PALESTINA 2002:TORNA LA GUERRA
Rassegna stampa e
testimonianze
"I soldati
israeliani che ricevono l'ordine di bombardare i civili
dovrebbero chiedersi come reagirebbero se le loro strade
venissero distrutte". (Yigal Shohat, ex pilota e colonnello
dell'aviazione militare)
"Non è antisemitismo gridare per la demolizione delle case e dei
campi e opporsi alle chiusure e agli assedi che trasformano ogni
villaggio e città palestinese in un campo di prigionia. Dobbiamo
dire forte e chiaro che il nostro governo sta commettendo
crimini di guerra, dirlo in modo esplicito e netto, e ripeterlo
ancora e ancora".
(Shulamit Aloni, ex leader di Meretz e Ministro dell'Educazione)
Zvi Osmolovski, vegetariano e nonviolento
Zvi Osmolovski, 27 anni, è un immigrato della ex URSS. E' stato
condannato a 49 giorni di reclusione, da scontare nella Prigione
Militare n. 4. Zvi è vegetariano e pacifista da quando aveva 13
anni.
"La gente mi chiede perché non mangio carne. Mi dicono che in
fin dei conti, anche essendo vegetariano, non posso riportare in
vita gli animali che vengono macellati. Ho risposto che non
voglio condividere la vergogna o la responsabilità
dell'uccisione di animali. A maggior ragione, non potrei sentire
su di me la responsabilità per l'uccisione di esseri umani,
anche se fossero persone "cattive", unendomi all'esercito che
comanda quell'omicidio".
Zvi si alza in piedi quando i guardiani e gli ufficiali glielo
chiedono (esprimendo così il suo rispetto verso di loro come
esseri umani) e svolge compiti come lavare i piatti (in modo che
questo lavoro non ricada su altri). Per il suo rifiuto di
svolgere alcune mansioni regolamentari prima dell'ispezione dei
guardiani (come piegare le coperte secondo le regole militari),
le coperte e il materasso gli vengono portati via ogni mattina e
restituiti durante la notte.
Zvi Osmolovsky sostiene che la sua prigionia non fa che
rafforzarlo. Non c'è limite al prezzo che è disposto a pagare.
Così come nessuna offerta economica potrebbe convincerlo a
mangiare carne, allo stesso modo nessuna punizione potrà
persuaderlo ad imbracciare un'arma. Se dovrà incontrare il
Conscience Committee - così ha detto a Sergeiy Sandler
dell'associazione New Profile durante una visita - spiegherà
loro che "ogni guerra è un crimine. Ogni esercito è
un'istituzione criminale. Se volete che io resti in prigione,
questo è il risultato della vostra stupidità, non della mia".
Yair Halper e Dostoevskij
Yair Halper, 18enne, è stato condannato a 28 giorni di prigione
e trasferito in cella di isolamento nel Carcere Militare n. 4,
noto per la presenza di guardiani che esercitano abusi ai danni
dei prigionieri.
Prima di entrare in cella, Yair Halper ha dichiarato:
"Mi considero un pacifista, e uso questa parola solo per la
mancanza di una migliore. Ho solo 18 anni, sono ancora un
bambino, almeno ai miei occhi. Continuo a chiedere a me stesso:
che diavolo ne so del pacifismo? I miei valori non sono mai
stati veramente messi a prova. Comunque, "pacifista" è
l'aggettivo più vicino che riesco a trovare per definire quello
che sono.
Obietto a tutti gli eserciti del mondo, non importa dove si
trovano, chi vi lavora e per quali scopi. Inoltre, obietto al
servizio nelle Forze Militari di Israele per ragioni politiche.
Non porterò mai l'uniforme o qualunque altro simbolo che
rappresenti l'esercito o che mi renda parte di esso.
Vedo l'esercito di Israele come un meccanismo che contiene tutto
ciò a cui io mi oppongo. Ogni soldato contribuisce al suo
perpetuarsi, non solo con il completo disinteresse per i diritti
umani dei palestinesi, ma con la continua conferma e
fortificazione dell'occupazione israeliana.
L'esercito fa il lavaggio del cervello ai suoi soldati, impone
loro una mentalità brutale e disumana e fa sì che ciascuno perda
la propria individualità. Non mi unirò ad un sistema che
calpesta i diritti dell'uomo e che continua a rapinare,
controllare ed occupare i territori palestinesi.
Per quanto possa sembrare infantile o stereotipato, io conosco
un solo modo di vivere la mia vita, ed è essere sincero con me
stesso, coerente con i miei valori, vivendo secondo ciò che i
miei principi mi dettano. Sì, entro volontariamente in prigione
e sarò orgoglioso di essere rinchiuso per quello che reputo
giusto. Come dichiarò Dostoevskij, il grado di civilizzazione di
una società può essere giudicato dalle ragioni per cui si è
incarcerati. Shalom, Yair Halper".
62
studenti israeliani, una sola promessa da mantenere
3 settembre 2001.
Al Primo Ministro Ariel Sharon
Noi sottoscritti, giovani cresciuti e educati in Israele, siamo
in procinto di venire chiamati a servire il paese nell'esercito
israeliano.
Noi protestiamo contro la politica aggressiva e razzista
condotta dal governo israeliano e dalle forze armate, e la
informiamo che non intendiamo prendere parte all'esecuzione di
questa politica. Resisteremo con forza alla distruzione dei
diritti umani da parte di Israele.
Espropriazioni delle terre, arresti, esecuzioni senza processo,
demolizioni delle case, blocchi, tortura e impossibilità di
accedere ai servizi sanitari sono solo alcuni dei crimini di cui
si macchia lo stato di Israele, in palese violazione delle
convenzioni internazionali che ha ratificato.
Queste azioni non sono soltanto illegittime; esse non
raggiungono mai i loro obiettivi dichiarati - aumentare la
sicurezza personale dei cittadini. Tale sicurezza sarà raggiunta
solo attraverso un giusto accordo di pace tra il governo
israeliano e il popolo palestinese. Perciò noi obbediremo alla
nostra coscienza e rifiuteremo di prendere parte ad atti di
oppressione contro il popolo palestinese, atti che dovrebbero
più propriamente essere chiamati azioni terroristiche.
Invitiamo le persone della nostra età, i giovani di leva, i
soldati in servizio e i riservisti a fare lo stesso".
Fermate
il fuoco, separate i contendenti!
Una petizione di oltre 700 cittadini israeliani chiede
l'intervento delle Nazioni Unite
Sono circa 700 i pacifisti, gli artisti e gli intellettuali
israeliani che hanno deciso di sottoscrivere una petizione da
inviare alle Nazioni Unite, per chiedere l'invio urgente di una
forza internazionale di pace che interrompa il ciclo di
violenze. La lettera, inviata a Kofi Annan, Romano Prodi e Colin
Powell, è stata ignorata dai media israeliani, e per questo i
700 hanno deciso di autotassarsi per pubblicarlo, come annuncio,
su un'intera pagina del quotidiano israeliano Ha'aretz.
Il testo originario, che pubblichiamo di seguito, comprende
anche le indicazioni per un processo di pace, indicazioni che
gli stessi promotori, a soli cinque giorni di distanza,
ritenevano già "fuori contesto", paralizzati dall'incremento
delle violenze.
Nel frattempo il numero dei soldati e degli ufficiali israeliani
che hanno rifiutato l'occupazione, alla data dell'11 marzo, era
passato a 333.
A Mr.
Kofi Annan
Noi sottoscritti, cittadini israeliani, chiediamo un incontro
urgente del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite per
discutere la situazione dei territori occupati, che non fa che
deteriorarsi. Le recenti e attuali politiche degli Stati Uniti
nella regione provano che gli USA da soli non sono in grado di
portare il conflitto in Medio Oriente ad una pace giusta.
Perciò, chiediamo al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite
di prendere una decisione e di esprimere un mandato per
dispiegare immediatamente un intervento di emergenza e fermare
il circolo vizioso di violenze e vendette.
Crediamo che senza un intervento internazionale imparziale,
decisivo ed immediato, il ciclo di violenza si allargherà e
metterà in pericolo tutta l'area. C'è un pericolo evidente di
massacri di centinaia di innocenti. L'obiettivo dell'intervento
delle forze internazionali deve essere imporre l'immediato
cessate il fuoco e separare le forze israeliane e palestinesi.
Siamo consapevoli che nessun intervento può avere effetto senza
un piano d'azione politica chiaro. Suggeriamo che tale piano
tenga conto dei seguenti punti:
a. Le forze israeliane lasceranno le aree A e B e da quelle
adiacenti, che verranno occupate dalle forze dell'ONU. Il ritiro
israeliano sarà totale, e comprenderà lo smantellamento degli
insediamenti israeliani nelle vicinanze delle aree A e B. Questo
dovrebbe creare una continuità territoriale delle aree
palestinesi liberate, prive di soldati israeliani e di coloni.
b. l'Autorità Palestinese dichiarerà il cessate il fuoco totale.
c. le forze internazionali saranno spiegate con l'obiettivo di
separare i soldati israeliani dalla popolazione civile
palestinese, proteggendola e prevenendo ulteriori ostilità e
inutili spargimenti di sangue.
d. le Nazioni Unite converranno per una conferenza
internazionale al fine di discutere l'implementazione delle
risoluzioni dell'ONU, incluso il ritiro delle forze armate
israeliane ai confini precedenti al 4 giugno 1967, il destino
dei luoghi santi, la giusta risoluzione della questione dei
rifugiati e il riconoscimento di uno stato palestinese
pienamente indipendente, con capitale in Gerusalemme Est.
Vi chiediamo di intervenire con urgenza; ogni ora in più
significa la morte di persone innocenti!
Petizione promossa da una associazione di vedove di guerra
israeliane
QUANDO
E' TROPPO, E' TROPPO!
Noi, vedove dell'esercito israeliano che hanno subito lutti e
perdite, gridiamo: BASTA CON LA VIOLENZA!
In questo terribile momento di disperazione, violenza e
devastazione, quando le donne di entrambe le parti perdono i
loro mariti e i bambini rimangono orfani, noi diciamo: E' IL
TEMPO DI SPEZZARE QUESTO CIRCOLO VIZIOSO! Il dominio di altri
popoli richiese vittime non necessarie da entrambe le parti, e
mette in pericolo le vite di tutti noi e i valori morali della
società israeliana. Sangue chiama sangue e violenza chiama
violenza!
Noi non avremo requie nella nostra regione senza una pace giusta
che assicuri ad entrambi i popoli di vivere nel rispetto della
libertà, della sicurezza e della dignità umana.
La
storia di tre donne incinta durante due giorni di occupazione
Ieri una donna incinta palestinese che ha cercato di raggiungere
un ospedale per dare alla luce il proprio bambino, è stata
colpita dai fucili dell'esercito israeliano, ad un posto di
blocco all'entrata di Nablus. Di che cosa era colpevole?
Tormentata dalle doglie, non ha capito immediatamente che i
soldati le avevano ordinato di fermarsi.
La donna è stata trasportata all'ospedale di Nablus ed è stata
operata durante il parto.
Successivamente, l'esercito ha espresso ufficialmente il proprio
rammarico, ma sembra che non sia stato abbastanza convincente
con i soldati, che hanno ripetuto l'accaduto allo stesso posto
di blocco.
Un'altra donna palestinese è stata colpita all'incirca nelle
stesse circostanze. Anche questa donna ha dovuto essere operata
durante il parto, e quando è ritornata in reparto le hanno detto
che è diventata vedova. Questa volta - un'eccezione - le donne
palestinesi in lacrime con i loro bambini sono state mostrate in
televisione.
Proprio oggi, una donna israeliana in stato di gravidanza
avanzato, che vive nei territori occupati, è stata colpita dai
cecchini palestinesi mentre guidava su una via della
Cisgiordania, a sud est di Betlemme. E' stata portata
all'ospedale Hadassa, a Gerusalemme. Anch'essa è stata operata e
ha partorito in sala operatoria.
UNA
LETTERA DAI RISERVISTI ISRAELIANI
Una risposta all'intervento di Amnon Rubinstein sulla "obiezione
selettiva" dei soldati e ufficiali israeliani contro
l'occupazione, comparso sul giornale Ha'aretz
Tu, Amnon Rubinstein, professore e membro dello Knesset, tu che
siedi nella tua torre d'avorio a Gerusalemme e a Tel-Aviv e
conosci le lusinghe del potere da ormai 20'anni, tu che ti
consideri moralmente superiore agli altri politici, quando è
stata l'ultima volta che hai prestato servizio come soldato nei
territori occupati? Dev'essere passato molto tempo, se mai lo
hai fatto. Non fosse così, non avresti attaccato chi ha scelto
di fare obiezione di coscienza contro l'occupazione.
Traspare dall'orgoglio con cui definisci la "morale" e la
"coscienza" che sei incapace di comprendere davvero che cosa hai
chiesto ai soldati, inviandoli nei territori palestinesi nei
passati vent'anni.
Tu non hai mai visto un bambino urlare a pochi metri da te
perché le sue ginocchia sono state frantumate da una pallottola;
non sei mai stato ad un checkpoint a stabilire il destino; non
sei mai stato presente quando soldati delle tue truppe, meno
acculturati di te, hanno usato i coltelli per tagliare il volto
dei bambini palestinesi; non hai mai schiaffeggiato le donne
palestinesi in lacrime, perché le loro case sono state bruciate
durante la notte, e non hai mai camminato con gli scarponi
militari sulle teste degli uomini palestinesi sparsi a terra.
In breve, non hai partecipato agli orrori dell'occupazione. Per
te questa occupazione è virtuale. La conosci solamente
attraverso le deliberazioni del comitato dello Knesset,
attraverso le statistiche, i mass media, che, come indubbiamente
puoi capire, non presentano mai la realtà, bensì creano una
realtà alternativa.
Hai familiarità con l'occupazione attraverso conversazioni
disciplinate, nei quartieri settentrionali di Tel-Aviv. Sei
segnato da una delle maggiori mancanze che un leader può avere:
uno squilibrio tra la tua percezione della realtà e il modo in
cui le cose stanno realmente. Un leader di tal fatta distrugge
rapidamente la propria credibilità di giudizio.
Finché sei stato membro dello Knesset e al governo negli ultimi
9 anni, noi soldati abbiamo servito l'esercito regolare e svolto
il servizio di riservisti, portando avanti il lavoro sporco nei
territori occupati.
Tu eri l'uomo di stato, il leader, noi eravamo le pedine della
tua scacchiera, quelli che eseguono gli ordini.
Anno dopo anno abbiamo messo in pratica quello che ci veniva
richiesto senza lamentarci, sigillando il nostro cuore e
turandoci il naso per non sentire la puzza, l'orrore,
combattendo, ognuno da solo, per ridurre i danni sulla nostra
psiche, sui nostri fratelli, e sulle nostre famiglie.
Un grande numero di nostri compagni si è rifiutato di continuare
e di pagare questo prezzo, e ha trovato la propria strada fuori
dai doveri militari accampando vari pretesti. Solo pochi di noi
sono rimasti con fiducia; abbiamo continuato perché credevamo in
te, Amnon Rubinstein, ed eravamo certi che mentre noi eravamo
nei territori tu, il nostro pilota, avresti certamente trovato
una strada per tirarci fuori di lì, per portarci verso la pace,
per creare un paese in cui la vita non dovesse fare i conti con
le ferite dell'anima.
Hai avuto nove anni per educarci e per portarci fuori da questo
deprecabile, necrofilo lavoro nei territori occupati. Sei
fallito miseramente. Eppure, questo fallimento non ti ferma dal
continuare a richiamarci (con un leggero tremolio nella voce) a
continuare ad essere i tuoi uomini di fiducia.
Non ti tormenta continuare a mandare i figli del tuo paese a
commettere crimini di guerra? Sei sicuro di avere il tiolo per
chiederci una cosa simile? Che cosa hai rinchiuso nel tuo zaino
per offrirci di continuare ad annusare i corpi dei morti per
altri nove anni, così da alimentarci delle tue giustificazioni?
Sembri non capire che hai perso il tuo privilegio morale per
guidarci oltre in questa faccenda, che hai perso la fiducia del
tuo gregge, che hai delapidato la tua credibilità come leader
ormai al suo limite.
Ora che la nostra obbedienza non è più nelle tue mani o nelle
mani dello stato, per la mancanza di responsabilità da parte tua
e da parte dei tuoi compagni politici, sei costretto a cercare
soluzioni diverse ai problemi. Questo è il compito di un leader.
Se non ne ne sei capace, lascia che lo facciano altri più
qualificati di te.
La
speranza è nella paura
di Deby Birnbaum
Quella che segue è una lettera inviata da una madre israeliana,
Deby Birnbaum, all'associazione pacifista israeliana New Profile,
che sostiene gli obiettori di coscienza.
Per chi volesse approfondire segnaliamo, sul sito
www.nonviolenti.org, il dossier Israele e Palestina, nel quale
presentiamo, tradotti in italiano, i contributi di alcuni tra i
più importanti gruppi pacifisti attivi in quei territori.
I testi comprendono: la testimonianza di azioni nonviolente, la
denuncia di situazioni di violazione o l'ampliamento degli
insediamenti israeliani, l'obiezione di coscienza in Israele,
alcune voci del dibattito sulla risoluzione del conflitto per
come viene affrontato negli ambienti nonviolenti.
In Israele, le madri che hanno paura - gli uomini non hanno mai
paura - sono definite "troppo ansiose", irrazionali e incapaci
di pensare chiaramente. E' un modo tutto israeliano per disfarsi
della paura. Una emozione legata ai fatti, la paura; una
emozione che è razionale ed essenziale per sopravvivere. Le
madri vengono considerate "incapaci di comprendere" perché "la
loro ansia annebbia la capacità di pensare razionalmente".
Vorrei dare voce a quello che sento.
Io ho paura quando penso al mio figlio più grande, arruolato
nell'esercito, e so che verrà sottoposto ad una formazione che
lo priverà della sua identità, indipendenza, sentimenti, paure e
speranze, e della sua capacità di pensare in modo critico e
creativo. Tutto questo rientra negli sforzi necessari per fare
di lui un soldato efficiente, che obbedisce incondizionatamente
agli ordini.
Ho paura perché so che, nel momento in cui mio figlio entrerà
con la sua anima e i suoi sentimenti nella "stanza dei sigilli",
le sue possibilità di uscirne saranno pressoché nulle.
Ho paura perché so che mio figlio assumerà il linguaggio e il
comportamento del potere; che per lui il dialogo diventerà una
battaglia da vincere, perché questo sarà l'unico modo per
diventare un ragazzo in gamba e sopravvivere alle missioni di
morte e di distruzione che richiedono di ritenersi invincibili.
Ho paura perché so che finirà per disumanizzare chiunque
rappresenti, in quel momento, il nemico. Questo sarà per lui
l'unico modo per diventare capace di uccidere, o di essere
ucciso.
Ho paura perché so che farà suo il modo di pensare per cui "non
c'è alternativa". Dovrà convincersi che il potere e la violenza
sono modi legittimi per risolvere i conflitti sociali e
politici, o non potrà accettare di opprimere, di uccidere, o di
mettere in pericolo la propria vita.
Ho paura perché so che finirà per credere che il diritto alla
vita degli ebrei in Israele ha la priorità sulle altre fedi o
nazionalità. E che è impossibile condividere le risorse, ma solo
soccombere o far soccombere. Solo con questo atteggiamento
interiore potrà rischiare la propria vita o sopprimere quella di
altre persone.
Ho paura perché so che, a dispetto di tutte le canzoni, le
preghiere e i miti di eroismo, l'esercito è una istituzione
progettata per uccidere e distruggere nel modo più efficiente
possibile.
Ho paura perché so che chi prende decisioni politiche in tema di
sicurezza, in Israele, non è mai stato un semplice civile, non è
mai stato "pauroso"; è stato solo un generale e, prima di
questo, un soldato. Queste persone sperimentano la parte più
dolce della gerarchia, cioè possedere un potere immenso che
nessun civile può teoricamente contraddire, avere tutti i
privilegi di classe, e il senso di onnipotenza di chi ha
subordinati che obbediscono agli ordini senza fare domande.
Ho paura perché chi decide è occupato con cosucce banali -
giochi di potere e di prestigio - e tratta tutto con la stessa
serietà e la stessa pesantezza. Non ho visto in loro il coraggio
e la speranza che occorrono, per portare una società confusa e
frammentata alla trasformazione dei valori e dei comportamenti,
necessaria per una soluzione giusta. Stanno sprecando tempo e
vite umane. Io so che questo tempo si paga con il sangue.
Ho paura perché so che il conflitto continuo con i palestinesi,
i siriani e i libanesi è una copertura per non occuparsi del
nucleo corrotto della questione, dovuto alla negligenza di tutti
i governi precedenti - povertà, razzismo, disoccupazione,
estremismo, discriminazione, oppressione dei deboli. Di fronte a
queste complesse difficoltà, la cosa più sicura è sempre stata
ripetere il mito del proprio essere piccoli, vulnerabili,
minacciati, in un mondo che ci odia e che vuole distruggerci.
Ho paura perché so che abbiamo abbastanza armi convenzionali,
chimiche e atomiche per "sentirci al sicuro". Ed inoltre le
cosiddette fonti militari sostengono che questo apparato è
inadeguato - inadeguato per i militari e per quelli che
guadagnano dai profitti della guerra. Così, le enormi risorse
che potrebbero venire applicate alla soluzione dei problemi
reali, vengono deviate su progetti immaginari, e continuano ad
alimentare una sicurezza illusoria.
Io ho paura perché mio figlio è stato educato in un sistema
ideologico che gli trasmette messaggi come "la guerra è
inevitabile", "non ci sono alternative", e "il massimo è
diventare un eroe".
Io ho paura perché le mie possibilità di convincerlo che le
alternative esistono, non sono il massimo.
Io ho paura perché non ci sono speranze che l'esercito avvii una
seria ricerca delle soluzioni, o si chieda quanti sono gli
elementi necessari per i suoi contingenti, o accetti di
comunicare in modo trasparente sul numero di coloro che non
vengono chiamati alla leva, o prenda in considerazione la
possibilità di ridurre le proprie dimensioni e risorse.
Io ho paura perché non c'è nessuna autorità civile che possa
rispondere al mio appello per esaminare seriamente la struttura
e gli obiettivi dell'esercito.
La mia paura è diventata una opportunità di conoscenza. Ogni
volta che la sento, mi fermo ad osservarla e scopro nuove
sfaccettature.
La paura è la voce che mi chiede di fermarmi ad ascoltare. Che
mi chiede di ascoltare, insieme, la mia mente e il mio cuore.
Attraverso una maggiore conoscenza, possiamo decidere come
agire.
Certo, ho presentato solo parte della questione, e molto di più
potrebbe essere detto. Ma, per quanto mi riguarda, ho deciso che
ne so già abbastanza.
Non ho intenzione di aspettare di conoscere "tutto lo scibile
sulla sicurezza nazionale" per fare la pace.
Non ho intenzione di collaborare.
Mi rifiuto, dal profondo della mia coscienza, di entrare a far
parte della macchina ben oliata che trasforma mio figlio in un
soldato.
Mi rifiuto di chiudere gli occhi sperando il meglio, e di
ripetere il mantra, così familiare tra ebrei-israeliani, "non ci
sono alternative, la guerra deve andare avanti".
Due
generali senza strategia
di LUCIO CARACCIOLO
SHARON e Arafat sono due generali senza strategia. Un buon
condottiero si distingue dall'abilità nel prevedere le mosse del
nemico per imporgli le proprie. Né il leader israeliano né
quello palestinese sembrano aver fatto tesoro della lezione del
duca di Wellington, celebre per la sua capacità di indovinare il
tipo di terreno che avrebbe trovato al di là di ogni collina. Da
allora il talento nell'immaginare che cosa c'è "dietro la
collina" è sinonimo di intelligenza strategica. Qualità che non
sembra oggi abbondare in nessuno dei due campi. A soffrirne è
soprattutto la parte israeliana.
Mentre la spirale terrorismo/repressione continua ad avvitarsi,
questa debolezza è meno visibile. Ma un giorno o l'altro le armi
taceranno, e i due generali - o chi sarà loro succeduto -
dovranno fare i conti con le conseguenze geopolitiche della
battaglia in corso. La parte militarmente più debole potrebbe
trovarsi avvantaggiata. Vediamo perché.
La ragione di fondo sta nel paradosso del "Grande Israele". Più
Israele diventa grande, meno resta israeliano. C'è un rapporto
inversamente proporzionale fra la relativa vastità del
territorio controllato dallo Stato ebraico e la sua omogeneità
etnica, culturale, politica. Dunque la sua sicurezza.
La demografia parla chiaro. Oggi nello spazio composto da
Israele e dai Territori rioccupati di Gaza e Cisgiordania circa
5 milioni di ebrei fronteggiano altrettanti arabi (forse anche
qualcuno in più). Eminenti studiosi prevedono che nel 2020 vi
abiteranno 6,4 milioni di ebrei e 8,8 milioni di arabi. Dei
quali 5,8 milioni nei Territori occupati e 3 milioni in Israele.
Se poi le bombe dei terroristi palestinesi continuassero a
mietere vittime nelle città israeliane, molti ebrei
prenderebbero in considerazione una nuova diaspora. Alcuni
stanno già lasciando il paese, perché non possono immaginarvi un
domani sicuro.
Se dunque Sharon seguisse le follie dei suoi fondamentalisti,
estendendo con mano militare il suo Stato a Giudea e Samaria
(cioè alla Cisgiordania), ridurrebbe gli ebrei a una minoranza
in patria. Non può essere questa l'intenzione di qualsiasi
governo israeliano. Ma la rioccupazione non si sa quanto
provvisoria delle città palestinesi in Cisgiordania favorisce
proprio quell'esito che si vorrebbe evitare.
Non solo. Il tessuto sociale di Israele si sta slabbrando. Al di
là delle tradizionali diversità culturali del mondo ebraico, i
massicci flussi di immigrazione dai paesi ex sovietici hanno
portato all'insediamento di una consistente colonia di ebrei
russi, che coltiva e sviluppa la propria identità linguistica e
culturale. Un "ghetto russo" (Avishai Margalit) di un milione di
anime. Con i suoi media rigorosamente in lingua madre, tre
partiti politici e una discreta presenza tra i coloni,
decisamente avversi a ogni compromesso con i palestinesi. E'
vero che oggi il flusso di ebrei dall'Est eurasiatico pare
inceppato. Ma per ironia della storia gli ebrei che ancora
lasciano la Russia sembrano preferire Berlino a Gerusalemme.
A frammentare il fronte interno contribuisce soprattutto la
componente araba della popolazione israeliana, grosso modo un
quinto del totale. Insediati soprattutto in Galilea, fino allo
scoppio della Seconda Intifada i palestinesi superstiti della
"Catastrofe" del 1948 non avevano finora mostrato una
particolare inclinazione per Arafat, soprattutto per gli aspetti
più autoritari e corrotti della sua amministrazione. Ciò
malgrado Israele li trattasse da cittadini potenzialmente
infedeli, tanto da non volerli nelle file del proprio esercito.
Oggi gli arabi israeliani si scoprono sempre più arabi e sempre
meno israeliani. I legami tra i palestinesi di Israele e quelli
dei Territori si stanno rafforzando, e non solo sotto l'aspetto
emotivo. Per Sharon questi israeliani molto speciali sono un
problema assai più che una risorsa.
Non stupisce dunque che i leader palestinesi considerino la
demografia la loro arma migliore. Contro la quale i carri
armati, gli aerei e la bomba atomica di Tsahal non possono
nulla. Stupisce ancora meno che da tempo si facciano sentire in
campo israeliano voci che invocano la separazione unilaterale
dai palestinesi. Lo strumento sarebbe una barriera fisica fra lo
Stato ebraico e il futuro Stato palestinese. Questo partito
trasversale, che a suo tempo sedusse Barak, pesa anche
nell'attuale governo.
Ma se allunghiamo lo sguardo oltre la collina, ci rendiamo conto
che i Muri di Gerusalemme, di Gaza o di Cisgiordania non possono
garantire né pace né sviluppo. La separazione è certo necessaria
e inevitabile. Lo è per la sicurezza di Israele come per la
nascita della Palestina indipendente, ormai patrocinata anche da
Bush. Ma se ai confini fra Israele e Palestina - quale che sia
il loro percorso -sorgesse una cortina di ferro, nessuno dei due
popoli potrebbe mai sentirsi tranquillo. Due Stati nemici
preparerebbero solo la prossima guerra. Israele e Palestina
saranno condannati a convivere e a collaborare in una logica non
dissimile da quella europea. Oppure a (de)perire insieme.
PROTESTE
NEL MONDO
L’occupazione militare israeliana dei Territori palestinesi sta
infiammando sempre più pericolosamente il mondo arabo. Ma non
solo. Le ormai quotidiane manifestazioni anti-americane e
anti-israeliane si stanno radicalizzando e diffondendo anche in
Australia, Usa, Canada, Messico, Brasile, Grecia e Svezia. Vi
sono stati inoltre i primi annunci di boicottaggio di merci
americane. Ecco una sintesi della situazione.
STATI UNITI - Nella mattinata di sabato si sono svolte
manifestazioni filo-palestinesi nelle maggiori città del Paese:
New York, Philadelphia, Washington, Seattle, New Orleans, Jersey
City, Paterson. Centinaia di persone hanno manifestato a San
Francisco, in due dimostrazioni di segno opposto: una
filopalestinese e una filoisraeliana. Le autorità della città
avevano fatto erigere barriere metalliche per separare le due
manifestazioni, controllate inoltre da poliziotti a cavallo e a
piedi. Le persone che hanno dimostrato contro le incursioni
israeliane nei Territori occupati erano circa cinquecento,
mentre quelle che dimostravano contro gli attacchi suicidi
palestinesi in Israele erano circa trecento. Fronteggiandosi al
di là delle barriere, i due gruppi di manifestanti scandivano
slogan contrapposti. Tra gli altri «Ariel Sharon, siamo con te»,
urlavano gli uni mentre gli altri gridavano «vergognatevi». Non
sono scoppiati incidenti.
AUSTRALIA – Si allargano le manifestazione violente
anti-israeliane. A Sydney, mentre circa tremila persone
protestavano contro l'occupazione israeliana, un gruppo ha
tentato di fare irruzione in un edificio che ospita il consolato
israeliano. L'assalto, tentato da una trentina di persone, è
stato respinto dalla polizia a cavallo, mentre per strada
venivano bruciate bandiere israeliane e statunitensi. La folla è
stata dispersa dopo un breve scontro, durante il quale due
agenti sono stati lievemente feriti.
GERMANIA - Circa duemila e cinquecento persone sono scese in
piazza oggi a Bonn e Dortmund, nel Land centro-occidentale del
Nord-Reno-Vestfalia, per protestare contro l'occupazione
israeliana dei territori palestinesi. Soprattutto a Bonn,
secondo indicazioni della polizia, il numero dei partecipanti è
stato parecchio superiore al previsto. I promotori - un gruppo
di iniziativa privato – avevano calcolato che i partecipanti
sarebbero stati circa cinquecento.Alla fine invece sono arrivati
a 1.500.A Dortmund i dimostranti sono stati circa mille. La
marcia era stata indetta fra l'altro dalla comunità palestinese
e dall'associazione dei medici palestinesi. Le dimostrazioni si
sono svolte senza incidenti. Altre proteste contro il
comportamento di Israele sono in programma per questo fine
settimana in altre città tedesche.
BAHREIN - Manifestanti hanno lanciato diverse bottiglie molotov
e pietre contro l'ambasciata americana a Manama durante una
dimostrazione a sostegno del popolo palestinese. Le vetrine di
un McDonald's sono andate in frantumi. La Tv “al-Jazira” ha
riferito che per disperdere i dimostranti la polizia ha esploso
candelotti lacrimogeni. Almeno settanta manifestanti sono stati
feriti e ricoverati in ospedale, in maggior parte con sintomi da
soffocamento.
GIORDANIA - La polizia giordana in tenuta antisommossa è
intervenuta con lanci di candelotti lacrimogeni e facendo uso di
potenti idranti per bloccare un corteo di oltre cinquemila
persone che cercavano di raggiungere l'ambasciata di Israele ad
Amman, al termine delle consuete preghiere del venerdì.
All'intervento della polizia i dimostranti hanno risposto con un
fitto lancio di pietre. Nel corso degli scontri diversi
dimostranti sono rimasti feriti e molti di essi sono stati
arrestati.
EGITTO - Le proteste di oggi davanti alla moschea di Al Azhar e
nel centro del Cairo sono state definite dall'agenzia egiziana
“Mena” «le maggiori dimostrazioni filo-palestinesi dall'inizio
della guerra israeliana contro il popolo palestinese». Hanno
partecipato migliaia di persone: studenti dell'omonima
università (Al Azhar) e fedeli vestiti con le “galabeye” (il
tipico camicione bianco). Contro di loro sono intervenuti con i
manganelli i poliziotti antisommossa. Via Moski, la più
importante strada commerciale del centro, nella quale si erano
riunite alcune migliaia di persone, è stata chiusa al traffico
dopo che alcune automobili parcheggiate erano state danneggiate.
LIBANO - Per il settimo giorno consecutivo più di 25 mila
libanesi e palestinesi sono scesi in strada a Beirut fino alla
sede dell'Onu. Un sit-in si è svolto vicino all'ambasciata Usa
con la partecipazione soprattutto di medici, farmacisti e
avvocati. Manifestazioni anche a Baalbek (15 mila persone), a
Tiro (2 mila), a Sidone (altre 2 mila).
IRAN - Diverse migliaia di iraniani hanno manifestato contro
Israele, chiedendo che venga offerto «un sostegno materiale e
morale» ai palestinesi «nella lotta giusta e legittima contro il
regime sionista». Sventolando gigantesche bandiere palestinesi,
hanno gridato slogan ostili ai dirigenti americani e israeliani
ed hanno bruciato fotografie del presidente americano George W.
Bush e del primo ministro israeliano Ariel Sharon.
Manifestazioni analoghe si sono svolte a Ipahhan (centro) e
Machhad (nord-est). Nel contempo la guida suprema iraniana
ayatollah Ali Khamenei ha ipotizzato un embargo petrolifero
contro i paesi che appoggiano Israele.
TURCHIA - Dimostrazioni in molte città al termine della
preghiera del venerdì. A Istanbul la polizia è intervenuta con
idranti e lacrimogeni ed ha arrestato una quindicina di persone.
Raduni di protesta anche a Ditarbakir, Elazig, Ankara. Qui
incidenti sono scoppiati vicino all'università.
EMIRATI ARABI UNITI - Migliaia di manifestanti hanno sfilato ad
Abu Dhabi, scandendo tra l'altro “L'America è il più grande
serpente” e inneggiando alla “gloria dei martiri palestinesi”.
ARABIA SAUDITA - A Dahran, dove vivono e lavorano circa 31 mila
americani, la polizia ha impedito per l'ennesima svolta il
concentramento di manifestanti anti-Usa. Diverse persone sono
state arrestate.
TUNISIA - Scontri fra manifestanti e forze di polizia sono
avvenuti venerdì sera in più punti di Tunisi, in seguito al
divieto di una manifestazione contro Israele convocata da alcuni
partiti di opposizione e associazioni indipendenti. Le forze di
sicurezza - polizia, brigate antisommosse e agenti in borghese -
hanno presidiato in modo massiccio il centro città, impedendo ai
manifestanti di raggrupparsi in un corteo che doveva percorrere
l'Avenue Bourghiba. Dispersi, i manifestanti hanno
successivamente formato numerosi cortei nelle strade laterali,
dove vi sono stati brevi scontri, nel corso dei quali gli agenti
hanno fatto uso di sfollagente. Non è stato fatto uso di gas
lacrimogeni. Nei tafferugli sarebbero stati colpiti il
presidente dell' Ordine degli avvocati, Bechir Essid, e il
presidente della Lega per la difesa dei diritti umani, Mokhtar
Trifi. Non si ha tuttavia notizia di feriti gravi. Ai
giornalisti è stato impedito di avvicinarsi ai luoghi ritenuti
caldi in più punti della città. Su iniziativa delle federazioni
degli insegnanti, i sindacati tunisini hanno deciso di
boicottare le merci Usa. Un comitato intersindacale è stato
istituito per definire «una lista dei prodotti di consumo Usa e
delle imprese americane che saranno oggetto di boicottaggio da
parte della popolazione e dei lavoratori». Inoltre il segretario
del raggruppamento regionale dei sindacati del Maghreb, Habib
Besbes, ha invitato i cinque paesi maghrebini (Tunisia, Algeria,
Libia, Marocco e Mauritania) a «non fornire alcuna assistenza
alle compagnie di trasporto navale e agli aerei Usa in porti e
aeroporti maghrebini».
MAROCCO - Una manifestazione gigantesca è stata organizzata per
domenica a Rabat a sostegno dei palestinesi e di Yasser Arafat.
Gli organizzatori prevedono che parteciperanno centinaia di
migliaia di marocchini, provenienti da tutte le regioni del
paese. La “grande marcia” ha ottenuto il nulla osta delle
autorità, tutti i partiti politici hanno aderito. Nell'ottobre
del 2000, una manifestazione filo-palestinese organizzata a
Rabat dopo la visita di Ariel Sharon (allora capo del Likud)
alla spianata delle moschee a Gerusalemme, aveva portato in
piazza tra le 500 mila e le 700 mila persone.
MESSICO - Alcune centinaia di persone hanno manifestato davanti
all'ambasciata di Israele a Città del Messico. I manifestanti
hanno srotolato un grande striscione in cui si paragona
l'operato dell'esercito di Tel Aviv alle persecuzioni naziste
compiute proprio contro gli ebrei.
BANGLADESH - Quindicimila musulmani hanno dato vita a un'imponenete
manifestazione pacifica nella capitale Dacca. Migliaia sono
scesi in piazza anche a Khulna e nella città portuale di
Chittagong.
Di dimensioni più ridotte i cortei di protesta svoltisi a
Giakarta, in Indonesia e a Stoccolma, in Svezia. Così come
quelli in Grecia, in Giappone, in Canada (a Calgary), in
Nicaragua, in Venezuela, a Rio De Janero, in Brasile, a Cipro e
in Sud Africa. Anche qui il ritornello scandito è stato “Sharon
assassino”.
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