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In attesa dell’Ultima Spiaggia

Euro 2008 - Speciale CiccsoftIn attesa dell'agguerrito aperitivo di domani tra badanti rumene e bamboccioni italiani, per stemperare la Tensione vi serviamo un post per punti su questo Europeo francamente povero di contenuti tecnici, quasi snobbato persino dagli svizzeri e dagli austriaci che vedono il calcio come un'invasione dell'ordine precostituito. Il pane per chi non ha i denti, come sempre.

- Forse non tutti sanno che è possibile vedere le partite in diretta anche via streaming, sul sito della Rai (cliccando su "La Diretta"). La qualità è decente, la fluidità pure, direi si tratta dell'unica innovazione tecnologica (a parte la diffusione in 16:9 sul digitale terrestre...) della Rai per questi Europei, altrimenti ferma ancora a Franco Lauro, Enrico Varriale, Amedeo Goria, ecc. Credo sia possibile la visione, per motivi di diritti, solo a chi si collega dall'Italia. Inoltre, vi raccomando di ignorare l'avviso dell'installazione dell'inutile plugin per Microsoft Silverlight (il flash scascio di Bill Gates) e di cliccare per la visione in formato wmv.

- Rimanendo in tema Rai, Aldo Grasso lo spiega molto meglio di me, ma la rassegnazione che pervade il telespettatore ad ogni evento trasmesso dalla tv parastatale giunge puntuale non appena compaiono in studio le facce d'altri tempi (quali, poi?) di Paola Ferrari e Franco Lauro. Quando finirà questo tafazzismo mascherato da "valorizzazione delle professionalità interne" che obbliga la Rai ad agghindare con ghirlande vetuste produzioni di eventi moderni e super tecnologici? Basta fare un confronto tra una domenica qualunque a Sky, e una giornata-tipo di Euro2008 su RaiUno. Confronto impietoso per volti, stile e contenuti. Misteri delle assunzioni bloccate e delle posizioni di anzianità intoccabili. Nel frattempo, qui ci si riduce a sopravvalutare addirittura Marino Bartoletti, che dispensa perle assolute (con effetto di glaciare lo spettatore), ma perlomeno mostra di sbattere le ali (da pulcino bagnato) nella paludosa RaiSport. Il giorno di Italia-Olanda ha avuto il "coraggio" (tale si tratta, nel piattume generale degli interventi tecnici...) di portarsi in tasca un'arancia. Gesto epocale.

- Ma quanto è inutile e ridondante la mini-porta lanciata da Decathlon? Ne sono venuto a conoscenza tramite lo spot che imperversa durante gli intervalli delle partite, e dato che me lo sto guardando più o meno tutte, ogni volta mi chiedo  chi possa essere il Frescone che spenda 30 euro per questo... oggetto? Due maglioni o due zaini sono sempre stati più che sufficienti per giocare al parco partitelle improvvisate tra amici o stranieri di passaggio. Serve forse per evitare di andare a raccogliere la palla? Fine delle avventurose immersioni sotto le auto parcheggiate, o dei passaggini buffosamente ribaltati. Oppure risolve la drammatica questione della traversa immaginaria? L'anarchico "ALTA" soppresso da una mini porta del Decathlon? Dopo il No al calcio moderno, un altro pollice verso per il calcio "da strada" moderno.

- Nel mare di speciali da seguire, non può mancare l'ormai (per me, almeno) imprenscindibile Sistema WM, covo di blogger che dispensa "pillole di saggezza" e disegna ritratti "naif" sull'Europeo. La finezza dissacrante e l'acume tecnico-tattico ne fanno il blog di riferimento di Euro2008  (assieme a Ecce Pred'houmme), il mio modo di descriverli ne fa invece di me loro probabile bersaglio...

Mama mia!

Il Socio nel post precedente inquadra bene le dimensioni dello "psicodramma": sconfitta molto psicologica, quella contro l'Olanda, sotto diversi aspetti.
Ragionando però in prospettiva, concediamoci una liberatoria ammissione. Diciamocelo, ora siamo tutti quanti un po' più sollevati, dopo aver assistito al massacro della nazionale campione del mondo in carica. Questo clima tranquillo da pascolo sui prati verdi della Svizzera lasciava presagire bruschi risvegli e puntualmente, il Disastro si è compiuto. Ora si ripiomba in un terreno a noi più consono, la famigerata Ultima Spiaggia, il topos giornalistico della Partita della Vita, del Riscatto, della Resurrezione. Evidentemente sappiamo fare solo i miracoli, la normale amministrazione proprio non ci garba.
E dunque attendiamo la sfida decisiva di venerdì prossimo contro la Romania con il sorriso stampato sulle facce (ancora incredule guardando il punteggio di ieri sera) e le birre belle fresche in frigo. Finalmente la retorica sui Campioni del Mondo è spazzata via, Donadoni è tornato ad essere un brocco capitato lì per caso, i giocatori da semidei riassumono le sembianze di figuranti senza nerbo, fiato, palle, ecc. Dai, diciamocelo a noi stessi, che non vedevamo l'ora. Il vero Europeo italiano, quello del "tutti a casa" oppure della Riscossa "inaspettata", deve ancora iniziare.

Donadoni esce a testa bassa dopo il 3-0 olandese

Impossibile però non fare i conti con l'assurda disfatta di ieri sera. Il campo ha sentenziato le nostre mancanze su tutti i fronti: fisico (i nostri contropiede venivano abortiti per mancanza di fiato), mentale (vero, una mezza reazione c'è stata, ma non ringhiosa, e in generale la sensazione di annebbiamento e confusione era palpabilissima) e tattico (Donadoni ha clamorosamente toppato la formazione, non tanto per gli uomini schierati quanto per la disposizione in campo). Le dimensioni rotonde del risultato (3-0, fatico a ricordarmi simili spettacoli penosi) indicano che non esiste nessun appiglio plausibile, sebbene le circostanze del gol potrebbero offrire qualche spunto, ma è stata una sconfitta a priori, anche se è scontato affermarlo a posteriori. Eppure l'evidenza è sotto gli occhi di tutti: non esiste un'idea granitica di questa Nazionale. Donadoni ha lavorato di ricamo, senza plasmare, con il risultato di avere un abbozzo di squadra, un reticolo pieno di buchi e collegato da fili sottili. Laddove Lippi aveva letteralmente forgiato un monolito azzurro, ora invece ci ritroviamo una Nazionale Italiana che non fa della difesa il suo punto di forza (!), che si permette di schierare un centrocampo a tre con giocatori spompati, con un attacco friabile come un grissino. Chiedere scusa è un gesto politicamente accorto, forse sufficientemente retorico per rituffarci nel mare delle nostre angoscie nel quale diventiamo squali, ma potrebbe anche suonare come una resa anticipata. O, peggio ancora, come un'ammissione dei propri limiti. Sospinto da pesanti ricordi mondiali che fanno da zavorra piuttosto che stimolo per il Riscatto, nell'aria dei pascoli svizzeri spira il forte vento dell'Inevitabile.

La Caduta degli Dei

L'arroganza è presentarsi al primo appuntamento importante con il mantello da Campioni del mondo, consci di un ruolo difficile da indossare ma pienamente meritato, con quell'appagatezza e spavalderia di chi non ha niente da perdere. Passare dalle stelle alle stalle in maniera così brusca fa male, molto, e a pensarci viene voglia di riporre la scaramantica maglia del 2006 nell'armadio per non indossarla più. Non siamo più i migliori e ci teniamo a sottolinearlo nel peggiore dei modi possibili indossando fin da subito la maglia dei Perdenti, dei Peggiori del torneo fino a questo momento. Peggiore schiaffo all'Italia calciofila non si poteva dare. Manca sopra ogni cosa il gioco e l'intenzione di combinare qualcosa in quel rettangolo di gioco: ieri sera ci è parso vedere un gruppo spaesato come se non conoscesse le regole o sapesse in quale direzione correre.
Mancano le palle di Lippi, il culo di Prodi, lo scandalo di Moggi e quella voglia di alzare la testa e provare a far sorridere un popolo che chiede di divertirsi almeno ogni due anni dimenticando per un mese di essere in mezzo alla monnezza e all'intolleranza dilagante.
Una partita e il sogno svanisce, due anni dopo il vento è cambiato e siamo di nuovo l'Italietta del dentro o fuori, dei patemi, dei fiumi di inchiostro di critiche e nervosi - compresi questi - e delle recriminazioni su un gol dubbio che conta, nel bilancio complessivo di una serata disastrosa, come il due di coppe quando briscola è spade. Speravamo in un risveglio meno brusco ed è andata come molti in fondo allo stomaco sentivano, ora gambe in spalla tornate subito a farci sognare. O almeno a dormire un poco, che poi il resto verrà da se'.

Non sarebbe strano prenderla senza eroi

Euro2008La domanda risuona sempre come il grido di battaglia della più feroce banda di ultras: che pizza prendi? In quel momento capisci che è giunta l'ora di scendere in campo, senti tutto il peso della nazione sulle tue spalle, senti il rito compiersi per l'ennesima volta. Finalmente sei trasformato in un perfetto esempio di cieco tifo calcistico popolare, la tua benzina è la cocacola, il tuo credo sono le vocali allungate allo spasimo da Pizzul.
Si chiama "magia" da rito collettivo, dove la moltitudine di cui ti circondi ogni 2 anni nelle calde sere estive di giugno è rappresentata da uno sparuto gruppo di amici-amiche. Cambiano le disposizioni sul divano e pavimento (non toccatemi il sacro scranno mundial) ma il luogo del ritrovo resta immutato, da otto anni a questa parte. Abbiamo iniziato per caso in occasione di un Turchia-Italia 0-2 di una domenica pomeriggio, per gli Europei del 2000 quando scoprimmo le gioie inerrarabili delle invasioni di piazze, vie, centri storici. Quando un litro di bibbbite (con tre b, sì) non bastava a lavare via tutto il sudore consumato per colpa di mille rigori parati e riparati, e una bandiera mordicchiata ad asciugare increduli lacrime per i laccetti tricolori strappati da una coppa che pareva conquistata.

Da allora non c'è più stato evento calcistico che non l'abbia seguito nel quartier generale di Ciccsoft assieme al Socio. Abbiamo assistito ai finti mondiali in Corea e Giappone, le partite a ora di pranzo che facevano saltare le lezioni a ingegneria, i pugni sul pavimento per colpa di un arbitro ecuadoregno. Abbiamo imprecato, ma nemmeno così tanto, al biscotto scandinavo che ci ha fatto ingoiare Euro2004.
A colpi di inni nazionali e tv formato 14" (incuranti di maxischermi e televisori al plasma altrui) si è scolpita sui muri di quella tavernetta la fama di Perdenti, e con questa consapevolezza ci siamo messi a sedere, quasi uno sopra l'altro, la sera di Italia-Ghana. Finita la partita si schizzava via subito per i "caroselli", su una Punto verde anche lei troppo piccola per farci stare tutti quanti, bandiere annesse. E poi una partita dopo l'altra, tra un colpo di culo e un sigaro lippiano si è arrivati allo zenit dell'abbraccio al televisore al gol di Del Piero a Dortmund, alla pizza che ora porgevamo garbatemente in faccia ai tedeschi, a un abbraccio veramente spontaneo e infantile che, provate a chiederlo a chi c'era in quella tavernetta, non si dimentica. Sono ricordi innocui, momenti di vita sì ma fatti di "non vita", chè il calcio, si sa, è una cosa venduta, commerciale, una moda (che dura da 100 anni). In quel momento la tavernetta ha smesso di essere un covo di Perdenti per diventare una ratatouille di ragazzi che stavano imparando a vincere un mondiale. Di lì a pochi giorni, avrebbero fracassato le casse della Punto verde su e giù per Corso Giovecca e Viale Cavour.

Tra poco si apre un nuovo capitolo della Saga dei Grandi Eventi Calcistici. L'Europeo 2008 in Austria e Svizzera: tra vacche e latte, tra cioccolata e banche, tra chiome bionde e prati verdi, con il meglio del calcio moderno. Basta ricordare che agli ultimi mondiali in Germania, 4 semifinaliste su 4 erano europee. Vincerlo conta di meno, per il cuore e per l'onore, ma tecnicamente vale molto di più, tale è l'equilibrio di squadre e l'assenza di materassi arabi o giamaicani. Si potrebbe parlare di pronostici, del fatto che sarebbe anche ora che la Spagna vincesse qualcosa, o del fatto che gira e rigira, le squadri più forti rimangono Italia e Francia. Ma per la prima volta, nella recente storia personale e quindi collettiva, ci presentiamo da Campioni del Mondo. Quindi, diventiamo automaticamente "sfavoriti", dato che solo climi da ultima spiaggia riescono a trasformarci in vincenti. Sarà strano sedersi sullo sgabellino, lunedì sera per Olanda-Italia, appagati e sazi dopo quel trionfo generazionale di due anni fa. Esulteremo in modo contenuto? Faremo spallucce se eliminati al primo turno? Prenderò una semplice margherita oppure opterò per il mio personalissimo grido di battaglia: "una wurstel, grazie"?
Nel mentre, le casse della Punto verde ancora gracchiano, mai riparate dopo i guasti bagordi della notte di Berlino.

Tirar calci allo specchio

La mezzanotte della Cenerentola nerazzurra era scattata mercoledì 11 marzo, dopo che Cappuccetto Rosso si era mangiata in due bocconi il timido Biscione versione europea. L'inspiegabile, ma in realtà scontatissimo, siluramento di Mancini si era già consumato nella sala stampa di San Siro, per mano dello stesso allenatore. E' vero, poi si è vinto uno scudetto, il più bello e sofferto di questi ultimi tre anni, ma la sbroccata manciniana aveva aperto il vaso di Pandora. La scarpetta di cristallo, delle vittorie consecutive, dei mille punti di distacco si è staccata dal fragile piedino dell'Inter che, improvvisamente, si è riscoperta normale. E quindi più nevrotica di tutti.

Mancini vince e lo cacciano

Normale, sul piano del gioco e dei risultati, lo era diventata già dall'inizio del 2008, dopo una prima parte di stagione su livelli stratosferici come prestazioni (fisiche, più che di gioco) e risultati. L'apice lo si è toccato nel derby natalizio, l'ennesima partita in cui si dimostrò che la vittoria l'Inter non se la costruiva o guadagnava, semplicemente decideva di andarsela a prendere, e la prendeva.
Nel girone di ritorno invece la squadra si è sfaldata sotto il peso di una serie quasi imbarazzante di infortuni, e di un'Europa da conquistare. Si è iniziato a giocare partite alla pari con le altre squadre di Serie A, si è smesso di correre e di imporre la propria muscolarità, e come ovvia conclusione, si è anche iniziato a perdere. L'inerzia era il carburante di una squadra a pezzi fisicamente, tenuta insieme solo dal morale e dalla dignità di chi non poteva perdere uno scudetto già vinto. Paradossalmente, penso che se Mancini non avesse sbroccato quella sera della sconfitta col Liverpool, forse avrebbero perso davvero il campionato. Quello sfogo assurdo e improvviso, e subito ricucito come se nulla fosse, ha messo alla luce un disagio che, se l'avessero lasciato circolare nei corridoi della Pinetina, avrebbe prodotto altre figuracce. I riflettori sui malumori interni, sono stati il collante che ha evitato la caduta verticale. Il crollo c'è comunque stato, ma una Roma adolescienziale non ha saputo approfittarne, tanto che più di vittoria dell'Inter, si dovrebbe parlare di sconfitta giallorossa.

Spalletti

L'aspetto forse più affascinante di questo campionato è stato il suo intrecciarsi a doppio filo con le vicende tragicomiche nerazzurre. Siamo stati un po' tutti osservatori di un'Inter incapace di accorgersi di quello che era ormai evidente: che l'incantesimo era, non dico finito, ma sospeso.
Fino all'ultimo (derby perso con il Milan, pareggio con il Siena) hanno voluto affidarsi all'inerzia, quasi che si dovesse vincere per volere divino, per manifesta superiorità nei mezzi e nelle intenzioni, ma non nella pratica. L'Inter si sentiva forte, ma non ha saputo rendersi conto che stava perdendo uno scudetto, che era ritornata normale. Sabato sera, mentre ero impegnato nella trasferta di lavoro ravennate, ho visto sventolare bandiere nerazzurre nonostante la Coppa Italia l'avesse vinta la Roma. Il simbolo di una stagione in cui si doveva vincere e si è vinto, di una convinzione irriducibile che va aldilà del campo, del gioco e del risultato e rasenta il patetico. Scene simili di una convinzione radicata all'interno della propria fazione che si afferma sulla Realtà, se ne sono viste anche nella Roma seconda ma "moralmente prima". E' un calcio identitario, dove persino i risultati sono scavalcati dall'umore delle sue componenti: i tifosi integralisti, i calciatori piagnoni, le società schizofreniche. Vincere non è che non basta più, semplicemente è un corollario alla messa da celebrare, diventa relativo, interpretabile e manipolabile. E dunque si gioisce se si sprecano occasioni, si licenziano allenatori vincenti, si sprecano ulteriori miliardi per perfezionare il perfetto. Un calcio onanistico dove si gioca in 11 contro se stessi.

Essere John Terry.

Accomunati dalla passione per il calcio e per il Manchester United siamo andati al Druid’s Rock a vedere la finalissima di Champions League.

 Adulti abbastanza, noi quattro, da dover venire a patti, almeno a volte, con quello che più si attiene all’età adulta: moralità, serietà, coerenza, attaccamento alle solide basi del reale. Eppure presenti davanti al Manchester United come cerbiatti o stambecchi attirati al ruscello. Non si può non amare il Manchester United, se quel pallone che rotola sta alla tua vita come i globuli rossi al sangue.

DruidNon c’è molto da fare al Druid’s Rock: non servono da mangiare, non c’è grande fantasia nel menu, anzi non esiste proprio il menu. Però ci sono le sciarpe delle squadre di calcio incollate sul soffitto di legno, ed è stupenda quell’arcata, c’è la bandiera del Galles, un sacco di locandine dei film, vecchie bottiglie di rum e whiskey e una foto di Russel Crowe al bancone, incorniciata, con sotto la scritta a penna, gigante, esitante: "Russel Crowe", a caratteri cubitali, così che ti resti impresso almeno qualcosa da raccontare agli amici, il giorno dopo, nonostante la birra, ehi quel pub, sapete, c’è stato anche Russel Crowe e non aveva una bella faccia. Il Druid's Rock è il locale degli inglesi a Roma. Accogliente e informale, a due passi dalla Stazione Termini. In pratica è come stare a casa, però con l’odore delle ascelle di Bobby Charlton al posto del Vape.

Ci mettiamo lì, noi quattro, in piedi, in mezzo agli inglesi, tutti inglesi, solo inglesi: il primo derby inglese della storia in una finale di Champions. I tifosi del Chelsea presenti sono in larghissima maggioranza di colore: ragazzi neri piuttosto a modo, vestiti casual. Quelli del Manchester United sono decisamente più rustici. La partita è bellissima, Cristiano Ronaldo segna e tutti ci vengono addosso: Yyyeaaah! Il Manchester United è superiore, la gente vestita di rosso comincia ad annuire: si fa a turno per andare a prendere da bere. Qualcuno resta col naso appeso verso il monitor sopra la cassa, la mano coi cinque euro a mezz'aria, mentre l'ennesimo tiro finisce fuori di poco.Wayne Rooney

Come può esserci qualcuno al mondo a cui il calcio rimbalzi addosso? Non riesco a comprendere come possa esistere una persona che davanti al Manchester United, la squadra dei ferrovieri dello Yorkshire, non si commuova, non decida di cambiare stile di vita, modi, abitudini. Il Manchester United: sono lì a tifare Manchester United e mi piace ostentarlo: sono dei vostri, odio il Chelsea del petroliere mafioso, odio il Chelsea dell’ebreo Grant, l'allenatore che non fa giocare nemmeno per un minuto il grande Sheva. Come si fa? Come si fa? E’ la domanda che gonfia le guance di tutti quando Ferguson toglie Rooney ai supplementari: not Roney! Mi aspetto di vederlo uscire dall’inquadratura, Rooney, raccogliere la felpa dalle mani del dirigente accompagnatore e comparire accanto a noi quattro, ancora sudato, puzzolente di fatica e di pioggia di Mosca, ehi guys, me l’aspetto, Wayne, l’attaccante più forte e con meno muscoli addominali che esista sulla faccia del pianeta, me l’aspetto che ci raggiunga, coi calzettoni risvoltati dentro i parastinchi e qualche parola poco gentile nei confronti del suo allenatore. Ma tutto quello che arriva è un altro giro di birre e la decisione di seguirci i rigori DENTRO, nella bolgia, nel girone infernale.



Andiamo, ci sistemiamo, c’è un gigantesco maxischermo e almeno altri dieci televisori. C'è odore stantìo di whiskey, piscio e sudore ma, su tutto, c’è un odore che riconosco, un odore che ho sentito emanare dai miei amici romanisti, domenica scorsa, durante l’intervallo delle partite, in redazione, con la loro amatissima squadra prima in classifica finalmente, e l’Inter sotto: l’odore della paura. Fisica. Dici: è calcio. No, è il Manchester United. E’ la vita. E’ il pallone. Ci sono ragazzi di 18 anni che l’ultima volta ne avevano 8 e si persero quel capolavoro comminato contro il Bayern Monaco negli ultimi due minuti di partita. Ci sono uomini che la prossima saranno troppo vecchi. Non c'è futuro, dentro al Druid's Rock. Non c'è la consolazione del: "ma in vita può succedere di peggio". E' una bugia che non consola nessuno: in vita non potrà accedere mai più nulla di tanto grave come l'eventualità di perdere la Coppa adesso.

C’è questo odore qui, lo sento, mentre le squadre sono a centrocampo a decidere la lista di chi andrà a battere per un Paese intero. La paura fisica. La paura di aver fatto tutto quel casino per niente, di aver ingurgitato dodici pinte di Guinness senza motivo: passano negli occhi delle persone immagini care, amici e famigliari, amori passati e speranze. Si sollevano fioretti impossibili: chi giura che lascerà il lavoro, in caso di. Per dio, è la Champions League! Il migliore dei presenti dovrà aspettare altri trent’anni, la nascita di un figlio, la prima parola di un nipote, per poter parlare di una gioia grande altrettanto.

Entra un ragazzo spaesato con la maglia dell’Inter: attraversa il mare rosso e blu come Mosè. E’ la paura, la paura che prende durante il vuoto d’aria sull’aereo, la paura che non lo potrai raccontare.

Sei impotente di fronte a Van der Sar che si sistema i guantoni sulla linea di porta. Non puoi fare niente per infilarglieli meglio. Gli vorresti massaggiare i quadricipiti. Non puoi. Sei impotente anche davanti a John Terry, il capitano di mille battaglie in giro per il mondo, nel fango, nella neve, sotto la pioggia, il capitano, quello lì, quello a cui ti sei aggrappato quando le cose non andavano bene, e non sto parlando del calcio, sto parlando della Vita di tutti i giorni, dammi la forza John..., il capitano, il tuo capitano, quello di cui hai la maglia, quello di cui rispetteresti la moglie, quello per il quale ti butteresti in un fosso, quello di cui hai urlato, coi polmoni di un condannato a morte, il nome da quelle gradinate maledette, domenica dopo domenica, quello che ti sogni di notte, prima di un grande match, quello che ti porti tatuato sul polpaccio destro, insieme ai Che Guevara, ai McEnroe, alle croci celtiche, sei impotente davanti a John Terry vestito di blu che scivola, cade, tira male il rigore della vita, guarda la palla sbattere sul palo, sei impotente davanti al grugnito cupo che si alza dalla gola di metà dei presenti, sei impotente, perché è stato il destino a scegliere per te, una vita fa, se farti tifoso del Manchester United o del Chelsea, è questa la tua impotenza, insieme a tutto il resto, e qualsiasi cosa, allora, al tempo, ti abbia reso rosso o blu, adesso elargisce il suo tributo, di sangue o di tossine, quel brivido ti attraversa la schiena, forse hai visto il tuo capitano fallire un rigore importantissimo, o forse hai visto iddio materializzarsi sotto forma di palo di legno, l'importante è restare concentrati su quest'impotenza, l'impotenza del carnefice e l'impotenza della vittima, sei tutto e nessuno, adesso, dirigente d’azienda e puttaniere, l'unica cosa certa è che non sei mai stato tanto simile a John Terry in vita tua, il tuo eroe, il campione che avresti sempre voluto essere, dietro le tue scrivanie oleose e i tuoi turni massacranti, bello, ricco e talentuoso, coi contratti milionari e le modelle al fianco, adesso è identico a te: a terra, disperato e chiuso in se stesso, steso sul prato con le mani in faccia, piccolissimo e insignificante, ecco che improvvisamente ti ci riconosci, improvvisamente sei tu, John Terry, hai dovuto aspettare questo per riuscirci, la tossica lotteria dei rigori; ne sappiamo tutti qualcosa, i rigori stanno agli appassionati di pallone come le cicatrici ai bambini, ma già tocca a Ryan Giggs e non c'è più tempo per pensare al resto, sei solo tu e quel gallese del cazzo, magro e ormai stempiato, sei tu, sei lui, hai i suoi stinchi, le sue ginocchia, si gratta, ti gratti anche tu, lo segui, lo anticipi, gli vorresti suggerire nell’orecchio qualche cosa, la direzione, il tuo presentimento, il sogno della settimana scorsa, oppure lo vorresti spintonare proprio al momento dell'esecuzione, dipende sempre da quel piccolo filo che da bambino t'ha fatto prendere una direzione oppure un'altra, sei Ryan Giggs o sei Peter Cech, in entrambi i casi è proprio il tuo cuore a fare questo rumore assurdo, è meglio se ti dai una calmata, amico mio, perché tanto la tua impotenza resta, e il gallese te lo dimostra, calciando il tiro di rigore più sensato, bello e pacato che ti riesca a ricordare, ah se solo sapessi battere anche tu in quella maniera; e c'è un signore con la camicia blu e gli occhiali che adesso dà le spalle al televisore e piange, piange e avrà 50 anni, piange perché è un tifoso del Manchester United e lo sa, lo sente dentro le vene secche, che potrebbe essere a un passo dalla Vittoria, perciò piange, quel signore, che a 50 anni suonati, o giù di lì, avrà conosciuto, in vita propria, ben altri motivi per piangere o gioire, eppure lo stesso piange, in silenzio, da solo, dietro gli occhiali, a Roma, e darebbe in cambio qualsiasi cosa, il conto in banca, le scarpe di pelle, il passaporto, la fedina penale; SEI quel signore, l'avresti mai detto?, sei proprio lui, lo sei stato tantissime volte in vita tua, lo sei di nuovo, ti scorre velocissimo il suo sangue negli organi e gli vorresti dire, suggerire, di ripensarci, gli vorresti prendere gli occhi e lanciarli sullo schermo, gli vorresti dire guarda!, guarda Anelka, il tuo avversario, il tuo nemico, guardalo, guardalo perché ha quella faccia lì, Anelka, quella faccia che hai imparato a riconoscere dopo migliaia di partite viste e rigori dati a favore o contro. Ha la faccia di Roberto Baggio, ha la faccia di quello che s’è sentito qualcosa, ha la faccia di uno che se li avverte tutti conficcati nel cervello i milioni di occhi che lo stanno guardando in quel momento e questa è la cosa peggiore che può capitarti, se di mestiere fai il giocatore di pallone, percepire l’enormità di quello che stai per fare, avvertire sui peli dietro la nuca tutto quel buio in cui hanno scelto di rifugiarsi quelli che come il signore del Druid’s Rock non hanno avuto il coraggio di guardare, e saranno centinaia di migliaia, perciò gli vorresti dire, a quel signore girato di spalle, che si copre gli occhi con tutti gli occhiali, di ripensarci, di guardare, perché Anelka ha la faccia giusta se sei un tifoso del Manchester United, oppure sbagliatissima, se tifi dall'altra parte, la peggiore faccia possibile, la faccia della paura, la faccia di quello che sbaglierà la mira, che fallirà il colpo, Anelka ha la faccia di quello che il rigore decisivo sa già di averlo fallito, e infatti c’è questo momento di decompressione che arriva, come quando chiudi il finestrino in autostrada a 130 all’ora e senti quel rumorino in fondo all’orecchio, ecco, senti quello stesso rumorino mentre Anelka fa esattamente quello che ti eri aspettato, che avresti voluto dire al signore con gli occhiali appannati, sbaglia il rigore, e ti dici che il calcio è una cosa che fugge via davanti ai ragionamenti del giusto e dello sbagliato, il calcio è una cosa viva che ridà la vista ai ciechi, non a caso il signore con gli occhiali ora ci vede benissimo e ha la faccia incassata dentro il collo di perfetti sconosciuti che saltano e urlano e tutti piangono perché hanno VINTO, pensi che non l’hai mai vista tanta gente piangere dentro a un pub, pensi che ci voleva il Manchester United, pensi che perfino un paralitico, davanti alla Parata Totale di van der Sar, lì dentro, al Druid’s Rock, avrebbe preso e si sarebbe alzato dalla carrozzina. Così, senza pensarci.

John TerrySe ne vanno i tifosi del Chelsea. Ne hanno abbastanza di birra e destino. Quei neri, di colore, ben vestiti. Se ne vanno, sfilano tra gli avversari estasiati: li guardiamo andare via, nella notte romana, verso Rione Monti, in discesa, verso il Colosseo, nell’illusione di poter dimenticare. Non dimenticheranno. Mai più. Dimenticheranno tutto, della loro vita, faticheranno a ricordarsi, tra venti o quarant’anni, i ricordi più belli, i nomi dei parenti, le date di nascita e di morte della gente cara, ma davanti a una casacca del Manchester United non conosceranno un istante di esitazione: impallidiranno e sapranno perché. Calceranno lattine per la strada tutta la vita, da vecchi perfino, anche se doleranno le ginocchia, e ogni volta che verrà fuori una parabola perfetta, ripenseranno al loro capitano, John Terry, che un giorno di maggio litigò col suo personalissimo destino e scese al livello dei comuni mortali. Guarderanno partite per sempre, col tempo ritroveranno il coraggio di tenere gli occhi aperti durante un calcio di rigore e prima o poi avranno anche la loro vendetta. L'abbiamo avuta tutti, la nostra vendetta, nel calcio. Perché il pallone questo fa: ti stende al tappeto ma poi ti concede la seconda occasione. E' la severa moralità di questo sport: nella nostra esistenza saranno assai di più le occasioni in cui saremo come John Terry disperato per terra. Solo a pochi eletti capiterà di gioire come van der Sar. Passeremo i nostri anni più belli piegati per la sofferenza, ma ci riprenderemo. Ritroveremo la forza di tornare a centrocampo. Pescheremo dentro di noi il coraggio per battere ancora un calcio di rigore senza scivolare. Sono solo 11 metri, soltanto 90 minuti: ma, oddio, certe volte, che fatica.

Alternative

Mi dispiace, caro, ma hai detto una cazzata.
La stagione del Milan è già fallimentare: mettere in bacheca due coppe, conseguenti lo scorso fortunoso anno, giocando 270 minuti e aver acquistato un futuro fenomeno non bastano a coprire le falle di una campagna acquisti mancata (sbagliata sarebbe stato forse meglio) e l'aver snobbato totalmente il campionato, che ora vi vede invece piagnucolare per ottenere un immeritato quarto posto.
Le squadre che attualmente vi precedono meritano di giocare martedì e mercoledì il prossimo anno: Inter e Roma attualmente sono le rose più competitive e che esprimono rispettivamente il gioco più efficace e spettacolare, la Juve è riuscita a riversare tutte le energie sulle partite della domenica... e poi la Fiorentina, da cui ora dipende la prossima stagione. Vincere domani e le prossime due domeniche non basta, purtroppo!
La squadra va rinnovata per più della metà, la vittoria di Atene dello scorso anno è equivalsa a due belle fette di prosciutto sugli occhi di Galliani e nella pancia di Ronaldo... Tra l'altro tra un mese inizieranno gli Europei, quindi non piazzarsi per la Champions e farsi una preparazione estiva come si deve, dopo delle vacanze, con tutti i giocatori nuovi che dovranno per forza arrivare, potrebbe essere una soluzione da non trascurare. Inoltre, nel palmares del Milan manca giusto la Uefa... pensaci, Andrea, pensaci...

(se contro l'Inter Pirlo fa una partita di merda, mi allontano da qualsiasi accusa)

Ferrara-Bolzano 2008

I lettori ferraresi probabilmente si ricorderanno della strana coppia che, la scorsa estate, se ne andò in bici da Ferrara fino a Capo Nord. Quest'anno, il più fremente dei due, Simone, ha pensato a un altro giro ciclistico, assieme agli amici e compagni del Cus Ferrara Triathlon: da Ferrara a Bolzano, sempre in bicicletta, ma questa volta solo su piste ciclabili, e tutto in un giorno solo. Dalla maratona di un mese e mezzo si passa allo sforzo condensato, un chupito monstre di 314km da mandare giù con un lungo, unico sorso.

Ferrara-Bolzano 2008

Anche Ciccsoft è coinvolto nel progetto, addirittura in veste di, coff coff, "partner tecnico ufficiale". Sulla nostra "piattaforma" ospitiamo infatti il sito ufficiale, e diamo una mano per tutta la copertura dell'evento online, tramite il blog, il Flickr e il canale su YouTube. Oggi nella Sala Arengo del Comune di Ferrara c'è stata la conferenza stampa (ne scrive Simone in questo post), durante la quale i ragazzi hanno spiegato le finalità del progetto, con sullo sfondo l'enorme telone degli sponsor tra cui compare pure quello del nostro sgangherato multiblog.

Durante il viaggio invieremo dei video sul canale di YouTube ad ogni ora, per simulare una sorta di "diretta video" ospitata anche su queste pagine. Si parte (e si arriva) sabato 26 aprile, con sveglia all'alba e partenza "intelligente" alle 6.

La Gazzetta della Vita

Esiste forse qualcosa di più inebriante e allo stesso tempo rassicurante del profumo della Gazzetta? Difficile trovare altrove la sintesi perfetta di tutto quanto ha bisogno un uomo: quelle pagine rosa sanno essere amante voluttuosa e madre premurosa, amica sincera e fidanzata scorbutica. Sinonimo di garanzia e perdite di tempo, la Gazzetta è probabilmente la Donna delle nostre vite di sportivi sedentari, un momento quasi istituzionale di letture inutili ma allo stesso tempo irrinunciabili. Con simili responsabilità sulle proprie ultracentenarie spalle, viene sempre guardata con sospetto ogni volta che si tenta di intaccarne il mito con cambi di direzione. La Gazzetta si distingue da un semplice quotidiano sportivo per diventare Mito proprio per la sua autorevolezza raggiunta nel corso degli anni, grazie allo stile e alla personalità che le sue valide penne hanno imposto nel tempo, e risulta pericoloso, se non addirittura oltraggioso il tentativo di modificare qualcosa che funziona, resiste. A chi verrebbe mai in mente di cambiare la formula della Coca-Cola? Ci siamo capiti.

Negli ultimi anni, ovvero in coincidenza con l'abbandono dell'ultimo direttore veramente "sportivo", il Candido Cannavò, la Gazzetta è stata affidata a direttori che con lo sport c'entravano zero. Da Di Rosa a Calabrese, il culmine lo si è raggiunto con l'attuale direttore Verdelli, proveniente (addirittura) da Vanity Fair. Chiaro l'intento: trasformare la Gazzetta da giornale per leggere i voti del fantacalcio il lunedì mattina o coprire il petto dei ciclisti lungo le discese del Giro d'Italia, a giornale "popolare" per eccellenza, per vendere più copie possibili. I puristi hanno storto il naso di fronte agli inutili articoli sulle fidanzate dei calciatori o sulle due pagine piene di brevi da fondino blu di Repubblica.it, che forse aprivano gli orizzonti al lettore ma indubbiamente sottraevano spazio agli altri sport, ad altre analisi, a storie sportivamente più interessanti. Ma un giornale non fa beneficenza, deve vendere, e dunque Verdelli ha osato laddove i precedessori si erano fermati: ha preso la Gazzetta e l'ha rivoltata come un calzino, cambiandone clamorosamente il formato.
Oggi nelle edicole troviamo sempre la Rosea, ma in un'edizione smaccatamente tabloid: dalle dimensioni stile giornali scandalistici inglesi, ai titoloni sparati per qualsiasi notizia, alle pagine interamente a colori ricche di foto (e pubblicità). L'effetto, quando mi sono ritrovato tra le mani il primo numero Post Rivoluzione, è stato quello di vedere la propria madre in minigonna e reggicalze, più o meno. Mi è venuto da chiedermi se era veramente "necessario" questo cambio radicale, se fossi io ad essere un'inguaribile affezionato allo scomodo formato lenzuolo o se effettivamente si stava sputtanando definitivamente un'istituzione. Da leggere è sicuramente più facile, così mini e così infilabile ovunque, e la grafica risulta gradevole alla vista, ma l'aspetto che più mi lascia perplesso è l'ammissione stessa del Blasfemo Verdelli. Nell'editoriale d'esordio della nuova veste, registrava il passaggio di ruolo della Gazzetta, che da "mezzofondista" si apprestava a diventare "velocista". Posso confermare, dopo una settimana di letture, che l'obiettivo è mantenuto: in un formato più piccolo gli articoli sono diventati semplicemente più corti, quelli più inutili sono stati eliminati, lo spazio per gli altri sport condensato, gli articoli solitamente più lunghi ora vengono sostituiti da sintetici riassunti. Come dire: l'approfondimento e la dovizia di analisi non ce lo possiamo più permettere. La Gazzetta sembra essere diventata niente di più che un autorevole Controcampo (autorevole grazie a quello che è rimasto immutato, ovvero la Storia e i Giornalisti), e nonostante frasi da imbonitori e lodevoli intenzioni di rinnovamento, tenta di stare dietro a internet gareggiando sullo stesso campo: la velocità, l'immediatezza. Velocisti, e pure illusi.

Fatemi capire

Muore un poliziotto, e si grida alla fine del calcio, si sospende il campionato, il Paese a lutto.
Muore un tifoso, si sospende solo Inter-Lazio, le altre partite iniziano con 10 (o 15, dettaglio fondamentale, già) minuti di ritardo. Negli stadi risuonano musiche gioviali e Guida al campionato imperterrita prosegue con i suoi stacchetti comici, tanto per citare i primi due dettagli che la pigra televisione domenicale mi sottopone.
Qual è l'errore?

Spiego meglio, che per la frettolosità iniziale mi è sfuggito il quadro generale:
L'errore sta nell'associare al Calcio qualcosa (di inspiegabile) che non c'entrava nulla con esso. Perchè si è parlato ijnizialmente di "rissa tra tifosi"? Per scaricare sul Calcio la colpa un poliziotto pistolero? Dall'errore iniziale è scaturito poi il classico teatro dell'Orrore, messo in scena da Istituzioni, Federazioni e Tifosi, che anche oggi hanno interpretato alla perfezione i propri ruoli.

Buffet

Le migliori foto di LondraNote sparse su alcune cose curiose
trovate a Londra

Le migliori foto di Berlino Do not walk outside this area:
le foto di Berlino

Ciccsoft Resiste!Anche voi lo leggete:
guardate le vostre foto

Lost finale serie stagione 6Il vuoto dentro lontani dall'Isola:
Previously, on Lost

I migliori album degli anni ZeroL'inutile sondaggio:
i migliori album degli anni Zero

Camera Ciccsoft

Si comincia!

Spot

Vieni a ballare in Abruzzo

Fornace musicante

Cocapera: e sei protagonista

Dicono di noi

Più simpatico di uno scivolone della Regina Madre, più divertente di una rissa al pub. Thank you, Ciccsoft!
(The Times)

Una lieta sorpresa dal paese delle zanzare e della nebbia fitta. Con Ciccsoft L'Italia riacquista un posto di primo piano nell'Europa dei Grandi.
(Frankfurter Zeitung)

Il nuovo che avanza nel mondo dei blog, nonostante noi non ci abbiamo mai capito nulla.
(La Repubblica)

Quando li abbiamo visti davanti al nostro portone in Via Solferino, capimmo subito che sarebbero andati lontano. Poi infatti sono entrati.
(Il Corriere della Sera)

L'abbiam capito subito che di sport non capiscono una borsa, anzi un borsone. Meno male che non gli abbiamo aperto la porta!
(La Gazzetta dello Sport)

Vogliono fare giornalismo ma non sono minimamente all'altezza. Piuttosto che vadano a lavorare, ragazzetti pidocchiosi!
(Il Giornale)

Ci hanno riempito di tagliandi per vincere il concorso come Gruppo dell'anno. Ma chi si credono di essere?
(La Nuova Ferrara)

Giovani, belli e poveri. Cosa volere di più? Nell'Italia di Berlusconi un sito dinamico e irriverente si fa strada come può.
(Il Resto del Carlino)

Cagnazz è il Mickey Mouse dell'era moderna e le tavole dei Neuroni, arte pura.
Topolino)

Un sito dai mille risvolti, una miniera di informazioni, talvolta false, ma sicuramente ben raccontate.
(PC professionale)

Un altro blog è possibile.
(Diario)

Lunghissimo e talvolta confuso nella trama, offre numerosi spunti di interpretazione. Ottime scenografie grazie anche ai quadri del Dovigo.
(Ciak)

Scandalo! Nemmeno Selvaggia Lucarelli ha osato tanto!
(Novella duemila)

Indovinello
Sarebbe pur'esso un bel sito
da tanti ragazzi scavato
parecchio ci avevan trovato
dei resti di un tempo passato.
(La Settimana Enigmistica)

Troppo lento all'accensione. Però poi merita. Maial se merita!
(Elaborare)

I fighetti del pc della nostra generazione. Ma si bruceranno presto come tutti gli altri. Oh yes!
(Rolling Stone)

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