Quando entro nella sede della RUA in Piazza Verdi trovo già alcune ragazze: si stanno aggiornando sulla mobilitazione riguardo ai problemi degli studentati e delle sovvenzioni regionali per le borse di studio. O almeno così mi pare di aver capito, in questi momenti sento tutta la mia ruggine di ex-studente e soprattutto di essere stato uno studente IN sede. Di gente ferrarese alla riunione infatti ne vedrò molto poca, un'altra silenziosa risposta alla domanda iniziale che mi ha fatto tornare "studente" anche solo per un giorno: perchè a Ferrara non si protesta?
Mentre attendo l'arrivo di Alessandro, il coordinatore della RUA, scambio qualche parola con Giulia. Le racconto di cosa ho appena (non) visto alla Facoltà di Ingegneria, e non si mostra affatto stupita, anzi. Le motivazioni che mi hanno dato gli aspiranti ingegneri secondo lei sono "giustificazioni", perchè gli esami difficili esistono anche in altre facoltà: "E' questione di non volersi informare, e della mancanza di soggetti che sappiano creare una coscienza predisposta all'informazione".
Nella mia mente tento di riassumere questa incomunicabilità tra soggetti che non vogliono ascoltare una lingua comunque a loro sconosciuta. Giulia mi parla con voce appassionata ma ferma, convivido la sua propensione a essere propositivi e incisivi, senza che le due cose possano apparire in contrasto. Eppure, in questo peregrinare nell'ambiente universitario ferrarese, mi rimane la convizione di assistere a un'antoniana partita a tennis senza la pallina. E buona parte del pubblico continua a guardare da un'altra parte, solo perchè non ha voglia di mettersi gli occhiali per vederla meglio.
Aldilà delle polemiche RUA - S.O., sono più curioso di sapere come un sindacato studentesco che agisce veramente come tale, con voce e fermezza, si raffronti rispetto ad un consistente muro quasi "omertoso" di studenti. Alessandro sorride amaramente del mio resoconto di Ingegneria. Gli chiedo:
Mentre persino Pavia scende in piazza, a Ferrara una bara in rettorato e basta. Qual è il problema di Ferrara?
Guarda, non è soltanto questione di una facoltà più silenziosa di un'altra. E' un problema di Ferrara intera, e possono esserci tante motivazioni come "nessuna". Ferrara storicamente non ha avuto un '68 e nemmeno un '77. Non c'è mai stata una sedimentazione di movimenti per i diritti, ha sempre avuto una vocazione al silenzio e all'indifferenza che ha impedito al movimento di svilupparsi in maniera significativa. Manca dunque una coscienza collettiva, che faccia nascere uno studente pronto a indignarsi concretamente.
Poi si possono ricercare i motivi in vari aspetti... la conformazione della popolazione studentesca, l'assenza di comitati studenteschi forti che facciano da traino. Credo che sia proprio "Ferrara", il problema, prima di tutto, e a seguire varie concause.
Ferrara è una città particolarmente "sfortunata", allora?
Sì, perchè c'è questa concomitanza annichilente: da una parte non ci sono movimenti studenteschi magnetici, dall'altra non vedo una controparte in grado di recepire gli impulsi. Gli stimoli a farsi sentire sono visti in maniera negativa, perchè qui buona parte degli studenti pensa soprattutto alla dimensione personale e a studiare.
C'è da dire poi che in altre città lo studente vive l'esperienza del movimento sin dalle superiori, mentre qui a Ferrara nelle scuole vedo solo qualche collettivo, poco rumore e pochissima sostanza. Gli studenti ferraresi sono disinteressati: la maggioranza del movimento infatti è composta da fuori-sede. Ma anche tra di loro, diversi si muovono solo se vengono toccati nelle proprie tasche, purtroppo.
In questo quadro sconfortante, l'unica speranza è tentare di intercettare il disagio che comunque sta crescendo. Non sarebbe il caso di unire gli intenti dei vari movimenti studenteschi?
E' vero, manca un grande soggetto che riesca a radunare la protesta e incanalarla. Ma noi dall'altra parte abbiamo trovato un soggetto ambiguo, lo Student Office. Quando a luglio è uscita la legge sui tagli, non li ho visti affatto indignati, anzi. Ora, loro contestano il nostro atteggiamento di protesta, quando invece noi vogliamo soltanto accendere l'attenzione della città sui problemi dell'università. Problemi che coinvolgono tutti. Anche lo Student Office vuole che l'università rimanga pubblica, ma con i tagli che ci sarà diventerà impossibile. Eppure non protesta. Andiamo all'inagurazione dell'anno accademico per chiedere un pronunciamento del Senato Accademico, e ci insultano.
Come pensate di procedere, ora?
Nonostante la legge proceda spedita, noi non ci fermiamo. Mercoledì alle 13 (oggi), nell'aula magna di Giurisprudenza ci sarà una lezione di Diritto per spiegare i mali delle leggi che stanno per essere approvate, ed è un'iniziativa che supportiamo fortemente perchè occorre fare chiarezza. C'è confusione, troppa, e bisogna spiegare agli studenti a che cosa si sta andando incontro. Prima ancora che protestare, è più urgente mettere qualche punto fermo. E poi non bisogna disperderci in mille comitati, bisogna radunare forze e iniziative per creare una protesta organizzata, coesa e sensata. Anche perchè si è visto come esternamente sono tutti pronti a tentare di sminuirci e dividerci. A Ferrara è difficile, direi quasi impraticabile, lo so: su 15.000 studenti, solo qualche centinaio è pronto a far sentire la sua voce. I dottorandi che aderiscono sono pochi, i docenti, tranne eccezioni, non si espongono. C'è un intreccio di interessi personali e di categoria, e di visioni politiche, che ostacola e ingolfa tutto quanto. Però andiamo avanti, sempre.
Le parole di Alessandro sono rassicuranti e allo stesso tempo stimolanti. Rassicuranti perchè il retrogusto politico/retorico delle sue argomentazioni si avverte ma non lascia tracce; stimolanti perchè non usa paraocchi o arieti, ma semplicemente la costanza, principale antidoto, prima ancora che l'irruenza, contro la Ferraresità.
Questo speciale ambivalente, dove si sono intrecciate due storie, quella universitaria e quella della mia città, era iniziato con una domanda cardine: dove è finita la Protesta a Ferrara? Ci sarebbero ancora altre facoltà da esplorare, mille altri studenti con cui confrontarsi, litigare, sorridere. Eppure qualche risposta, seppure parzialissima, l'ho trovata. Ho incontrato le certezze evidenti: l'indifferenza come male incurabile. Ho riscoperto acque calde tiepidissime: gli interessi personali e i pregiudizi politici sono capaci di condizionare le vite degli studenti come direi praticamente ogni cosa. Ho constatato che c'è uno spazio enorme e non sfruttato in cui far muovere l'animale dell'Indignazione: ci sono diverse persone che a modo loro ci credono, e tentano di addomesticarlo, e insegnarli a camminare.
Conosco la mia città, lo spopolamento progressivo, le scomode fughe verso le altre città e l'estero, e le ancora più scomode permanenze sia di chi se la dorme sia di chi sta all'erta. Non nutro nessuna speranza in un risveglio di massa, così come sappiamo perfettamente che le leggi passeranno, i tagli ci saranno e molto andrà relativamente a puttane. Rimane però quello spazio vuoto, quell'animale timido e feroce da imparare a conoscere, anche diventando rompicoglioni e retorici. Le chiacchiere, come i fondi, stanno a zero.
(fine?)