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PALESTINA 2002:TORNA LA GUERRA
Rassegna stampa e testimonianze
 

"I soldati israeliani che ricevono l'ordine di bombardare i civili dovrebbero chiedersi come reagirebbero se le loro strade venissero distrutte". (Yigal Shohat, ex pilota e colonnello dell'aviazione militare)

"Non è antisemitismo gridare per la demolizione delle case e dei campi e opporsi alle chiusure e agli assedi che trasformano ogni villaggio e città palestinese in un campo di prigionia. Dobbiamo dire forte e chiaro che il nostro governo sta commettendo crimini di guerra, dirlo in modo esplicito e netto, e ripeterlo ancora e ancora".
(Shulamit Aloni, ex leader di Meretz e Ministro dell'Educazione)



Zvi Osmolovski, vegetariano e nonviolento

Zvi Osmolovski, 27 anni, è un immigrato della ex URSS. E' stato condannato a 49 giorni di reclusione, da scontare nella Prigione Militare n. 4. Zvi è vegetariano e pacifista da quando aveva 13 anni.
"La gente mi chiede perché non mangio carne. Mi dicono che in fin dei conti, anche essendo vegetariano, non posso riportare in vita gli animali che vengono macellati. Ho risposto che non voglio condividere la vergogna o la responsabilità dell'uccisione di animali. A maggior ragione, non potrei sentire su di me la responsabilità per l'uccisione di esseri umani, anche se fossero persone "cattive", unendomi all'esercito che comanda quell'omicidio".
Zvi si alza in piedi quando i guardiani e gli ufficiali glielo chiedono (esprimendo così il suo rispetto verso di loro come esseri umani) e svolge compiti come lavare i piatti (in modo che questo lavoro non ricada su altri). Per il suo rifiuto di svolgere alcune mansioni regolamentari prima dell'ispezione dei guardiani (come piegare le coperte secondo le regole militari), le coperte e il materasso gli vengono portati via ogni mattina e restituiti durante la notte.
Zvi Osmolovsky sostiene che la sua prigionia non fa che rafforzarlo. Non c'è limite al prezzo che è disposto a pagare. Così come nessuna offerta economica potrebbe convincerlo a mangiare carne, allo stesso modo nessuna punizione potrà persuaderlo ad imbracciare un'arma. Se dovrà incontrare il Conscience Committee - così ha detto a Sergeiy Sandler dell'associazione New Profile durante una visita - spiegherà loro che "ogni guerra è un crimine. Ogni esercito è un'istituzione criminale. Se volete che io resti in prigione, questo è il risultato della vostra stupidità, non della mia".


Yair Halper e Dostoevskij

Yair Halper, 18enne, è stato condannato a 28 giorni di prigione e trasferito in cella di isolamento nel Carcere Militare n. 4, noto per la presenza di guardiani che esercitano abusi ai danni dei prigionieri.
Prima di entrare in cella, Yair Halper ha dichiarato:
"Mi considero un pacifista, e uso questa parola solo per la mancanza di una migliore. Ho solo 18 anni, sono ancora un bambino, almeno ai miei occhi. Continuo a chiedere a me stesso: che diavolo ne so del pacifismo? I miei valori non sono mai stati veramente messi a prova. Comunque, "pacifista" è l'aggettivo più vicino che riesco a trovare per definire quello che sono.
Obietto a tutti gli eserciti del mondo, non importa dove si trovano, chi vi lavora e per quali scopi. Inoltre, obietto al servizio nelle Forze Militari di Israele per ragioni politiche. Non porterò mai l'uniforme o qualunque altro simbolo che rappresenti l'esercito o che mi renda parte di esso.
Vedo l'esercito di Israele come un meccanismo che contiene tutto ciò a cui io mi oppongo. Ogni soldato contribuisce al suo perpetuarsi, non solo con il completo disinteresse per i diritti umani dei palestinesi, ma con la continua conferma e fortificazione dell'occupazione israeliana.
L'esercito fa il lavaggio del cervello ai suoi soldati, impone loro una mentalità brutale e disumana e fa sì che ciascuno perda la propria individualità. Non mi unirò ad un sistema che calpesta i diritti dell'uomo e che continua a rapinare, controllare ed occupare i territori palestinesi.
Per quanto possa sembrare infantile o stereotipato, io conosco un solo modo di vivere la mia vita, ed è essere sincero con me stesso, coerente con i miei valori, vivendo secondo ciò che i miei principi mi dettano. Sì, entro volontariamente in prigione e sarò orgoglioso di essere rinchiuso per quello che reputo giusto. Come dichiarò Dostoevskij, il grado di civilizzazione di una società può essere giudicato dalle ragioni per cui si è incarcerati. Shalom, Yair Halper".


62 studenti israeliani, una sola promessa da mantenere

3 settembre 2001.

Al Primo Ministro Ariel Sharon
Noi sottoscritti, giovani cresciuti e educati in Israele, siamo in procinto di venire chiamati a servire il paese nell'esercito israeliano.
Noi protestiamo contro la politica aggressiva e razzista condotta dal governo israeliano e dalle forze armate, e la informiamo che non intendiamo prendere parte all'esecuzione di questa politica. Resisteremo con forza alla distruzione dei diritti umani da parte di Israele.
Espropriazioni delle terre, arresti, esecuzioni senza processo, demolizioni delle case, blocchi, tortura e impossibilità di accedere ai servizi sanitari sono solo alcuni dei crimini di cui si macchia lo stato di Israele, in palese violazione delle convenzioni internazionali che ha ratificato.
Queste azioni non sono soltanto illegittime; esse non raggiungono mai i loro obiettivi dichiarati - aumentare la sicurezza personale dei cittadini. Tale sicurezza sarà raggiunta solo attraverso un giusto accordo di pace tra il governo israeliano e il popolo palestinese. Perciò noi obbediremo alla nostra coscienza e rifiuteremo di prendere parte ad atti di oppressione contro il popolo palestinese, atti che dovrebbero più propriamente essere chiamati azioni terroristiche.
Invitiamo le persone della nostra età, i giovani di leva, i soldati in servizio e i riservisti a fare lo stesso".


Fermate il fuoco, separate i contendenti!
Una petizione di oltre 700 cittadini israeliani chiede l'intervento delle Nazioni Unite


Sono circa 700 i pacifisti, gli artisti e gli intellettuali israeliani che hanno deciso di sottoscrivere una petizione da inviare alle Nazioni Unite, per chiedere l'invio urgente di una forza internazionale di pace che interrompa il ciclo di violenze. La lettera, inviata a Kofi Annan, Romano Prodi e Colin Powell, è stata ignorata dai media israeliani, e per questo i 700 hanno deciso di autotassarsi per pubblicarlo, come annuncio, su un'intera pagina del quotidiano israeliano Ha'aretz.
Il testo originario, che pubblichiamo di seguito, comprende anche le indicazioni per un processo di pace, indicazioni che gli stessi promotori, a soli cinque giorni di distanza, ritenevano già "fuori contesto", paralizzati dall'incremento delle violenze.
Nel frattempo il numero dei soldati e degli ufficiali israeliani che hanno rifiutato l'occupazione, alla data dell'11 marzo, era passato a 333.


A Mr. Kofi Annan

Noi sottoscritti, cittadini israeliani, chiediamo un incontro urgente del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite per discutere la situazione dei territori occupati, che non fa che deteriorarsi. Le recenti e attuali politiche degli Stati Uniti nella regione provano che gli USA da soli non sono in grado di portare il conflitto in Medio Oriente ad una pace giusta. Perciò, chiediamo al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite di prendere una decisione e di esprimere un mandato per dispiegare immediatamente un intervento di emergenza e fermare il circolo vizioso di violenze e vendette.

Crediamo che senza un intervento internazionale imparziale, decisivo ed immediato, il ciclo di violenza si allargherà e metterà in pericolo tutta l'area. C'è un pericolo evidente di massacri di centinaia di innocenti. L'obiettivo dell'intervento delle forze internazionali deve essere imporre l'immediato cessate il fuoco e separare le forze israeliane e palestinesi.

Siamo consapevoli che nessun intervento può avere effetto senza un piano d'azione politica chiaro. Suggeriamo che tale piano tenga conto dei seguenti punti:

a. Le forze israeliane lasceranno le aree A e B e da quelle adiacenti, che verranno occupate dalle forze dell'ONU. Il ritiro israeliano sarà totale, e comprenderà lo smantellamento degli insediamenti israeliani nelle vicinanze delle aree A e B. Questo dovrebbe creare una continuità territoriale delle aree palestinesi liberate, prive di soldati israeliani e di coloni.

b. l'Autorità Palestinese dichiarerà il cessate il fuoco totale.

c. le forze internazionali saranno spiegate con l'obiettivo di separare i soldati israeliani dalla popolazione civile palestinese, proteggendola e prevenendo ulteriori ostilità e inutili spargimenti di sangue.

d. le Nazioni Unite converranno per una conferenza internazionale al fine di discutere l'implementazione delle risoluzioni dell'ONU, incluso il ritiro delle forze armate israeliane ai confini precedenti al 4 giugno 1967, il destino dei luoghi santi, la giusta risoluzione della questione dei rifugiati e il riconoscimento di uno stato palestinese pienamente indipendente, con capitale in Gerusalemme Est.

Vi chiediamo di intervenire con urgenza; ogni ora in più significa la morte di persone innocenti!
Petizione promossa da una associazione di vedove di guerra israeliane



QUANDO E' TROPPO, E' TROPPO!

Noi, vedove dell'esercito israeliano che hanno subito lutti e perdite, gridiamo: BASTA CON LA VIOLENZA!
In questo terribile momento di disperazione, violenza e devastazione, quando le donne di entrambe le parti perdono i loro mariti e i bambini rimangono orfani, noi diciamo: E' IL TEMPO DI SPEZZARE QUESTO CIRCOLO VIZIOSO! Il dominio di altri popoli richiese vittime non necessarie da entrambe le parti, e mette in pericolo le vite di tutti noi e i valori morali della società israeliana. Sangue chiama sangue e violenza chiama violenza!
Noi non avremo requie nella nostra regione senza una pace giusta che assicuri ad entrambi i popoli di vivere nel rispetto della libertà, della sicurezza e della dignità umana.


La storia di tre donne incinta durante due giorni di occupazione

Ieri una donna incinta palestinese che ha cercato di raggiungere un ospedale per dare alla luce il proprio bambino, è stata colpita dai fucili dell'esercito israeliano, ad un posto di blocco all'entrata di Nablus. Di che cosa era colpevole? Tormentata dalle doglie, non ha capito immediatamente che i soldati le avevano ordinato di fermarsi.
La donna è stata trasportata all'ospedale di Nablus ed è stata operata durante il parto.
Successivamente, l'esercito ha espresso ufficialmente il proprio rammarico, ma sembra che non sia stato abbastanza convincente con i soldati, che hanno ripetuto l'accaduto allo stesso posto di blocco.
Un'altra donna palestinese è stata colpita all'incirca nelle stesse circostanze. Anche questa donna ha dovuto essere operata durante il parto, e quando è ritornata in reparto le hanno detto che è diventata vedova. Questa volta - un'eccezione - le donne palestinesi in lacrime con i loro bambini sono state mostrate in televisione.
Proprio oggi, una donna israeliana in stato di gravidanza avanzato, che vive nei territori occupati, è stata colpita dai cecchini palestinesi mentre guidava su una via della Cisgiordania, a sud est di Betlemme. E' stata portata all'ospedale Hadassa, a Gerusalemme. Anch'essa è stata operata e ha partorito in sala operatoria.


UNA LETTERA DAI RISERVISTI ISRAELIANI

Una risposta all'intervento di Amnon Rubinstein sulla "obiezione selettiva" dei soldati e ufficiali israeliani contro l'occupazione, comparso sul giornale Ha'aretz

Tu, Amnon Rubinstein, professore e membro dello Knesset, tu che siedi nella tua torre d'avorio a Gerusalemme e a Tel-Aviv e conosci le lusinghe del potere da ormai 20'anni, tu che ti consideri moralmente superiore agli altri politici, quando è stata l'ultima volta che hai prestato servizio come soldato nei territori occupati? Dev'essere passato molto tempo, se mai lo hai fatto. Non fosse così, non avresti attaccato chi ha scelto di fare obiezione di coscienza contro l'occupazione.
Traspare dall'orgoglio con cui definisci la "morale" e la "coscienza" che sei incapace di comprendere davvero che cosa hai chiesto ai soldati, inviandoli nei territori palestinesi nei passati vent'anni.
Tu non hai mai visto un bambino urlare a pochi metri da te perché le sue ginocchia sono state frantumate da una pallottola; non sei mai stato ad un checkpoint a stabilire il destino; non sei mai stato presente quando soldati delle tue truppe, meno acculturati di te, hanno usato i coltelli per tagliare il volto dei bambini palestinesi; non hai mai schiaffeggiato le donne palestinesi in lacrime, perché le loro case sono state bruciate durante la notte, e non hai mai camminato con gli scarponi militari sulle teste degli uomini palestinesi sparsi a terra.
In breve, non hai partecipato agli orrori dell'occupazione. Per te questa occupazione è virtuale. La conosci solamente attraverso le deliberazioni del comitato dello Knesset, attraverso le statistiche, i mass media, che, come indubbiamente puoi capire, non presentano mai la realtà, bensì creano una realtà alternativa.
Hai familiarità con l'occupazione attraverso conversazioni disciplinate, nei quartieri settentrionali di Tel-Aviv. Sei segnato da una delle maggiori mancanze che un leader può avere: uno squilibrio tra la tua percezione della realtà e il modo in cui le cose stanno realmente. Un leader di tal fatta distrugge rapidamente la propria credibilità di giudizio.
Finché sei stato membro dello Knesset e al governo negli ultimi 9 anni, noi soldati abbiamo servito l'esercito regolare e svolto il servizio di riservisti, portando avanti il lavoro sporco nei territori occupati.
Tu eri l'uomo di stato, il leader, noi eravamo le pedine della tua scacchiera, quelli che eseguono gli ordini.
Anno dopo anno abbiamo messo in pratica quello che ci veniva richiesto senza lamentarci, sigillando il nostro cuore e turandoci il naso per non sentire la puzza, l'orrore, combattendo, ognuno da solo, per ridurre i danni sulla nostra psiche, sui nostri fratelli, e sulle nostre famiglie.
Un grande numero di nostri compagni si è rifiutato di continuare e di pagare questo prezzo, e ha trovato la propria strada fuori dai doveri militari accampando vari pretesti. Solo pochi di noi sono rimasti con fiducia; abbiamo continuato perché credevamo in te, Amnon Rubinstein, ed eravamo certi che mentre noi eravamo nei territori tu, il nostro pilota, avresti certamente trovato una strada per tirarci fuori di lì, per portarci verso la pace, per creare un paese in cui la vita non dovesse fare i conti con le ferite dell'anima.
Hai avuto nove anni per educarci e per portarci fuori da questo deprecabile, necrofilo lavoro nei territori occupati. Sei fallito miseramente. Eppure, questo fallimento non ti ferma dal continuare a richiamarci (con un leggero tremolio nella voce) a continuare ad essere i tuoi uomini di fiducia.
Non ti tormenta continuare a mandare i figli del tuo paese a commettere crimini di guerra? Sei sicuro di avere il tiolo per chiederci una cosa simile? Che cosa hai rinchiuso nel tuo zaino per offrirci di continuare ad annusare i corpi dei morti per altri nove anni, così da alimentarci delle tue giustificazioni? Sembri non capire che hai perso il tuo privilegio morale per guidarci oltre in questa faccenda, che hai perso la fiducia del tuo gregge, che hai delapidato la tua credibilità come leader ormai al suo limite.
Ora che la nostra obbedienza non è più nelle tue mani o nelle mani dello stato, per la mancanza di responsabilità da parte tua e da parte dei tuoi compagni politici, sei costretto a cercare soluzioni diverse ai problemi. Questo è il compito di un leader. Se non ne ne sei capace, lascia che lo facciano altri più qualificati di te.


La speranza è nella paura
di Deby Birnbaum


Quella che segue è una lettera inviata da una madre israeliana, Deby Birnbaum, all'associazione pacifista israeliana New Profile, che sostiene gli obiettori di coscienza.
Per chi volesse approfondire segnaliamo, sul sito www.nonviolenti.org, il dossier Israele e Palestina, nel quale presentiamo, tradotti in italiano, i contributi di alcuni tra i più importanti gruppi pacifisti attivi in quei territori.
I testi comprendono: la testimonianza di azioni nonviolente, la denuncia di situazioni di violazione o l'ampliamento degli insediamenti israeliani, l'obiezione di coscienza in Israele, alcune voci del dibattito sulla risoluzione del conflitto per come viene affrontato negli ambienti nonviolenti.


In Israele, le madri che hanno paura - gli uomini non hanno mai paura - sono definite "troppo ansiose", irrazionali e incapaci di pensare chiaramente. E' un modo tutto israeliano per disfarsi della paura. Una emozione legata ai fatti, la paura; una emozione che è razionale ed essenziale per sopravvivere. Le madri vengono considerate "incapaci di comprendere" perché "la loro ansia annebbia la capacità di pensare razionalmente".
Vorrei dare voce a quello che sento.
Io ho paura quando penso al mio figlio più grande, arruolato nell'esercito, e so che verrà sottoposto ad una formazione che lo priverà della sua identità, indipendenza, sentimenti, paure e speranze, e della sua capacità di pensare in modo critico e creativo. Tutto questo rientra negli sforzi necessari per fare di lui un soldato efficiente, che obbedisce incondizionatamente agli ordini.
Ho paura perché so che, nel momento in cui mio figlio entrerà con la sua anima e i suoi sentimenti nella "stanza dei sigilli", le sue possibilità di uscirne saranno pressoché nulle.
Ho paura perché so che mio figlio assumerà il linguaggio e il comportamento del potere; che per lui il dialogo diventerà una battaglia da vincere, perché questo sarà l'unico modo per diventare un ragazzo in gamba e sopravvivere alle missioni di morte e di distruzione che richiedono di ritenersi invincibili.
Ho paura perché so che finirà per disumanizzare chiunque rappresenti, in quel momento, il nemico. Questo sarà per lui l'unico modo per diventare capace di uccidere, o di essere ucciso.
Ho paura perché so che farà suo il modo di pensare per cui "non c'è alternativa". Dovrà convincersi che il potere e la violenza sono modi legittimi per risolvere i conflitti sociali e politici, o non potrà accettare di opprimere, di uccidere, o di mettere in pericolo la propria vita.
Ho paura perché so che finirà per credere che il diritto alla vita degli ebrei in Israele ha la priorità sulle altre fedi o nazionalità. E che è impossibile condividere le risorse, ma solo soccombere o far soccombere. Solo con questo atteggiamento interiore potrà rischiare la propria vita o sopprimere quella di altre persone.
Ho paura perché so che, a dispetto di tutte le canzoni, le preghiere e i miti di eroismo, l'esercito è una istituzione progettata per uccidere e distruggere nel modo più efficiente possibile.
Ho paura perché so che chi prende decisioni politiche in tema di sicurezza, in Israele, non è mai stato un semplice civile, non è mai stato "pauroso"; è stato solo un generale e, prima di questo, un soldato. Queste persone sperimentano la parte più dolce della gerarchia, cioè possedere un potere immenso che nessun civile può teoricamente contraddire, avere tutti i privilegi di classe, e il senso di onnipotenza di chi ha subordinati che obbediscono agli ordini senza fare domande.
Ho paura perché chi decide è occupato con cosucce banali - giochi di potere e di prestigio - e tratta tutto con la stessa serietà e la stessa pesantezza. Non ho visto in loro il coraggio e la speranza che occorrono, per portare una società confusa e frammentata alla trasformazione dei valori e dei comportamenti, necessaria per una soluzione giusta. Stanno sprecando tempo e vite umane. Io so che questo tempo si paga con il sangue.
Ho paura perché so che il conflitto continuo con i palestinesi, i siriani e i libanesi è una copertura per non occuparsi del nucleo corrotto della questione, dovuto alla negligenza di tutti i governi precedenti - povertà, razzismo, disoccupazione, estremismo, discriminazione, oppressione dei deboli. Di fronte a queste complesse difficoltà, la cosa più sicura è sempre stata ripetere il mito del proprio essere piccoli, vulnerabili, minacciati, in un mondo che ci odia e che vuole distruggerci.
Ho paura perché so che abbiamo abbastanza armi convenzionali, chimiche e atomiche per "sentirci al sicuro". Ed inoltre le cosiddette fonti militari sostengono che questo apparato è inadeguato - inadeguato per i militari e per quelli che guadagnano dai profitti della guerra. Così, le enormi risorse che potrebbero venire applicate alla soluzione dei problemi reali, vengono deviate su progetti immaginari, e continuano ad alimentare una sicurezza illusoria.
Io ho paura perché mio figlio è stato educato in un sistema ideologico che gli trasmette messaggi come "la guerra è inevitabile", "non ci sono alternative", e "il massimo è diventare un eroe".
Io ho paura perché le mie possibilità di convincerlo che le alternative esistono, non sono il massimo.
Io ho paura perché non ci sono speranze che l'esercito avvii una seria ricerca delle soluzioni, o si chieda quanti sono gli elementi necessari per i suoi contingenti, o accetti di comunicare in modo trasparente sul numero di coloro che non vengono chiamati alla leva, o prenda in considerazione la possibilità di ridurre le proprie dimensioni e risorse.
Io ho paura perché non c'è nessuna autorità civile che possa rispondere al mio appello per esaminare seriamente la struttura e gli obiettivi dell'esercito.

La mia paura è diventata una opportunità di conoscenza. Ogni volta che la sento, mi fermo ad osservarla e scopro nuove sfaccettature.
La paura è la voce che mi chiede di fermarmi ad ascoltare. Che mi chiede di ascoltare, insieme, la mia mente e il mio cuore. Attraverso una maggiore conoscenza, possiamo decidere come agire.
Certo, ho presentato solo parte della questione, e molto di più potrebbe essere detto. Ma, per quanto mi riguarda, ho deciso che ne so già abbastanza.
Non ho intenzione di aspettare di conoscere "tutto lo scibile sulla sicurezza nazionale" per fare la pace.
Non ho intenzione di collaborare.
Mi rifiuto, dal profondo della mia coscienza, di entrare a far parte della macchina ben oliata che trasforma mio figlio in un soldato.
Mi rifiuto di chiudere gli occhi sperando il meglio, e di ripetere il mantra, così familiare tra ebrei-israeliani, "non ci sono alternative, la guerra deve andare avanti".



Due generali senza strategia
di LUCIO CARACCIOLO


SHARON e Arafat sono due generali senza strategia. Un buon condottiero si distingue dall'abilità nel prevedere le mosse del nemico per imporgli le proprie. Né il leader israeliano né quello palestinese sembrano aver fatto tesoro della lezione del duca di Wellington, celebre per la sua capacità di indovinare il tipo di terreno che avrebbe trovato al di là di ogni collina. Da allora il talento nell'immaginare che cosa c'è "dietro la collina" è sinonimo di intelligenza strategica. Qualità che non sembra oggi abbondare in nessuno dei due campi. A soffrirne è soprattutto la parte israeliana.

Mentre la spirale terrorismo/repressione continua ad avvitarsi, questa debolezza è meno visibile. Ma un giorno o l'altro le armi taceranno, e i due generali - o chi sarà loro succeduto - dovranno fare i conti con le conseguenze geopolitiche della battaglia in corso. La parte militarmente più debole potrebbe trovarsi avvantaggiata. Vediamo perché.

La ragione di fondo sta nel paradosso del "Grande Israele". Più Israele diventa grande, meno resta israeliano. C'è un rapporto inversamente proporzionale fra la relativa vastità del territorio controllato dallo Stato ebraico e la sua omogeneità etnica, culturale, politica. Dunque la sua sicurezza.

La demografia parla chiaro. Oggi nello spazio composto da Israele e dai Territori rioccupati di Gaza e Cisgiordania circa 5 milioni di ebrei fronteggiano altrettanti arabi (forse anche qualcuno in più). Eminenti studiosi prevedono che nel 2020 vi abiteranno 6,4 milioni di ebrei e 8,8 milioni di arabi. Dei quali 5,8 milioni nei Territori occupati e 3 milioni in Israele. Se poi le bombe dei terroristi palestinesi continuassero a mietere vittime nelle città israeliane, molti ebrei prenderebbero in considerazione una nuova diaspora. Alcuni stanno già lasciando il paese, perché non possono immaginarvi un domani sicuro.

Se dunque Sharon seguisse le follie dei suoi fondamentalisti, estendendo con mano militare il suo Stato a Giudea e Samaria (cioè alla Cisgiordania), ridurrebbe gli ebrei a una minoranza in patria. Non può essere questa l'intenzione di qualsiasi governo israeliano. Ma la rioccupazione non si sa quanto provvisoria delle città palestinesi in Cisgiordania favorisce proprio quell'esito che si vorrebbe evitare.

Non solo. Il tessuto sociale di Israele si sta slabbrando. Al di là delle tradizionali diversità culturali del mondo ebraico, i massicci flussi di immigrazione dai paesi ex sovietici hanno portato all'insediamento di una consistente colonia di ebrei russi, che coltiva e sviluppa la propria identità linguistica e culturale. Un "ghetto russo" (Avishai Margalit) di un milione di anime. Con i suoi media rigorosamente in lingua madre, tre partiti politici e una discreta presenza tra i coloni, decisamente avversi a ogni compromesso con i palestinesi. E' vero che oggi il flusso di ebrei dall'Est eurasiatico pare inceppato. Ma per ironia della storia gli ebrei che ancora lasciano la Russia sembrano preferire Berlino a Gerusalemme.

A frammentare il fronte interno contribuisce soprattutto la componente araba della popolazione israeliana, grosso modo un quinto del totale. Insediati soprattutto in Galilea, fino allo scoppio della Seconda Intifada i palestinesi superstiti della "Catastrofe" del 1948 non avevano finora mostrato una particolare inclinazione per Arafat, soprattutto per gli aspetti più autoritari e corrotti della sua amministrazione. Ciò malgrado Israele li trattasse da cittadini potenzialmente infedeli, tanto da non volerli nelle file del proprio esercito. Oggi gli arabi israeliani si scoprono sempre più arabi e sempre meno israeliani. I legami tra i palestinesi di Israele e quelli dei Territori si stanno rafforzando, e non solo sotto l'aspetto emotivo. Per Sharon questi israeliani molto speciali sono un problema assai più che una risorsa.

Non stupisce dunque che i leader palestinesi considerino la demografia la loro arma migliore. Contro la quale i carri armati, gli aerei e la bomba atomica di Tsahal non possono nulla. Stupisce ancora meno che da tempo si facciano sentire in campo israeliano voci che invocano la separazione unilaterale dai palestinesi. Lo strumento sarebbe una barriera fisica fra lo Stato ebraico e il futuro Stato palestinese. Questo partito trasversale, che a suo tempo sedusse Barak, pesa anche nell'attuale governo.

Ma se allunghiamo lo sguardo oltre la collina, ci rendiamo conto che i Muri di Gerusalemme, di Gaza o di Cisgiordania non possono garantire né pace né sviluppo. La separazione è certo necessaria e inevitabile. Lo è per la sicurezza di Israele come per la nascita della Palestina indipendente, ormai patrocinata anche da Bush. Ma se ai confini fra Israele e Palestina - quale che sia il loro percorso -sorgesse una cortina di ferro, nessuno dei due popoli potrebbe mai sentirsi tranquillo. Due Stati nemici preparerebbero solo la prossima guerra. Israele e Palestina saranno condannati a convivere e a collaborare in una logica non dissimile da quella europea. Oppure a (de)perire insieme.



PROTESTE NEL MONDO

L’occupazione militare israeliana dei Territori palestinesi sta infiammando sempre più pericolosamente il mondo arabo. Ma non solo. Le ormai quotidiane manifestazioni anti-americane e anti-israeliane si stanno radicalizzando e diffondendo anche in Australia, Usa, Canada, Messico, Brasile, Grecia e Svezia. Vi sono stati inoltre i primi annunci di boicottaggio di merci americane. Ecco una sintesi della situazione.

STATI UNITI - Nella mattinata di sabato si sono svolte manifestazioni filo-palestinesi nelle maggiori città del Paese: New York, Philadelphia, Washington, Seattle, New Orleans, Jersey City, Paterson. Centinaia di persone hanno manifestato a San Francisco, in due dimostrazioni di segno opposto: una filopalestinese e una filoisraeliana. Le autorità della città avevano fatto erigere barriere metalliche per separare le due manifestazioni, controllate inoltre da poliziotti a cavallo e a piedi. Le persone che hanno dimostrato contro le incursioni israeliane nei Territori occupati erano circa cinquecento, mentre quelle che dimostravano contro gli attacchi suicidi palestinesi in Israele erano circa trecento. Fronteggiandosi al di là delle barriere, i due gruppi di manifestanti scandivano slogan contrapposti. Tra gli altri «Ariel Sharon, siamo con te», urlavano gli uni mentre gli altri gridavano «vergognatevi». Non sono scoppiati incidenti.

AUSTRALIA – Si allargano le manifestazione violente anti-israeliane. A Sydney, mentre circa tremila persone protestavano contro l'occupazione israeliana, un gruppo ha tentato di fare irruzione in un edificio che ospita il consolato israeliano. L'assalto, tentato da una trentina di persone, è stato respinto dalla polizia a cavallo, mentre per strada venivano bruciate bandiere israeliane e statunitensi. La folla è stata dispersa dopo un breve scontro, durante il quale due agenti sono stati lievemente feriti.

GERMANIA - Circa duemila e cinquecento persone sono scese in piazza oggi a Bonn e Dortmund, nel Land centro-occidentale del Nord-Reno-Vestfalia, per protestare contro l'occupazione israeliana dei territori palestinesi. Soprattutto a Bonn, secondo indicazioni della polizia, il numero dei partecipanti è stato parecchio superiore al previsto. I promotori - un gruppo di iniziativa privato – avevano calcolato che i partecipanti sarebbero stati circa cinquecento.Alla fine invece sono arrivati a 1.500.A Dortmund i dimostranti sono stati circa mille. La marcia era stata indetta fra l'altro dalla comunità palestinese e dall'associazione dei medici palestinesi. Le dimostrazioni si sono svolte senza incidenti. Altre proteste contro il comportamento di Israele sono in programma per questo fine settimana in altre città tedesche.


BAHREIN - Manifestanti hanno lanciato diverse bottiglie molotov e pietre contro l'ambasciata americana a Manama durante una dimostrazione a sostegno del popolo palestinese. Le vetrine di un McDonald's sono andate in frantumi. La Tv “al-Jazira” ha riferito che per disperdere i dimostranti la polizia ha esploso candelotti lacrimogeni. Almeno settanta manifestanti sono stati feriti e ricoverati in ospedale, in maggior parte con sintomi da soffocamento.

GIORDANIA - La polizia giordana in tenuta antisommossa è intervenuta con lanci di candelotti lacrimogeni e facendo uso di potenti idranti per bloccare un corteo di oltre cinquemila persone che cercavano di raggiungere l'ambasciata di Israele ad Amman, al termine delle consuete preghiere del venerdì. All'intervento della polizia i dimostranti hanno risposto con un fitto lancio di pietre. Nel corso degli scontri diversi dimostranti sono rimasti feriti e molti di essi sono stati arrestati.

EGITTO - Le proteste di oggi davanti alla moschea di Al Azhar e nel centro del Cairo sono state definite dall'agenzia egiziana “Mena” «le maggiori dimostrazioni filo-palestinesi dall'inizio della guerra israeliana contro il popolo palestinese». Hanno partecipato migliaia di persone: studenti dell'omonima università (Al Azhar) e fedeli vestiti con le “galabeye” (il tipico camicione bianco). Contro di loro sono intervenuti con i manganelli i poliziotti antisommossa. Via Moski, la più importante strada commerciale del centro, nella quale si erano riunite alcune migliaia di persone, è stata chiusa al traffico dopo che alcune automobili parcheggiate erano state danneggiate.

LIBANO - Per il settimo giorno consecutivo più di 25 mila libanesi e palestinesi sono scesi in strada a Beirut fino alla sede dell'Onu. Un sit-in si è svolto vicino all'ambasciata Usa con la partecipazione soprattutto di medici, farmacisti e avvocati. Manifestazioni anche a Baalbek (15 mila persone), a Tiro (2 mila), a Sidone (altre 2 mila).

IRAN - Diverse migliaia di iraniani hanno manifestato contro Israele, chiedendo che venga offerto «un sostegno materiale e morale» ai palestinesi «nella lotta giusta e legittima contro il regime sionista». Sventolando gigantesche bandiere palestinesi, hanno gridato slogan ostili ai dirigenti americani e israeliani ed hanno bruciato fotografie del presidente americano George W. Bush e del primo ministro israeliano Ariel Sharon. Manifestazioni analoghe si sono svolte a Ipahhan (centro) e Machhad (nord-est). Nel contempo la guida suprema iraniana ayatollah Ali Khamenei ha ipotizzato un embargo petrolifero contro i paesi che appoggiano Israele.

TURCHIA - Dimostrazioni in molte città al termine della preghiera del venerdì. A Istanbul la polizia è intervenuta con idranti e lacrimogeni ed ha arrestato una quindicina di persone. Raduni di protesta anche a Ditarbakir, Elazig, Ankara. Qui incidenti sono scoppiati vicino all'università.

EMIRATI ARABI UNITI - Migliaia di manifestanti hanno sfilato ad Abu Dhabi, scandendo tra l'altro “L'America è il più grande serpente” e inneggiando alla “gloria dei martiri palestinesi”.

ARABIA SAUDITA - A Dahran, dove vivono e lavorano circa 31 mila americani, la polizia ha impedito per l'ennesima svolta il concentramento di manifestanti anti-Usa. Diverse persone sono state arrestate.

TUNISIA - Scontri fra manifestanti e forze di polizia sono avvenuti venerdì sera in più punti di Tunisi, in seguito al divieto di una manifestazione contro Israele convocata da alcuni partiti di opposizione e associazioni indipendenti. Le forze di sicurezza - polizia, brigate antisommosse e agenti in borghese - hanno presidiato in modo massiccio il centro città, impedendo ai manifestanti di raggrupparsi in un corteo che doveva percorrere l'Avenue Bourghiba. Dispersi, i manifestanti hanno successivamente formato numerosi cortei nelle strade laterali, dove vi sono stati brevi scontri, nel corso dei quali gli agenti hanno fatto uso di sfollagente. Non è stato fatto uso di gas lacrimogeni. Nei tafferugli sarebbero stati colpiti il presidente dell' Ordine degli avvocati, Bechir Essid, e il presidente della Lega per la difesa dei diritti umani, Mokhtar Trifi. Non si ha tuttavia notizia di feriti gravi. Ai giornalisti è stato impedito di avvicinarsi ai luoghi ritenuti caldi in più punti della città. Su iniziativa delle federazioni degli insegnanti, i sindacati tunisini hanno deciso di boicottare le merci Usa. Un comitato intersindacale è stato istituito per definire «una lista dei prodotti di consumo Usa e delle imprese americane che saranno oggetto di boicottaggio da parte della popolazione e dei lavoratori». Inoltre il segretario del raggruppamento regionale dei sindacati del Maghreb, Habib Besbes, ha invitato i cinque paesi maghrebini (Tunisia, Algeria, Libia, Marocco e Mauritania) a «non fornire alcuna assistenza alle compagnie di trasporto navale e agli aerei Usa in porti e aeroporti maghrebini».

MAROCCO - Una manifestazione gigantesca è stata organizzata per domenica a Rabat a sostegno dei palestinesi e di Yasser Arafat. Gli organizzatori prevedono che parteciperanno centinaia di migliaia di marocchini, provenienti da tutte le regioni del paese. La “grande marcia” ha ottenuto il nulla osta delle autorità, tutti i partiti politici hanno aderito. Nell'ottobre del 2000, una manifestazione filo-palestinese organizzata a Rabat dopo la visita di Ariel Sharon (allora capo del Likud) alla spianata delle moschee a Gerusalemme, aveva portato in piazza tra le 500 mila e le 700 mila persone.

MESSICO - Alcune centinaia di persone hanno manifestato davanti all'ambasciata di Israele a Città del Messico. I manifestanti hanno srotolato un grande striscione in cui si paragona l'operato dell'esercito di Tel Aviv alle persecuzioni naziste compiute proprio contro gli ebrei.

BANGLADESH - Quindicimila musulmani hanno dato vita a un'imponenete manifestazione pacifica nella capitale Dacca. Migliaia sono scesi in piazza anche a Khulna e nella città portuale di Chittagong.

Di dimensioni più ridotte i cortei di protesta svoltisi a Giakarta, in Indonesia e a Stoccolma, in Svezia. Così come quelli in Grecia, in Giappone, in Canada (a Calgary), in Nicaragua, in Venezuela, a Rio De Janero, in Brasile, a Cipro e in Sud Africa. Anche qui il ritornello scandito è stato “Sharon assassino”.
 

 



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