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Two

Si alzò di colpo sul letto e la realtà le tornò davanti agli occhi, crudele, chè non c'era impegno o diversivo che potesse cambiarla.
Lei non c'era più, ed era passata più di una settimana, già.
Come non c'era più lui, da quasi cinque anni oramai.
Ci son tanti modi diversi di suicidarsi, lui di sicuro aveva fatto prima, quello di lei invece si era protratto a lungo nel tempo. Iniziò a tormentarsi capelli, in silenzio,  tentando di reprimere tutto quello che stava lottando per venire fuori dallo stomaco; rabbia, impotenza, dolore. Cosa sarebbe servito tirarli fuori, le lacrime sarebbero scese e nessuno sarebbe tornato indietro per stringerla a sè.
No, infatti.
Erano giorni che ogni pretesto era buono per farle salire un nodo alla gola, l'acqua, il cielo azzurro, il vento sulla barca, il suono d'una voce. Durava un attimo, di solitudine tra il rumore e la frenesia, gli occhiali da sole calati sugli occhi; ma poi doveva andare avanti, come al solito, che la vita gliel'ordinava, imperiosa, ostinata. Era nata per quello alla fin fine.
Tutto su un colpo realizzò che la cosa più dolorosa erano quei ricordi felici che avrebbe voluto tanto portare con sè nel cuore senza che facessero così male. A quelli pensava quando sentiva di odiarli, entrambi. Li odiava per quanto li aveva amati. E li odiava perchè guardava negli occhi tutti giorni qualcuno che non aveva potuto scegliere se rischiare di morire o meno.
Era un flusso di pensieri, un attimo di dolore acuto, poi il rumore cominciava di nuovo, si stringeva nelle spalle e riusciva a respirare abbastanza da muovere qualche passo.
Una mano sulle sue gambe la fece sobbalzare all'improvviso.
"E' successo di nuovo?"
"Sì."
"Vieni qua, appoggiati a me, su, dormi..."
Un attimo e sentì le lacrime scendere, perchè se ogni tanto quasi si vergognava ad essere felice sapeva che il compito dei vivi era andare avanti. Con chi li avrebbe seguiti.

L’altra.

Le  pareti dipinte di rosso, i faretti, gli specchi enormi nelle loro antiche cornici di legno dorato, scampoli di tessuto, attaccapanni pieni d'abiti, e la "passerella", quella che tante volte aveva  battuto issata su tacchi chilometrici, fasciata in vestiti da sogno, scherzando con le amiche come se nulla fosse.
"L'atelier" lo chiamava quando avevano  quattordici anni, dei giochi di tre ragazzine, la stanza giusto dietro il salotto, non il "Salotto Buono" ovviamente, là ci stavano le nonne coi loro guanti di pizzo a prendersi il The e a giocare a Bridge. Era cambiato poco o nulla in quella casa, la vecchia governante inglese aveva lasciato posto ad una "nanny" trilingue per allevare le nuove leve; c'era la playstation, ma anche la cameriera che dopo averle aperto la porta l'aveva fatta passare nel vecchio rifugio estivo delle ragazze dicendole tutta cerimoniosa:  "L'annuncio alla Signorina".
La porta di legno si mosse lentamente, ne uscì una figura esile, abbronzata, i capelli raccolti in una coda di cavallo.
"Sczita!"
"Deba..."


"Grazie d'essere venuta."
"Sarei venuta anche prima, grazie d'avermi avvisata in tempo comunque..."
"E' stato un fulmine a ciel sereno per tutti, aspetta, mettiti comoda, prendi qualcosa su, fa come fossi a casa tua. Un Martini va bene?"
"Sei gentile, andrà benissimo."
La seguì nel salotto dietro le cucine, si accomodò in poltrona e rimase in attesa che la sua Ospite riprendesse la conversazione.
"Cavoli come ti mantieni bene tu, non si direbbe che la più giovane tra le due sono io."
La squadrò: le unghie laccate alla perfezione, il trucco coprente, la pelle segnata da una vita senza freni nè regole. No nessuno l'avrebbe mai detto. Ma non era il caso di rimarcarlo.
"Taci tu, che sei splendida."
Erano i momenti in cui odiava il fatto di essere nata donna.
"Sczita..."
"No, non dirmelo, non voglio saperlo, scusa, non riesco ancora ad accettarlo, solo ieri sera..."
"Lo sapevamo già che era solo questione di tempo, una volta, l'altra, non poteva durare così per sempre...."
"Com'è successo? Quando cazzo? Perchè non l'hanno salvata?"
"E' successo stanotte, quello insomma, sai...qua nessuno ne parla...era sola, l'han trovata stamattina...era per terra, dicono che non abbia sofferto, che l'arresto sia stato quasi immediato..."
Quasi immediato. Non ha sofferto. Morte veloce, quasi dolce. Pensava alle altre volte in cui si era trovata ad ascoltare le stesse parole. Stronzate in fin dei conti, chi poteva affermare d'esser tornato indietro a raccontarlo?
"Sczita?"
"Non doveva accadere."
"Lo so."
"Tu come stai? Vedo le tue foto sulle copertine dei rotocalchi, ricevo il tuo regalo a Natale e per il compleanno., ma tu. Tu come stai?"
"Come lei, tra alti e bassi. Per di più sono insoddisfatta, non so più essere felice per nulla, sto male perfino quando scopo, anche se non potrei mai dichiararlo ad un giornale, sto con un uomo che potrebbe essere mio padre, non ho amiche della mia età ma ho una guardia del corpo.Non è tutto oro quel che luccica..."
"Non dire così...vedrai, starai meglio anche tu..."
Eppure dentro di sè era come se mentisse. Stringeva le mani della sua frivola amica sapendo d'essere la più fortunata tra le due, con la sua vita semplice e i suoi sogni tangibili. Guardava con occhi diversi quella stanza dove tante volte aveva "giocato a fare la Signora", rendendosi conto di tutto ciò che v'era di superfluo, d'inutile, oggetti. che non avrebbero preservato quella casa dalla sofferenza, nè erano più in grado di donare un briciolo d'eccitazione, di qualcosa di simile alla felicità.
"Sono le nostre scelte che ci rendono forti Deba..." Disse con più convinzione indugiando sulle lettere di quei soprannoimi infantili. "...tu puoi ancora scegliere, lei no. Non si trova sempre sopra le righe la felicità, a volte è più vicina di quando tu possa credere...per quello non la vedi..."
E rimasero immobili, in un abbraccio silenzioso denso di due vite diverse, come fossero state ancora bambine, innocenti, inconsapevoli della malvagità del mondo, senza i segni della vita sulla pelle.
E lei, l'altra, era con loro.

Cose che succedono

- Sai che succede? Che torno a casa, controllo la flebo di mia moglie, me ne vado in cucina a mangiare un pezzo di formaggio e poi mi addormento sul divano, con le mani sulle palle.
Sabrina non dice nulla. Lo guarda con occhi spalancati, come per abbracciare tutta quella mancanza di senso.
- Non scaldarti. Hai troppa rabbia dentro.
- Rabbia? E perchè mai? Cameriere, mi porta un altro campari? Tu lo vuoi?


- No.
- Allora uno solo, grazie.
- Rabbia...- Armando fissa il ripiano del tavolino. E’ già in ritardo, come sempre.
- Sì. Rabbia. Tu non ti vedi.
- Tu invece mi vedi vero? E che cosa vedi, tesoro?
- Non mi piace quando fai del sarcasmo.
- Ok, rifaccio la domanda, che cosa vedi in me, tesoro?
Sabrina lo fissa scivolando a destra e sinistra con lo sguardo. E’ infastidita, forse arrabbiata.
- Vedo un uomo che c’ha un sacco di problemi.
- Già. Un sacco di problemi. E poi?
- Poi basta. Un uomo che mi piace. Che non accetta ci possa essere amore intorno a lui.
Lui ingoia il campari velocemente, come si divora un pezzo di pane, con il disprezzo della fame. Si passa la lingua sul labbro inferiore, fa una smorfia.
- Amore? Di che stai parlando..?
- Questa conversazione è inutile. Fa male a te e fa male a me. Non credo che sia questo che cerchi.
- Chi lo sa cosa cerco?
- Tua moglie come sta?
- Morirà, forse oggi, forse domani.
Lei scuote la testa, guardando il bitume del marciapiede.
- Ora vado. Chiama se hai bisogno. Stai su per favore. Butta fuori un po’ di veleno non puoi vivere in questo modo.
- Infatti. Non so che farci. Scusami se sono brusco.
- Lascia stare. Ora vado. Posso baciarti?
Lui fa di sì con la testa. Si sfiorano le labbra. Lei va verso la fermata. Lui rimane seduto con le viscere in subbuglio e la coscienza ridotta a uno straccio.

Al buio della camera il viso di lei brilla come una maschera d’argilla. Armando siede di fianco al letto respirando l’aria che sa di chiuso e malattia, con le narici frementi.
La donna ogni tanto schiaccia il dito sul telecomando. Il ronzio apre e chiude la valvola (morfina, fentanyl) e si mischia al ticchettare della sveglia.
Perchè si aggrappa alla vita in quel modo? si chiede Armando, non ne ha avuta abbastanza di vita?
La sveglia segna un’ora stonata. Non si accorda con il momento. Le lancette avanzano pigre. Nessuna speranza, solo la vertigine delle parole non dette, il futuro che sbatte la faccia contro la parete di ferro e la mascella contratta. Armando ruota gli occhi per aria, si arrampica sulle orbite, cerca una via d’uscita (basta che sia apparente), non occorre la verità, non serve a niente toccare le cose.
Ora è buio fuori. Armando allunga la mano, tocca il tubo della flebo, raggiunge l’interruttore. Accende l’abat-jour. La donna respira lentamente, sembra che non soffre. Trascorre un po’ di tempo.
Adesso Armando quasi non respira, non vuole svegliarla, non vuole tirarla fuori da uno stato di grazia. Chiude gli occhi ogni tanto. Le sposta i capelli dalla fronte piena di macchie. Si sdraia a fianco di lei, facendo ballare il materasso. Lei non se ne accorge e la stanza sembra sempre più buia, il buio della coscienza che viene portata in un’ampolla di vetro sulla scogliera pieno di vento. Le lancette marciano piano in avanti.
L’urlo di lei lo sveglia di soprassalto: è un urlo roco e continuo con occhi che saltano fuori dalla testa, fatto di mani che artigliano il lenzuolo, oh cristo, che succede? Il fentanyl, merda che è finito. Sta’ buona tesoro mio, sta’ buona adesso te lo rimetto, sta’ buona per favore amore mio non urlare ti prego sta’ buona.

- Come stai? Ce la fai?
- Non lo so. Non so più niente. Mi sto spegnendo come una candela.
- Vieni a casa mia stasera. Chiama l’infermiera e vieni a casa mia. Solo per riposare.
- Non posso. Sono intoccabile. Devo salvaguardare la mia purezza.
Sabrina si mette a ridere, si regge la pancia, appoggia una mano sul bancone, con l’altra si attacca al braccio di Armando: - ma che stai dicendo?
- Dico sul serio.
La donna lo guarda, si fissa sulla mascella quadrata, sugli occhi arrossati dal sonno. Gli tremano le mani. Si guarda in giro ogni pochi secondi. Sabrina allarga le narici e percepisce odore di medicinale, di corpo non lavato. Pensa che vorrebbe prendersi cura di lui. Poi diventa triste, aggrotta le sopracciglia.
- Che hai? – chiede lui, che non concepisce che il dolore si trovi pure da un’altra parte.
Lei scuote la testa. E’ solo un momento, si dice, un momento che vorrei essere lei, attaccata alla flebo.

Happy Birthday!

Venerdi sera Nory mi dà il mio regalo di compleanno, una scatola contenente dei sigari di alta qualità…da fumarsi nelle occasioni importanti, “to smoke in the important happenings”!
La sveglia suona alle 8, come mai? Nory dice: ”Simo, today we go to Vienna”. Ahh, surprise…così mentre mi infilavo I calzoni cercavo di rendermene conto. Prendiamo la macchina, Peugeot 206 verde metallico. 225 km di autopista, come la chiamano qua. Arriviamo alla frontiera, e mi rendo conto di una cosa…dò nell’occhio una cifra: ragazzo italiano, con piercing e pettinatura trendy guida macchina con targa ungherese in territorio austriaco, e per di più a lato ha una bionda! Fico! Mi piace farmi questi viaggi mentali! Insomma sono a Vienna, città in cui operò il famosissimo Adolf Loos (vi chiederete: chi è? Un architetto-designer) studiato per l’esame che purtroppo dovrò ristudiare! Loos House, Sartoria per uomo Knize, American Bar, sono alcune delle sue opere che sono riuscito a raggiungere! Non perdo tempo a dire le solite cose di Vienna, ma perdo tempo per un palazzo dell’arte, che consiglio di vedere almeno da fuori (clic sulla fotografia).
Il ritorno è un serpente di asfalto fino a raggiungere il bagliore che Budapest crea di notte…mi ritrovo nel letto, a dare la buona notte a Nory, e inizio a sognare…sogno di aver progettato un sistema di nervature d’acciaio fino a creare una colonna ad L strutturale, che poi applico nella realizzazione di una struttura di arrampicata artificiale, alta 28 metri che ospita alla base un negozio di cosmetici, integratori e pomate di ogni tipo…il tutto a Ferrara, surclassando così il piccolo Monodito! I giornalisti accorrono da tutta Italia, c’è l’inaugurazione con tanto di cerimonia e conferenza. Vengo presentato accompagnato da un mio quadro, “Composizione vitrea”, salgo sul palco esattamente vestito come lo ero a Vienna…poi il via alle danze….il tutto si conclude che fra microfoni e telecamere mi fumo il mio bel sigaro...

Acqua Padre, che il convento brucia.

Ore sette di sera circa, esco di casa, faccio due o tre curvette, attraverso la strada, infilo un euro nel carrello, getto la sigaretta e attraverso le porte scorrevoli del Billa.
Come un automa mi dirigo verso il reparto bevande, afferro una confezione a caso da sei bottiglie e mi volto decisa in direzione della cassa.
Strank.
Uh. La confezione è rotta. No, rettifico, non è rotta, è aperta. Cazzo, anche le bottiglie sono aperte.
Senza pensarci troppo su faccio la vaga, spingo con una pedata il mio ammasso di bottiglie taroccate sotto uno scaffale e catturo un'altra confezione.
Ri-strank.
Siccome a casa mia due indizi fanno una prova abbandono a malincuore la tentazione di costruire un piccolo Empire State Building fatto di bottiglie difettose e mi metto ad osservare che succede attorno a me.
Ad una prima analisi  sembra che la sorella buona di Katrina abbia vissuto una storia d’amore molto intensa con il “ramo bottiglie” del supermercato, confezioni dilaniate sono pseudoimpilate in posizioni più che discutibili e la maggioranza delle bottiglie è aperta.
E c’è quella signora là che le toccaccia tutte.
Uh, mamma che fa, le apre, aiuto, sicurezza, “dagli all’assassina” e si salvi chi può.


Aspettate, fermi tutti.
Annusa.
E posso dire che no, evidentemente quel che sente non le piace visto che richiude tutto, afferra un’altra bottiglia e ripete l’esperimento, la seconda evidentemente va meglio visto che vince una più degna sistemazione in un mucchietto a parte. Quando ne ha metodicamente collezionate tre-quattro le mette nel carrello e se ne va come se nulla fosse.
Probabilmente è una nuova moda visto che ci stanno altre due "giovini donzelle" da trent’anni per gamba che stanno giocando allo stesso gioco appassionante.
Mi volgo con un sorriso assassino al ragazzo del supermercato che ancora non le ha ammanettate alla cassa, e lui mi guarda desolato e bofonchia qualcosa che assomiglia a un “l’è che non se pol saver se glien’è qualcosa dentro. Nialtri controemo ma semo zona a rìscio”.
Se l’inferno esiste è un luogo dove tutti parlano in dialetto veneto.

Vecchie psicotiche che mi costringono a bere birra da tre giorni a parte (bere l’acqua del sindaco a Padova  significa ingerire cloro, che quasi quasi acqua e varechina si prospetta come un’alternativa piacevole) mi chiedo se un buon numero di italiani non abbia trovato un modo pratico ed indolore per liberarsi della suocera.
Si caccia dentro un alimento a caso un po’ di varechina (per chi ha accesso ad un laboratorio suggerisco qualche acido, sono più efficaci allo scopo) si da la colpa ad  “acquabomber” (o formagginobomber, panedatostpomber, piadinabomber etc. etc.) e il gioco è fatto.
Trallallà trallallà.

Blowin’ in the wind

Avevano attraversato il mare in nave, dormendo tra la melma e la salsedine di una notte interminabile, trovato casa tra le colline alberate dove il sole nasce e tramonta in mezzo agli ulivi, incontrato facce note tra le sabbie rosse di Kontoyallos, fatto richieste inutili di birre al doppio malto giù per il Liston di Kerkira tra la fortezza e il parco pubblico, gonfiato forte materassini ad Agyos Gordios fino ad impietosire i vicini di ombrellone, tirato tardi per i locali di Kavos inseguendo l'onda di inglesi ubriachi senza una meta ne' una ragione.

Avevano nuotato a lungo dentro le grotte su a Paleokastritsa, tuffandosi dalle rocce e pedalando contro i flutti mossi dal troppo vento, bevuto un cocktail infiammato parlando del futuro sempre troppo incerto, accolto un amico in ritardo tra il vento e la pioggia mattutina del porto, dimenticato un pallone d'oro sulle rocce di Gialiskari, ballato con inglesi cicciottelle e le loro madri sulle coste di Kassiopi, visitato le scogliere di Peroulades e Sidari con il vento in faccia e le onde fino al collo, mangiato troppo al tramonto nel giardino mentre le patate cuocevano sul grill, suonato forte la chitarra fino a che le dita non avevano i calli, offerto rose a studentesse slovene, mangiato pita al posto di piadina quando i fast food sono pieni e i bambini a dormire ormai da molte ore.

Avevano saltato per un'ora sulla baia di Agyos Georgios per rubare uno scatto magico che li cogliesse in volo, giocato a bocce senza nient'altro che sassi, guidato forte sulle curve di una pista di kart inseguendo l'altro senza raggiungerlo mai, tergiversato sui viali silenziosi con l'autoradio a palla su un classico degli anni '90 scrutando i volti e le reazioni della gente, fatto trenini con italiane nemmeno troppo chiacchierone, baciato venditrici di bracialettini senza comprarne nemmeno uno, cantato l'inno d'Italia a squarciagola alle quattro del mattino giù per il lungomare di Ipsos, dove l'isola fa una curva a destra e sale alta verso il monte.

Avevano mangiato spalla cotta e salame di pecora fino alla nausea, assaggiato il formaggio alle erbe e la temibile birra greca, avevano scattato foto e colto fiori secchi nel vecchio villaggio di Perithia sul monte Pantokrator, riso davanti un gruppo di tedesche sornione, suonato campane di una vecchia chiesa abbandonata mentre sulle loro teste giungeva lesto il temporale, salutato felicemente un greco socievole seduto al ristorante tra le colline del nord, dormito a lungo sulla spiaggia dopo tanta acqua, svegliandosi ammirando un cielo a pecorelle.

Avevano tergiversato fissando ragazze ad un tavolo ottenendone indietro solo gesti poco simpatici, scacciato vespe nel self-service di Glyfada, sonnecchiato sui divanetti dell'Aloha dove la festa comincia al pomeriggio e prosegue fino a notte mentre al tavolo a fianco giocano a backgammon e bevono caffè shakerato su ritmi house, giocato a pallone al porto in attesa del lungo ritorno fino a scatenare le ire della Polizia, ritrovato facce note con il sorriso sulle labbra e il segno degli occhiali da sole, cambiato in fretta i biglietti rischiando di rimanere fermi sull'isola e riposato a lungo sul ponte riparato dai venti, mentre appena sopra ballavano sirtaki e suonavano chitarre.

Solo allora, dopo aver fatto tutte queste cose e Dio sa quante altre, si riposarono. Chi in una stanzetta calda e polverosa, chi in un paese sperduto sugli appennini, chi in un'alcova d'amore mitteleuropea...

Impossibile dire addio.

[Ovvero il risultato di una serata passata fra la tesi e musica depressiva[

 [Nada Surf - If You Leave]
Passeggiava per le stanze senza riuscire a smettere di guardarsi attorno.
Il letto disfatto, la valigia spalancata ed i vestiti ammucchiati su una sedia, qualche foto, cd sparsi, il suo smalto per le unghie, i piatti sporchi, due telefoni in carica.
Lui dormiva sul divano.
[
Creed - Six feet from the edge]
Con un nodo alla gola prese a riordinare le sue cose per andarsene in silenzio, prima del suo risveglio. Perchè se si fosse svegliato prima della sua partenza lei avrebbe ricominciato a parlargli, a spiegargli, a tentare di fargli capire cosa la feriva.
Ma sarebbero state solo frasi ripetute, quel che doveva dire l'aveva detto.
La sua presenza là non aveva più nessun senso, almeno fino a quando qualcosa non fosse cambiato.
[
Death Cab For Cutie - A Lack Of Color ]


Lentamente ripercorse quello che per lei avevano significato quelle pareti; erano state casa, sicurezza, braccia amiche dove rifugiarsi nei momenti bui, amore, litigate da sola senza che la controparte se ne accorgesse, una sfilza inesauribile di canzoni memorizzate sotto un nome nell'i-pod, luci, colori, fiducia, affetto, sincerità, lacrime, sorrisi.
[Yuppie Flu - Now And on]
Rassettava le sue cose sapendo alla perfezione che quella poteva essere l'ultima volta che varcava quella soglia amica.
Gliel'avessero chiesto tempo fa non ci avrebbe creduto, o perlomeno avrebbe provato a sperare in un lieto fine. Ma poi la vita le aveva spiegato che non esiste un momento esatto per gli addii.
Che quella poteva essere l'ultima volta in cui lo vedeva, così, addormentato su un divano, "lontano" da lei.
[
The Perishers - Trouble Sleeping]
Nel momento in cui avesse varcato quella soglia nulla più sarebbe dipeso da lei, se non il tornare indietro di corsa e a braccia aperte se mai le fosse stato richiesto.
Piangeva pensando che poteva far finta di essersi dimenticata qualcosa di stupido, un polsino magari, così, tanto per avere una scusa per tornare indietro, per rivederlo.
[
Jet - Move On]
Stava là immobile sulla porta, sapeva di dover correre quel rischio.
Con le lacrime agli occhi si avvicinò al divano, lo baciò sulle labbra e gli disse "ti amo". Forse lui non l'avrebbe mai saputo, ma era vero, nonostante le lacrime, i difetti e le incomprensioni.
Chissà, pensò, magari le cose avrebbero potuto mettersi a posto.
[
The killers - smile like you mean it]
Rimaneva ferma sulla porta quasi sperando che si svegliasse a dirle "Non andare, resta qua, resta con me". Stava facendo l'ultima cosa che avrebbe desiderato fare e si odiava a morte per quello.
Ma doveva anche provare ad avere un po' di fiducia in lui, nei suoi sentimenti.
E nel frattempo sentirsi morire ogni giorno all'idea di non avere più un suo segno di vita.
[Ben folds - The luckiest]
Lasciò scivolare la mano sulla maniglia tentando di soffocare i singhiozzi.
Poteva durare un'ora, una settimana, un mese o per sempre.
Il tempo di un respiro ed era fuori da quella casa.
E solo il tempo avrebbe potuto dire se avrebbe avuto ancora il diritto di chiamarla con quel nome...
[
Emm Gryner - Symphonic]

No, Rachele, io non sono affatto paranoico.

24 Luglio, Venezia S. Lucia, stazione ferroviaria.

X: Senti, per favore, scendiamo dal treno, è troppo pieno, se fossi un attentatore salirei su questo treno.
R: My god, è il quarto treno da cui mi fai smontare per lo stesso motivo. Alla luce del fatto che sembra che i precedenti tre non siano esplosi mi faresti il santissimo favore di evitarmi d'arrivare a casa alle tre del mattino per aspettare un treno vuoto?
X: Sei un'irresponsabile, mia madre me lo dice sempre che non puoi capire. Lei capirebbe; lei, quando stavamo in Israele mandava me su un autobus e mio fratello su un altro, così almeno le sarebbe rimasto un figlio. Lei non premerebbe per farmi montare su un treno che certamente esploderà.
R: E perchè allora non li fai con lei i tragitti in treno di grazia? Che poi, non per essere pignola, ma anche i precedenti tre treni a tuo avviso sarebbero esplosi si-cu-ra-men-te... Eppure non mi è ancora arrivato il messaggino dell'ansa, guarda te che strano.


X: E' il caso, colpisce alla cieca, sono sicuro che questo esploderà.
R: Senti, troviamo un compromesso, saliamo su quel vagone là, l'ultimo in fondo, quello con le porte rotte che tanto ci sono cinque persone solo dentro. Che kamikaze vuoi che perda tempo a far saltare in aria un massimo di dieci persone? Se proprio c'è va a centro treno guarda, sono sicura.
X: E se poi c'è un banale incidente ferroviario?
R: Aspettiamo che ci tirino fuori.
X: Senti, tu fa quello che vuoi. Io monto e mi chiudo in bagno, così il kamikaze non mi prende. Se passa il controllore mostragli tu il mio biglietto.
R: E se passa il kamikaze?
X: Vuoi venire in bagno anche tu?
R: Scherzavo idiota.
X: Sei una donna insopportabile. Sappilo. E' per questo che rimarrai zitella, non afferri le cose basilari.
R: Ehm...già. Proprio così.

Dormi

Dolce è il dolore che porti negli occhi, quanto il perdersi dentro di te. Ed il lieve infuriare di rabbia che porti aggrappata alla fragilità. Dormi che è meglio pensarci domani alla muta distanza che scorre tra noi. Quando non sei vicino a scaldare i miei sogni, quando i sogni nemmeno son qui. Dormi che è meglio. (Subsonica - Dormi)

Un'altra notte è scesa questa notte e passa veloce sui tetti della mia città, passa veloce. La notte. E le macchine corrono rapide inseguendo un posto oppure un altro e il ragazzo con la bottiglia di birra in mano appoggiato al muro parla con gli amici, ride, un altro bacia la sua ragazza proprio ora, e guardalo accidenti cosa daresti per essere al posto suo, mentre lui proprio in questo momento pensa che in fondo avrebbe dovuto provarci con quella del primo banco al Liceo perchè diciamolo è capace di baciare niente male. Suona una sirena in lontananza, perchè le sirene sono sempre in lontananza e non capita mai niente dove sei te, e qualcuno in questo momento avrà delle grane serie, muovi il culo e scappa, muovi il culo, non corri mai abbastanza veloce quando hai combinato qualche guaio con la legge. Il fornaio pigramente si alza per preparare il suo solito pane e anche questa mattina farà i bomboloni caldi per la gioia dei bambini golosi e del ragazzo che ora ha finito di parlare con gli amici e si dirige a testa bassa, ciondolante, verso il forno. Hanno lasciato le bottiglie di birra per terra, che maleducati, pensa la signora di passaggio mentre accompagna il cane in giro per giardinetti a fare bisogni primari. Non ci sono più i ragazzi di una volta signora mia, forse il ragazzo di sua figlia dovrebbe portare a spasso il cane al posto suo? Volano piatti fuori dalla finestra: gente che litiga anche a notte fonda. Santo cielo, il servizio buono no. Quanto ben di Dio avrebbe volentieri raccolto il barbone mentre fruga nella pattumiera e si vede volare a pochi metri oggetti rotondi in porcellana. Dateglieli a lui saprà farne buon uso, a voi non servono più. Vi basta un buon avvocato vi basta. Un avvocato. Renzo portagli i capponi che vedrai l'avrai vinta tu. Ecco passare un uomo. Corre, è di fretta. La polizia lo segue a ruota con le sirene spiegate, ma lui è a piedi. Non vincerà. Un nuovo ospite all'hotel Polizia questa sera. Se ti va bene domani sei fuori: magari hai un Cognome con la C maiuscola. Le luci accese in un locale, suonano un brano dei Beatles, le voci da dentro sembrano calde ed intense. Quante chiacchiere, quante risa, quanto alcol scorre nelle vene delle voci, del ladro, del barbone, del ragazzo che bacia la ragazza mentre la signora rimane a guardare e il cane sta cagando proprio in questo momento sul suo piede, dannato cane di merda. Fiumi di verbosità recalcitrante. Resti sconnessi di una notte che ancora è lunga da passare. I primi uccelli intonano un mattutino K126 per chi li sta ad ascoltare e davvero sembra non esserci più un'anima in giro se non fosse che sai benissimo che sono tutti da qualche parte rinchiusi ad ascoltare i Beatles o a bere birra, o a baciare, portare in giro cani, rubare, litigare, rovistare nel pattume e scrivere scrivere scrivere... Così quando me ne vado a dormire e i furgoncini hanno terminato di pulire le strade e i forni emanano in giro l'aroma di pane caldo e le rotative del quotidiano stampano cronaca nera fresca fresca e i morti si schiantano contro gli stessi platani da sempre e lo sballato esce dalla discoteca pieno di overdose e il clochard è avvolto nella sua coperta di carta del giorno prima e le puttane lavorano più possibile per portare un sorriso ai loro bimbi che dormono ignari di tutto a casa lontano lontano lontano e anche l'ultimo tiratardi è andato a casa per davvero e ha detto per stasera basta salutando gli amici e non c'è davvero più nessuno in giro, allora si, non c'è davvero più nessuno in giro. E me ne vado a dormire sereno contando le stelle che ci separano da tutto il resto come sempre è stato e sempre sarà.

Dialogo tra Io e Me

Perchè non te ne vai a dormire e la smetti di scrivere almeno questa sera? Guardati, sei magro sfatto, hai l'aria stanca, quei quattro capelli che ti rimangono sono disordinati e non sanno come stare. Fatti quella barba, non ti sei mai chiesto perchè gli uomini perbene girano rasati quando escono di casa? Potresti andare a chiedere l'elemosina ai semafori. Taci una buona volta, sempre a dare lezioni agli altri. Guardati come sei messo: hai un mare di esami davanti st'estate, tremila impegni che non riesci a incastrare, clienti incazzati che ti chiamano ogni ora, fai tardi ogni sera altro che storie. E allora? Ma che vuoi? Sei sempre in giro tu, ogni sera ne trovi una diversa: le feste, il cinema, gli happy hour, i concerti e le prove con il gruppo, gli amici del liceo, quelli della facoltà, quelli del quartiere e quelli del corso di cucito a momenti. Questa casa non è mica un albergo, trovati un lavoro, datti una regolata. Quando sei qui sei sempre dietro a sto cazzo di blog, ma che avrai mai, l'oro? Lo vuoi capire che non ci fai niente con questo sito? Pure il giornalino ti sei messo in testa di fare, non bastava il tempo che perdi qui? Basta, basta! Smettila di rinfacciarmi ogni scemenza che faccio. Queste cose le so benissimo, tu pensa per te, quand'è che trovi una ragazza e fai meno lo sciatto? Sei diventato scontroso e cinico, per me non ti si piglia nessuno. Lo dici poi te, cazzo ne sai della nostra ferrovia? Lo dico io si, toh, è arrivato il playboy della bassa, il casanova della torre estense! Non esagerare, esageri sempre. Sto solo dicendo che se la smettessi di dirmi cosa non ti va della mia vita e guardassi un po' anche la tua ti accorgeresti che alla fine non sono che due facce della stessa cartolina. Si dice medaglia, imbecille. Mi sembrava una chiusura un po' banale la frase fatta. Non sei più quello di una volta. Ecco. - disse E.

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Dicono di noi

Più simpatico di uno scivolone della Regina Madre, più divertente di una rissa al pub. Thank you, Ciccsoft!
(The Times)

Una lieta sorpresa dal paese delle zanzare e della nebbia fitta. Con Ciccsoft L'Italia riacquista un posto di primo piano nell'Europa dei Grandi.
(Frankfurter Zeitung)

Il nuovo che avanza nel mondo dei blog, nonostante noi non ci abbiamo mai capito nulla.
(La Repubblica)

Quando li abbiamo visti davanti al nostro portone in Via Solferino, capimmo subito che sarebbero andati lontano. Poi infatti sono entrati.
(Il Corriere della Sera)

L'abbiam capito subito che di sport non capiscono una borsa, anzi un borsone. Meno male che non gli abbiamo aperto la porta!
(La Gazzetta dello Sport)

Vogliono fare giornalismo ma non sono minimamente all'altezza. Piuttosto che vadano a lavorare, ragazzetti pidocchiosi!
(Il Giornale)

Ci hanno riempito di tagliandi per vincere il concorso come Gruppo dell'anno. Ma chi si credono di essere?
(La Nuova Ferrara)

Giovani, belli e poveri. Cosa volere di più? Nell'Italia di Berlusconi un sito dinamico e irriverente si fa strada come può.
(Il Resto del Carlino)

Cagnazz è il Mickey Mouse dell'era moderna e le tavole dei Neuroni, arte pura.
Topolino)

Un sito dai mille risvolti, una miniera di informazioni, talvolta false, ma sicuramente ben raccontate.
(PC professionale)

Un altro blog è possibile.
(Diario)

Lunghissimo e talvolta confuso nella trama, offre numerosi spunti di interpretazione. Ottime scenografie grazie anche ai quadri del Dovigo.
(Ciak)

Scandalo! Nemmeno Selvaggia Lucarelli ha osato tanto!
(Novella duemila)

Indovinello
Sarebbe pur'esso un bel sito
da tanti ragazzi scavato
parecchio ci avevan trovato
dei resti di un tempo passato.
(La Settimana Enigmistica)

Troppo lento all'accensione. Però poi merita. Maial se merita!
(Elaborare)

I fighetti del pc della nostra generazione. Ma si bruceranno presto come tutti gli altri. Oh yes!
(Rolling Stone)

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