La piazza di Carpi è grande. Sarà lunga almeno due campi da calcio. Almeno, eh. Forse di più. Dentro finiscono per starci un sacco di cose. Una chiesa, là in fondo. Poi un castello, un teatro. Dei portici, dei barettini, dei bancomat, tanti ciottoli. Un palco. Un referendum, che firmo subito e convinco gli altri con me a fare altrettanto. Cantanti, scrittori, partigiani, reduci. E tanta gente.
Parlano tutti, in questa piazza grande che si apre come una prateria improvvisa in un buco della Bassa. Parlano i giovani sotto il palco, ragazzine in tiro sfattoni alternativi fotografi improvvisati gente capitata per caso o per noia o per contagio. Parlano anche i cani, per chi li sa ascoltare. Parlano sul palco canzoni di guerra, di dolore morte e cose molto molto brutte e molto molto lontane, per questo forse così vicine. Tutti parlano, dicono quel che va detto in una giornata come il 25 aprile in un momento come questo. Parlano parlano e la piazza sembra proprio grande, sì. Caspita, saranno anche più di due campi, minimo.
Dentro questa piazza ci sta tutto, non ci manca nulla, non siamo come loro, non lo saremo mai, siamo diversi. Io però non parlo, sto muto, per conto mio, giro per la piazza faccio incazzare il resto della compagnia perché faccio l'asociale, faccio finta di fotografare per non dover dire qualcosa pure io. Mi guardo attorno, penso che è davvero enorme questa piazza a Carpi, pure bella voglio dire, fa pure caldo, è già estate mascherata da primavera, la primavera quando arriva è già finita che neanche te ne accorgi, se non fosse per gli starnuti che ti fanno alzare la testa al cielo e vedi sopra di te del vetro.
Così mi rendo conto che siamo completamente circondati dal vetro, un'enorme campana di vetro senza la neve e noi ci siamo finiti dentro, una calotta trasparente che ricopre tutta questa piazza di Carpi così grande che dentro finiamo per starci tutti, e fuori rimangono loro. E le parole del comandante Dièvel sono proiettili che finiscono sul vetro, come le firme sul referendum sull'acqua pubblica, cosa vuoi che c'entri con la Resistenza, scorreva sangue sulle montagne e ora scorre acqua qui in pianura, o al massimo birra a 3 euro per inzupparci le pizze inscatolate fredde, come "muori tutto vivi solo tu" che ti vengono i brividi a sentirlo dire da Max Collini, come "il reggae è quello che ci vuole in un'Italia fascista", come Capovilla che si sparge il corpo e la voce di merda, come i coglioni di Nori, nel senso delle poesie che legge, come i miei occhi che lo fissano immobile mentre descrive cos'è la guerra, sono tutti proiettili sparati in cielo nemmeno fosse capodanno, invece è il 25 aprile, fingiamo di essere in primavera ma è già estate, molto è già compromesso, forse tutto, chissà quanto è spesso quel vetro, chissà se si lascerà perforare, chissà che magari stavolta si infrange e si spacca tutto e piovono addosso schegge di vetro, speriamo che facciano feriti anche dall'altra parte.
(Le foto di Materiali Resistenti, qui sotto)