Wait continua a farti paura come un tramonto di fine agosto, e Power Out ti fa scoppiare la testa, e Wake Up ti costringe ad aggrapparti alla prima cosa che incontrano le tue mani, la tua maglietta sudata da strizzare, la spalla di chi ti è vicino, un obiettivo 300mm di una reflex a caso, le transenne o le stelle. E Tunnels è sempre quasi insopportabile, sì, quasi non riesci nemmeno ad ascoltarla perché pensi che sia troppo. "Tutto". Che cosa è cambiato, allora?

Provi a dare la colpa ai Grammy, all'hype, alle mode, agli indie che si riproducono, ai capelli che cadono, alla gente, a Lucca, al Rotary, al palco vip a 90 euro, alle quattro ore di coda sull'Autostrada del Sole sprovvista però di Ombre, al fatto di averli già visti, e rivisti, al fatto che vuoi mettere la prima volta, vuoi mettere la nostalgia, ma niente, non riesci a smontare l'esperienza extrasensoriale che coinvolge tutti i cinque sensi, lo spettacolo live migliore cui si possa assistere, perché dove lo trovi un altro concerto dove esci col sorriso e con le labbra sporche di panna montata? Però il tarlo ti resta, il giorno dopo: ma cosa è cambiato, però, in tutti questi anni?

E a forza di rimuginarci sopra, al termine di una settimana in cui il tuo corpo ha affrontato prima un concerto dei National e poi un altro degli Arcade Fire, ovvero molto semplicemente la musica che ti ha tenuto in piedi in questi ultimi anni, a poche ore da un lunedì dove non riuscirai a fare altro che disegnare sul soffitto, perché l'estate è finita, ti accorgi che l'unico dettaglio ad essere cambiato sei tu. Sono io. E non perché ora ho meno capelli, o perché faccio impercettibilmente meno fatica a parlare con gli sconosciuti, no. Mi viene in mente il mito della Caverna di Platone, lo so, non c'entra assolutamente niente, oppure sì. E allora vado su Uichipidia per verificare che non sia diventato pazzo. Leggo:

Infine, il prigioniero liberato sarebbe capace di vedere il sole stesso, invece che il suo riflesso nell'acqua, e capirebbe che:
«è esso a produrre le stagioni e gli anni e a governare tutte le cose del mondo visibile e ad essere causa, in certo modo, di tutto quello che egli e suoi compagni vedevano».

Uhm. In questi anni ho imparato a fidarmi più dei concerti, che delle persone, più delle canzoni che facevano sbattere le imposte come temporali, che di quello che le persone mi dicono, e a credere che possa essere estate soltanto saltando e gridando Lies, Lies. E martedì scorso, e poi sabato, sono uscito a vedere la luce e a scoprire come sono realmente fatti gli oggetti la cui ombra viene proiettata sul muro di fronte. Bottigliette d'acqua rubate dalle borse, capelli che svolazzano, buste riempite di cartoline, edicolanti da abbracciare, persone cui chiedere scusa, abbracci, abbracci, sorrisi e abbracci. E poi 'grazie mille' in un inglese stentato, e poi si spengono le luci, e poi si ritorna nella caverna a incazzarsi con chi ti viene a spiegare le ombre, a mettere Haiti a volumi improponibili nell'autoradio.

Lies, lies.

 

(La foto è di Lillas)

About today

Arrivo in piazza prima del previsto affannandomi sulla bicicletta con le ruote sgonfie e parcheggio al solito posto, a due metri dall'ingresso del concerto. Perchè a Ferrara ai concerti in piazza Castello ci andiamo in bici, come vi immaginate voi da fuori: qui si gira in bici per davvero, mica come a Venezia dove i veneziani non vanno in gondola. Un po' mi stimo e penso di essere fortunato, dopo aver letto su twitter di persone che arrivano dal sud o dall'estero con l'aereo pur di assistere ad una serata speciale come quella di stasera. Bisogna ringraziare l'Arci di questa città, che ce la invidia tutta l'Emilia ed è capace con sempre meno soldi di organizzare estati come queste e un festival ogni anno di buona qualità.

C'era il sole alla fine, la pioggia è caduta un po' al mattino per rinfrescare e rendere l'attesa meno dura. Entro in fretta con il biglietto in mano: voglio andare davanti. Appena dentro raggiungo il socio Fabio che sta distribuendo le buste gialle con le cartoline di Ciccsoft: ha fatto un gran bel lavoro e l'ha fatto davvero in buona parte lui, dall'idea alla forma di mio c'è poco niente ma ci tiene a dire che siamo una squadra come Lennon/Mc Cartney e quindi mi prendo i complimenti dell'Arci e di tanti ragazzi entusiasti che ne vogliono una copia, due copie, una per la nonna che è rimasta a casa e una per la morosa che non è potuta venire perché è a casa a letto con un altro. Se Ciccsoft oggi è stato linkato ovunque, chiacchierato e apprezzato lo si deve a te Fabietto: ti meriti tutte e due le C di Ciccsoft, diglielo con orgoglio alla Signora Paola.

C'è un sacco di bella gente dentro: come Giulia Sagramola, una disegnatrice di cui tutti parlano bene in rete e che io però non conosco. Si presenta con mia sorella e non ho capito come si siano incontrate in una metropoli come Milano. C'è mezza Twitter, un quarto di Facebook, tre quinti di Google+. Se metti assieme Beirut e National come minimo ti arrivano i blogger, e un po' di geek internettari, il paese reale manco li conosce e va bene così, altrimenti non verrebbero più a suonare a Ferrara.

Beirut me lo ricordavo più giovane invece sembra un giovanotto maturo e buono. Un bravo ragazzo, di quelli rubicondi delle campagna americane, cresciuti a sermoni e camicie di flanella. L'inizio è un po' fiacco, sarà che c'è ancora luce e io i concerti con la luce non riesco a farmeli andare giù. Quando parte la canzone che ti piace ti chiamo per fartela sentire, tu rispondi dopo un po', che manco conosci il numero, ma rimani ad ascoltare tutto il tempo. Chissà cos'hai pensato, se hai sentito qualcosa, se ti sei spaventata, se ti sei chiesta di chi fosse quel numero nuovo che ti manda canzoni al telefono. Un po' mi sembra di vederti quando richiami qualche minuto dopo e ti affanni a chiedere chi è sentendo in cambio solo note di tromba squillanti e la voce di un giovanotto cresciuto a sermoni e camicie di flanella che canta paciocco.

Sono davvero arrivato piano piano davanti quando entrano i National, e Matt Berninger è di un'eleganza allucinante. Fossi donna o gay sarei completamente impazzito. In casi come questi ci si leva il cappello e ci si congratula per il genere maschile capace a volte di sfornare esemplari degni di rappresentarci degnamente con il gentil sesso. E' un po' barcollante, semiubriaco, ma ha una voce che potrebbe dire merda merda merda tutta la sera e comunque lo staremmo ad ascoltare per ore affascinati. Assomiglia un poco a mio zio Francesco a guardarci bene. Uno zio Francesco giovane, con la barba, ma indubbiamente è lui. Sarà quest'aria familiare, questa classe innata nei testi, nell'esecuzione pacata, in tutta la musica dei National che sprigiona malinconia e stile, sobrietà ed energia e un mix di sonorità che vengono da lontano e ci sembrano già note, ma gli si vuole bene subito a questi giovanotti. Gli vorrebbe bene chiunque se li ascoltasse cinque minuti con la mente sgombra e un minimo di orecchio.

Penso che ci sarà da piangere parecchio stasera, se bastano le prime note a fare sussultare. Invece non piango, non piango praticamente mai, cogliendo la gioia e la semplicità nelle parole di omaggio alla nostra città, nei saluti agli amici dell'Hana-bi, nella voglia di buttarsi tra il pubblico e cantare tutti insieme. Matt Berninger, o mio zio Francesco, è un animale da palco, non uno sfigato complessato che scrive bellissimi pezzi tristi. Preferisco cantare che commuovermi, poi con tutta quella gente che alza le mani non viene proprio naturale. Sarà che non hanno fatto About Today, che a mio avviso rimane il loro pezzo migliore, nella versione di 8 minuti del Virginia Ep, you know what I mean.
Mi ricorda tre anni fa, un periodo difficile: erano successe tante cose ingarbugliate in pochi mesi che ora non ricordo nemmeno più. Poi era stato male mio padre all'improvviso: un mattino si è accasciato per un ictus sul divano e ho dovuto portarlo al pronto soccorso al volo, mia madre era tesa e preoccupata e non sapeva cosa dire, chiedeva al medico e il medico stronzo diceva che era gravissimo e lo faceva con un tono distaccato che mi sembrava impossibile per un dottore. Io ero fuori nel cortile che giravo a vuoto e ti chiamavo al cellulare ma non rispondevi e mi veniva da piangere e pensavo che non sapevo nemmeno io cosa dovevo fare, avevo solo bisogno di parlarti e raccontarti e non rispondevi perchè lavoravi, lavoravi sempre all'epoca, ancora oggi lavori sempre ma nel mentre ci siamo lasciati. Forse perchè lavoravi sempre.

E quel periodo mi ricorda About Today, che è un pezzo lento e triste, what could I say?, ma poi cresce cresce e si apre, partono le chitarre, un assolo di speranza solare e potente che fa vedere l'Assoluto e non è ancora finita perchè poi la gente applaude a ritmo e c'è un altro minuto e mezzo di finale e in conclusione il pezzo diventa sontuoso e perfetto per raccontare il caos di quei mesi perchè finisce benino, parte triste e finisce medio, non allegro ma medio, e anche mio padre l'han preso per i capelli ed è tornato a casa e tutto si è risolto per il meglio. Ci rivedremo Matt, prima o poi dovrai farmela sentire dal vivo. Magari ci porto anche la ragazza al telefono, se vorrà venirci, così non sente tutto distorto e gracchiante come stasera.

Le due volte in cui ho sfidato la sorte

Ero stato in facoltà a verbalizzare un esame. Una procedura noiosa per la quale ero dovuto uscire di casa con il mio libretto e guidare fino all'ufficio del professore, dall'altra parte della città. Non ero di fretta, non ero agitato: semplice burocrazia. All'epoca dei fatti, ormai oltre cinque anni fa, non portavo quasi mai le cinture di sicurezza per guidare in città, ritenendole più fastidiose che utili per un tipo di traffico congestionato tra un semaforo e l'altro. D'estate poi fanno sudare e rimane la maglietta con la striscia diagonale pezzata, cosa per la quale il professore (stronzo) dove andavo avrebbe potuto togliermi qualche punto così, en passant.

Sulla strada di ritorno sono il primo al semaforo verde di un incrocio, e svolto a sinistra su una via abbastanza trafficata della mia città. C'è la Famigerata Municipale. Faccio un gesto goffo tentando di mettere la cintura al volo perchè nei momenti di panico si fanno sempre gesti goffi e spesso inutili. Non ci riesco: la macchina è vecchia e la slitta si incastra - giustamente - mentre tiro con forza disperato. Il vigile ridacchia perchè vede tutta la scena e con tutta la calma del caso si avvicina al ciglio della strada e mette fuori la paletta. Mentre si avvicina al veicolo fermo poco più avanti di lui mi metto la cintura, come a far vedere che il gesto lo volevo comunque portare a termine. Sciocco.

- Patente e Libretto.
Inizio a tremolare: perchè non mi ha detto subito delle cinture? Cos'è questa finta? Queste procedure standard: perchè? Dimmi quant'è la multa e facciamola finita. Tiro fuori la patente e poi non trovando il libretto gli consegno tutto un plico di fogli dell'assicurazione, sperando ci fosse in mezzo e di accontentarlo in qualche modo.
- Questa è l'assicurazione - dice - il libretto è di colore verde chiaro.
Nel pallone totale scartabello ancora un po' nel vano porta oggetti e infine lo trovo.
- Lei era senza cintura poco fa.
- Lo so, mi spiace.
- Vedo un libretto universitario appoggiato li, andava ad un esame?
- Si, si.
- Allora immagino che sia agitato per quella ragione, ma la prossima volta si ricordi di metterla.
- Senz'altro, grazie agente.
- Buongiorno, e in bocca al lupo.
- Crepi, crepi.
Poi sono rientrato a casa sorridente. Non ho mai più viaggiato senza cintura da allora. Mai sfidare la sorte più di una volta.

Da qualche mese a questa parte ho preso il vizio forse inspiegabile di mettermi la cintura in auto poco dopo essere partito, conscio del fatto che dovrei agganciarla prima di mettere in moto in cortile, e che tecnicamente una pattuglia potrebbe passare anche nei pochi metri della mia via, prima di uscire sulla più trafficata circonvallazione dove la metto sempre nel giro di pochi metri. E se la Polizia passasse proprio mentre mi affaccio all'incrocio per entrare nel flusso di traffico dei lavoratori del mattino? Sarebbe multa, giustamente.Così pensavo anche questa mattina mettendo il muso della mia vecchia Uno un po' in fuori per decidere quando fosse il momento di andare. Senza cintura ovviamente. In quel momento passa una volante della Stradale. Faccio per mettermi goffamente la cintura al volo sperando che:
a) alla stradale freghi poco di una cintura in una macchina proveniente da una via secondaria, avendo ben più seri interventi da fare, quindi non intervengano
b) non mi vedano

Mentre la Stradale non mi vede e io goffamente mi metto la cintura al volo con più successo di cinque anni fa, transita appena due macchine dopo la Famigerata Municipale. Non possono non avermi visto, loro che vivono di queste multine al cittadino per fare cassa in tempi di crisi. Però non possono accostare essendo in mezzo al traffico, quindi proseguono dritto. Io esco, li seguo perchè vanno nella stessa unica direzione che ero costretto a seguire per andare in stazione. Sapevo che si sarebbero accostati a breve e come prima cosa avrebbero punito l'automobilista distratto senza cinture, appena qualche macchina più indietro. Un lavoretto veloce, una multa sicura, soldi facili per il Comune. Decido di proseguire per la mia strada sperando in qualche miracolo, ma al bivio prendono la mia strada anche loro. Avessero proseguito ancora un km mi sarei consegnato spontaneamente dichiarando resa. Li avrei sorpassati con un gesto eclatante per farmi notare e poi avrei accostato attendendoli con in mano patente e libretto, quello verde chiaro. Ma alla rotonda incredibilmente girano a destra e vanno per la loro strada. Sarà il caldo, sarà che non mi avevano visto, sarà che era mattino presto ma anche a questo giro la multa non hanno avuto proprio voglia di farmela.

E io da domani metterò la cintura di sicurezza direttamente in cortile, in quei 10 secondi inutili di attesa davanti al cancello automatico che si apre. Mai sfidare la sorte più di due volte.

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(Frankfurter Zeitung)

Il nuovo che avanza nel mondo dei blog, nonostante noi non ci abbiamo mai capito nulla.
(La Repubblica)

Quando li abbiamo visti davanti al nostro portone in Via Solferino, capimmo subito che sarebbero andati lontano. Poi infatti sono entrati.
(Il Corriere della Sera)

L'abbiam capito subito che di sport non capiscono una borsa, anzi un borsone. Meno male che non gli abbiamo aperto la porta!
(La Gazzetta dello Sport)

Vogliono fare giornalismo ma non sono minimamente all'altezza. Piuttosto che vadano a lavorare, ragazzetti pidocchiosi!
(Il Giornale)

Ci hanno riempito di tagliandi per vincere il concorso come Gruppo dell'anno. Ma chi si credono di essere?
(La Nuova Ferrara)

Giovani, belli e poveri. Cosa volere di più? Nell'Italia di Berlusconi un sito dinamico e irriverente si fa strada come può.
(Il Resto del Carlino)

Cagnazz è il Mickey Mouse dell'era moderna e le tavole dei Neuroni, arte pura.
Topolino)

Un sito dai mille risvolti, una miniera di informazioni, talvolta false, ma sicuramente ben raccontate.
(PC professionale)

Un altro blog è possibile.
(Diario)

Lunghissimo e talvolta confuso nella trama, offre numerosi spunti di interpretazione. Ottime scenografie grazie anche ai quadri del Dovigo.
(Ciak)

Scandalo! Nemmeno Selvaggia Lucarelli ha osato tanto!
(Novella duemila)

Indovinello
Sarebbe pur'esso un bel sito
da tanti ragazzi scavato
parecchio ci avevan trovato
dei resti di un tempo passato.
(La Settimana Enigmistica)

Troppo lento all'accensione. Però poi merita. Maial se merita!
(Elaborare)

I fighetti del pc della nostra generazione. Ma si bruceranno presto come tutti gli altri. Oh yes!
(Rolling Stone)

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