Uomini liberi
di Furio
Colombo
da
Unita.it
Non sarà un regime, ma perché rischiare,
deve avere pensato il direttore generale, che pure è sempre
quello di prima, Claudio Cappon. La Rai, lo stesso ente che ha
trasmesso in diretta varie feste di Berlusconi e le piazze con
lo sventolio di bandiere americane, adesso ha dei dubbi sul «pluralismo».
Il direttore dice di no orientandosi sulle parole del senatore
di An Michele Bonatesta: «La tv pubblica non è “l’Unità”
e non trasmette manifestazioni di parte come quella del 2 marzo».
Anche Bruno Vespa si sente finalmente libero dalla pesante
finzione di apparire indipendente. Ricordate le lettere offese a
questo giornale ogni volta che dubitavamo della sua imparzialità?
La sera del 27 febbraio (o meglio la notte fra il 27 febbraio e
il 28 in un impeccabile programma fiume dedicato al ministro
Castelli, che rifiuta la grazia a Sofri ma la chiede lui stesso
in diretta per un suo amico leghista) Bruno Vespa manda in onda
un testo dell’ex presidente Cossiga sul Palavobis e i presunti
pericoli dei “cattivi maestri”. Lo illustra con sequenze di
terrorismo, armi, cadaveri, le immagini torbide degli anni di
piombo. Come dire: adesso, quando vedete un girotondo, sapete
con chi avete a che fare. Alla Camera intanto il deputato di
Forza Italia e avvocato, Michele Saponara, apre il suo discorso,
destinato purtroppo a restare nella storia di questo Paese, con
le parole: «Noi voteremo questa legge senza vergogna». Le sue
parole sono come una didascalia esplicativa per una scena
altrimenti difficile da comprendere e su cui da domani si
interrogherà l’Europa e il mondo. Centinaia di uomini liberi,
solo perché entrati per una ragione o per l’altra in una
coalizione politica, decidono tutti insieme, in poche ore, di
votare la legge che cancella il più clamoroso conflitto di
interessi che sia mai apparso nella vita politica di un Paese
democratico. Mentre l’onorevole avvocato Saponara votava «senza
vergogna», mentre il deputato di Alleanza nazionale Anedda
affermava senza imbarazzo che il conflitto di interesse è a
sinistra perché la sinistra ha governato «abusivamente»,
mentre l’onorevole Chiara Moroni ripeteva con foga: «Noi
siamo uomini, uomini liberi», la rivista americana “Forbes”
ha confermato che Silvio Berlusconi è uno degli uomini più
ricchi del mondo, tra Bill Gates e il sultano del Brunei.
Poiché Bill Gates non governa, e non potrebbe governare, a
causa dei suoi miliardi, è fatale d’ora in poi accostare il
primo ministro italiano, avvolto nel suo immenso e sfacciato
conflitto di interessi, al sultano del Burnei.
I suoi parlamentari da oggi hanno spinto la reputazione italiana
accanto a certe colorite figure che troneggiano alla periferia
del mondo.
Non solo hanno votato, ma molti di loro - per farlo - hanno
dovuto mentire, hanno invocato il comunismo e la vendetta dei
comunisti. Hanno persino detto di credere che dovunque, nelle
democrazie, tutti i capi di governo sono liberi d’avere
immense ricchezze e di farsele fruttare governando.
Torna e ritorna la tormentosa domanda: perché lo hanno fatto?
Spesso si parla male dei Parlamenti. Ma un evento del genere non
era accaduto mai, in Occidente, dal 1945.
Nel nome
del premier padrone
di Curzio
Maltese
Berlusconi è riuscito a far votare dalla sua maggioranza, in un'aula disertata dall'opposizione, la sua legge sul conflitto d'interessi. Una legge unica in Occidente, tagliata su misura per il premier, ancor più di quella sulle rogatorie: un'amnistia personale. Basti dire che il solo effetto pratico dell'estenuante dibattito è il gesto, fra il melodrammatico e lo sfottente, di passare il Milan al figlio e a Galliani. Grottesco. L'Europa ride, l'Italia no. Ma in fondo neppure Berlusconi ha molti motivi per festeggiare una vittoria di Pirro. Anzitutto perché la questione del gigantesco conflitto d'interessi, lasciato intatto dalla finta legge, non si esaurirà con il voto finale del Parlamento tutto berlusconiano. E' destinata ad accompagnare come un'ombra, per i prossimi quattro anni, ogni atto del governo. Come dimostra la cronaca di questi giorni. Quando il premier-padrone di Mediaset pretende di nominare i vertici della concorrente Rai; quando il premier-primo editore d'Italia promette aiuti all'editoria; o ancora quando il premier-Mediolanum progetta riforme della sanità e del sistema pensionistico che, guarda caso, vanno a tutto vantaggio delle compagnie di assicurazioni. Senza contare, s'intende, il conflitto permanente con la giustizia del premier "trattino" imputato, che puntualmente riesplode in Italia e all'estero, come ieri al primo giorno di Convenzione Ue. Ma questi sono soltanto gli aspetti più evidenti della rinuncia a seguire la via maestra, liberale e democratica, di una vera soluzione al conflitto d'interessi. Esistono poi i costi politici e sociali della forzatura in atto. Secondo natura, Berlusconi non ha voluto istituzionalizzarsi, venire a patti con il suo nuovo ruolo di capo del governo.
Al contrario, punta a berlusconizzare le istituzioni e la società, a piegarle nel senso di una leadership "rivoluzionaria" e populista. Ma questa forzatura impone una tensione altissima, quasi uno stato febbrile, nel Paese e in Parlamento. La diretta televisiva dalla Camera ne ha offerto una drammatica sintesi. Gli insulti, le risse, l'inconsueta durezza di un Violante, le repliche furenti ma anche imbarazzate della destra. Fino al gesto estremo, l'opposizione che esce dall'aula mentre la maggioranza si stringe idealmente intorno alla sedia vuota del premier. E' lo specchio del clima che si respira nelle piazze, la fine di un'illusione. Gli elettori che avevano creduto al "nuovo De Gasperi", alla promessa di un'Italia finalmente pacificata, prospera e sorridente sotto una guida forte e illuminata, si ritrovano in pochi mesi a contemplare lo spettacolo di un nuovo caos. Piazze che ogni settimana si gonfiano di protesta, scioperi e cortei, sindacati e industriali avviati verso la rottura della pace sociale. Il tutto sotto lo sguardo sempre più perplesso dell'Europa, con il "caso italiano" protagonista in ogni vertice, che si discuta d'informazione o legalità, prosciutto o costituzione europea. E' un caos "rivoluzionario" nel quale può sguazzare un agitatore alla Bossi, ma che certo non tranquillizza i famosi ceti medi. Tanto più quando lo stesso premier provvede ad avvelenare il clima, continuando ad accusare a ogni viaggio all'estero la "sinistra comunista e anti democratica" di ordire "complotti" e guerre civili. Naturalmente, fra una predica e l'altra alla medesima affinché "moderi i toni".
L'altro effetto paradossale del berlusconismo al potere riguarda il quadro politico. Se Berlusconi puntava a dividere, umiliare e oscurare l'opposizione, nell'utopia di un'Italia "senza sinistra", sta ottenendo il risultato opposto. La sinistra, l'opposizione non è mai parsa tanto fiera, vitale, unita e visibile. In termini familiari, non ha mai avuta tanta audience. Al contrario, il berlusconismo rischia di confiscare, umiliare e logorare la destra italiana. Il dibattito parlamentare e televisivo sul conflitto d'interessi ci consegna una destra formato aziendale, composta da fedeli dipendenti. Una destra legata a doppio filo alla parabola esistenziale, all'avventura umana del suo capo. E' umiliante lo spettacolo di un leader giovane e intelligente come il ministro Frattini costretto a ripetere che non esiste conflitto d'interessi per il proprietario di Mediaset ma semmai per l'amministratore Confalonieri. E' imbarazzante vedere i leghisti come Dussin, che fino al '98 sostenevano con Bossi la necessità di "far saltare i ripetitori del mafioso di Arcore", in prima fila nella crociata salva-Berlusconi. E quale schizofrenia culturale può portare il professor Pera a esaltare Popper, massimo teorico della tolleranza, e Berlusconi, minimo teorico dell'equazione dissenso-terrorismo? Più che con la dialettica fra destra e sinistra, tutto questo rimanda alla dialettica fra servo e padrone. Una vera legge sul conflitto d'interessi, fra tante varate in Europa dai conservatori, sarebbe stata l'occasione per rimuovere il macigno che condiziona da anni la vita pubblica italiana e tornare finalmente alla politica. La maggioranza l'ha buttata via per obbedire all'ordine di quella poltrona vuota. Ma ha ipotecato così il proprio
futuro. Comunque vada, la sinistra sopravviverà a Berlusconi, questa destra no.
Ho
paura di sognare
di Antonio Tabucchi
Di una cosa ero certo: che io potevo vederli, ma non potevo
essere visto. C'era qualcosa che mi nascondeva al loro sguardo,
una sorta di diaframma o di schermo che non riuscivo bene a
decifrare, che mi proteggeva dalla loro vista. Eppure avevo la
sensazione di essere esposto in piena luce, seduto in prima
fila, come a teatro. E da quella prima fila potevo osservarli. I
loro gesti mi giungevano nitidi come l'odore che i loro corpi
emanavano.
Era un odore greve e dolciastro, lo stesso che avevo avvertito
in un anno ormai lontano quando, in un obitorio di una cittadina
di un Paese straniero, ero dovuto andare a riconoscere il
cadavere di un mio amico naufragato con la sua barca. Era uno
spettacolo, di questo ero certo. Ma quello spettacolo era
rappresentato in tutta la sua nuda verità, ed era vero perché
era più vero del vero. La scena si svolgeva sulle banchine di
un porto di una città mediterranea, illuminata da un sole
meridiano che conferiva alla scena quella luce allarmante che
hanno certe fotografie sovraesposte. Al molo era attraccata una
nave d'acciaio, certamente da guerra, misteriosa e minacciosa
come la corazzata di un vecchissimo film.
Era ornata da cannoni e da una bandiera di tre colori che
garriva al vento. L'inquietudine si è impadronita di me.
Qualcosa di turpe, lo sentivo, stava per succedere. E percepivo
anche che tutto ciò non era reale, era frutto della mia
fantasia lasciata allo stato libero come quando si sogna. Mi
sono detto: perché vogliono che io sogni questo sogno?
Chi mi obbliga a sognare? Mi sono detto ancora: devi svegliarti,
non puoi tollerare che ti si obblighi a sognare un sogno che non
vuoi sognare, costoro si sono insinuati nella tua anima,
vogliono impadronirsi di te.
Mi sono dato un pizzicotto, come si fa per svegliare un
dormiente, ma non ho ottenuto nessun effetto. Dunque non stavo
sognando, era vero. Mi sono rassegnato: lo spettacolo a cui ero
invitato non era un mio sogno, era vero davvero.
Sul molo che vedevo dalla mia finestrella, seduto comodamente
sulla mia poltrona al riparo da sguardi indiscreti, è apparso
il volto di un uomo con aria trionfale. Un liquido oleoso gli
scendeva dai radi capelli e gli irrorava le guance, rendendolo
lustro sotto i raggi di un sole che forse era artificiale. «Buonasera,
ha detto con voce melliflua, sono il dottor Melanoma, ogni mio
servizio è un servizio ai Servizi, e così preferisco chiamarmi
per quella natura sarcomatica che vuole la mia funzione di
Officiante, di questa solenne riunione nella quale saranno
decise le sorti del nostro villaggio! Il dio Caprone, di cui
siamo gli umili servi, oggi raduna qui le sue folle veneranti.
Che la processione cominci!». A quel punto sono risuonate
nell'aria le note di un inno marziale. Un grande coro, anzi, un
vocìo, accompagnava quella musica pomposa. Ma era impossibile
distinguere nitidamente tutte le parole. Si coglievano solo
spezzoni qua e là, come sintagmi isolati di una litania: «Guerra,
guerra, guerra». E poi altre parole sussurrate, sillabe alate,
incompiute, monche:
«Arti amputati - ah, ah, ah - corpi dilaniati - ah, ah, ah –
teste maciullate - ah, ah, ah - sangue, sangue, sangue».
Il corteo è apparso in fondo al molo, avanzando. Lo guidava una
sinistra figura che incuteva terrore nell'aspetto. Era un uomo
obeso, dai capelli scarmigliati e le guance arrossate. Il suo
ventre enorme terminava sugli inguini, che poggiavano su una
piccola piattaforma di legno sotto la quale erano state disposte
quattro piccole ruote. Quella tavoletta era il suo mezzo di
locomozione, che il grassone guidava e manovrava aiutandosi con
le mani sul terreno. Sul suo carrello improvvisato svettavano
due vessilli. Su uno c'era scritto «I combattenti e i reduci
delle guerre di civiltà». Sull'altro, un foglio di carta
straccia tutta macchiata, recava la frase: «Gli amici di
Adriano». La mia memoria sognante ha associato
quel nome a un libro che mi è caro, perché di Adriano conosco
le memorie, ma poi, nell'inconsapevolezza lucida del sogno, ho
capito il mio equivoco. Ho sentito un brivido nella schiena e ho
pensato: non si riferiscono a un imperatore, stanno parlando di
un prigioniero, cosa c'entra lui, perché usano il suo nome?, è
un innocente condannato a vita, e la «rogatoria» che lo ha
inchiodato, la parola improbabile di un pentito era priva di
qualsiasi bollo di garanzia. E poi ho pensato: vigliacchi, fa
comodo a tutti che resti in galera.
Il capogruppo ha estratto da una tasca una bandiera piena di
stelle con la quale ha avvolto il suo moncherone obeso e ha
gridato: «Avanti, eroi, per la polvere di stelle!». Dietro di
lui avanzava una figura femminile che gridava come un'erinni: «Sono
sua moglie!, sono sua moglie!, noi abbiamo insegnato agli
Italiani, con la verità degli schermi
televisivi, come si pratica il sesso». Ho cominciato ad
aver paura. E a quel punto è scoppiata la musica:
un'orchestrina di fiati, dietro di lui, ha intonato un celebre
swing: Star dust, polvere di stelle. Ho guardato meglio.
Erano dei
musicanti che parevano uscissero da una fiaba dei fratelli Grimm,
con un' aria di saltimbanchi pezzenti. Colui che suonava il
trombone era un uomo lungo e allampanato, che negli intervalli
del suo fiato sussurrava rivolto al moncherone: «Sei il più
intelligente, per questo noi gente veniamo con te». Gli altri
strumentisti, dotati di flauti, clarinetti, cornette e
trombette, avevano tutti decorazioni sul petto e cartelli
infilati nel collo che indicavano le loro alte funzioni. Poi dal
gruppo si è staccato un individuo dall'aria superba e dallo
sguardo gelido, vestito con un abito elegantissimo. Si è
diretto verso un uomo vestito di un impermeabile di cuoio nero
che li osservava sulla destra del molo e che teneva in mano una
pistola e un rotolo di dollari. «Le ho portato le foto
segnaletiche di tutti coloro che stanno dalla parte del nemico»,
ha detto in tono beffardo l'uomo dall'elegante vestito grigio,
finalmente questo Paese è libero di denunciare i traditori».
Poi si è girato verso il mio punto di osservazione, e per un
attimo ho pensato che si rivolgesse a me, che mi avesse
scoperto, anche se probabilmente si rivolgeva al suo pubblico.
La sua voce, con tono metallico, scandiva frasi pronunciate con
una sintassi italiana elementare. «Se tu mi avessi riconosciuto
- ha sibilato – attento a fare il mio nome, sai, potresti
ricevere visite nella tua abitazione, qualche grammo di
polverina bianca sparsa qua e là portata dai nostri bravi
agenti, non fare lo sciocco, amico, scrivi romanzi e basta, noi
saremo tolleranti se ti comporterai bene». Dietro di lui
venivano altri ometti in doppiopetto. Avevano il volto
minaccioso e il braccio steso in
avanti, con il palmo della mano aperto sul quale c'era scritto
con l' inchiostro: «Ministro della Repubblica».
Solo a quel punto mi sono accorto che tutti i componenti della
processione avevano delle protesi artificiali: chi con una gamba
di legno, chi con delle braccia di metallo, chi, ormai privo di
braccia e gambe, agitava nell'aria con fare esultante arti
artificiali di acciaio lucente. Ciascuno di loro portava sul
bavero della giacca un cartellino con scritto «Reduci dalle
guerre della civiltà», mentre un vecchietto bonario, vestito
da chierichetto, li benediceva con un aspersorio.
E a quel punto il tronco amputato del grassone ha gridato: «Che
il Sabba cominci! Dio salvi la civiltà, la civiltà che per
tutti questi anni abbiamo imposto nel mondo, quella nostra,
quella vera, quella per la quale i nostri servizi si sono
adoperati a disprezzo delle proprie vite e soprattutto delle
vite altrui, quelle vite che per fortuna abbiamo rinchiuso negli
stadi in Cile e gettato dagli aerei nei mari dell' Argentina».
La musica è salita di intensità, come colta da una frenesia.
Il corteo di sciancati, i poveri reduci da tante battaglie, che
hanno vissuto tutti questi anni nell'indigenza e nella penuria,
è finalmente esploso in una danza carnevalesca animata
dall'euforia panica di chi capisce che è ancora vivo, di chi
possiede ancora un sangue robusto che irrora le sue protesi.
E mentre il sabba raggiungeva il suo spasimo in un pandemonio di
voci urlanti e di corpi dimenanti, un cane ha furiosamente
abbaiato nelle tenebre che erano cadute sulla scena, ma
soprattutto ha attraversato i miei timpani la voce gracchiante
di una strega dal volto incartapecorito e lascivo che gridava
con giubilo: «Abbracciamolo, a prescindere, abbracciamolo, a
prescindere».
La
nausea è stata più forte del sogno, ho avuto un sobbalzo e mi
sono svegliato. Era notte fonda, e dallo schermo del televisore
giungeva solo quella polverina elettrica di quando le
trasmissioni sono finite. Ah, era stato solo un incubo, un
terribile incubo. Per fortuna mi ero svegliato alla realtà:
intorno a me c'era solo l'Italia di oggi.
Nota:
A mo' di autocertificazione (pratica ancora consentita) e prima
che lo faccia qualche giornale in stretto rapporto con i servizi
segreti o qualche psicoanalista chiamato da trasmissioni
televisive, vorrei fornire le fonti principali di questo sogno:
1.Retrospettiva Goya, in mostra in questi giorni al Museo del
Prado di Madrid. La mostra riunisce per la prima volta, oltre
alle opere del pittore spagnolo presenti al Prado, numerose
opere appartenenti a musei stranieri. Particolare attenzione è
dedicata alle opere più cupe e dissacratorie come I disastri
della guerra e i quadri sui roghi dell'
Inquisizione e sui sabba che in quell'epoca popolavano la vita e
l' immaginazione delle persone.
2. Francisco Goya, El libro de los Caprichos, a cura di Javier
Blas, Josè Manuel Matilla e Josè Miguel Medrano, Ediciones del
Museo del Prado, Madrid 1999 (si tratta della riproduzione in
anastatica, con ampio
apparato critico, dei Caprichos di Goya il cui lemma, che si è
imposto nel tempo come emblema, è: «Il sonno della ragione
genera mostri»).
3. Carlo Ginzburg, Storia notturna. Una decifrazione del Sabba,
Einaudi 1989.
4. Una trasmissione televisiva di Rai2 dedicata all'ortopedico
italiano Alberto Cairo che da anni opera a Kabul e che finora ha
costruito e istallato nei corpi degli afghani, 40mila protesi di
gambe e braccia amputati dalle bombe e dalle
mine.
5. Un talk-show televisivo della Rai in onda tutte le sere.
6. La manifestazione a favore dei bombardamenti sull'Afghanistan
organizzata dal direttore del giornale Il
Foglio, Giuliano Ferrara, con la partecipazione di Silvio
Berlusconi e delle forze di governo, e trasmesso in diretta
dalla Rai.
7. Svariati telegiornali di Mediaset e della Rai.
8. La grande maggioranza dei quotidiani italiani, alcuni dei
quali sostenuti dal denaro dei contribuenti.
9. Giorgio Boatti, Preferirei di no. La storia dei dodici
professori universitari che si opposero a Mussolini, Einaudi
2001; Mimmo Franzinelli, Delatori. Spie e confidenti anonimi.
L'arma segreta del regime fascista, Mondadori 2001.
10. La bozza di progetto di uno stato poliziesco elaborata
recentemente dal ministro Frattini.
11. Il nostro inconscio, al quale il governo Berlusconi non ha
ancora esteso alcuna legge.
(copyright l'Unità e El País Internacional)
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