Nello sport c'è un'eventualità nota a tutti e che da sempre regola ogni incontro tra due squadre nel caso una di esse non si presenti. Si chiama "vittoria a tavolino".
Ovviamente i tifosi della squadra che non si presenta saranno poi furibondi con i calciatori, con la dirigenza, e lanceranno i peggiori insulti. Tuttavia non si sentiranno privati del loro diritto di seguire il calcio e tifare la loro squadra per episodi simili. Per quest'anno sarà andata così, si è perso il match, la qualificazione o la coppa. Pazienza, ci si rifarà al prossimo giro. Nessun tifoso di chi ha perso a tavolino si sognerebbe di dare la colpa alla squadra che ha vinto senza giocare, la quale vuoi per sportività, vuoi per spirito di competizione, avrebbe senz'altro preferito disputare l'incontro e vincere sul campo. Nemmeno la dirigenza o la squadra stessa si sognerebbe mai di insultare l'avversario, reo di aver vinto a tavolino per colpe che non ha e che evidentemente sono tutte da ricercare tra i vinti, siano esse burocratiche, di negligenza o di natura sportiva.
Questo accade nello sport. Fosse pure la Juventus o l'Inter o una squadra blasonata, ognuno sa che ci sono scadenze da rispettare, carte e scartoffie da consegnare per iscrizioni e altro, e queste valgono per tutti.
Quale parte della frase "vincere a tavolino" non è chiara al nostro presidente del consiglio? Quale malsana abitudine da persona ricca e potente gli fa pensare non che possa, ma che sia giusto, non rispettare una regola così basilare? Davvero il mondo del calcio è moralmente migliore di quello dell'illuminata dirigenza politica italiana? Di questi tempi parrebbe di si.