Ho girato per dieci anni con una data precisa in tasca: l'otto gennaio del duemiladodici. Una data lontanissima che sapeva di futuro: duemiladodici. Ogni volta che aprivo il portafoglio e leggevo quella data di scadenza sulla patente mi sembrava così remota nel tempo da non riuscire ad immaginarmi come sarei stato quel giorno. Dove sarei stato. Quale persona sarei diventato.
Avevo diciott'anni, i capelli mossi tagliati corti con residui di colpi di sole dall'estate festosa post diploma, ero da poco iscritto ad Ingegneria di cui avevo sostenuto appena un paio di esami. Era la seconda volta che ripetevo l'esame per la patente perché alla prima, il giorno dell'anniversario della morte di Freddie Mercury, avevo sbagliato all'ultimo una guida ormai finita perfettamente, non vedendo una macchina arrivare uscendo da un incrocio. "Accosti qui - mi disse rammaricata l'esaminatrice - capisce bene che non posso darle la patente, anche se era andato così bene... cosa le è successo?". Il mio rammarico era non avere sulla patente la data per me fondamentale dell'anniversario di Freddie Mercury, e dover aspettare tutto il periodo delle feste per riprovarci. Problemi da diciottenni. Ma dicevamo dell'otto gennaio. Quel giorno mi era capitata casualmente la stessa esaminatrice: questa volta faccia attenzione, mi raccomando. Esame pulito e rapido, patente firmata accostando giù di strada davanti alla palestra del Barco. Era l'inizio di una nuova vita, di una maggiore indipendenza, di una serie interminabile di viaggi e di giretti per la bassa a scoprire cosa c'era al di fuori delle mura cittadine.
Oggi ho ventotto anni, i capelli tagliati cortissimi, quei pochi che restano. Ho cambiato tre paia di occhiali. Non sono più uno studente da qualche tempo, ho un paio di lavori, una partita iva, poche idee ma molto confuse sul futuro e nessun programma preciso in testa. Ho ancora la stessa macchina di quando ho preso la patente: una Fiat brUno dell'89 che ha girato ormai l'Europa. Ho ancora le scarpe che avevo quel giorno, non si sono rotte e le ho tenute, anche se sono nell'armadio e non le metto più. Ho ancora i jeans di dieci anni fa, ma fatico ad entrarci. Non ho più il primo portachiavi dell'auto con un simpatico bracchetto in silverplate ed ora mi è rimasto solo l'anello con la chiave. C'è crisi.
Ieri, otto dicembre duemiladodici, ultimo giorno di patente, è stata una giornata diversa da come forse la immaginavo a diciotto anni. Mi sono svegliato tardi nella nuova casa che mi hanno comprato, ho pranzato con mia mamma e ho fatto una passeggiata a piedi al sole contemplando la campagna verde nonostante l'inverno. Mi sono perso nei tuoi occhi verdi mentre mi dicevi che sapevi cos'era una wpa e ti ho stretto forte mentre saltellavi felice di questi giorni e di quanto siamo fortunati. Ho cercato un vino da portare a chi ne aveva bisogno e ho trovato solo bottiglie aperte ormai marsalate così mi sono presentato a mani vuote ad ascoltare una storia triste con le lacrime agli occhi, cercando di parlare d'altro, concentrandomi sui formaggi stagionati e gli amari freschi. Ho letto il dizionario e accarezzato il gatto, ho superato la mezzanotte per guidare con la patente scaduta come un fuorilegge qualunque.
Così è stato il mio otto gennaio duemiladodici: una giornata tranquilla e serena in compagnia delle persone cui voglio più bene. Quello che sono diventato non so se avrebbe fatto felice il me di dieci anni fa, con i suoi pensieri e progetti di allora, ma a conti fatti direi che gli è andata piuttosto bene. Prossimo appuntamento: nove gennaio duemilaventidue. Un numerone.