Archive for the 'Personale' Category

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Ma non importa, non è per questo che ti chiamo

L’impostazione, dico, l’impostazione prima di tutto, prima di fare scelte, prima di mettere sui bilancini i prezzi, i costi e ricavi, la partita iva e la partita persa, prima di rintracciare avvocati per esaminare contratti da stracciare per avvolgerci il pesce di venerdì, i piedi il sabato, la testa la domenica, e il lunedì farci un buco per respirare, due buchi per guardare, tre buchi per piangere, quattro per ridere che tanto con tutti questi buchi finisce comunque per strapparsi ed arriva venerdì e il pesce senza carta inizia a puzzare.

Legno

Prima di scrivere uno spartito, fai caso a che giro di accordi vorrai usare, il do minore non sta bene con il si bemolle, il la fa rima con fa e non con il sol, il sol si piega, secondo me la corda sul sol si sente anche un po’ triste, facci caso a queste cose prima di buttare giù il pezzo della tua vita, quello che dedicherai alla tua fidanzata quando ti lascerà (perché ti lascerà, e lo sai), quello con cui festeggerai la tua nuova casa, quello che metterai sul al tuo funerale. Oggi ho cambiato idea, non voglio più Let it be, ma Ok with my decay, è più rappresentativa ed è sufficientemente lunga per perdere di vista il momento e distrarsi e dimenticarsi che siamo, siete peraltro, a un funerale, ringraziatemi quindi e procuratevi uno stereo e non abbiate paura a decidere finché siete in vita cosa mettere su al vostro funerale, non abbiate paura di cose che non potete controllare (a parte che canzone far mettere su). Non abbiate paura a dire le cose con il loro nome, a non fare male, a trattenersi quando vorreste sfogarvi e a strafare quando si dovrebbe tacere. A confondere voi stessi.

Sette anni fa (sette-anni-fa) avevo ventun’anni ed aprivo un blog scrivendo Salve mondo, una frase che solo gli ingegneri potevano capire, io che gli ingegneri mi stavano un po’ sul cazzo, io che un ingegnere lo sono diventato, almeno sulla carta, quella sì buona per avvolgere il pesce, invece sta nell’armadio a prendere polvere nel Reparto “Cose che non voglio vedere per un bel po’”, appoggiata sopra alla foto che mi hai fatto a Talamone, che non sono più riuscito ad appendere, anche perché svegliarsi ogni mattina e come prima cosa vedere me stesso mi fa un po’ impressione, sarebbe meglio vedere tipo te, o te, o voi, o magari anche nulla, va benissimo anche una porta socchiusa (così di notte fa corrente) di legno colorato, il legno fa un buon odore e la prossima volta che torno in montagna (perché non voglio far passare altri trentanni prima di fare le cose) non vado sulle rocce, a fotografare marmottine o a farmi screpolare le labbra dal vento e dal sole d’alta quota, mi infilo in una segheria e non esco più, tra montagne giganti di segatura, rotolarsi nei trucioli, mangiarsene anche qualcuno non perché è buono ma perché è bello, farsi una parrucca di trucioli, un vestito di frassino, delle scarpe in pioppo, un’avvolgente cuscino di larice, voglio dormire sopra delle assi di legno, sopra e sotto, non fraintendete, non voglio dormire in una bara ma tra i tronchi grandi così che non riesci nemmeno ad abbracciarli per intero, come quello che volevamo rubare di nascosto parcheggiando l’auto a fari spenti ai piedi della salita sotto l’hotel mentre tutti dormono. La prossima volta, sicuramente prima di trentanni, vado in montagna a farmi adottare da un falegname, che se devo imparare qualcosa, un mestiere, se voglio finalmente sentirmi qualcuno, non me ne frega un cazzo di sentirmi uno scrittore, un giornalista, un lavoratore, un proletario, un giovane, un non giovane, un non adulto, un quasi adulto, un tardoadolescente, uno simpatico, uno simpatico e basta, un lamentoso, un ipersensibile, uno che ascolta, uno forte, un rompicoglioni, un perdente, un perdente che non vuole vincere, un perditempo, un affettuoso, un romantico, ecco, non mi interessa romantico, io voglio essere un falegname anche se mi dispiace fare del male agli alberi, infatti mi volterei dall’altra parte mentre i taglialegna, quei cattivoni dei taglialegna li buttano giù nel bosco (dove tra qualche settimana iniziano a crescere i lamponi, ho controllato), il posto dove mi ritirerò quando avrò sessantanni e nel frattempo saranno passati questi benedetti trentanni in cui abbiamo rimandato tutto, le rivoluzioni delle persone, le risposte senza monosillabi che francamente hanno stancato, lo sai usare il vocabolario, i preventivi ribassati altrimenti non ci danno il lavoro. Ma tu pensa, trentanni di preventivi ribassati per il ricatto morale di un mondo che ci vuole a buon mercato (e a cattivo viso), con la penna che trema se bisogna aggiungerci uno zero, mentre dovremmo invece piazzarci ben due, di zeri, e ricalcarli ripetutamente con la Bic nera fino a bucare il foglio, poi infilarcelo davanti come una maschera e guardarlo dritto negli occhi, sopra le gotE, e dirgli: guarda che ti sbagli, guarda che noi facciamo i falegnami nei boschi, intagliamo il legno e costruiamo sedie, mobili, finestre, porte, case che sanno di legno e non sanno di intonaco, le nostre case se piove si gonfiano le tue crollano, le nostre case di legno se piove diventano più scure ma poi si asciugano e tornano come prima, come sette anni fa.

Hai capito insomma, smettila di mangiarti le unghie e fai come ti dico: l’impostazione, prima di tutto. Mettiti il vestito peggiore che hai, quello con le toppe, metti la tua tuta ecco, l’inseparabile tuta in crilico che puzza ancora di palestra da liceo, datti una spettinata, apri l’uscio di casa (in metallo, terribile il metallo), fai entrare le zanzare, e poi chiudile dentro, lascia che si pungano tra di loro, che si riproducano dentro il formaggio del tuo frigo (avrai lasciato aperto anche quello, sei un buon padrone di casa) e depositano le uova nelle nostre cocacole sgasate. Non ti servirà più scegliere, se hai scelto l’impostazione giusta. Che poi c’è sempre l’altro che mi dice che il giusto non esiste, che è tutto giusto e tutto sbagliato, che ci sta tutto. Ci sta tutto, anche che io non me ne vada mai di qui, magari resterò l’ultimo di noi, magari imparerò da solo a incidere il legno sfasciando camera mia, buttando giù a mazzate il mio lettone-armadio, lasciando in piedi solo quello di mia sorella per ricordo, il simulacro di un’esistenza fissa in un posto, di un’infanzia dove se ti alzavi di scatto dal letto finivi per sbattere la testa, un po’ come tirare le redini a un cavallo imbizzarrito, un bernoccolo per ogni erezione, prima o poi quella testa dura imparerà. Resto qui da solo mentre voi siete in Australia, Francia, Germania, Umbria, Toscana, Campania, Sicilia, Lombardia, Usa a curare l’impostazione (mi raccomando) e io tiro giù a mazzate la scrivania, il tavolo, le imposte delle finestre, tutto questo legno dipinto, rigato, tenuto insieme con colla e viti, tutto giù, per rimontarli in forme diverse che non devono, non devono per nulla al mondo ricordare quello che sono stati. Una sedia diventerà un comodino, un letto una scrivania, la porta una finestra, una finestra diventerà soltanto un buco rettangolare nel muro, da dove entreranno le zanzare e da dove si intrufolerà chi gli verrà voglia di tornare. E sarà bello non avere niente da dirci, perché dopo trent’anni si finisce per dimenticarsi che cosa si voleva dire, ce l’avevo qui, sulla punta della lingua, ma ho finito per morsicarmela.

farò rifare l’asfalto per quando tornerai

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dici che la nostra città è bellissima, che ne sei innamorata e non ci rendiamo conto di quanto sia pieno di fascino il nostro centro storico e ti rispondo hai ragione, c'era la luna quasi piena, una piazza piena di gente, musiche armoniose provenire dal palco, caldo, un bicchiere di birra vuoto, ragazzi che vagano senza meta, biciclette, lavori in corso, le solite cose, i soliti posti che conosci benissimo ma se ti fermi a pensarci, se ti fermi solo un momento, dieci secondi della tua vita di corsa in cui dimentichi chi sei e da dove vieni, se ci pensi ti scoppia la testa perché questi luoghi sono davvero pieni di poesia e forse sei te che hai l'occhio troppo allenato perché si riempie ogni giorno della triste venezia e tutto il resto ti sembra quasi normale ma non è vero, o forse siamo tutti troppo stanchi perché ci addormentiamo sul treno di ritorno e a volte anche in quello d'andata, o dopo il turno in magazzino nel posto più pesante di tutti con i colleghi che ti fottono i soldi dalle chiavette del caffè o forse perché il lavoro per alcuni nemmeno c'è e ormai abbiamo quasi trent'anni, ancora no ma quasi dai, tre anni volano e siamo grandi agli occhi dei novantuno che ci vedono sposati, partorienti, in carriera, un po' come facevamo noi tanti anni fa, quando c'erano le camicie di flanella a scacchettoni, i bomber con il risvolto arancio e la musica grunge, eppure perfino l'aria ora è precaria figuriamoci il resto che piano piano non c'è più perché c'è la crisi e quest'anno la festa non si farà, la ricorrenza non avverrà, le persone non ci sono più ché hanno una vita lontana o si sono lasciate andare alla soluzione più comoda e come cazzo è possibile che qui da noi tutti questi suicidi non vedi che bello il castello illuminato, le vetrate di giori, il parco urbano e il sottomura, come si spiega questa tristezza che ci coglie ad un certo punto, lo sai tu?, non si può uscire di scena così senza pensare a tutti noi che rimaniamo qui a guardarci i diamanti, a fare i listoni a piedi, a gonfiare le ruote per tirare avanti nonostante non è che ci sia tanto da ridere ma ci proviamo cazzo, ci proviamo insieme ogni santo giorno a trovare un senso, a sorridere, a voler condividere il peso di tutta questa incertezza con chi ci sta intorno e ci fa stare bene, tutta questa pesantezza che incombe ogni santo giorno che non si capisce come andrà a finire ma pensa a chi vive a milano ed è tutto grigio per davvero quando esce di casa e ha pensieri in testa grigi, vestiti eleganti grigi e per terra è grigio come in cielo, mica come da noi che c'è il castello, le luci, e un bicchiere di plastica un tempo pieno di birra ed ora vuoto, ecco pensa a loro quando ti senti giù e pensi che questa città sia troppo stretta, troppo di provincia, troppo inutile, troppo noiosa anche se artisticamente oh, artisticamente è perfetta, niente da ridire.

Cartoline da Roma

Qualche giorno fa, passeggiando per Villa Borghese a Roma sotto un sole del trentadue - come direbbe qualcuno di mia conoscenza - vado ad affacciarmi all'immensa terrazza che sovrasta Piazza del Popolo e che propone una vista eccezionale sui tetti della Capitale e il Cupolone. Mentre decido quale scatto banale fare del panorama ricordando i consigli del buon Merchiori sulla regola dei terzi, il soggetto decentrato, il bilanciamento del bianco e altri cazzi, mi cade l'occhio in basso e vedo questa cosa proprio sotto la terrazza:

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E mi immagino questo ragazzetto che di notte vandaleggia la strada sottostante con una frase d'amore (niente di che), poi il giorno dopo porta su zitto zitto la morosa al Pincio, con una scusa si mette a spupazzarsela sulla terrazza e mentre lei lo abbraccia si sporge e legge la dedica impazzendo di gioia per la sorpresa. Basta poco per far felice una ragazza, anche un gesto carino ed adolescenziale abusato come il graffito, ma questa idea dell'andare a farglielo leggere dall'alto mi ha stretto il cuore e mi ha fatto tornare in mente Amelie quando manda Nino fino in cima a Montmartre per guardare dal binocolo lei che scappa. Ci sono ancora romantici a Roma, e non per forza mettono i lucchettini dove li mettono tutti gli altri perchè l'hanno letto su un libro. Poi quando mi decido a fare uno scatto alla gente che si affaccia dalla terrazza, una coppia mi passa davanti proprio mentre scatto, come vuole la legge di Murphy dei fotografi dilettanti. Ma quando arrivo a casa e guardo la foto scopro che la ragazza si era divertita a saltare facendo una faccia buffa, per tentare di uscire invano dall'inquadratura:

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Quando dalla terrazza mi volto indietro per tornare verso l'ombra vedo davanti a me la scenografia di Lost e penso che Roma è una bella città per viverci un pochino, se si esclude il traffico e l'idea di dormire sotto lo stesso cielo di Berlusconi. Nemmeno a farlo apposta proprio in quel momento passa un aereo e attendo di vedere se esplode spezzandosi in due, o se esce il fumo nero dal fogliame per venirmi a prendere.

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Quando faccio ritorno alla panchina dove i miei compari di viaggio si riposano all'ombra mi viene in mente perchè in realtà non è una bella idea vivere nelle grandi città: la presenza di uomini d'affari o cialtroni nerd che girano con il Segway. Uno dei due che vedo, finisce sopra una zona di fogliame e così l'aggeggio si pianta di colpo, si ingolfa e non riparte più. Poraccio.

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Andare in giro con fotografi wannabe è faticoso, si è sempre li a cercare il taglio giusto, l'inquadratura simpatica, l'idea spiritosona per la foto dell'anno, mica come i giapponesi che scattano a cazzo di cane un po' tutto tanto per l'idea di ricordare ogni cosa. Non ci si gode molto le cose, i posti, i monumenti, li si guarda cercando un qualcosa di originale da ritrarre, una particolarità, una anomalia fotogenica. Fabio e Simone cercano la giusta inquadratura con due reflex identiche, però quella di Simone ha il grandangolo e così si bulla di fare foto migliori. Fabio potrebbe ribattere però che ha più capelli di Simone (ancora per poco) e quindi in realtà sono pari. Alla fine facciamo la foto con il grandangolo ed ha un campo talmente lungo che noi siamo piccoli piccoli, quasi indistinguibili. Simone non indossa nemmeno le consuete infradito, e questo non aiuta l'analisi a posteriori.

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Dicesi ‘bici’

Se vi chiedono cos'è la bicicletta, voi rispondete così:

Sole, acqua, sudore negli occhi, strade sbagliate, aratri a bordo strada incrostati di terra, fumo di grigliate, insetti che entrano nella maglietta, gattini sonnolenti nell'erba, freni surriscaldati, incontri a metà strada, semafori rossi, lattine di cocacola masticate, il grasso della catena, la Madonna (di Sanluca, ma pur sempre la Madonna) e tanti, tanti alberi. Mai troppi.

Ciao Fabri

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Adesso, caro Fabrizio, facciamo che vieni fuori da li, ci dici dove ti sei cacciato e cosa ti è saltato in mente. Facciamo che abbiamo capito male, che è stato tutto un misunderstanding, come diresti elegantemente con il tuo stile british. Facciamo che ci chiami e ci dici che hai voglia di fare una cazzata, così che possiamo risponderti: certamente, ne facciamo tutti tante, ne faremo un'altra insieme. Facciamo che ci dici perchè, che noi non siamo buoni a capirlo da soli. Facciamo semplicemente che ci dici qualcosa.

L'ultima sera che ci siamo visti, appena quattro giorni fa, ho scattato delle fotografie. Avevi in tutte un'aria pensierosa e lo sguardo vigile di chi la sa lunga, scrutando il mondo con attenzione per coglierne criticamente ogni sfumatura. Avevi una grande capacità di ascoltare le persone, socchiudendo un po' gli occhi e alzando il mento come quando si drizzano le antenne per sentire meglio. Il tuo carattere educato e tranquillo non faceva di te un chiassoso chiacchierone ma una persona con cui era piacevole discorrere di un po' di tutto con dosi di calma e profondità rare.

Quando una persona cara non c'è più ci si rammarica dei momenti che non si è potuto passare insieme e si ricordano quelli più belli, quelli che nonostante tutto rimarranno per sempre. Scusami quindi di non essere mai venuto a provare il tuo sintetizzatore Moog che non sapevi suonare bene ma era troppo bello per non acquistarlo. Oggi son sicuro starai suonando con Lennon e Harrison una interminabile jam session e chissà se avevi la chitarra pronta ed accordata. Scusami se non siamo andati a Ravenna a sentire i Calibro 35 come si era detto perchè non mi ricordo nemmeno più quale motivo. Scusami, scusaci infine, per aver parlato troppo a lungo di fotografia l'altra sera a tavola, magari ti sarai annoiato, eppure eravamo tutti contenti di rivederti, con i capelli corti corti, una camicia elegante e la classe che si addice alle occasioni importanti.
Voglio però ricordarti come il giorno che ti ho conosciuto, quando sono bastati pochi minuti per ritrovarci a parlare di musica a lungo, scoprendo gusti e passioni in comune, o come quella volta con un palloncino sorridente in una mano e un vino al limone nell'altra, stesi su una coperta a goderci gli ultimi raggi di sole estivi al parco. Voglio pensare che non ti sei ricordato di tutti questi momenti quando hai deciso che tutto era troppo triste per te. Dev'essere stato senz'altro così. Hai lasciato che la nebbia coprisse i ricordi buoni e hai pensato che non era il caso di viverne altri. Che alla fine facendo una botta di conti i dolori della vita fossero troppi rispetto i momenti felici e non ci fosse una via d'uscita per far tornare i conti e riequilibrare le cose. Mi spiace dirlo solo ora: ti sbagliavi.

E allora domani festeggerò il mio ventisettesimo compleanno anche per te, brinderò in tuo onore alla vita che continua, anche senza di noi, come dice Vasco in un pezzo che per caso ci ha straziato ascoltandolo l'altra sera mentre tu eri già lontano e ancora non sapevamo nulla di quanto era successo. Molto probabilmente mi manderesti cordialmente a fanculo se sapessi che cito Vasco in un ricordo che parla di te. E allora ti lascio con un pezzo molto più bello che di sicuro ti sarebbe piaciuto - non sono le Au revoir Simone, perdonami - e che spero ti faccia compagnia in questo nuovo cammino. Ovunque tu abbia deciso di andare, buon viaggio Fabri, anima fragile.


[The Moffs - Another day in the sun]

Previously, on Lost

Tutte le volte che ho provato a spiegare Lost a chi non l’aveva mai visto, ho sempre incontrato facce perplesse. E in effetti, mentre tentavo di raccontare la serie televisiva più intricata e paracula di sempre, notavo tutte le sue incongruenze e banalità, e quasi le giustificavo, quelle facce perplesse e annoiate dal mio incomprensibile entusiasmo. In fondo facevo così anchio, sei anni fa, quando sentivo idolatrare Lost e non mi decidevo a vederlo. Non sono mai stato un dipendente da serie televisive.

Poi, complice l’estate, complice una vita da studente che mi lasciava (o me lo prendevo da solo) una quantità di tempo libero grande come i misteri irrisolti dell’isola, mi sono bevuto la prima stagione in poco più di due settimane. Così, d’estate, in pantaloncini e sudato, facevo buio in camera e mi mettevo davanti al portatile a sciropparmi una dopo l’altra le puntate. Sono scivolato dentro la botola anchio, e ne sono rimasto stordito. Ho avvertito il bisogno fisico di guardare subito la seconda stagione, per scoprire che cosa diavolo ci fosse dentro quella fottuta botola. E quando l’ho scoperto, sono andato avanti, sono passato dalla versione in italiano a quella con i sottotitoli, per guardarla in contemporenea a tutto il resto del mondo. Per restare al passo, anche se Lost non si è mai lasciato prendere, ci ha sempre lasciati col fiatone, a rincorrerlo, stagione dopo stagione, sempre più perplessi, sempre più sommersi da giochi di sceneggiatura strabilianti o ridicoli, fate voi, da domande senza risposte. E sono passati anni, davanti a questo portatile, anni passati a rincorrere un telefilm o un mito, fate voi, fino a poche ore fa.

Non c’è bisogno che stia a ripetere perché si tratta della migliore serie televisiva di tutti i tempi, di qualcosa di unico, primordiale sotto certi punti di vista (nonostante ricicli clichè a mani basse da praticamente ovunque), soprattutto irripetibile. Non cercherò di spiegarvi che si tratta prima di tutto di una storia di persone, non personaggi: persone. E già questo basterebbe. Non starò a sottolineare come il finale dia una sonora bastonata a tutti quanti, specialmente a me stesso, che si è messo a piangere come un bambino per tutte e due le ore, senza vergognarsene, anzi non vedendone l’ora, che si è dimenticato delle risposte e delle domande e dell’isola e di jacob e degli orsi polari, e ha ammirato l’altrettanto sonora lezione (di paraculaggine o di vita, fate voi) che ci hanno lasciato con quella scena finale.

Non c’è bisogno che provi a convincere le persone a guardarlo, o a spiegargli perché abbia pianto, perché oggi al lavoro ho fisicamente sofferto per i rischi di spoiler o per il fatto che questa sera sarebbe stata l’ultima sera che mi sarei sentito così per una dannata serie televisiva. Se non avessi vissuto in prima persona tutto questo, non ci crederei nemmeno io. E quindi vi dico, a chi storce il naso: sì, Lost è una paraculata, Lost è ridicolo, Lost non inventa niente. Non guardatelo, fatevi raccontare in fretta il finale, risparmiate tempo prezioso e concentratevi su qualcos’altro. Un buon libro, i nipoti, una partita a tennis, il sesso. Fate del volontariato, andate al cinema, uscite con gli amici. Lasciatemi solo in questa stanza, davanti a un portatile, a una scritta nera su sfondo bianco, quattro caratteri in croce, a singhiozzare e sospirare. Da stasera sono, siamo tutti liberi, tutti ritrovati e non più persi, siamo tornati ad essere come voi. Torneremo a diffidare di serie televisive, di morali nascoste dentro la giungla, di personaggi cui ci si affeziona come fossero fratelli, anzi di più. Lost ci ha scelto, in qualche modo, e non voglio proprio sapere se vi è piaciuto il finale, e non voglio più giustificarmi di fronte a chi storce il naso. Lost mi ha scelto, in qualche modo, e io gli ho messo in mano la mia vita come fosse una rock’n roll band (auto cit.), ci ho guardato dentro e ho visto me stesso. E ora è finito.

Il punto di vista del Twister

What a Twister poster board can see while we play?

Macabri investimenti

3pendolari1Le Ferrovie dello Stato, o Trenitalia come si usa chiamarle ora, stanno rinnovando parecchio il loro look. Cambiano le stazioni, sempre più tronfie di monitor che trasmettono martellante pubblicità a getto continuo (quella di Di Pietro pre-elettorale che sposta le finestre stile Minority Report è già un classico), cambiano i pannelli informativi, le enormi scritte con i nomi delle città, i quadri con gli orari che passano dall'eleganza meccanica del bianco e nero, a seminuovi cosi a led arancioni di dubbia leggibilità. Cambiano anche le voci automatiche che annunciano i treni: a seconda dei luoghi sono sintetizzate da voci femminili, maschili, robotiche, sincopate, telegrafiche, dialettali. Bisogna in ogni caso stare al passo con i tempi: nell'era di internet il viaggiatore vuol essere informato su tutto quel che accade con minuzia di particolari. Dice: il treno è in ritardo di 5 minuti. Si, ma perchè? Ha forato? Diarrea del conducente?
Così oggi la voce che era solita con molta discrezione giustificare il ritardo ad oltranza del convoglio per investimenti di operai, o suicidi rompicoglioni, annunciando scuse assurde o l'equivalente di un "motivi personali" con un generico "investimento" ha sentenziato tiepida: "causa investimento m o r t a l e ".
Alla notizia dell'esito dell'investimento - mortale - finito male senza possibilità di appello o di happy ending come di solito qualcuno chiosa ("Puvrin... speriamo sia ancora vivo...") per un attimo si è gelato il sangue di tutte le persone in attesa sui binari, si è sospeso il tempo, qualcuno ha storto il naso, qualcuno ha abbassato gli occhi, qualcuno ha smesso di leggere, qualcuno ha guardato il vicino, qualcuno, ebbene si, si è toccato le palle.
- Merda. - ha detto seccamente il tizio con la barba che mi stava a fianco e prende il treno con me ogni mattina, prima di tornare a pensare ad altro. A quel punto, come un segnale di liberi tutti, ogni cosa è tornata al suo posto e tutti i pendolari hanno ripreso a pendolare, come fanno del resto ogni giorno, mortale o no sia l'investimento di Trenitalia.

La vita ai tempi di Google

Oggi al lavoro dovevo contattare una persona. Dopo diverse mail senza risposta, ho provato a rintracciarlo al telefono, ma aveva sempre il cellulare spento.

Così, ho cercato il suo nome su Google e ho scoperto che era tipo morto. "Portato via da un male incurabile".

Buon viaggio

Buffet

Le migliori foto di LondraNote sparse su alcune cose curiose
trovate a Londra

Le migliori foto di Berlino Do not walk outside this area:
le foto di Berlino

Ciccsoft Resiste!Anche voi lo leggete:
guardate le vostre foto

Lost finale serie stagione 6Il vuoto dentro lontani dall'Isola:
Previously, on Lost

I migliori album degli anni ZeroL'inutile sondaggio:
i migliori album degli anni Zero

Camera Ciccsoft

Si comincia!

Spot

Vieni a ballare in Abruzzo

Fornace musicante

Cocapera: e sei protagonista

Dicono di noi

Più simpatico di uno scivolone della Regina Madre, più divertente di una rissa al pub. Thank you, Ciccsoft!
(The Times)

Una lieta sorpresa dal paese delle zanzare e della nebbia fitta. Con Ciccsoft L'Italia riacquista un posto di primo piano nell'Europa dei Grandi.
(Frankfurter Zeitung)

Il nuovo che avanza nel mondo dei blog, nonostante noi non ci abbiamo mai capito nulla.
(La Repubblica)

Quando li abbiamo visti davanti al nostro portone in Via Solferino, capimmo subito che sarebbero andati lontano. Poi infatti sono entrati.
(Il Corriere della Sera)

L'abbiam capito subito che di sport non capiscono una borsa, anzi un borsone. Meno male che non gli abbiamo aperto la porta!
(La Gazzetta dello Sport)

Vogliono fare giornalismo ma non sono minimamente all'altezza. Piuttosto che vadano a lavorare, ragazzetti pidocchiosi!
(Il Giornale)

Ci hanno riempito di tagliandi per vincere il concorso come Gruppo dell'anno. Ma chi si credono di essere?
(La Nuova Ferrara)

Giovani, belli e poveri. Cosa volere di più? Nell'Italia di Berlusconi un sito dinamico e irriverente si fa strada come può.
(Il Resto del Carlino)

Cagnazz è il Mickey Mouse dell'era moderna e le tavole dei Neuroni, arte pura.
Topolino)

Un sito dai mille risvolti, una miniera di informazioni, talvolta false, ma sicuramente ben raccontate.
(PC professionale)

Un altro blog è possibile.
(Diario)

Lunghissimo e talvolta confuso nella trama, offre numerosi spunti di interpretazione. Ottime scenografie grazie anche ai quadri del Dovigo.
(Ciak)

Scandalo! Nemmeno Selvaggia Lucarelli ha osato tanto!
(Novella duemila)

Indovinello
Sarebbe pur'esso un bel sito
da tanti ragazzi scavato
parecchio ci avevan trovato
dei resti di un tempo passato.
(La Settimana Enigmistica)

Troppo lento all'accensione. Però poi merita. Maial se merita!
(Elaborare)

I fighetti del pc della nostra generazione. Ma si bruceranno presto come tutti gli altri. Oh yes!
(Rolling Stone)

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